sabato 14 marzo 2020

pc 14 marzo - Coronavirus in Tunisia: emerge una risposta popolare all’insufficienza dei decreti del governo Fakhfakh

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Anche nel piccolo paese nord africano sono stati rilevati i primi casi di contagio e ieri si è ammessa l’esistenza di un focolaio tunisino.
Il primissimo caso era stato rilevato nella città centro-occidentale di Gafsa (a sud-est di Kasserine), un tunisino proveniente dall’Italia, i successivi 4 casi erano stati segnalati invece nei governatorati settentrionali di Bizerte, Grande Tunisi e Mahdia. Oggi sono stati annunciati 15 casi di contagio in totale, ma è probabile che i casi reali siano superiori considerati gli scarsi mezzi del paese nella rilevazione.
Il capo del governo neo-eletto in carica dal 27 febbraio, ieri sera ha annunciato nuove misure
straordinarie, intanto fino a oggi si è proceduti lentamente nella formulazione e attuazione di misure di prevenzione del diffondersi dell’epidemia in Tunisia.
C’è da tenere in considerazione che la Tunisia è un piccolo paese di 11.800.000 di abitanti (poco più della regione Lombardia in Italia) di cui oltre il 65% vive nelle regioni costiere (di cui il 75% in aree urbane) e in particolare nella zona tra Grande Tunisi con quasi 2 milioni e mezzo di abitanti, e Susa, 270.000 abitanti (in un raggio di 160 km) e, proseguendo lungo il litorale in direzione meridionale, a Sfax (la seconda città più popolosa del paese) con 350.000 abitanti e infine Gabès (170.000 abitanti).
L’alta densità della popolazione nelle principali città nonché tale alto tasso di urbanizzazione della popolazione tunisina accentua il rischio contagio. Ciò spiega perché gli ultimi 10 casi di contagio accertati ieri, siano stati registrati tutti nell’area di Grande Tunisi.
Dal primo marzo e fino a pochi giorni fa si effettuavano controlli blandi alle frontiere, con misurazione della temperatura e si raccomandava una quarantena volontaria, senza quindi garanzia di verifica che essa fosse messa in pratica.
Mentre ancora si aspettava l’insediamento ufficiale del governo, il Ministero della Salute aveva richiesto un finanziamento di 16 milioni di dinari tunisini (poco più di 5 milioni di euro) per l’acquisto di materiali negli ospedali (come le mascherine) nonché per rafforzare l’organico del personale medico, ma il Ministero delle Finanze aveva risposto che solo 4 milioni di dt sarebbero stati concessi per il momento (da notare che il paese sta ricevendo quasi 3 miliardi di dollari di finanziamenti dal FMI che evidentemente non possono essere spesi per le necessità dello stato sociale e della salute dei cittadini…). Una cifra quindi totalmente insufficiente, a fronte di un sistema nazionale pubblico totalmente inadeguato a fronteggiare un eventuale epidemia con un solo ospedale in tutto il paese, l’Ospedale Charles Nicole di Tunisi, considerato dall’OMS l’unico ospedale adeguato e che raggiunga gli standard per poter effettuare terapie intensive; inoltre un portavoce di categoria, a fronte di un crescente numero di persone che si reca per eseguire il tampone in strutture private, ha dichiarato che neanche in una di essa è possibile farlo, confermando quanto detto dall’OMS.
A seguito del secondo decreto Conte, lo scorso 8 marzo, che dichiarava l’Italia tutta zona rossa, con l’interdizione di movimento all’esterno del proprio comune di residenza, il governo Fakhfekh il giorno dopo ha annunciato l’interruzione di tutti i collegamenti marittimi con l’Italia e riducendo i collegamenti arerei a soli 3 aerei tra Tunisi e Roma un giorno la settimana, questa misura doveva essere in vigore fino al 3 aprile.
Ricordiamo che invece le misure da parte italiana rimangono in vigore fino al 4 aprile.
È quindi evidente che le misure drastiche del governo tunisino di interrompere i collegamenti con il primo partner commerciale e tra i principali investitori, siano solo un riflesso tardivo, una presa d’atto delle misure prese dal governo italiano, una delle potenze imperialiste più influenti nel paese insieme alla Francia. Parallelamente infatti sono avvenuti incontri tra il ministro degli esteri tunisini e l’ambasciatore italiano, francese e anche cinese (quest’ultimo ha annunciato che il suo paese invierà degli aiuti come già fatto per l’Italia).
A riprova di ciò fino a ieri i collegamenti aerei con la Francia, altro paese in cui i casi di contagio stanno aumentando, e altro paese in cui risiedono molti tunisini, molti di più che in Italia, sono stati solo limitati i collegamenti marittimi con Marsiglia ad una nave settimanale.
Un’altra misura blanda è stata quella di anticipare di 3 giorni le vacanze primaverili universitarie (lo scorso 11 marzo) dalla durata di 15 giorni anche se sono state estese a tutte le scuole di ordine e grado (quest’ultime hanno la stesse durata di vacanze ma con uno scarto di qualche settimana), non è escluso che il 30 marzo siano estese ulteriormente se la situazione sanitaria dovesse peggiorare in Italia, Francia e anche nella vicina Algeria in cui ultimamente sono stati registrati nuovi casi proprio al confine con la Tunisia.
Tutte le manifestazioni culturali, quali i festival primaverili in giro per il paese, promosse dal Ministero della Cultura sono state annullate, chiuso il grande complesso de La Città della Cultura nella capitale così come i cinema e i teatri.
Ad oggi i governatorati potenzialmente più a rischio di scoppio di un’epidemia sono proprio i 3 governatorati settentrionali ricordati precedentemente, Tunisi per ovvie ragioni è, come Milano in Italia, la regione che ha più intensi contatti con l’esterno in generale e in particolare con Italia e Francia, ma anche Mahdia da ormai 50 anni ha stretti legami con la Sicilia in cui sono emigrati migliaia di abitanti di questa regione notoriamente verso Mazara del Vallo, il trapanese ma anche a Palermo; data quindi la vicinanza e una fitta migrazione stagionale di familiari, questi tunisini che potrebbero essere stati contagiati in Italia, tornando in Tunisia potrebbero diffondere il contagio nel proprio paese d’origine.
Infine ieri sera vi era attesa per la conferenza stampa dal primo ministro Fakhfakh in cui avrebbe annunciato nuove misure straordinarie in vigore a partire da oggi e fino al 4 aprile che sono:
*La chiusura di tutte le frontiere marittime (anche il collegamento settimanale con Marsiglia è stato soppresso).
* La chiusura delle frontiere aeree con l’Italia (anche i 3 voli settimanali per Roma soppressi).
*Il mantenimento di un solo volo quotidiano tra la Tunisia e la Francia.
* Il mantenimento di un solo volo settimanale verso l’Egitto, la Spagna, il Regno Unito e la Germania.
* La sensibilizzazione di tutti i viaggiatori tunisini e stranieri al rispetto dell’autoisolamento al loro arrivo in Tunisia. (niente di nuovo)
*L’annullamento di tutte le manifestazioni culturali (provvedimento già preso pochi giorni prima dal ministero competente)
* La chiusura di tutti i caffè (in cui è vietato fumare la chicha, o narghilè, pena un’ammenda di 300dt), ristoranti, bar e discoteche a partire dalle 16. (misura blanda)
* La sospensione delle preghiere collettive compresa quella del venerdì (una semi-chiusura delle moschee).
* Partite sportive a porte chiuse.
* Chiusure di tutte le scuole di ogni ordine e grado, pubbliche e private comprese quelle straniere fino al 28 marzo.
Nel consiglio dei ministri di ieri vi sono stati dei piccoli scontri su alcune di queste misure, in particolare tra il ministro della salute e quello dei trasporti (entrambi dello stesso partito, Ennahdha) in cui il primo aveva chiesto di chiudere totalmente anche le frontiere aeree con la Francia.
Inoltre il direttore generale della salute, appartenente al ministero della salute, aveva chiesto anche la chiusura totale di caffè, bar e ristoranti nonché delle moschee.
Il primo ministro ha dichiarato pomposamente che si è passati prematuramente dalla fase due alla fase tre per guadagnare tempo e agire sulla prevenzione. Al di là dei toni trionfalistici è evidente che si tratta di un lieve approfondimento/estensione delle misure già prese, alcune rimaste identiche, circa le nuove decisioni riguardanti i luoghi pubblici come settore della ristorazione e luoghi di culto sono abbozzate timidamente.
Inoltre non si è fatta parola delle frontiere terrestri tra Algeria e Libia che presumibilmente resteranno aperte e, cosa più importante, non una parola circa i luoghi di lavoro come fabbriche e settore agricolo in cui i lavoratori già si trovano in condizioni precarie di salute e sicurezza. In realtà Fakhfakh come il suo omologo italiano Conte, tra le righe ha elogiato lo sforzo dei lavoratori, facendo intendere che la produzione debba andare avanti e che la salute nonchè i diritti di operai e contadini non sono contemplati dalle misure del governo.
Non un accenno inoltre a quanto richiesto dai sindacati di base del settore della sanità che ormai da settimane stanno rivendicando assunzioni nel settore sanitario pubblico e massicci investimenti finanziari pubblici ritenendo totalmente insufficienti i 4 milioni di dt già accordati nonchè la linea generale del governo tunisino.
Date le condizioni specifiche del paese oltre alla chiusura delle frontiere sarebbero necessari ben altri provvedimenti come evidenziato da un Comitato Popolare di recente formazione comprendente, medici, scienziati, giornalisti e accademici, sorto proprio come risposta proletaria e popolare alla gestione della crisi da parte della borghesia burocratica tunisina . In un comunicato pubblicato ieri sintetizzano e annunciano la loro azione e contributo,  nei giorni a venire in 3 punti:
1) livello di prevenzione e di conoscenza: tramite un’informazione popolare circa la prevenzione, la natura scientifica del fenomeno e la sua comprensione tra i vasti settori delle masse popolari.
2) livello di solidarietà sociale: denunciando le condizioni della sanità e contemporaneamente supportando attivamente i settori poveri delle masse con assistenza sanitaria e fornitura di materiale medico.
3) livello economico e politico: oltre ai finanziamenti richiesti, richiesta anche di una tassazione straordinaria per gli investitori nel settore della sanità, in particolare alle case farmaceutiche, finanziamento ai piccoli contadini e produttori per garantire i beni di prima necessità sul mercato locale.
A tutto cio’ i firmatari aggiungono che va contrastato l’emergere di attitudini razziste correlate al fenomeno (in particolare verso cinesi e soprattutto italiani n.d.a.).
Come dimostra questa iniziativa e tutto l’andazzo della vicenda in Tunisia e nel mondo, anche l’attuale pandemia è terreno di lotta di classe.

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