Non più solo costretti a lavorare ogni giorno per pochi spiccioli, a dormire in baracche fatiscenti, a sottostare ai ricatti dei caporali e persino a fumare oppio per sopportare la fatica. I braccianti agricoli nell'agro pontino sono finiti anche a rompersi la schiena nella raccolta degli ortaggi sotto la minaccia di un fucile.

E se non facevano abbastanza in fretta o provavano a scappare perché stremati il "padrone" iniziava a sparare. Terracina come gli Stati americani del Sud nel Settecento. Una storia tremenda quella appena emersa dalle indagini del locale commissariato, culminate ieri sera con l'arresto di un imprenditore agricolo, Alessandro Gargiulo, 35 anni, accusato di sfruttamento del lavoro, minaccia aggravata con l’utilizzo di un fucile a pompa, lesioni personali, detenzione abusiva di munizionamento e omessa denuncia di materie esplodenti.

Titolare di un'azienda, giovane e feroce secondo gli investigatori, l'indagato avrebbe costretto braccianti agricoli di nazionalità indiana a lavorare in condizioni disumane, aiutato da alcuni caporali impegnati nella sorveglianza nei campi. Un'indagine partita dopo le segnalazioni di cinque lavoratori indiani, che insieme ad altri sarebbero stati minacciati dal datore di lavoro, con tanto di colpi di fucile sparati verso di loro "per spronarli ad accelerare la raccolta e la lavorazione dei prodotti".

Alcuni avevano deciso anche di mollare, mandando il 35enne su tutte le furie. E all'ennesima defezione, giovedì sera, Gargiulo si sarebbe presentato presso l’alloggio dei braccianti, iniziando a sparare senza fortunatamente colpire nessuno, ma puntando anche a tutti l'arma alla gola. Infine il blitz della Polizia, l'arresto e la denuncia  a piede libero di alcuni amici del 35enne che l'avevano aiutato a nascondere il fucile.