In tali condizioni di massiccio disinvestimento pubblico dal sistema sanitario, non sorprende che il COVID-19 abbia preso piede così facilmente. In combinazione con il fatto che nuove malattie trasmissibili emergono in Cina al ritmo di una ogni 1-2 anni, sembrano sussistere le condizioni affinché tali epidemie continuino. Come nel caso dell'influenza spagnola, le condizioni generalmente degradate della sanità pubblica per la popolazione proletaria hanno permesso che il virus prendesse piede e, da lì, si diffondesse rapidamente. Ma, ancora una volta, non è solo una questione di distribuzione. Dobbiamo anche capire come il virus stesso sia stato prodotto.
Non c'è più una natura selvaggia
Nel caso dell'epidemia in corso, la storia è meno semplice dei casi di influenza suina o aviaria, che sono così chiaramente associati al cuore del sistema agroindustriale. Da un lato, le origini esatte del virus non sono ancora del tutto chiare. È possibile che provenga da suini, che sono uno dei tanti animali domestici e selvatici commerciati nel mercato di Wuhan, che sembra essere l'epicentro dell'epidemia, nel qual caso la causa potrebbe essere più simile ai casi di cui sopra di quanto non appaia. Più probabile, tuttavia, sembra essere l'origine del virus dai pipistrelli o forse dai serpenti, gli uni e gli altri solitamente prelevati in natura. Anche in questo caso esiste tuttavia una qualche relazione con il sistema agro-industriale, dal momento che il declino della disponibilità e della sicurezza della carne di maiale a causa dell'epidemia di peste suina africana ha fatto sì che l'aumento della domanda di carne sia spesso soddisfatto dalla vendita di carne di selvaggina "selvatica" in questi mercati del pesce. Ma si può davvero affermare, anche senza che esista un legame diretto con l'agricoltura industriale, che gli stessi processi economici sono in qualche modo complici di questa epidemia?
La risposta è sì, ma in modo diverso. Ancora una volta, Wallace indica non una, ma due vie principali attraverso le quali il capitalismo contribuisce a sviluppare e scatenare epidemie sempre più mortali. La prima, delineata sopra, è quella direttamente legata all'industria, in cui i virus vengono gestiti all'interno di ambienti industriali che sono stati pienamente inclusi nella logica capitalistica. La seconda è indiretta, e si sviluppa attraverso l'espansione e l'estrazione capitalista nell'entroterra, dove virus precedentemente sconosciuti vengono essenzialmente raccolti dalle popolazioni selvatiche [animali] e poi distribuiti lungo i circuiti dei capitali globali. Le due vie non sono del tutto separate, è ovvio, ma il secondo caso sembra essere quello che descrive meglio l'emergere dell'attuale epidemia [ix]. In questo caso, la crescente domanda di corpi di animali selvatici per consumo, per uso medico o (come nel caso dei cammelli e della MERS) per una varietà di funzioni culturalmente significative, costruisce nuove catene di merci globali costituite da beni "selvaggi". In altri casi le catene di valore agro-ecologiche preesistenti si estendono semplicemente in sfere precedentemente "selvagge", cambiando le ecologie locali e modificando l'interfaccia tra l'umano e il non umano.
Wallace stesso è chiaro su questo punto, spiegando diverse dinamiche che creano malattie più gravi nonostante i virus stessi già esistano in ambienti "naturali". L'espansione della stessa produzione industriale "potrebbe spingere gli alimenti selvatici sempre più capitalizzati in profondità provenienti dall'ultimo dei paesaggi primari [ancora non toccati], andando a pescare una più ampia varietà di agenti patogeni potenzialmente protopandemici". In altre parole, man mano che l'accumulazione di capitale si estende a nuovi territori, gli animali vengono spinti in aree meno accessibili dove entreranno in contatto con ceppi di malattie precedentemente isolati - il tutto mentre questi stessi animali stanno diventando merci vendibili, dal momento che "anche le specie di sussistenza più selvagge vengono inserite in catene del valore agricole". Allo stesso modo, questa espansione avvicina gli esseri umani a questi animali e questi ambienti, e ciò "può aumentare l'interfaccia e lo spillover tra le popolazioni selvatiche non umane e la nuova ruralità urbanizzata". Ciò dà al virus maggiori opportunità e risorse per mutare in un modo che gli consente di infettare l'uomo, aumentando la probabilità di spillover biologico. La stessa geografia dell'industria non è ad ogni modo mai così nettamente urbana o rurale, proprio come l'agricoltura industriale monopolistica fa uso di fattorie sia su larga scala che su piccola scala: “in una fattoria [azienda agricola] di un imprenditore ai margini della foresta, un animale da cibo può catturare un agente patogeno prima di essere spedito in un impianto di lavorazione carni situato nell'anello esterno di una grande città. "
Il fatto è che la sfera "naturale" è già sussunta da un sistema capitalistico completamente globale che è riuscito a cambiare le condizioni climatiche di base e a devastare gli ecosistemi pre-capitalisti [x] sino al punto che quelli ancora intatti non funzionano più come avrebbero potuto fare in passato. Anche qui ci si trova di fronte a un ulteriore fattore causale, poiché, secondo Wallace, tutti questi processi di devastazione ecologica riducono "il tipo di complessità ambientale con cui la foresta interrompe le catene di trasmissione". In realtà, quindi, è erroneo pensare a tali aree come alla naturale "periferia" di un sistema capitalista. Il capitalismo è già globale e già totalizzante. Non c'è più un limite o un confine al di là del quale c'è qualche sfera rimasta allo stato naturale, non capitalista; né esiste una grande catena di sviluppo in cui i paesi "arretrati" seguono quelli che li precedono nel loro cammino lungo la catena del valore; né c'è un qualche spazio autenticamente selvaggio in grado di essere preservato in una sorta di condizione pura, incontaminata. Al contrario, il capitale non ha che un retroterra ad esso subordinato e completamente inserito nelle catene del valore globali. I sistemi sociali che da ciò derivano – dal presunto "tribalismo" fino alla rinascita delle religioni fondamentaliste in senso anti-moderna – sono prodotti interamente contemporanei e sono di fatto quasi sempre collegati, spesso in maniera abbastanza diretta, ai mercati globali. Lo stesso si può dire dei sistemi biologici ed ecologici che ne risultano, poiché le aree "selvagge" sono in realtà immanenti a questa economia globale, sia in un senso astratto in quanto dipendono dal clima e dagli ecosistemi correlati, sia nel senso diretto di essere collegati a quelle stesse catene del valore globali.
Questo fatto produce le condizioni necessarie per la trasformazione di ceppi virali "selvaggi" in pandemie globali. Ma il COVID-19 non è certo il peggiore di questi. Un'illustrazione ideale del principio di base – e del pericolo globale – si riscontra invece nel caso dell'ebola. Il virus ebola [xi] è un chiaro caso di un serbatoio virale esistente che si riversa nella popolazione umana. Le prove attuali suggeriscono che i suoi ospiti originari sono diverse specie di pipistrelli nativi dell'Africa occidentale e centrale, che agiscono come vettori ma non sono essi stessi colpiti dal virus. Questo invece non è vero per gli altri mammiferi selvatici, come primati e duiker [l'antilope africana], che contraggono periodicamente il virus e soffrono di focolai rapidi e ad alto tasso di mortalità. L'ebola ha un ciclo di vita particolarmente aggressivo al di fuori delle specie che ne sono portatrici sane. Attraverso il contatto con uno di questi ospiti selvaggi, anche gli esseri umani possono essere infettati, con risultati devastanti. Si sono verificate diverse importanti epidemie e il tasso di mortalità nella maggior parte dei casi è stato estremamente elevato, quasi sempre superiore al 50%. Il più grande focolaio registrato, che è continuato sporadicamente dal 2013 al 2016 in diversi paesi dell'Africa occidentale, ha provocato 11.000 morti. Il tasso di mortalità per i pazienti ospedalizzati durante il focolaio era compreso tra il 57 e il 59%, ed è stato molto più elevato per tutti coloro che sono rimasti senza accesso agli ospedali. Negli ultimi anni, diversi vaccini sono stati sviluppati da società private, ma meccanismi di approvazione lenti e severe limitazioni legate ai diritti di proprietà intellettuale si sono combinati con la diffusa mancanza di un'infrastruttura sanitaria nel produrre una situazione in cui i vaccini hanno fatto poco per fermare la più recente – e al momento la più lunga – epidemia di questo tipo, concentrata nella Repubblica Democratica del Congo (RDC).
La malattia viene spesso presentata come se si trattasse di qualcosa di analogo a un disastro naturale – nella migliore delle ipotesi casuale, nella peggiore imputata alle pratiche culturali "poco igieniche" dei poveri che vivono nelle foreste. Ma il contesto temporale entro il quale si sono sviluppate le due grandi epidemie menzionate (2013-2016 in Africa occidentale e 2018-presente nella RDC) non è casuale. Entrambe si sono verificate proprio quando l'espansione delle industrie primarie ha spostato ulteriormente le popolazioni che vivono nelle foreste e sconvolto gli ecosistemi locali. In effetti, questo sembra essere vero per la maggioranza dei casi più recenti, poiché, come spiega Wallace, "ogni epidemia di ebola sembra connessa a cambiamenti nell'uso del suolo di natura capitalista, a partire dal primo scoppio a Nzara, in Sudan nel 1976, dove una fabbrica finanziata dagli inglesi filava e tesseva cotone locale". Allo stesso modo, le epidemie del 2013 in Guinea si sono verificate subito dopo che un nuovo governo aveva iniziato ad aprire il paese ai mercati globali e vendere grandi estensioni di terra a conglomerati agroalimentari internazionali. L'industria dell'olio di palma – nota per il suo ruolo nella deforestazione e nella distruzione ecologica in tutto il mondo – sembra essere stata particolarmente colpevole, poiché le sue monocolture da un lato devastano le barriere ecologiche che aiutano a interrompere le catene di trasmissione; dall'altro attraggono le specie di pipistrelli che servono come serbatoio naturale per il virus. [xii]
Nel frattempo, la vendita di grandi appezzamenti di terra a società commerciali agroforestali comporta sia l'espropriazione delle popolazioni che abitano le foreste, sia l'interruzione delle loro forme locali di produzione e di raccolto dipendenti dall'ecosistema. Questo spesso costringe i poveri delle zone rurali a spingersi più all'interno nella foresta, mentre le loro relazioni tradizionali con quell'ecosistema vengono distrutte. Il risultato è che la loro sopravvivenza dipende sempre più dalla caccia alla selvaggina o dalla raccolta di flora e legname locali per la vendita sui mercati globali. Tali popolazioni diventano quindi i bersagli contro i quali sono indirizzate le ire delle organizzazioni ambientaliste globali, le quali le denigrano bollandole alla stregua di "bracconieri" e "taglialegna illegali", indicandole come responsabili della deforestazione e della distruzione ecologica, cause che sono invece all'origine della loro necessità a intrattenere questo tipo di commercio. Spesso, il processo prende una svolta molto più oscura, come in Guatemala, dove dopo la fine della guerra civile i paramilitari anticomunisti sono stati trasformati in forze di sicurezza "verdi", con il compito di "proteggere" la foresta dal disboscamento illegale, dalla caccia e dal narcotraffico, ovvero gli unici mestieri disponibili per i residenti indigeni, che erano stati spinti a tali attività proprio a causa della repressione violenta che avevano dovuto affrontare da parte di quegli stessi paramilitari durante la guerra. [xiii] Da allora tale modello è stato riprodotto in tutto il mondo, applaudito su post dei social media nei paesi ad alto reddito che celebrano l'esecuzione di "bracconieri" (spesso catturata dalla telecamera) da parte di presunte forze di sicurezza "verdi". [xiv]
Il contenimento come espressione dell'arte di governo
Il COVID-19 ha attirato l'attenzione globale con una forza senza precedenti. L'ebola, l'influenza aviaria e la SARS, ovviamente, hanno avuto tutte la loro quota di frenesia mediatica. Ma questa nuova epidemia ha generato un diverso tipo di capacità di resistenza. In parte, ciò è quasi certamente dovuto alla scala spettacolare della risposta del governo cinese, che si traduce in immagini altrettanto spettacolari di megalopoli vuote che sono in netto contrasto con la normale immagine mediatica della Cina come sovraffollata e super-inquinata. Questa risposta è stata anche una fonte golosa per l'abituale speculazione sull'imminente crollo politico o economico del Paese, anche in forza dell'ulteriore impulso in tale direzione dato dalle continue tensioni determinate dallo stadio iniziale della guerra commerciale con gli Stati Uniti. Questa situazione, combinata con la rapida diffusione del virus, gli dà il carattere di una minaccia immediatamente globale, nonostante il suo basso tasso di mortalità. [xv]
A un livello più profondo, tuttavia, ciò che sembra più affascinante della risposta dello stato cinese è il modo in cui questa risposta è stata rappresentata nei media, come una sorta di prova generale melodrammatica della mobilitazione totale nella contro-insurrezione interna. Questo ci dice realmente qualcosa sulla capacità repressiva dello stato cinese, ma sottolinea anche la più profonda incapacità di quello stato, rivelata dalla sua necessità di fare un così pesante affidamento su una combinazione tra le misure di propaganda totale implementate attraverso ogni aspetto dei media e le mobilitazioni della buona volontà della popolazione locale che, altrimenti, non avrebbe alcun obbligo materiale da prendere in carico. Sia la propaganda cinese che quella occidentale hanno sottolineato la reale capacità repressiva della quarantena; la prima la racconta come un caso di efficace intervento del governo davanti ad un'emergenza; la seconda come l'ennesima espressione di tendenze totalitarie da parte della Cina in quanto stato distopico. La verità non detta, tuttavia, è che l'aggressività stessa della repressione indica un'incapacità più profonda dello stato cinese, che a sua volta è ancora in costruzione.
Questo stesso fatto ci dà un'idea della natura della Cina, mostrando come essa stia sviluppando nuove e innovative tecniche di controllo sociale e di risposta alle crisi, che possono essere implementate anche in condizioni in cui i meccanismi statuali siano scarsi o inesistenti. Tali condizioni, nel frattempo, offrono un quadro ancora più interessante di come la classe dirigente di un determinato paese potrebbe rispondere nel caso in cui delle crisi generalizzate e l'insurrezione attiva causassero malfunzionamenti di analoga natura, e questo anche in stati più strutturati. L'epidemia virale è stata favorita sotto tutti gli aspetti da scarse connessioni tra i diversi livelli del governo: la repressione dei medici "informatori" da parte di funzionari locali a discapito degli interessi del governo centrale, meccanismi di segnalazione ospedaliera inefficaci e fornitura estremamente scarsa di assistenza sanitaria di base sono solo alcuni esempi. Nel frattempo, diversi governi locali sono tornati – pur a ritmi diversi – alla normalità, quasi completamente al di fuori del controllo dello stato centrale (tranne nello Hubei, l'epicentro). Al momento della stesura del presente documento [26 febbraio 2020], sembra quasi del tutto casuale quali porti siano operativi e quali località abbiano riavviato la produzione. Ma questa quarantena-bricolage ha fatto sì che le reti logistiche interurbane da città a città fossero interrotte, dal momento che qualsiasi governo locale sembra apparentemente in grado di impedire ai treni o ai camion merci di passare attraverso i suoi confini. E questa incapacità di livello base del governo cinese lo ha costretto a gestire il virus come se fosse un'insurrezione, giocando alla guerra civile contro un nemico invisibile.
L'apparato dello stato nazionale ha iniziato a mettersi concretamente in moto il 22 gennaio, quando le autorità hanno esteso le misure di risposta alle emergenze in tutta la provincia di Hubei e hanno dichiarato al pubblico di avere l'autorità legale per istituire strutture di quarantena, oltre a "procurarsi" tutto il personale, i veicoli e le strutture necessarie al contenimento della malattia, o alla creazione di blocchi e al controllo del traffico (conferendo le forme dell'ufficialità a delle pratiche che in ogni caso erano già allora in atto). In altre parole, il pieno dispiegamento delle risorse statali è iniziato in realtà con una richiesta di sforzi volontari da parte della popolazione locale. Da un lato, un disastro di tale gravità metterebbe a dura prova la potenza di qualsiasi stato (vedi, ad esempio, la risposta agli uragani negli Stati Uniti). Ma, dall'altro, ciò ripete un modello comune nell'arte di governo tipica della Cina, in base al quale lo stato centrale, privo di strutture di comando formali ed esecutive efficienti che si estendono fino al livello locale, deve invece per un verso fare affidamento su una combinazione di appelli alla mobilitazione ampiamente pubblicizzati rivolti ai funzionari e ai cittadini locali, mentre per un altro deve ricorrere alla somministrazione di dure punizioni ex post a coloro che hanno risposto in maniera inadeguata (il tutto all'insegna di misure anticorruzione). L'unica risposta veramente efficace si è verificata in aree specifiche in cui lo stato centrale concentra la maggior parte del suo potere e della sua attenzione, in questo caso, Hubei in generale e Wuhan in particolare. Entro la mattina del 24 gennaio, la città era già in un vero e proprio blocco completo, senza treni in entrata o in uscita quasi un mese dopo che il nuovo ceppo del coronavirus era stato rilevato per la prima volta. I responsabili della sanità nazionale hanno dichiarato che le autorità sanitarie avrebbero avuto la possibilità di esaminare e mettere in quarantena chiunque a propria discrezione. Oltre alle principali città di Hubei, dozzine di altre città in tutta la Cina, tra cui Pechino, Guangzhou, Nanchino e Shanghai, hanno indetto blocchi di varia entità sui movimenti di persone e merci in entrata e in uscita dai loro confini.
In risposta all'appello alla mobilitazione da parte dello stato centrale, alcune località hanno preso le loro strane e severe iniziative. Le più spaventose si sono registrate in quattro città della provincia di Zhejiang, dove sono stati rilasciati passaporti locali a trenta milioni di persone, permettendo a un solo individuo per famiglia di uscire di casa una volta ogni due giorni. Città come Shenzhen e Chengdu hanno ordinato la chiusura di ogni quartiere e disposto che interi condomini fossero soggetti alla quarantena per 14 giorni se si fosse individuato al loro interno un singolo caso confermato del virus. Nel frattempo, centinaia di persone sono state arrestate o multate per avere "diffuso voci infondate" sulla malattia, e alcuni di coloro che sono fuggiti dalla quarantena sono stati arrestati e condannati a un lungo periodo di prigione – e le carceri stesse stanno vivendo un grave focolaio, a causa dell'incapacità dei funzionari di isolare le persone malate anche in un ambiente che è stato progettato per un facile isolamento. Questo tipo di misure disperate e aggressive rispecchia le misure prese in casi estremi di contro-insurrezione, richiamando chiaramente le azioni dell'occupazione militare-coloniale in luoghi come l'Algeria o, più recentemente, la Palestina. Mai prima d'ora erano state prese su questa scala, né in megalopoli di questo tipo, che ospitano gran parte della popolazione mondiale. La condotta attuata con queste misure repressive offre quindi una strana sorta di lezione per coloro che hanno in mente la rivoluzione mondiale, dal momento che si tratta essenzialmente di una prova per le reazioni che in una tale circostanza lo stato metterebbe in atto.
L'immagine di un checkpoint di quarantena locale che stava girando sui social media cinesi
Incapacità
Questa particolare repressione beneficia del suo apparente carattere umanitario, con lo stato cinese in grado di mobilitare una grande quantità di gente del posto nell’aiuto a quella che è, essenzialmente, la nobile causa di frenare la diffusione del virus. Ma, come c’è da aspettarsi, questo tipo di repressione può ritorcersi contro i suoi fautori. La controinsurrezione è, dopotutto, una sorta di guerra disperata portata avanti solo quando più solide forme di conquista, la pace sociale e l'integrazione economica sono diventate impossibili. È un’azione costosa, inefficiente e retrograda, che svela la più profonda incapacità di qualsivoglia potere sia incaricato di dispiegarla – siano essi gli interessi coloniali francesi, il decadente impero americano, o altri poteri. Il risultato della repressione è quasi sempre una seconda insurrezione, ferita dal contraccolpo della prima e fattasi ancora più disperata. Qui, la quarantena difficilmente potrà mostrarsi per quello che realmente è: guerra civile e controinsurrezione. Ad ogni modo, la repressione si è, a modo suo, ritorta contro sé stessa. Con gran parte dello sforzo dello stato concentrato sul controllo delle informazioni e sulla incessante propaganda dispiegata attraverso ogni possibile apparato mediatico, le turbolenze si sono espresse in gran parte all'interno di quelle stesse piattaforme.
La morte del Dr. Li Wenliang, uno dei primi che ha denunciato i pericoli del virus, il 7 febbraio scosse i cittadini rinchiusi nelle loro case in tutto il paese. Li era uno degli otto medici vittime della retata della polizia per aver diffuso "informazioni false" all'inizio di gennaio, prima di contrarre lui stesso il virus. La sua morte ha scatenato la rabbia degli internauti e una dichiarazione di rammaricoda parte del governo di Wuhan. La gente sta iniziando a percepire che lo stato è composto da funzionari e burocrati maldestri, che non hanno idea di cosa fare ma che conservano ancora la faccia tosta per farlo. [xvi] Questo fatto è stato inequivocabilmente dimostrato quando il sindaco di Wuhan, Zhou Xianwang, è stato costretto ad ammettere alla televisione di stato che il suo governo aveva ritardato il rilascio di informazioni critiche sul virus dopo che si era verificato un focolaio. La stessa tensione causata dall'epidemia, unita a quella indotta dalla mobilitazione totale dello stato, ha iniziato a rivelare alla popolazione le profonde fessure che si celano dietro l’autoritratto che il governo dipinge di sè. In altre parole, in circostanze come queste, le incapacità strutturali dello stato cinese sono state rese evidenti a un numero crescente di persone che in precedenza avrebbero preso la propaganda del governo per oro colato.
Il video qui sopra, girato da un abitante di Wuhan e condiviso con Internet occidentale via Twitter a Hong Kong, è il simbolo adatto ad esprimere il carattere fondamentale delle misure prese dallo stato. [xvii] Le riprese mostrano, in sostanza, un certo numero di persone – che sembrano essere dottori o soccorritori – mentre, indossando l’equipaggiamento protettivo completo, si scattano una foto con la bandiera cinese. La persona che gira il video spiega che costoro frequentano la zona esterna a quell’edificio ogni giorno per varie operazioni fotografiche. Il video segue poi gli uomini che si tolgono l'equipaggiamento protettivo e si fermano a chiacchierare e fumare, e addirittura usano una delle tute per pulire l'auto. Prima di andarsene, uno degli uomini getta senza tante cerimonie la tuta protettiva in un vicino bidone della spazzatura, senza nemmeno preoccuparsi di infilarlo fino in fondo per non farlo vedere. Video come questo si sono diffusi rapidamente prima di essere censurati: piccoli colpi di scena nella rappresentazione esibita dallo stato.
A un livello più fondamentale, la quarantena ha anche iniziato a mostrare le prime ripercussioni economiche nella vita privata delle persone. L'aspetto macroeconomico di questo processo è stato ampiamente reso noto, con una forte riduzione della crescita cinese che rischia di causare una nuova recessione globale, specialmente se abbinata alla continua stagnazione in Europa e al recente calo di uno dei principali indici di salute economica degli Stati Uniti che mostra l’improvviso declino delle attività commerciali. In tutto il mondo, le aziende cinesi e quelle strutturalmente dipendenti dalle reti di produzione cinesi stanno ora prendendo in considerazione le loro clausole di "forza maggiore", che consentono di ritardare o annullare le responsabilità di entrambe le parti coinvolte in un contratto commerciale quando tale contratto diventa "impossibile" da eseguire. Sebbene al momento sia improbabile, la semplice possibilità che questo accada ha causato una cascata di richieste di ripristino della produzione in tutto il paese. L'attività economica, tuttavia, si è rimessa in moto in maniera frammentaria: tutto ha ripreso a funzionare senza intoppi in alcune aree, mentre è ancora indefinitamente sospeso in altre. Stando alle ultime disposizioni promulgate dalle autorità centrali, il 1° marzo è la data entro la quale tutte le aree esterne all'epicentro dell'epidemia dovrebbero tornare al lavoro.
Altri effetti sono stati meno visibili, anche se, probabilmente, sono molto più importanti. Molti lavoratori immigrati, compresi quelli che erano rimasti nelle loro città di lavoro per la Festa di Primavera o che avevano intenzione di rientrare prima della messa in atto dei vari blocchi, ora sono costretti a restare in un pericoloso limbo. A Shenzhen, dove la stragrande maggioranza della popolazione è immigrata, la gente del posto riferisce che il numero dei senzatetto ha iniziato a salire. Ma le nuove persone che compaiono per le strade non sono senzatetto a lungo termine: la percezione è quella che siano state letteralmente scaricate lì e che non abbiano nessun altro posto dove andare. Indossano ancora abiti relativamente buoni, ma non sanno dove dormire all'aria aperta o dove trovare del cibo. Vari edifici della città hanno visto un aumento dei piccoli furti, principalmente di cibo (quello consegnato e depositato di fronte alla porta di casa dei residenti in quarantena). A livello generale, dal momento che la produzione è ferma, i lavoratori stanno perdendo i loro salari. Nel caso delle interruzioni del lavoro, gli scenari migliori che si prospettano sono i dormitori-quarantene come quello imposto nello stabilimento Foxconn di Shenzhen, dove i nuovi “rientrati” sono confinati nei loro alloggi per una settimana o due, venendo pagati un terzo del loro normale salario e sono in seguito autorizzati a tornare sulla loro postazione di lavoro. Le imprese più piccole non hanno tale possibilità e persino il tentativo del governo di dare loro piccoli crediti probabilmente a basso costo, a lungo andare non servirà a gran che. In alcuni casi sembra che il virus stia semplicemente accelerando la tendenza preesistente a delocalizzare le fabbriche, tant’è vero che aziende come Foxconn stanno espandendo la loro produzione in Vietnam, India e Messico per compensare l’attuale rallentamento produttivo.
La guerra surreale
Nel frattempo, la maldestra risposta precoce al virus, la scelta dello stato di affidarsi a misure particolarmente punitive e repressive per controllarlo e l'incapacità del governo centrale di coordinarsi in modo efficace con i territori decentrati per il mantenimento di un equilibrio tra produzione e quarantena, sono altrettanti indicatori della radicale incapacità della macchina statale. Se, come sostiene il nostro amico Lao Xie, l'enfasi dell'amministrazione Xi è stata sulla "costruzione dello stato", sembra che resti ancora molto da fare al riguardo. Allo stesso tempo, se la campagna contro COVID-19 può anche essere letta come una battaglia corpo-a-corpo contro l'insurrezione, va notato che il governo centrale ha dimostrato di essere capace di fornire un coordinamento efficace solo nell'epicentro dello Hubei, mentre i provvedimenti presi per altre province – anche in località ricche e rinomate come Hangzhou – rimangono in gran parte scoordinati e inefficaci. Possiamo interpretare tutto ciò in due modi: in primo luogo, come lezione sulla debolezza nascosta sotto all’apparente solidità del potere statale; in secondo luogo, come una messa in guardia dalla minaccia rappresentata dai provvedimenti delle autorità locali. Infatti, quando il meccanismo dello stato centrale è sopraffatto, il mancato coordinamento può portare a risposte scoordinate e irrazionali.
Queste sono lezioni importanti per un'epoca in cui la distruzione provocata dall'accumulazione incessante [di capitale] ha esteso i propri tentacoli sia verso l'alto, nell’atmosfera, sia verso il basso, nel substrato microbiologico della vita sulla terra. Tali crisi diventeranno sempre più comuni. Man mano che la secolare crisi del capitalismo va assumendo un carattere apparentemente non economico, nuove epidemie, carestie, inondazioni e altri disastri "naturali" verranno usati per giustificare l'estensione del controllo statale. E tale risposta alla crisi da parte degli stati rappresenterà una grandiosa opportunità per sperimentare modalità nuove, ancora non testate, di controinsurrezione. Una politica comunista coerente deve cogliere entrambi questi fatti insieme. A livello teorico, questo significa comprendere che la critica del capitalismo si impoverisce ogni volta che viene separata dalle cosiddette scienze dure. A livello pratico, questo significa che l'unico possibile progetto politico è quello capace di orientarsi su un terreno caratterizzato dalla diffusione del disastro ecologico e microbiologico, e capace di agire in questo perpetuo stato di crisi e di isolamento sociale.
Nella Cina in quarantena iniziamo a intravvedere, abbozzato, un simile scenario: le strade vuote di fine inverno spolverate di neve non calpestata, le facce illuminate dal telefono che scrutano fuori dalle finestre, casuali barricate con un piccolo numero di infermiere al lavoro o di poliziotti o di volontari o semplicemente di attori, pagati per issare bandiere e dirti di indossare la mascherina e tornare a casa. Il contagio è sociale. Quindi, non dovrebbe sorprendere che l'unico modo per combatterlo in una fase così avanzata sia quello di scatenare una sorta di guerra surrealista contro la società stessa. Non riunitevi, non provocate il caos. Ma il caos si può provocare anche in una situazione di isolamento. Mentre i forni di tutte le fonderie si raffreddano cedendo il posto, prima, a braci leggermente scoppiettanti, poi, a ceneri fredde come la neve, non si può impedire a queste tante isolate disperazioni di uscire dalla quarantena per dare forma, insieme, ad un caos ancora più grande che potrebbe un giorno risultare difficile da contenere, come questo contagio sociale.
NOTE
[i] Gran parte di ciò che spiegheremo in questa sezione è semplicemente un riassunto conciso delle argomentazioni di Wallace, rivolte ad un pubblico più ampio, senza la necessità di "presentare il caso" ad altri biologi attraverso l'esposizione di argomentazioni rigorose e prove approfondite. Per coloro che vorrebbero contestare le prove di base, ci riferiamo in tutto il testo al lavoro di Wallace e dei suoi compatrioti.
[ii] Robert G Wallace, Big Farms Make Big Flu: Dispatches on Infectious Disease, Agribusiness, and the Nature of Science, Monthly Review Press, 2016. p. 52.
[iii] Ibid, p. 56.
[iv] Ibid, pp. 56-57.
[v] Ibid, p. 57.
[vi] Questo non vuol dire che il confronto degli Stati Uniti con la Cina di oggi non fornisca informazioni. Dal momento che gli Stati Uniti hanno un proprio enorme settore agroindustriale, esso stesso contribuisce in modo esorbitante alla produzione di nuovi virus pericolosi, per non parlare delle infezioni batteriche resistenti agli antibiotici.
[vii] Si veda: Brundage JF, Shanks GD, “What really happened during the 1918 influenza pandemic? The importance of bacterial secondary infections”. The Journal of Infectious Diseases. Vol. 196, No. 11, December 2007. pp. 1717–1718, author reply 1718–1719; Morens DM, Fauci AS, “The 1918 influenza pandemic: Insights for the 21st century”. The Journal of Infectious Diseases. Vol. 195, No. 7, April 2007. pp. 1018–1028.
[viii] Cfr. “Picking Quarrels” nel n° 2 della nostra rivista: http://chuangcn.org/journal/two/picking-quarrels/
[ix] A modo loro, queste due vie di produzione della pandemia rispecchiano ciò che Marx chiama sussunzione "reale" e "formale" nella sfera della produzione vera e propria. Nella sussunzione reale, il processo di produzione stesso viene modificato attraverso l'introduzione di nuove tecnologie in grado di intensificare il ritmo e l'entità della produzione, in modo simile a quello con cui l'ambiente industriale ha cambiato le condizioni di base dell'evoluzione virale così che le nuove mutazioni sono prodotte ad un ritmo accelerato e con maggiore aggressività. Nella sussunzione formale, che precede la sussunzione reale, queste nuove tecnologie non sono ancora implementate. Le forme di produzione preesistenti vengono semplicemente riunite in nuove sedi che hanno rapporti con il mercato globale, come nel caso degli operai tessili che lavorano con il telaio a mano, collocati in una fabbrica che vende i prodotti del loro lavoro per fare profitti. Questo processo è simile al modo in cui i virus prodotti in contesti "naturali" vengono spostati dalle popolazioni animali selvatiche e introdotti nelle popolazioni animali domestiche attraverso il mercato globale.
[x] Tuttavia è un errore equiparare questi ecosistemi a quelli "pre-umani". La Cina ne è un esempio perfetto, dal momento che molti dei suoi paesaggi naturali apparentemente "incontaminati" erano, in effetti, il prodotto di periodi molto più antichi di espansione umana che spazzarono via specie precedentemente diffuse nell'est asiatico continentale, come gli elefanti.
[xi] Nel linguaggio tecnico questo è un termine generico per 5 o più virus distinti, il più micidiale dei quali è a sua volta semplicemente chiamato virus Ebola (precedentemente virus Zaire).
[xii] Per il caso specifico dell’Africa occidentale, cfr.: RG Wallace, R Kock, L Bergmann, M Gilbert, L Hogerwerf, C Pittiglio, Mattioli R and R Wallace, “Did Neoliberalizing West African Forests Produce a New Niche for Ebola,” International Journal of Health Services, Vol. 46, No. 1, 2016; per una visione più ampia della connessione tra le condizioni economiche e il virus Ebola in quanto tale, cfr. Robert G Wallace and Rodrick Wallace (Eds), Neoliberal Ebola: Modelling Disease Emergence from Finance to Forest and Farm, Springer, 2016; per dichiarazioni più schiette e meno accademiche, cfr. l'articolo di Wallace, al link sopra: “Neoliberal Ebola: the Agroeconomic Origins of the Ebola Outbreak,” Counterpunch, 29 July 2015.
[xiii] Cfr. Megan Ybarra, Green Wars: Conservation and Decolonization in the Maya Forest, University of California Press, 2017.
[xiv] È certamente errato affermare che tutto il bracconaggio sia condotto dalla popolazione povera rurale locale o che tutte le guardie forestali nelle foreste nazionali dei diversi paesi operino allo stesso modo degli ex paramilitari anticomunisti, ma gli scontri più violenti e i casi più aggressivi di militarizzazione delle foreste sembrano essenzialmente seguire questo schema. Per una panoramica ad ampio raggio del fenomeno, cfr. Il numero speciale di Geoforum (69/2016) dedicato all'argomento. La prefazione può essere trovata qui: Alice B. Kelly and Megan Ybarra, “Introduction to themed issue: ‘Green security in protected areas’”, Geoforum, Vol. 69, 2016. pp.171-175.
http://gawsmith.ucdavis.edu/uploads/2/0/1/6/20161677/kelly_ybarra_2016_green_security_and_pas.pdf>
[xv] Di gran lunga la meno pericolosa di tutte le malattie menzionate qui, l’alto bilancio delle vittime da essa causato è stato in gran parte il risultato della sua rapida diffusione a un gran numero di ospiti umani. In termini assoluti ha provocato un elevato numero di morti ma in termini relativi risulta fatale solo in pochi casi.
[xvi] In un'intervista podcast, Au Loong Yu, riportando i pareri di amici che vivono nell’area continentale, afferma che il governo di Wuhan è effettivamente paralizzato dall'epidemia. Au suggerisce che la crisi non stia solo lacerando il tessuto sociale, ma anche la macchina burocratica del PCC, e questo processo si intensificherà quando il virus si diffonderà a tal punto da mettere in crisi le autorità governative locali di tutto il paese. L'intervista è di Daniel Denvir di The Dig, pubblicata il 7 febbraio: https://www.thedigradio.com/podcast/hong-kong-with-au-loong-yu/
[xvii] Il video è autentico, ma bisogna notare che Hong Kong è stata un focolaio particolare di atteggiamenti razzisti e di teorie cospirative dirette contro gli abitanti della Cina continentale e contro il PCC, per cui ciò che viene condiviso sul virus sui social media da parte della gente di Hong Kong dovrebbe essere attentamente controllato.
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