sabato 14 agosto 2010

pc quotidiano 13-21 agosto - Al Porto di Ravenna la Cmc nasconde una bomba per non perdere i profitti dell'appalto



A Ravenna, la città della strage della Mecnavi, di Luca Vertullo, la vita e la sicurezza dei lavoratori, di tutta la cittadinanza, è stata messa ancora una volta a rischio dalla logica del profitto.
La CMC è al centro dell'inchiesta della Procura.
La Rete per la sicurezza sul lavoro chiede il massimo della pena per i responsabili e fa appello alle forze politiche, sindacali, sociali della città per una mobilitazione davanti alla sede della cooperativa, per tenere alta l'attenzione sulla vicenda.
La Rete per la sicurezza sul lavoro ha tenuto un convegno nazionale proprio a Ravenna il giorno dell'anniversario della strage della Mecnavi, il 13 marzo, non per ripetere frasi di circostanza sulla sicurezza dei lavoratori, ma per denunciare le responsabilità di chi ancora oggi, al Porto in particolare, mette a rischio la vita degli operai per massimizzare i propri profitti. La lotta per la giustizia e le responsabilità per la morte di Luca Vertullo ha messo in evidenza proprio questo e l'inchiesta in corso sull'occultamento dell'ordigno bellico aggiunge un'altra pagina vergognosa al sistema di appalti che fa arricchire imprese e terminalisti sulla pelle dei lavoratori e dei cittadini.
Stupisce e indigna il silenzio da parte del Sindaco e dei sindacati confederali sulla vicenda. Gli unici a prendere posizione sono stati la Federazione della Sinistra ecologia e libertà e Marco Ferrari.
L'inchiesta: nove persone sono indagate per non aver immediatamente avvisato le autorità del ritrovamento di un ordigno bellico di 700 chilogrammi durante i lavori di escavo dei fondali del porto.
Si tratta di quattro fra tecnici e manager di Cmc (società appaltatrice), un manager dell’Autorità portuale (società committente), un Pilota del Porto e tre fra tecnici e manager (un italiano e due belgi) della Deme Dredging International, la holding belga proprietaria della draga Artevelde, con cui la Cmc ha stretto una partnership finalizzata proprio ai lavori di dragaggio. I nove sono accusati di aver messo a repentaglio la sicurezza della navigazione, perché avrebbero dovuto lanciare subito l'allarme e non l'hanno fatto perché rallentare i lavori significava levitare i costi, soprattutto di noleggio dell'enorme draga. L'hanno invece trasportata e "affossata" nella piallassa Piomboni per allontanarla dai traffici marittimi, in attesa del ritrovamento "ufficiale", mettendo a rischio innanzi tutto la vita dei lavoratori impiegati nell'occultamento.
I reati ipotizzati dalla Procura sono gravissimi: attentato alla sicurezza dei trasporti (pena da uno a cinque anni), rimozione dolosa dei presidi antinfortunistici (pena da sei mesi a cinque anni), detenzione (pena da uno a otto anni) e porto di materiale esplodente (pena da due a dieci anni).
L’inchiesta è partita da una telefonata intercettata dalla Guardia di Finanza di Bari intercorsa fra la fine di giugno e i primi di luglio fra due tecnici o dirigenti della Cmc, la cooperativa ravennate che da tempo si è aggiudicata l’appalto indetto da parte dell’Autorità portuale, dei lavori di dragaggio dei fondali del porto canale e della piallassa dei Piomboni.

Rete per la sicurezza sul lavoro-Ravenna
tel. 339/8911853
e mail: cobasravenna@libero.it
e mail nazionale: bastamortesullavoro@domeus.it


venerdì 13 agosto 2010

pc quotidiano 13-21 agosto - Colpire gli invasori imperialisti è legittimo! Nessun processo, Omar Khadr dev'essere liberato subito!



Il "processo" della corte militare Usa nei confronti del cittadino canadese Omar Khadr è un'altro
esempio di come la politica del presidente Usa Obama sia la continuità di quella di Bush nell'epoca della crisi dell'imperialismo Usa.
Era stato eletto anche per chiudere il lager di Guantanamo e, con esso, la "guerra al terrorismo"
contro gli oppressi del mondo. Barak Obama ha avuto anche il premio Nobel per la pace ma sappiamo che non della sostanza si trattava ma del suo modo di comunicare, con quella retorica populista fatta di annunci mai realizzati che a casa nostra piace tanto a Vendola e all'ex sinistra di Palazzo.
Guantanamo illegittima è ancora lì e oggi una commissione militare, istituita ai tempi di Bush, si
arroga il diritto di processare uno dei "prigionieri" che in quel lager ha passato 7 anni di torture, di "trattamento crudele, inumano e degradante", per usare le parole del suo avvocato militare d'ufficio.
I militari Usa lo avevano catturato in Afghanistan quando aveva solo 15 anni perchè lanciò una granata che uccise un ufficiale statunitense delle truppe d'occupazione e provocò il ferimento di altri due soldati, ma in quell'azione perse un occhio e fu colpito alla schiena da due proiettili.
Gli strapparono la confessione con la tortura: lo hanno appeso a testa in giù, gli hanno urinato addosso, lo hanno minacciato di stupro collettivo e di morte. E adesso rischia l'ergastolo da parte di una commissione militare creata in violazione delle stesse leggi imperialiste, un orribile mostro giuridico inventato dal boia Cheney.
Resistere all'invasione di truppe militari che occupano un'altro Stato è un dovere morale e politico di ogni popolo. Colpire, armi in pugno, i militari al servizio di una guerra mai dichiarata al servizio degli stati imperialisti è un dovere di chiunque ed è legittimo. Omar Khadr è uno dei figli di uno dei tanti popoli che non svende la sua libertà, dignità e la propria terra agli invasori imperialisti o alla borghesia del suo paese comprata dalle potenze imperialiste. E per questo combatte.
Sono piene le carceri israeliane di combattenti palestinesi come lui, come moltissimi "diavoletti rossi" sono in prima linea nella guerra popolare dei maoisti nepalesi e prima di loro i guerriglieri vietnamiti e, ancora prima, i giovanissimi partigiani italiani.
E' la "guerra al terrorismo" di Usa e degli altri stati imperialisti e tutti i suoi strumenti che sono
illegittimi, senza fondamento alcuno, nè etico, nè giuridico.
Omar ha rifiutato il patteggiamento della pena, ha voluto che questo processo si celebri perché "io ho l'obbligo di mostrare al mondo ciò che succede quaggiù. Sembra che quanto fatto finora non sia bastato, ma forse funzionerà se il mondo vedrà gli Usa condannare un bambino al carcere a vita. E se nessuno dovesse accorgersi di nulla, in quale mondo verrei rimesso in libertà? In un mondo fatto di odio e di discriminazione".
Gli imperialisti celebrano come "eroi" solo il proprio branco di mercenari torturatori e stupratori mentre temono la forza dei popoli che può assumere il volto di un adolescente.

prolcomra
13/08/2010

speciale fiat 8 - secondo articolo - la fiat, il ricorso e i suoi amici

L'annuncio del ricorso della Fiat contro la sentenza del Giudice del lavoro di Melfi non ha sorpreso gli operai licenziati: “Io – dichiara Barozzino – me lo aspettavo... resto comunque sereno”. L'attesa ora è per il rientro del 23 agosto. Barozzino ribadisce comunque l'importanza della lotta: “... sui giornali soprattutto nei primi giorni leggevo tante cose, ma nessuno riusciva a raccontare la solidarietà sincera e libera dei lavoratori della Sata di Melfi. Sono ricordi che non si potranno mai cancellare”. Questa è la forza degli operai. E non sarà certo il nuovo ricorso, la denuncia penale che potrà intaccarla; meno che mai i microbi parassiti dei sindacati Fiat che a quanto pare hanno spinto la stessa Fiat a presentare ricorso.
Di Maulo della Fismic dichiara: “E' importante capire le motivazioni, non vorremmo che il giudice ha stabilito che i sindacalisti possono fare tutto ciò che vogliono in fabbrica. In tal caso ci sarebbe da preoccuparsi”.
Ancora più rabbioso appare il microbo più grosso, Palombella della Uilm: “Basta giudici e Tribunali. Non si può esultare per una sentenza e considerarla una grande vittoria”.

La Fiat chiama a raccolta nuovi avvocati e mobilita il giornale dei padroni che annuncia un Marchionne che vuole procedere a “tappe forzate con una riorganizzazione lampo che imponga un cambio di passo al sindacato” (Sole 24 Ore del 12 agosto).
Non si può quindi pensare che la Fiat possa accettare questa sentenza che sancirebbe la sua sconfitta, dopo quella del referendum di Pomigliano. E come al No operaio ha risposto col piano Newco, nel tentativo di poter fare una epurazione di massa, analoga risposta è da attendersi sul fronte dei licenziamenti. E affida alle parole alate di un servo del padrone, il docente del diritto del lavoro all'università Bocconi, Maurizio Del Conte, l'arma della critica.
Costui sostiene subito che la sentenza è la scelta peggiore, in particolare essersi riferiti all'art. 28 dello Statuto dei Lavoratori significa aver legittimato: “... comportamenti che blocchino l'attività produttiva... con il rischio che qualcuno si convinca di aver ottenuto il via libera per il sabotaggio in azienda... E' un rischio ritrovarsi con un giudice che fissa il livello di civiltà delle regole e delle relazioni sindacali... non ci sono le condizioni di base né sociali né ideologiche per tornare ad un clima da anni '70, c'è molta più collaborazione tra capitale e lavoro. Allora lo Statuto dei Lavoratori era un insieme di norme senza contenuti concreti, mancavano le sentenze...”; – finchè lo Statuto dei Lavoratori era una cornice vuota per fermare con affermazioni generali l'ondata di lotte operaie degli anni '70, esso era voluto e condiviso dai padroni; ma se oggi il suo uso in una fase diversa può mettere in discussione, anche attraverso le sentenze, la dittatura padronale, allora il nostro esimio professore non ci sta - “ora sarebbe assurdo – continua Del Conte - ridefinire il significato della lotta sindacale accettando anche azioni violente per bloccare l'attività produttiva...”.
Quindi, lo sciopero legittimo degli operai di Melfi è ormai definito dal professore per conto del padrone, “azione violenta”; e si può ben capire qual'è la strada che ha scelto la Fiat sul piano penale. Ed è bene che anche gli operai, le loro avanguardie, ne comprendano la natura.

In attesa di mettere in opera la criminalizzazione penale, però, anche Del Conte si concentra sull'aspetto giudiziario. Alla domanda del giornale: “Qualcuno potrà approfittare di questa sentenza?”, Del Conte risponde: ”La tentazione può essere forte. Anche se non credo che altri giudici seguano questa tendenza... la Fiom potrebbe avere la tentazione di cavalcare la vittoria ottenuta considerandola una 'causa pilota', ma rischierebbe di trasformare una battaglia vinta in una guerra persa. Sarebbe sempre più difficile indirizzare verso l'Italia gli investimenti delle aziende nazionali ed estere. Per questo credo che anche la Fiom farà prevalere il senso di responsabilità e non scatenerà la guerra”.
Insomma, il professore, intando la scatena lui la guerra, poi chiede all'avversario di stare fermo per farsi colpire.
Insomma, il professore, come altri professori prima di lui, come D'Antona, Biagi, attaccano la condizione operaia, scrivono leggi e provvedimenti che sono una vera violenza contro gli operai, chiamano, come fa quest'ultimo, “violenza” uno sciopero contro i turni e sono ben disposti a far perdere il lavoro, a rovinare la vita degli operai licenziati.

Noi ci auguriamo che la Fiom consideri questa una causa pilota e non faccia prevalere il senso di responsabilità”.

Ma c'è chi è già entrato in campo perchè avvenga esattamente quello che la Fiat vuole.
Ed è il segretario nazionale della Cgil, Epifani che interrompendo forse le sue vacanze – chi lo ha mai visto alla Fiat Sata mentre gli operai lottavano? - torna alla carica, rilanciando la linea di “cominciamo a ragionare insieme”, partendo dal mettere una pietra sopra proprio sull'accordo di Pomigliano:
“So bene che è stato firmato un accordo votato dai lavoratori, pure con un dissenso molto forte, ma c'è lo spazio per approfondire la riflessione anche con cisl e uil e riprendere in mano la situazione... possiamo valutare e discutere innanzitutto sui 18 turni settimanali, si renderebbe inutile tutta la normativa illegittima sullo sciopero... (si vogliono sostanzialmente blindare i 18 turni, affinchè questa blindatura abbia una funzione antisciopero – ndr)... quanto alla malattia, bisogna rendersi conto e trovare il modo di colpire i veri assenteisti, nel comune obiettivo di aumentare la produttività... ma anche qui allargando il discorso e facendo un passo in più...”.
Qui Epifani espone una proposta di cui non riportiamo alla lettera il testo che va incontro al disegno di vanificare il CCNL trasformandolo in una mera cornice generale, superando le differenze di categoria, appunto per renderlo solo una cornice generale, per dare libero spazio a quell'insieme di deroghe specifiche, chiamate da lui “riferimenti specifici per le diverse attività industriali”, e che convergono con il cosiddetto “contratto auto” che la Fiat vuole fare attraverso la Newco.
Poi Epifani si dà a consigli su come affrontare la sfida degli Usa: “... non basta insomma discutere dove produrre la Panda”, per fare di questo il quadro generale in cui inserire riorganizzazioni e deroghe.
Siamo ben dentro, quindi, un patto neo corporativo, sia pure senza le volgarità servili di cisl e uil.
Quindi da qui il ruolo che la Cgil vuole svolgere: “Siamo tutti interessati, Fiom, Fim, Uilm e Fiat a riorganizzare e rilanciare la produzione dell'auto in Italia e con essa i posti di lavoro”.

Ichino

Eccitato come non mai, Pietro Ichino con una lunga lettera continua la sua battaglia per trovare una Legge che risolva una volta per tutte le storie che nel gruppo Fiat stanno dando vita a questa acuta lotta di classe.
Ichino ricorda che giace in parlamento un testo unificato bi-partizan per la partecipazione dei lavoratori alle imprese e sollecita che a settembre si passi ad affrontarlo e approvarlo in parlamento.

E' inutile dilungarsi sull'elenco di tutte e 9 diverse forme possibili di partecipazione dei lavoratori all'impresa. Ciò che interessa Ichino è che venga sancito una volta per tutte che la democrazia sindacale consiste nel “consentire di derogare al CCNL in materia di organizzazione del lavoro, orario, struttura della retribuzione e che stabilisca che essa sia riservata alla coalizione sindacale rappresentativa della maggioranza dei lavoratori interessati”.
E perchè non ci siano equivoci per cosa si debba intendere per “coalizione rappresentativa”, si prende proprio a paragone la vicenda della Fiat di Pomigliano.
Sostiene Ichino che se la sua legge fosse stata in vigore non ci sarebbe bisogno della Newco perchè per legge quell'accordo sarebbe vincolante per tutti e in esso la minoranza, in questo caso la Cgil “potrebbe continuare a far parte del sistema di relazioni industriali a Pomigliano come sindacato minoritario, riconosciuto, rispettoso delle prerogative dei sindacati maggioritari e titolare di una sua rappresentanza aziendale con tutti i diritti di attività sindacale in azienda”.
Grazie, Ichino. Ma quant'è buono, lei!

giovedì 12 agosto 2010

speciale fiat 8 - primo articolo - la vittoria degli operai alla Fiat sata e le reazioni

La sentenza emessa dal Tribunale di Melfi è innanzitutto una vittoria degli operai della Fiat Sata, con tutto il rispetto per giudici, avvocati e la Fiom nazionale e locale che hanno presentato il ricorso. Gli operai alla Fiat Sata erano in lotta non tanto contro il piano di Pomigliano ma contro la Fiat tout court che aveva aumentato i ritmi a sorpresa, in una situazione di cassintegrazione, per ottenere più lavoro con meno operai, più sfruttamento, più fatica.
Questo sciopero nato spontaneo, era stato imposto a tutte le OO.SS.,con un ruolo attivo d'avanguardia riconosciuto dei delegati Fiom poi licenziati. La linea è stata bloccata, il carrello oggetto del licenziamento fermato dalla lotta di tutti gli operai. Legittima la lotta, legittimo il blocco della linea, pienamente responsabile l'azienda del blocco della stessa.
Per fermare questo sciopero si è scatenata una rappresaglia, questa sì dentro il clima nuovo imposto dal piano Marchionne e dal fascismo padronale.
Si è trattato, ha detto il giudice, di una rappresaglia antisindacale che colpiva la parte del sindacato e degli operai che questa lotta sindacale stava facendo.
Alla ragione della lotta e degli operai e delegati protagonisti di essi, si è unito il senso di solidarietà e indignazione della larga maggioranza degli operai della Fiat Sata, indipendentemente dalle iscrizioni sindacali, che questa lotta condivideva, e i due delegati erano rappresentativi di questa lotta, uno dei due delegati, Giovanni Barozzino, era stato il più votato alle recenti elezioni Rsu che la Fiom aveva vinto.
Su questa base la lotta è proseguita dopo i licenziamenti, su questa base vi è stata la riuscita manifestazione a Melfi, in cui si è visto sostanzialmente il calore, la solidarietà, la determinazione degli operai verso i 3 licenziati, intantosaliti sulle mura venusine per rendere visibile la lotta, per far diventare questa lotta una vera bandiera, nel contesto della lotta generale.
Il fattore di classe e umano della comunità operaia della Fiat Sata hanno per ora vinto.
La Fiat, l'uomo nero e i suoi scagnozzi in seno alla Sata hanno per ora perso.
Insomma, questi licenziamenti sono apparsi a tutti gli operai, alle loro famiglie, alla comunità, come una vigliaccata.
Questo clima,questo spirito non poteva non influire nelle grigie aule del Tribunale; peraltro nei giorni dell'udienza invase e presidiate da oltre un centinaia di compagni di lavoro dei 3 licenziati. Le udienze hanno visto le testimonianze di tanti operai, precise, a volte commoventi, che hanno messo sotto accusa questa violenza del padrone. Antonio Lamorte si sposava in quei giorni, lui e la moglie hanno atteso la sentenza, non sono partiti in viaggio di nozze, colpevoli di cosa?
Di essere operai, di fare i delegati, di fare lo sciopero.
Ma questa comunità operaia non è un caso che ha reagito così e ha vinto. E' quella dei “21 giorni”, è quello spirito che non è mai morto; è lo spettro per i padroni, quello spettro che non sono riusciti a cancellare, che riemerge quando il gioco si fa duro e i padroni pensano che sia morto e sepolto dalle divisioni sindacali, dalle contraddizione tra gli operai, dai personalismi, dalle piccinerie e meschinerie che pur ci sono nei “tempi di calma” tra gli operai della Sata; ma se padroni e capi sfidano gli operai, gli operai accettano la sfida e vincono. Certo parzialmente, come fu per i “21 giorni”, come è per questa sentenza in questa fase.

Padroni e stampa dei padroni, agenti dei padroni nelle fila operaie non hanno esitato a parlare di “sabotaggio”, a ricordare l'altra accusa di “terrorismo” che originò altri licenziamenti, poi rientrati. Ma così facendo, si sono dati la zappa sui piedi. Perchè non erano sabotatori e terroristi quelli licenziati l'altra volta e non lo sono Giovanni, Antonio e Marco.
Anche se su questo, però sarà bene che gli operai Fiat di Melfi e le loro avanguardie non si illudano e comprendano una volta per tutte: i padroni considerano “sabotaggio” chi contrasta i loro piani, e sabotare i loro piani è giusto, necessario, è inevitabile. Così come considerano “terrorismo” il sindacalismo di classe, la lotta contro il potere dei padroni per il potere operaio. Questo sindacalismo,questa lotta terrorizza in effetti i padroni, e deve terrorizzare, sopratutto se e quando diventa un fenomeno permanente, organizzato, pianificato, per mettere fine al terrore dei padroni, quello che oggi assume le sembianze del fascismo padronale di Marchionne e del governo che lo sostiene.

Ma chiaramente, quando una lotta operaia vince anche parzialmente, anche se solo in un'aula del Tribunale, non c'è da aspettarsi “rose e fiori”, i padroni e i loro uomini diventano lividi di rabbia, sminuiscono, denigrano e preparano la controffensiva.
La prima reazione della Fiat e di Marchionne che annuncia l'opposizione legale, conferma la denuncia penale a cui fara seguire la guerra di bassa intensità contro gli operai da riassumere, contro l'opposizione sindacale, contro tutti gli operai della Fiat Sata
I servi del padrone sono usciti subito allo scoperto. Innanzitutto i sindacalisti legati ormai mani e piedi alla Fiat.
La reazione più livida e vendicativa è quella del giorno dopo, apparsa sulla stampa dell'11 agosto di Palombella, segr. nazionale Uilm, che dice: “La Fiom doveva scegliere solo la via legale... non si doveva mettere a ferro e fuoco lo stabilimento... la decisione dell'amministratore delegato di Fiat Group, Marchionne, di trasferire la produzione della nuova monovolume LO in Serbia anzicchè a Mirafiori e poi a Melfi che era lo stabilimento più accreditato, parte da qui.
I 15/20 giorni di blocco dello stabilimento hanno dissuaso il Lingotto da un forte investimento in Italia...”.
Si cerca quindi far passare la lotta contro i licenziamenti, l'aumento dei ritmi, la solidarietà operaia, come causa dei piani dei padroni e non come lotta contro di essi.
Siamo davvero in un'altra fase del sindacalismo di regime, siamo nella fase del sindacalismo del fascismo padronale.
Bonanni assume una posizione più cauta, ma sostanzialmente dello stesso tipo: “la vicenda è il frutto del clima di esasperazione creato dalla Fiom. Avevamo avvertito la Fiat di non cadere nella trappola della esasperazione. Ma non lo ha fatto... è bene non dimenticare che i licenziamenti sono gli effetti di una situazione conflittuale non la causa... l'azienda deve invece giocare il suo ruolo sul piano politico e proseguire il confronto con tutti coloro che sono interessati a ridare solidità alla produzione dell'auto in Italia”.
Il consiglio di Bonanni è quindi compattamento del fronte padronal sindacale, come arma per raggiungere gli stessi scopi dei licenziamenti repressivi.

La grande stampa del padrone parla attraverso un articolo del'11 agosto su Corriere della Sera di Dario Di Vico: “I pretori non ci salveranno, se i pretori del lavoro tornano ad essere come in anni che pensavamo passati, i protagonisti delle relazioni industriali italiane, le ragioni dell'economia sono destinate inevitabilmente a soccombere”. E per dar forza ai suoi argomenti resuscita il cadavere di Romano Prodi per sostenere che “è necessario il completo sfruttamento degli impianti e la loro flessibilità di fronte ad un mercato sempre più difficile”.
Quindi, per cortesia, Fiom,operai, pretori non vi mettete di traverso...

Pietro Ichino non nasconde anch'egli il suo imbarazzo a fronte della sentenza ma cerca di razionalizzare. A parole dice che è una sentenza giusta, ma aggiunge: “....altrettanto sicuramente è vietato il comportamento del lavoratore, sindacalista o no, che nel corso di uno sciopero compia atti mirati a impedire il lavoro di altri dipendenti, o comunque il processo produttivo...”.
Ma il giudice ha smentito proprio questo punto. Ichino vuole fare il giudice al posto del giudice. Ichino aggiunge subito dopo, che il caso della Fiat Sata fa storia a sé e lo dice per segnalare che: “... eventuali ricorsi sull'accordo di Pomigliano, sarebbero di natura molto diversa”. Ovvero, non vi azzardate a fare ricorso contro questo accordo e soprattutto, giudici non pensate di dare nuove sentenze favorevoli su questo.
Poi torna sul suo cavallo di battaglia di fase, la legge che legittimi solo chi è d'accordo col padrone, diremmo noi, ad essere sindacato riconosciuto in fabbrica, con la legalizzazione degli accordi separati e l'accantonamento “governato” delle minoranze.

La sentenza viene accolta con un imbarazzo non molto nascosto e con una volontà di passare subito oltre dagli esponenti dell'opposizione parlamentare. LL'ex ministro del Lavoro Damiano dice: “la giustizia del lavoro ha fatto il suo corso, ora è importante tornare al confronto”. Su questo si attestano sostanzialmente tutti gli esponenti del PD che temono soprattutto che la vittoria operaia alimenti, come è giusto che sia, una nuova fase dello scontro.
Il segretario regionale del PD lucano Speranza rilancia: “... il tempo è maturo per aprire una discussione reale che metta al centro il tema della produttività del lavoro... solo questa comune consapevolezza potrà recare benefici contro fughe in avanti o impostazioni ideologiche che rischiano di spezzare il clima di collaborazione”.
Più imbarazzato appare il presidente della Regione Basilicata, Vito De Filippo, messo sotto accusa dagli operai della Fiat Sata per la sua posizione equidistante a parole ma filo Fiat nella sostanza e per la sua assenza di sostegno e partecipazione. La sentenza è una sconfitta anche per lui.

L'ex sottosegretario all'economia, Lettieri, aggiunge un argomento non presente negli altri commenti: “... la sentenza evidenzia anche inadeguatezza della dirigenza Fiat di Melfi la cui cecità portò anni fa ai “21 giorni” di protesta. Ignorano i diritti e le esigenze dei lavoratori dello stabilimento di Melfi che è il più produttivo del sistema Fiat. L'amministratore Marchionne... dovrebbe valutare bene il comportamento dei suoi dirigenti...”.

Insieme alla grande gioia mista a sollievo, a fronte della grave preoccupazione, dei tre operai reintegrati e della maggioranza degli operai Fiat, condivisa pensiamo da tutti gli operai italiani che hanno conosciuto la vicenda, va rilevata la posizione della Fiom che mette l'accento sullo Statuto dei Lavoratori, sulla legge e viene incoraggiata questa linea a fronte degli altri licenziamenti in corso e soprattutto del piano Pomigliano.
Ma nelle dichiarazioni di Landini questa soddisfazione e questa linea viene utilizzata principalmente per chiedere un ritorno al tavolo della trattativa, a “riaprire un vero negoziato su tutti i temi aperti con la Fiat che ricerchi le soluzioni nel rispetto del CCNL, delle leggi e della Costituzione... (nel quadro de – ndr) “la contrattazione collettiva è una risorsa per ricercare soluzioni innovative tra le parti se diventa una reale mediazione tra i diversi interessi del lavoro e dell'impresa...”.
Noi non pensiamo che la vittoria parziale a Melfi, così come il No al referendum di Pomigliano indichino questa strada. E' la lotta e l'opposizione intransigente che paga, che uniscono gli operai, ostacolano e mettono in crisi il piano Marchionne che non può essere negoziato e meno che mai “nel rispetto del contratto nazionale” che a suo tempo la Fiom non ha firmato.
E pensiamo che le cosiddette “soluzioni innovative tra le parti e reale mediazione tra i diversi interessi del lavoro e dell'impresa”, rappresentino oggi nel contesto del fascismo padronale una via sbagliata, illusoria e perdente.

pc quotidiano 12 agosto - India - manifestazione contro la Dow Carbide

Dow-Carbide assassini, lasciano l’India!

Hai bisogno di giustizia? La rivoluzione è l'unica strada !
DOW-CARBIDE ASSASSINI, LASCIANO L’INDIA!
MANIFESTAZIONE DI MASSA IL 15 AGOSTO 2010, UFFICIO DELLA DOW CHEMICAL, GUNIDY. CHENNAI

Cari lavoratori

Coloro che sono stati accusati della tragedia di Bhopal sono stati rilasciati, senza aver nemmeno passato un giorno in galera. E l'alta Corte sul caso Bhopal ha dipinto questo massacro come un semplice incidente. Il governo americano si è rifiutato di consegnare Warren Anderson, presidente della Union Carbide e imputato eccellente nella tragedia di Bhopal. Non disposto ad interrogare
Anderson, responsabile della morte di oltre 23.000 persone e la menomazione di più di 50.000 altre, il governo di Manmohan Singh, sta mentendo dicendo di essere disposto a riaprire il caso e provvedere al risarcimento delle vittime del gas. La fuoriuscita di gas che è avvenuta nella notte del 2 dicembre 1984, nella fabbrica della Union Carbide non è stata un incidente imprevisto. E’ stato un assassinio a sangue freddo commesso dalla società americana. I reati comprendono lo spostamento della fabbricazione di materiali pericolosi dall'America all'India, la creazione di un impianto di insetticida a partire da metil -iso- Cianuro in una zona residenziale, tagli alla spesa per le misure di sicurezza per aumentare gli utili, nonostante gli incidenti in passato, e l’aver nascosto il nome del veleno (cianuro) ai medici che hanno curato le vittime, lasciando così che le vittime subissero una morte dolorosa.

Il crimine fondamentale è la produzione di armi chimiche sotto la copertura della produzione di insetticida. La Union Carbide non è l'unica criminale. Indira Gandhi gli diede il permesso di produrre, pur essendo consapevole della natura pericolosa della fabbrica. E Rajiv Gandhi ha rilasciato Anderson, si è scusato con lui, e lo mandò in modo sicuro su un aereo di stato in America.

Nel 1989, il governo di Rajiv Gandhi connivente con la Union Carbide ha fissato il prezzo di una vita indiana a 12.414 rupie. La Corte suprema ha considerato il reato come quello di un incidente stradale semplice. Il CBI d’accordo con il partito del Congresso ha fatto di tutto per distruggere il caso e liberare Anderson. Il governo Vajpayee, salito al potere dopo, ha sostenuto tutti quelli coinvolti nella cospirazione. Oggi, tutti questi criminali pretendono di essere innocenti.

La sentenza emessa per le vittime di Bhopal, che hanno aspettato per più di 26 anni, è un brutale attacco peggiore del massacro. Ora, questa ingiustizia sta per diventare addirittura anche legge secondo la Costituzione indiana. La legge sul nucleare del governo di Manmohan Singh dice: & ldquo;anche se gli impianti nucleari che acquistiamo da aziende americane saltassero in aria domani e causassero diversi milioni di morti in India , non riterremo la società americana responsabile né chiederemo alcuna compensazione. La Dow Chemicals, che ha acquisito la Union Carbide qualche tempo fa, era l' unico fornitore di bombe incendiarie al napalm all’esercito degli Stati Uniti durante la guerra del Vietnam. Questa azienda assetata di sangue viene accolta con un tappeto rosso dal governo di Manmohan Singh per venire a creare affari in India!

La strage di Bhopal ha esposto i principi dello stato indiano “uccidere il popolo indiano per i profitti delle multinazionali, usurpare la ter ra del popolo, cacciarlo fuori dalla propria terra, eliminare i diritti, distruggere l'industria indigena , trasformare quel che dicono le multinazionali in legge dello stato, e la crescita delle multinazionali è lo sviluppo della nazione!
Jallianwala Bagh denunciò il volto brutale della colonizzazione in India, che ha dato alla luce rivoluzionari come Bhagat Singh. Bhopal ha svelato il vero volto della ricolonizzazione e la finzione dell’indipendenza e della democrazia indiana. Bene, se avete bisogno di giustizia, la rivoluzione è l'unica strada , illuminata dalla fiamma di Naxalbari ! Questa è l' unica lezione che la strage di Bhopal e le sue conseguenze ci vuole insegnare.

Peoples Art And Literary Association
Peasants Liberation Front
Revolutionary Students And Youth Front
New Democratic Labour Front
Tamilnadu

pc quotidiano 12 agosto - libertà per gli antifascisti - Tonino libero !

proletari comunisti esprime la massima solidarietà agli antifascisti arrestati sempre e si unisce alla campagna per la libertà dell'antifascista napoletano

pubblichiamo lo stato delle cose da un testo che appare su Yndimedia e la posizione della rete campana

Dal 26 luglio Tonino si trova in carcere. La questura di Napoli lo ha arrestato per gli scontri avvenuti al margine del corteo del Primo Maggio. Quel giorno infatti, durante la manifestazione, un gruppo di camerati di CasaPound mise in atto una palese provocazione presentandosi al corteo. Alla provocazione seguì un'immediata risposta dei manifestanti. Durante gli scontri uno dei fascisti venne colpito con un coltello.

Tutto questo avviene in un periodo di grossa tensione a Napoli, dopo l'occupazione dello stabile di salita San Raffaele si erano susseguite diverse aggressioni in città contro studenti, compagni e spazi sociali: un ragazzo dell'istituto superiore Margherita di Savoia fu colpito con mazze e cinghie all'interno del cortile della scuola fino a procurargli la rottura delle costole, un universitario di Lettere fu mandato in ospedale con uno pneumatorace, contro il centro sociale Insurgencia furono lanciate bottiglie incendiarie e altri gravi episodi. In questa cornice si va ad inserire quello che e' avvenuto al margine del corteo del Primo Maggio.

La storia, comunque, sembra concludersi pochi giorni dopo il Primo Maggio, l'autore del gesto, infatti, si presenta spontaneamente alla polizia e dichiara agli inquirenti di aver agito accecato dalla rabbia e di non avere rapporti né organizzativi e né di conoscenza con i partecipanti al corteo. Dopo tre mesi, il 26 luglio, appunto, Tonino viene incarcerato con l'accusa di "concorso in reato" dato che alcune riprese di telecamere di sicurezza lo riprendono nello stesso luogo dove si svolge la colluttazione. E' chiaro che la magistratura, con l'aiuto della Digos, non ha sparato nel mucchio. Durante questi tre mesi hanno lavorato in maniera certosina per trovare la loro vittima! Tonino, infatti, e' sempre stato in prima linea nelle lotte contro la devastazione ambientale, e' un'Antifascista ed e' un Anarchico.
Questi tre fattori ne hanno fatto il mostro perfetto da dare in pasto ai Mass Media.
Non a caso i comunicati della questura ricordano ai mass media come Tonino sia coinvolto anche nell'inchiesta sulla lotta contro la discarica di Pianura del 2008. Insomma si fa intendere che è un personaggio "pericoloso e recidivo".

All'arresto di Tonino non si e' fatta attendere la reazione di tutti gli antifascisti napoletani e non solo, subito in città è stata messa in piedi una campagna di solidarietà (vedi www.toninolibero.org) iniziata con un presidio sotto il carcere

COMUNICATO

Le vicende del primo maggio hanno avuto ancora risvolti assai gravi con gli arresti del 26 luglio! E il nostro sconcerto cresce giorno per giorno.
Ricordiamo che il primo maggio una situazione di caos si produsse dentro un corteo a seguito della incredibile provocazione messa in atto da un gruppo di fascisti in una manifestazione cui partecipavano centinaia di studenti, lavoratori e disoccupati. Quella che seguì non fu, come si è scritto sui giornali, l'azione di un "branco", ma la reazione spontanea di tante persone di fronte a una situazione del tutto inaspettata. Il gruppo di neofascisti aderenti al circuito di camerati di Casapound erano del resto ben noti per aver dato vita, per mesi e in totale impunità, ad una lunga serie di aggressioni ed attentati incendiari contro studenti, compagni e spazi sociali, della maggior parte dei quali è possibile rinvenire documentazione stampa: nessuno di noi può dimenticare il pestaggio dello studente medio dell'istituto Margherita di Savoia colpito con mazze e cinghie all'interno del cortile della scuola (costole rotte), lo studente di lettere all'ospedale con uno pneumatorace o le bottiglie incendiarie lanciate contro il centro sociale Insurgencia, e le cronache sono piene di testimonianze degli agguati di vario tipo ai danni di chiunque rifiuti le loro logiche razziste e xenofobe.

A seguito delle informazioni fornite dai legali delle due persone arrestate abbiamo potuto constatare ancora una volta i metodi inquisitori e la tendenza a costruire teoremi contro i movimenti sociali!!
Infatti, abbiamo appreso che benchè uno degli indagati abbia spiegato agli inquirenti di non avere rapporti né organizzativi e né di conoscenza con i partecipanti al corteo e di non aver mai svolto militanza politica, e queste affermazioni siano state perfino riscontrate nella stessa indagine, nell'ordinanza e nelle agenzie di stampa inviate dalla Procura lo si descrive al contrario come un militante politico "organico alle strutture delle aree antagoniste". Rileviamo questo non certo per l'esigenza di fare la "radiografia" di questa persona. Ma perchè secondo noi (e secondo gli avvocati) questa invenzione giudiziaria è il perno di un teorema ben preciso ed ha un triplice obiettivo:

1)Aggravare nettamente la sua stessa posizione, al fine di costruire un'immagine (dal "loro" punto di vista) di "pericolosità del soggetto". Una persona che per altro si è presentata spontaneamente dal giudice per rispondere delle accuse già nel mese di maggio, per cui il suo avvocato fa giustamente notare l'incomprensibilità della misura cautelare due mesi dopo, se non per spettacolarizzare l'inchiesta.

2) Strumentalizzare meglio l'accaduto in modo da criminalizzare i movimenti sociali (è sufficiente leggere i giornali per capirlo);

3) Infine, accreditare anche per Antonio, il compagno arrestato per i medesimi fatti, la contestazione accusatoria più grave tramite l'ipotesi del "concorso nel reato" solo perchè sarebbe stato presente al momento dell'accaduto. Una grossa forzatura che sarebbe stata molto più ardua se dovevano tenere conto delle dichiarazioni dell'altro imputato! In altri termini, hanno messo Antonio nel "tritacarne", per punirlo non tanto in rapporto a qualcosa che abbia fatto, ma per quello che è: un compagno attivo in tante battaglie, come quelle in difesa del nostro territorio dalla devastazione!

Peraltro sui giornali non mancano fantasiose invenzioni che non sono nemmeno contestate nelle carte processuali (il neofascista "aggredito mentre era a terra" ecc) per supportare un'accusa comunque gravemente spropositata rispetto ai fatti, e per contribuire a generare un clima di attacco generalizzato ai compagni e alle lotte cittadine!
Del resto come mai se la dinamica era così chiara, con tanto di filmati delle videocamere, hanno poi aspettato tre mesi? Se non per decidere la costruzione che noi denunciamo contro gli imputati e la strumentalizzazione politica contro i movimenti. Se non per aggiungere un ulteriore tassello a quella feroce ondata repressiva che colpisce in maniera sempre più indiscriminata operai, disoccupati, movimenti per la difesa del territorio e chiunque si opponga alle politiche di precarietà e di povertà rese ancora più feroci dalla gestione padronale della crisi.

Noi non accetteremo tutto questo, rifiutiamo il tentativo di ingabbiare la lotta antifascista e antirazzista nello schema mediatico-giudiziario degli "opposti estremismi" e della "guerra tra bande" e venerdì 30 luglio parteciperemo al presidio contro gli arresti fuori al carcere di Poggioreale, continuando a mobilitarci e a denunciare la montatura che stanno effettuando gli inquirenti.

E proseguiremo a costruire mobilitazioni di massa contro i rigurgiti neofascisti, le politiche xenofobe, le pratiche sessiste e omofobe.

Liberi tutti!

Rete napoletana contro il neofascismo, il razzismo e il sessismo

pc quotidiano 12 agosto - CONTINUA TRA I LAVORATORI E DISOCCUPATI DEL CIRCOLO DI TARANTO LO STUDIO DE "IL MANIFESTO".

E’ proseguito nei giorni scorsi lo studio de "Il Manifesto del partito comunista” di Marx ed Engels tra i lavoratori, lavoratrici, disoccupati e disoccupate del circolo di Proletari comunisti di Taranto. Questa volta ci si è avvalsi anche di un video, una sorta di guida alla lettura che è servita a focalizzare l’attenzione e la discussione sulle parti più importanti del testo.

In queste nuove riunioni è stato approfondito soprattutto il 2° capitolo “Proletari e comunisti”, soffermandoci su alcuni significativi passaggi:

1) In che cosa si differenzia la lotta dei comunisti dalle lotte precedenti? Anche le precedentementi proprietà private sono state soppresse, la lotta delle classi ha portato ad un’incessante trasformazione dei rapporti di proprietà, ultima la borghesia ha abolito la proprietà feudale; ma il comunismo abolisce LA “proprietà privata” e pone le basi per la fine della lotta di classe.

2) Marx ed Engels nel controbattere alle “accuse” che i difensori della società borghese rivolgono ai comunisti, mostrano dietro gli ipocriti orpelli, la reale natura brutale, oppressiva, via via sempre più disumana dei “valori” borghesi; mostrano che non vi sono “valori” generali, “leggi eterne” valide per tutti, perché questi valori hanno significato ed effetti opposti per i borghesi e i proletari; ma mostrano nello stesso tempo che è la stessa borghesia a porre le condizioni per l’abolizione del suo sistema di produzione e sociale; mostrano, infine, che i proletari per conquistare una umanità, devono necessariamente farsi “becchini” del mostro della borghesia.
Quali sono alcuni di questi “valori” che la borghesia accusa i comunisti di voler abolire?

- la “proprietà …. base di ogni libertà , attività e indipendenza personale”; ma essa significa per i proletari sfruttamento, lavoro salariato, mancanza assoluta di proprietà, per il borghese significa incremento continuo del capitale, proprietà e ricchezze enormi; quando i borghesi parlano di proprietà, di libertà, parlano della “loro proprietà”. E questa sì che i comunisti vogliono abolirla!
Ma il capitale è un prodotto sociale, e, quindi, crea esso stesso le condizioni perché sia proprietà di tutti i membri della società perdendo il suo carattere di appropriazione privata;

- “la libertà, la personalità…”; certo, i comunisti vogliono abolire “la personalità, l’indipendenza e la libertà del borghese”, per mettere fine al fatto che “nella società borghese il capitale è indipendente e personale mentre l’individuo attivo è dipendente e impersonale”; per mettere fine al fatto che nella società borghese “libertà, indipendenza” valgono solo per un pugno di persone e presuppongono e si basano sulla mancanza di libertà e indipendenza della stragrande maggioranza delle persone.
I borghesi accusano i comunisti di voler abolire “la persona”, ebbene sì se per “persona” la borghesia intende solo i suoi membri e nega il diritto stesso di essere considerati “persone” a milioni e milioni di esseri umani, li rende appendici delle macchine, macchine esse stesse per produrre pluslavoro e quindi plusvalore. Per questo suo “nobile” fine la borghesia non ha alcuna umanità, quando serve butta nella produzione anche i bambini, come i tanti bambini che costituiscono oggi la giovanissima classe operaia di paesi come l’India, il Pakistan; per questo “umano” fine, non si fa scrupolo di rovinare la salute e la vita agli operai, delle operaie, di spezzare i legami familiari (e non il secolo scorso, ma nei nostri giorni, come la lotta dei “21 giorni alla Fiat di Melfi e la lotta contro il fascismo padronale della Fiat a somigliano sta dimostrando).
Per questo – è stato detto nella riunione – il proletariato per il solo fatto che esiste, per esistere, deve essere sempre in lotta contro il capitale.

- Il borghese accusa che i comunisti vogliono abolire la “cultura”, le sue “idee” , intendendo la sua cultura di classe come cultura in generale; ma la cultura di cui parlano i borghesi per la maggioranza delle persone significa solo processo di trasformazione in forza lavoro per il capitale, in persone che non devono pensare o devono ripetere, come se fossero proprie, le idee della classe dominante; giacchè “anche le vostre idee – scrivono Marx ed Engels – sono un prodotto dei rapporti di produzione e di proprietà borghese, e parimenti il vostro diritto è solo la volontà della vostra classe elevata a legge…”.
Nella riunione questo punto è stato importante per contrastare anche tra lavoratori l’idea che la cultura, le stesse loro idee sono autonome, non determinate.

- I borghesi inorridiscono di fronte al disegno dei comunisti di “abolire la famiglia”, “di distruggere i rapporti famigliari più cari”, di voler “adottare la comunanza delle donne”, ecc. Quanto sia ipocrita questa difesa della famiglia, delle donne, è più che palese anche nei giorni nostri guardando ai massimi rappresentanti della borghesia: la “famiglia” per i borghesi è fondata solo sul capitale, sui meri rapporti di interesse, la considerazione della propria moglie è al pari di quella verso una prostituta; per i proletari, la borghesia negando la possibilità, la felicità dei legami familiari, costringendo ad una vita quotidiana di fatica, mancanza di diritti, oppressione, frustrazione, distrugge essa stessa la famiglia, vede essa la donna solo come “strumento di produzione”, di riproduzione della forza lavoro, su di essa scarica i compiti che dovrebbero essere sociali.
La borghesia vuole perpetuare questa ipocrisia, i comunisti vogliano solo togliere questi veli e rendere, “una volta scomparsi gli attuali rapporti di produzione”, effettivamente liberi i legami di amore e familiari.

3) Verso la fine della riunione ci si è soffermati su un altro punto dello scritto di Marx ed Engels, forse più difficile da comprendere realmente anche dagli stessi lavoratori e su cui l’influenza delle idee della borghesia riescono a fare più presa. Esso riguarda il rapporto tra idee e condizioni sociali di esistenza, tra coscienza dei singoli individui e realtà materiale di classe.
Scrivono Marx ed Engels: “occorre avere acuta intuizione per comprendere che, mutando le condizioni di vita degli uomini, le loro relazioni sociali, la loro esistenza sociale, cambiano in essi anche opinioni, punti di vista, e idee, insomma cambia anche la loro coscienza?... Le idee dominanti di un’epoca sono sempre state unicamente le idee della classe dominante… la dissoluzione delle vecchie idee avanza parallelamente alla dissoluzione dei vecchi rapporti di vita… La rivoluzione comunista è la rottura più radicale con i rapporti di proprietà tradizionali; non ci si deve meravigliare che nel corso del suo sviluppo si giunga alla rottura più radicale con le idee tradizionali”.
Su questo il dibattito ha toccato vari punti:
lo smantellamento dell’idea, comune tra gli stessi lavoratori d’avanguardia, che determinante, punto di partenza per l’avanzamento della lotta di classe delle masse, della lotta rivoluzionaria, sia la coscienza, e non la pratica della lotta di classe; qui gli stessi esempi della esperienza di grosse lotte a Taranto sono serviti per capire che non viene prima la “coscienza” e poi la lotta”, ma che attraverso, nel corso della lotta si trasformano le idee, si mettono in discussione le vecchie idee e si acquisiscono di nuove; se questo è vero anche in una singola lotta importante, a maggior ragione è vero nel processo rivoluzionario, che non viene fatto da proletari già “rivoluzionari”, ma da proletari con tutte le loro idee sbagliate e che nel corso della rivoluzione come scrive Il Manifesto giungono “alla rottura più radicale con le idee tradizionali”. Quindi se è l’avanzamento della lotta che fa cambiare la coscienza, non si tratta di aspettare che cresca la coscienza o essere critici-critici, o prima illusi poi disillusi appena le masse esprimono o seguono le idee tradizionali; ma occorre che i comunisti siano prima di tutto combattenti d’avanguardia contro la borghesia;
L’altro smantellamento ha riguardato l’altrettanto facile idea che ciò che uno pensa, le proprie idee sono “proprie” e non, come dicono Marx ed Engels, frutto delle idee della classe dominante; questo è comune anche tra settori di operai e lavoratori d’avanguardia ed ha conseguenze negative nel capo soprattutto ideologico proprio nel rapporto tra avanguardie e masse e nel rapporto con la realtà; esistono anche tra lavoratori bravi aspetti di personalismo, di pensare che ciò che dicono è il frutto delle”loro” idee. Ecco pensare in questa maniera non aiuta la comprensione della realtà della lotta di classe. E proprio quando ci si illude di essere indipendenti dalle idee della borghesia (nelle sue varie espressioni: padroni, partiti, mass media, ecc.) si allentano le armi critiche ideologiche, politiche, teoriche della lotta di classe e si diventa “spugna” delle idee della classe dominante.
Nello stesso tempo questo dibattito ha posto nuovamente la questione del partito come unica possibilità dei proletari per essere, come classe organizzata, autonomi ideologicamente, teoricamente, politicamente dalla borghesia, e pertanto per i proletari avanzati il processo di acquisizione di coscienza rivoluzionaria è un processo collettivo che trova nella costruzione del partito comunista il suo principale strumento.
Questa è una battaglia, anche critica, importante che si pone oggi tra gli operai, i lavoratori, i proletari e le proletarie, e che richiede lotta verso chi ostacola questo processo, siano i riformisti, siano i portatori di ideologie anarchiche, operaiste.

Alla fine dell'ultima riunione ogni compagno del circolo di Proletari comunisti si è preso copia de Il Manifesto, per approfondirne la lettura e farne socializzazione nel prossimo incontro.

pc quotidiano 12 agosto - Pescara denuncia un sindacalista venduto.. viene trasferita

PESCARA. Ha denunciato un presunto doppio incarico di Vero Michitelli, dirigente del Personale della Asl di Pescara, «perché è anche un sindacalista della sigla autonoma Sidirss». Dopo l'esposto, Michitelli ha trasferito una sindacalista scomoda della Fials da Pescara a Cepagatti. È successo a Nicoletta Di Nisio, sindacalista della Fials e impiegata amministrativa della direzione sanitaria dell'ospedale di Pescara. Di Nisio, il 21 giugno 2010, ha chiesto al manager della Asl di Pescara Claudio D'Amario e al direttore amministrativo Domenico Carano di accertare l'esistenza di «eventuali incompatibilità per il conferimento di incarichi di direzione di strutture deputate alla gestione del personale». IL DOPPIO INCARICO. Una «verifica» richiesta sulla base di una norma introdotta dal ministro della Funzione pubblica Renato Brunetta: «Non possono essere conferiti», dice la legge, «incarichi di direzione di strutture deputate alla gestione del personale a soggetti che rivestano o abbiano rivestito, negli ultimi due anni, cariche in partiti politici o in organizzazioni sindacali». Sulla lettera, la Fials non ha fatto nomi e cognomi di dirigenti ma la segnalazione è sembrata un attacco a Vero Michitelli, responsabile del dipartimento Affari del personale e legali. IL DOCUMENTO. La Fials, infatti, si era procurata un documento del 31 gennaio 2007, firmato dal segretario regionale del sindacato autonomo Sidirss Claudio Amoroso, che attesta: «Michitelli è stato eletto segretario provinciale» del Sidirss. Dopo l'esposto della Fials a D'Amario e Carano, il 7 luglio, anche il collegio sindacale della Asl, presieduto da Fausto Di Nisio, ha chiesto «chiarimenti» all'Ispettorato per la Funzione pubblica di Roma. Due giorni dopo l'interessamento dell'organo di controlo, è stato lo stesso Michitelli a rispondere: «Si comunica», così ha scritto alla Fials, «che, nella Asl di Pescara, non sussistono situazioni riconducibili» al decreto Brunetta. Caso chiuso? No. L'APPUNTO A MANO. La Fials è venuta in possesso di una copia della propria nota protocollata dall'ufficio di Carano e trasmessa al settore Personale. In alto a destra, si legge un appunto a mano: «Dire a quest'individuo che, dall'entrata in vigore della norma, non sono stati compiuti incarichi di direzione di tali strutture». IL TRASFERIMENTO. Il 30 luglio è stato lo stesso Michitelli, il dirigente finito nel mirino della Fials, a decidere il trasferimento della sindacalista Di Nisio, mandata da Pescara al distretto sanitario di Cepagatti. Il distretto di Cepagatti, infatti, ha chiesto personale ma lo ha fatto il 22 marzo: quattro mesi dopo, «nell'ottica del migliore utilizzo» del personale, è scritto nell'ordine di servizio, è scattato il trasferimento. Di Nisio ha segnalato anche presunte «illegittimità» su aumenti di stipendio «non dovuti ma accordati», oltre che al personale a tempo indeterminato, anche a 44 precari. Per il segretario provinciale Fials Gabriele Pasqualone, «il trasferimento è un atto intimidatorio che non ci chiuderà la bocca. È la dimostrazione di un atteggiamento fascista verso il sindacato». Pasqualone ha chiesto, con una nota inviata il 5 agosto anche a Brunetta, al governatore Gianni Chiodi, «l'immediata revoca di Michitelli»: «Michitelli», ha scritto, «è stato nominato il 31 gennaio 2007 dirigente sindacale Sidirss ed è, quindi, incompatibile come stabilito dal decreto Brunetta».

pc quotidiano 12 agosto - ancora licenziamenti antisindacali a Milano

da news SI Cobas

comunicato stampa
Coop Papavero: peggio della Fiat!Scioperano: licenziati in 15!

Febbraio 2010: vari scioperi a Cerro al Lambro, dei lavoratori della Cooperativa Papavero, che ha in appalto lavorazioni della GLS Italy, gigante europeo delle spedizioni, di proprietà delle Poste inglesi.

Le rivendicazioni quelle “usuali” nelle cooperative della logisitica: un trattamento dignitoso, rispetto umano, rispetto delle norme e dei livelli economici previsti dai contratti nazionali, il pagamento di tutte le ore ordinarie e straordinarie lavorate e una distribuzione più equa dei carichi di lavoro, delle turnazioni, dell'orario e degli straordinari.

I lavoratori della cooperativa, in maggioranza giovani extracomunitari, ad ogni sciopero si sono trovati di fronte non solo la cooperativa, ma oltre un centinaio tra poliziotti e carabinieri in tenuta antisommossa, schierati davanti al capannone GLS Italy di Cerro al Lambro, e che più di una volta hanno caricato i picchetti.
Dopo le lotte parte la ritorsione della Coop. Papavero, con contestazioni disciplinari. Ma con una condotta pienamente antisindacale la coop si rifiuta di ascoltare i lavoratori a propria difesa con il sindacalista di fiducia da loro designato, come previsto dall’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori.
La condotta antisindacale della Coop. Papavero si dimostra anche dal fatto che, fino ad oggi, si è costantemente rifiutata di accogliere le disdette dei lavoratori dalla sigle cui erano precedentemente iscritti e di far partire le trattenute sindacali a favore del Sindacato Intercategoriale Cobas.
Senza aver più contestato nulla ai lavoratori nei modi previsti per legge, a sei mesi di distanza dagli scioperi, in pieno agosto, fa partire 15 licenziamenti politici, di rappresaglia.
Le motivazioni sono risibili e pretestuose: aver scioperato, aver fatto i picchetti, aver rilasciato dichiarazioni alla stampa “lesive” per la Cooperativa (senza mai aver contestato un fatto specifico o una dichiarazione citata da un preciso giornale).

Questi licenziamenti sono un chiaro atto di vendetta, un attacco al diritto di sciopero e alla libertà di associazione sindacale. Il loro scopo è quello di intimidire i lavoratori delle cooperative, impedire che si organizzino per difendere i propri diritti e le proprie condizioni di lavoro.
La volontà dei padroni delle cooperative (che non hanno nulla a che fare con i “fini mutualistici” che per legge devono mettere in cima ai propri statuti), assieme a quelle dei grandi appaltatori che si servono di loro, è quella di mantenere questi lavoratori in uno stato permanente di ricatto, di assenza di regole certe e di rispetto delle minime norme contrattuali. Per tutti e due un unico imperativo: fare più guadagni pagando il meno possibile i lavoratori ed evitando che si organizzino sindacalmente.
Questa “normalità” di ricatto, lavoro non pagato e/o lavoro nero, fino alla collusione con la mafia, è la vita quotidiana nelle cooperative, come hanno messo in luce anche le inchieste della magistratura in Lombardia negli ultimi due anni. Per aver contrastato tutto questi i 15 lavoratori sono stati licenziati dalla Coop. Papavero.
riferimenti a questa vicenda sul sito www.sicobas.org nella sezione Cooperative negli articoli relativi a GLS con link ai vari video della lotta)
Milano 12-8-2010

mercoledì 11 agosto 2010

pc quotidiano 11 agosto - India - aprire una inchiesta sull'assassinio di Azad e del giornalista Pandey

Risoluzione adottata dall’assemblea pubblica del 3 agosto a New Delhi

Condanniamo fermamente l’assassinio di Azad (Cherukuri Rajkumar), dell’ufficio politico del Partito Comunista dell’India (Maoista) e portavoce del suo Comitato Centrale insieme al giornalista di Delhi Hem Chandra Pandey da parte della polizia della’Andhra Pradesh avvenuto nel distretto di Adilabad il 1° luglio 2010.
Mentre il governo indiano e la polizia dell’AP si sono affrettati a dichiarare che i due sono stati uccisi dopo 4 ore di scontro a fuoco, le prove circostanziali fanno sospettare un falso scontro armato messo in scena dopo che l’APSIB aveva preso illegalmente in custodia i due lo stesso 1° luglio 2010 in o presso Nagpur, per sequestrarli e poi assassinarli a sangue freddo.

Per quasi quarant’anni, fin dal suo attivismo politico nel movimento studentesco radicale negli anni 70 in Andhra Pradesh, Azad è stato militante del movimento maoista e in prima linea nella lotta contro l’Emergenza in quello stato. Ha combattuto per quella che credeva dovesse essere una nuova società, libera da tutte le forme di sfruttamento e oppressione. Azad era noto come portavoce del partito, di cui regolarmente articolava le posizioni sui diversi temi in numerose dichiarazioni, articoli e interviste. Nel momento del suo assassinio Azad stava esplorando a nome del PCI (Maoista) le possibilità di colloqui col governo indiano, che erano in una fase decisiva. È stato reso noto che Azad era sul punto di definire, in consultazione con la direzione del suo partito, le date per un cessate il fuoco e quelle possibili per l’inizio di colloqui da molto tempo anticipati, quando è stato ucciso in un falso scontro armato. Con ogni probabilità, le più alte autorità del governo indiano hanno avallato questo assassinio, provocando l’arresto degli sforzi per dei negoziati. Ciò getta gravi dubbi sull’impegno e la serietà del governo indiano circa i negoziati e anzi ne riflette l0intenzione di accentuare ulteriormente il conflitto armato e l’Operazione Green Hunt.

Hem Chandra Pandey, giornalista di Delhi che collaborava regolarmente con Nai Duniya, Rashtriya Sahara, Chetana e altri periodici hindi era insieme ad Azad quando è stato ucciso e c’è il sospetto che sia stato eliminato in un falso scontro armato allo scopo di sbarazzarsi di ogni testimone oculare dell’arresto, sequestro ed esecuzione illegali. Fin da studente Hem è stato attivista di diversi movimenti democratici e progressisti dell’Uttarakhand, e nei suoi scritti giornalistici portava all’attenzione le rivendicazioni e i problemi del popolo. Gli amici ricordano Hem come un esempio di critica vivente delle politiche anti-popolari del governo. Mettere a tacere in questo modo un giornalista è un forte monito dell’esistenza di uno stato di emergenza non dichiarato imposto dai governanti indiani che ha sospeso i diritti democratici e civili dei cittadini, in particolare nelle regioni delle lotte popolari.

Nel condannare con le parole più forti possibili gli assassinii di Azad e Hem Chandra Pandey, esigiamo che il governo costituisca immediatamente una commissione di inchiesta per accertare i fatti. Chiediamo anche la fine immediata delle esecuzioni sommarie sia dei rivoluzionari e sia degli attivisti e dirigenti di movimenti popolari. Il governo deve rispettare i diritti fondamentali alla vita e alla dignità delle persone costituzionalmente garantiti il bavaglio e il tentativo di soffocare i media da parte del governo deve finire. Esigiamo la fine della guerra contro il popolo condotta dal governo col nome di Operazione Green Hunt e l’immediato ritiro delle forze armate dalle regioni del conflitto. Il governo deve stracciare tutti gli accordi sottoscritti con le multinazionali e grandi aziende nazionali lo sfruttamento delle risorse minerarie a scapito della vita e del benessere del popolo. Il governo indiano deve anche rispondere politicamente alle richieste dei popoli in lotta del Kashmir e del Nordest attraverso il dialogo e deve fermare la brutale repressione delle loro voci attraverso la violenza di stato.

FORUM AGAINST WAR ON PEOPLE

pc quotidiano 11 agosto - dilaga la protesta degli immigrati nei CIE

Venti di guerra al CIE. Tentata fuga da Trapani e cronache di un mese di
resistenza

Cronache dai CIE di Trapani, Gradisca, Torino, Brindisi, Bari
Un'altra estate incandescente nei CIE, i centri dove gli immigrati senza
carte sono rinchiusi in attesa di essere deportati. Dallo scorso anno,
quando, proprio in questi giorni, con l'entrata in vigore del pacchetto
sicurezza, la detenzione nei CIE è stata prolungata a sei mesi,
periodicamente in queste prigioni amministrative sale la tensione. A volte
basta poco: un pasto indecente, le cure negate, una manata o un insulto di
troppo per far divampare la protesta.
Quest'anno la scintilla è stato l'accordo con i governi algerino e
tunisino per velocizzare i rimpatri dei cittadini dei due paesi.
È del 12 luglio la circolare che stabilisce deportazioni giornaliere e da
mandato ai questori di organizzare le scorte.
In molti CIE - i tunisini in prima fila - ci sono proteste, rivolte fughe.
Qui il testo con i link: http://piemonte.indymedia.org/article/9621

Trapani, mercoledì 14 luglio
Almeno 15 reclusi riescono a fuggire. Secondo la versione della questura
che per due giorni ha taciuto l'evasione, ci avrebbero provato in 27, ma
12 sarebbero stati riacciuffati subito.
Secondo altre fonti i fuggitivi sarebbero stati ben quaranta.
Quattro immigrati, individuati come responsabili degli scontri avvenuti
durante la sommossa che ha preceduto al fuga, sono stati arrestati e
tradotti in carcere.
Il coordinamento per la pace di Trapani ha emesso un comunicato di
solidarietà.

Torino, mercoledì 14 luglio
Intorno alle 15 divampa la rivolta al CIE di corso Brunelleschi. Gli
immigrati tentano di impedire la deportazione di tre di loro. Alla fine la
polizia porta via due "ospiti" su tre. I prigionieri reagiscono spaccando
suppellettili e dando fuoco ai materassi. Un'intera sezione del CIE è resa
inagibile. Alcuni immigrati salgono sul tetto.
Intorno alle 17 davanti al CIE si raduna un presidio di una cinquantina di
solidali, alcuni dei quali, in serata, alla notizia di feriti lasciati
senza cure, occupa il cortile della Croce Rossa in via Bologna.
L'occupazione termina solo quando, dopo ben tre ore di tira e molla con la
polizia, al CIE arriva un medico che dispone il ricovero di un immigrato
che si era bruciato mani e piedi durante la rivolta.
Un altro immigrato, Samir, che si era tagliato con le lamette le braccia e
il corpo, viene portato in ospedale intorno alle 21: sedato, si risveglia
al CIE di Ponte Galeria a Roma.

Gradisca, sabato 17 luglio
Nella notte esplode l'ennesima rivolta al CIE. Tutto parte da un tentativo
di espulsione di uno o più tunisini: per resistere, i reclusi salgono sui
tetti delle celle e la polizia risponde, come altre volte, con un fitto
lancio di lacrimogeni. I reclusi di un'altra area trascinano i materassi
in cortile e li incendiano per sviare l'attenzione dei poliziotti. Uno dei
migranti sul tetto viene colpito da un candelotto lacrimogeno e cade sui
materassi in fiamme ustionandosi al volto in modo talmente grave da essere
portato in ospedale a Udine. Per diverse ore non sarà possibile avere sue
notizie. Domenica il ferito viene riportato all'interno del CIE in
condizioni critiche ma per fortuna meno gravi di quello che si temeva e
lunedì viene visitato da un avvocato solidale.
Il martedì successivo il detenuto che aveva opposto resistenza
all'espulsione viene processato per direttissima e condannato a 9 mesi di
reclusione, per resistenza e violenza contro pubblico ufficiale.

Torino, 19/22 luglio
Un immigrato tunisino, Sabri, sale sul tetto della sezione viola del CIE:
gli mancano pochi giorni alla scadenza dei sei mesi e si batte per non
essere deportato. Sabri è tra quelli che, il 14 luglio, avevano reso
inagibile la sezione bianca, dando vita alla rivolta.
Un folto gruppo di antirazzisti, in buona parte della rete "10 luglio
antirazzista" si danno appuntamento davanti al CIE. Sabri resiste sul
tetto per tre giorni e tre notti, mentre sotto le mura c'è un presidio
permanente, che sostiene la sua lotta, facendola conoscere in città, con
volantinaggi, giri informativi, dirette alla radio.
All'alba del terzo giorno la polizia, coadiuvata dei vigili del fuoco,
tira giù dal tetto Sabri, che si sloga una caviglia. In strada gli
antirazzisti del presidio bloccano i due ingressi: vengono caricati e
manganellati. In serata un corteo di 500 persone fa il giro del CIE.
Sabri non ce l'ha fatta, ma, grazie alla sua resistenza, la sua storia
personale, che è poi una delle tante storie tutte uguali dei poveri che
emigrano per campare la vita, ha oltrepassato le gabbie del CIE, rompendo
brevemente il muro di silenzio e menzogna che lo circonda.

Roma, venerdì 23 luglio
Samir, il ragazzo che si era tagliato durante la rivolta del 14 luglio al
CIE di Torino e si era ritrovato a Ponte Galeria, sale sul tetto, ingoia
vetri. Venerdì 23, ultimo dei suoi 180 giorni, riguadagna la libertà.

Gradisca, sabato 24 luglio
Presidio solidale organizzato dal coordinamento libertario regionale. Qui
il report.

Gradisca, mercoledì 28 luglio
Il 29 luglio è il giorno che un immigrato italiano negli Stati Uniti,
Gaetano Bresci, uccide il re d'Italia, Umberto I. Umberto I era uno con le
idee chiare sulla cura ai poveri che si ribellano: una bella dose di
cannonate e poi una medaglia al generale che ha fatto sparare sulla folla
inerme. Non abbiamo dubbi che sarebbe piaciuto a Maroni.
Probabilmente gli immigrati rinchiusi nel CIE di Gradisca non sanno niente
di Umberto I e dell'anarchico che gli sparò il 29 luglio di 110 anni fa.
Però sanno per esperienza che la libertà o te la prendi o nessuno te la
da. Nove o, secondo altre fonti, sei immigrati, rinchiusi in cella per
punizione, proprio alla vigilia di quel lontano anniversario, ne hanno
approfittato per fare un buco nel tetto e scappare dal Centro. Il giorno
dopo sono fuggiti altri tre.

Bari, venerdì 30 luglio
Nel CIE di Bari si sta malissimo: qualsiasi richiesta, anche minima, è
accolta con scherno, insulti e magari anche una buona dose di legnate.
Non stupisce che la rabbia a lungo covata sia esplosa in una rivolta tra
le più dure di questo periodo. Ci hanno provato in 50 a riprendersi la
libertà. Secondo quanto riferiscono le agenzie la protesta è scoppiata
nella notte. Gli immigrati, dopo aver divelto con spranghe di fortuna la
recinzione del CIE, si sono scontrati violentemente con polizia,
carabinieri e con i marò del battaglione "S. Marco". Solo sei sono
riusciti a scappare. Altri 30 sono saliti sui tetti, lanciando contro i
militari tutto quello che avevano.
Secondo quanto riportano alcuni siti di informazione tre sezioni sono
state distrutte, ci sono 11 feriti tra i militari e sei tra gli immigrati.
Un senza carte ha un trauma cranico e i medici si sono riservati la
prognosi.
18 reclusi sono stati arrestati con l'accusa di "di devastazione,
saccheggio seguito da incendio, resistenza, violenza e lesioni a pubblici
ufficiali". Il giudice convaliderà l'arresto di 17 di loro, quattro ancora
ricoverati per le ferite riportate durante gli scontri.

Torino, lunedì 2 agosto
I detenuti danno fuoco a qualche materasso per protestare contro il
pestaggio di un senza carte tunisino. Il giorno successivo il ragazzo
pestato verrà arrestato con l'accusa di aggressione.

Brindisi, giovedì 5 agosto
Ci provano in sedici ci riescono in otto. Nello scontro con le forze
dell'ordine un immigrato precipita dal muro di cinta finendo in ospedale
con un piede fratturato. I militari feriti sono due.
Da maggio a luglio dal CIE di Restinco sono scappati 25 immigrati. Il
bilancio arriva quindi a 33.

Trapani, venerdì 6 agosto
Nuova sommossa al Serraino Vulpitta, dove i reclusi attaccano in massa i
loro carcerieri, tentando la fuga. Gli immigrati hanno lanciato
suppellettili e danneggiato le strutture, ma, secondo quanto riferisce il
quotidiano "La Sicilia", sono stati infine bloccati dalla polizia. Due
tunisini, arrestati con l'accusa di aver partecipato attivamente alla
rivolta, sono stati portati in carcere in attesa del processo per
direttissima.
Al CIE di Trapani arriveranno presto 50 militari: lo ha deciso Maroni
nell'ambito del programma "strade sicure", prorogato dal consiglio dei
ministri il 5 agosto.
Sempre il 5 agosto il parlamento ha convertito in legge il decreto emanato
dal governo il 6 luglio il che prorogava le missioni militari all'estero,
tra cui gli accordi con la Libia per l'invio della guardia di finanza per
sostenere le azioni di pattugliamento in mare.
La guerra contro i poveri continua.
La resistenza anche.

Per info:
Federazione Anarchica Torinese

pc quotidiano 11 agosto - india il PC dell'India maoista sostiene il diritto all'autodeterminazione del Kashmir

Srinagar
In una dichiarazione importante emessa venerdì scorso il Partito Comunista dell'India (maoista) ha dichiarato il sostegno del partito per il diritto all’autodeterminazione per il Kashmir e ha fatto appello al popolo dell’India a sostenere la " giusta lotta per la liberazione nazionale del popolo Kashmir. "

Il partito ha detto che "il Kashmir appartiene al popolo del Kashmir" e ha fatto appello al popolo indiano "ad opporsi fortemente alla repressione della popolazione del Kashmir ", ad alzare la voce contro le atrocità dello Stato e alla "spietata uccisione dei giovani da parte delle forze armate ".

"Sostenere senza paura la giusta lotta di liberazione nazionale del popolo Kashmir" dice la dichiarazione del comitato centrale del CPI ( Maoista ). “Invitiamo tutti i cittadini e gli attivisti della popolo indiano a chiedere il ritiro dei militari e paramilitari indiani dal Kashmir e adottare misure severe contro i loro ufficiali."

Il partito ha fatto appello al popolo a guardare attraverso la propaganda dei media sul Kashmir che distorce la storia. "Coloro che conoscono la storia del Kashmir sanno che non è mai stato parte dell’India.”

La dichiarazione dettagliata lunga due pagine indica la profondità di conoscenza del partito dei dettagli degli eventi quotidiani in Kashmir.

"La classe dirigente indiana può dire che la ‘militanza’ è finita e che le ‘organizzazioni separatiste’ sono state schiacciate, ma la verità è che la popolazione del Kashmir continua a combattere ogni giorno."

La dichiarazione accusa anche Omar Abdullah, spinto dalla coalizione di governo, per la sua brutale risposta alla "resistenza democratica".

"Il governo dell'India e il suo governo fan toccio sotto Omar Abdullah hanno risposto con spari, gas lacrimogeni, la repressione e il coprifuoco alla resistenza pacifica e democratica per il popolo del Kashmir,
che continua a lottare."

Attraverso la dichiarazione il CPI (maoista) ha lanciato il suo saluto rivoluzionario (Inqalabi Salam), alla lotta del popolo del Kashmir .

"La lotta armata può essere stata indebolita, ma i giovani hanno utilizzato le pietre come armi per combattere le forze armate dello Stato. Ciò indica solo il loro profondo desiderio di libertà ", dice il comunicato confrontando la "resistenza" nel Kashmir ai nativi del Dandakaranya ." i Kashmiri stanno combattendo contro paramilitari e polizia con pietre, come i tribali indiani lottano nel Dandakaranya
con archi e frecce ".

"Il nemico è lo stesso qui (Dandakaranya ) come là ( Kashmir)."

Il comitato centrale del CPI (maoista), a nome del Partito, dell’Esercito de l Popolo e del popolo rivoluzionario è impegnato a continuare a sostenere pienamente "la vostra lotta " nel Kashmir.

pc quotidiano 11 agosto - antiabortismo di classe

Sono usciti dei dati sugli aborti in Italia, di fonte incerta ma sostanzialmente governativa, che forniscono degli elementi utili alla comprensione attuale del problema e a gettare un segnale su quella che prevedibilmente potrà essere una fase più intensa di attacco ai diritti delle donne da parte del moderno fascismo, qui clerico-fascismo.
Prima dei dati, però, è bene comprendere come si muove in questa fase l'avversario. I tempi delle cieche crociate sono finiti. La stessa Chiesa messa in difesa dall'emergere della questione pedofilia non ha la credibilità necessaria per questo nuovo tipo di crociate; così come l'etica cattolica di questo governo e dei suoi “scandalosi” personaggi davvero non sembra essere un vestito presentabile per essere “legittimati” a fare simili campagne.
Questo fa sì che la campagna attuale debba essere contrastata anche con altri mezzi.

Tornando ai dati, si dice che sarebbero diminuiti gli aborti. Fosse vero! Ma purtroppo le cose non stanno così. Mancano totalmente gli aborti clandestini che sono la maggioranza degli aborti tra le donne immigrate, dove riappare invece piuttosto estesamente il fenomeno delle “mammane”; poi è evidente che gli ostacoli posti dagli ospedali per praticare gli aborti svolgono una funzione forzosamente dissuasiva.
Sono, quindi, altri i dati più importanti, e in un certo senso anche nuovi rispetto al passato:
il 50% sono di donne lavoratrici, e questo ha a che fare obiettivamente con il peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita delle donne che lavorano, per cui la coniugazione del lavoro e maternità è ancora più difficile.
L'altro dato riguarda il fatto che il numero dei ginecologi obiettori e anche di anestesisti e personale non medico arriva – dati del 2008 – a 71,5% e al sud al 80%. Dati al ribasso rispetto alla situazione attuale; sappiamo per conoscenza diretta che in alcune città, in alcuni ospedali di città abbastanza grandi non ci sono medici che praticano gli aborti.
E non si tratta di un dato che si può far corrispondere ad una obiezione di coscienza eticamente intesa; ma un dato di clima, ricatto, gestione degli ospedali, perfino nomine e incarichi, dentro il quadro della privatizzazione della sanità e della logica di guardare soprattutto agli utili, che essa comporta.
Quindi se mettiamo a confronto i due dati, si può vedere come si vada rafforzando il carattere di classe della negazione dell'aborto.
In questo stato di cose, l'annuncio da parte della esponente di punta della campagna antiabortista, il sottosegretario alla salute, Eugenia Roccella, di un “piano federale per la vita, con l'obiettivo di “essere uno strumento in più nella prevenzione dell'aborto”, ci fa capire come questo venga ad essere un tassello del regime in formazione.
Questo richiede che la lotta a difesa del diritto d'aborto non possa essere considerata solo una lotta “femminista” ma parte generale della lotta delle donne, con ruolo di punta delle donne proletarie – la difesa del diritto d'aborto, la sua estensione è un punto che deve essere inserito e valorizzato nella piattaforma di un possibile e necessario sciopero delle donne – e una battaglia che l'intero movimento proletario e comunista deve fare.

pc quotidiano 11 agosto- L'Onu che piace ad Israele



E' tutta una farsa la politica dell'Onu nei confronti dello stato terrorista d'Israele. Di tutte le risoluzioni di questo organismo internazionale volte a ristabilire il diritto alla propria terra e
all'autodeterminazione del popolo palestinese, violato sistematicamente dall'occupazione militare israeliana, al massimo si sono rivelate come denunce però prive di effetti sanzionatori.
E ora, con la formazione della commissione d'indagine sull'uccisione a sangue freddo dei pacifisti della Mavi Marmara carica di aiuti umanitari diretti a Gaza, l'Onu si copre di ridicolo.
Questa commissione è così tanto "indipendente" che uno dei membri è proprio lo stesso Israele che ha ordinato il massacro dei pacifisti.
Gli altri giurati che dovrebbero assicurare un’indagine “imparziale e trasparente” sono l’ex premier neozelandese Geoffrey Palmer, l’ex capo di stato colombiano Alvaro Uribe e il rappresentante della Turchia, Ozdem Sanberk.
Quale "indipendenza" poi potrà assicurare il terrorista narcotrafficante, il criminale con le mani macchiate di sangue del popolo colombiano, sostenuto dagli Usa e amico del Mossad israeliano, Alvaro Uribe, promosso a giudice Onu, è scontata.
"Ho fiducia nei combattenti dell’esercito israeliano e l’intero Stato d’Israele è fiero di loro", "i
combattenti israeliani a bordo della Marmara hanno dimostrato coraggio nell’adempimento del
dovere e nel proteggersi da una reale minaccia alle loro vite", sono le parole del capo del governo
israeliano Netanyahu che preparano l'assoluzione d'Israele per aver usato, ancora una volta, la
"legittima difesa" contro chi lo contrasta!
I giudici sono amici d'Israele, la sentenza è già scritta. E l'Onu rivela ancora una volta la sua natura di strumento al servizio dell'imperialismo.

prolcomra
11/08/2010


pc quotidiano 11 agosto - USCITO NUOVO DOSSIER DEL MFPR


Questo dossier è stato presentato nel recente seminario del 31 luglio e 1° agosto.

Esso comprende:

1.comunicato conclusivo sulla due giorni
2.intervento introduttivo
3.la questione di-rompente dello sciopero delle donne
4.Taranto - Palermo: dalle disoccupate e lavoratrici in lotta
5.L'Aquila: le forti donne contro le iene ridens
6.la battaglia di e con Joy
7.contro padroni, governo, Stato, Chiesa: tutta la vita deve cambiare
8.messaggi: a lavoratrici, donne de L'Aquila, immigrate
9.Appunti per un nuovo pensiero e prassi
femminista proletario rivoluzionario
10. Noi odiamo gli “Uomini che odiano le donne” (copertina)

Al dossier è allegato un dvd su "viaggio del femminismo proletario rivoluzionario".

Chi vuole ricevere dossier e video può richiederlo a mfpr@libero.it

martedì 10 agosto 2010

pc quotidiano 10 agosto - vittoria alla fiat sata - le reazioni

POTENZA - Il licenziamento di tre operai dello stabilimento di Melfi (Potenza) della Fiat (due dei quali delegati della Fiom), deciso dall’azienda il 13 e 14 luglio scorso, ha avuto carattere di “antisindacalità” ed è quindi stato annullato dal giudice del lavoro, che ha ordinato l'immediato reintegro dei tre nel loro posto. Lo si è appreso stamani.

La notizia è stata confermata dal segretario regionale della Basilicata della Fiom, Emanuele De Nicola, secondo il quale “la sentenza indica che ci fu da parte della Fiat la volontà di reprimere le lotte a Pomigliano d’Arco e a Melfi e di 'dare una lezione' alla Fiom”.

I tre operai – Antonio Lamorte, Giovanni Barozzino (entrambi delegati della Fiom) e Marco Pignatelli – furono licenziati perché, durante un corteo interno, secondo l’azienda bloccarono un carrello robotizzato che portava materiale ad operai che invece lavoravano regolarmente.

In seguito prima alla sospensione, l'8 luglio scorso, e poi al licenziamento dei tre operai vi furono a Melfi scioperi e proteste. I tre operai licenziati – uno dei quali si è sposato cinque giorni fa – occuparono per alcuni giorni il tetto della Porta Venosina, un antico monumento situato nel centro storico di Melfi: vi fu anche una manifestazione promossa dalla Fiom-Cgil. Secondo De Nicola, “la sentenza dimostra che le lotte democratiche dei lavoratori non hanno nulla in comune con il sabotaggio. Il teorema 'lotte uguale eversione o sabotaggio' è stato di nuovo smontato e ci aspettiamo le scuse di quanti vi hanno fatto riferimento, a cominciare da personalità istituzionali o rappresentanti degli imprenditori. Speriamo – ha concluso il dirigente lucano della Fiom – che la Fiat torni al tavolo per discutere dei temi che stanno a cuore ai lavoratori, a cominciare dai diritti e dai carichi di lavoro”.

ORE 12.41 - AZIENDA: NESSUN COMMENTO SU REINTEGRO OPERAI «Nessun commento» da parte della Fiat alla decisione del giudice del lavoro di reintegrare nel loro posto i tre operai dello stabilimento di Melfi (Potenza) del gruppo torinese, licenziati a metà dello scorso mese di luglio. Lo hanno detto all’ANSA fonti dell’azienda. Le stesse fonti hanno precisato che la decisione del giudice del lavoro non è stata ancora notificata alla Fiat.

ORE 14.42 - VENDOLA: AZIENDA AVEVA COMPLETAMENTE TORTO
"La decisione del Tribunale di Melfi di reintegrare i tre operai ingiustamente licenziati dalla Fiat in luglio dimostra, ove mai ce ne fosse stato bisogno, che l'azienda aveva completamente torto e che i licenziamenti avevano carattere esclusivamente repressivo e intimidatorio”. Lo afferma il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, in una nota nella quale rileva che “purtroppo quello di Melfi non Š affatto un caso isolato”.

“Riflette invece – spiega – una precisa strategia anti-operaia e antisindacale ovunque adottata dalla Fiat, con l'obiettivo di riportare le relazione sindacali e i rapporti di lavoro a una dimensione che non esito a definire ottocentesca”. “E' fondamentale che ora – conclude Vendola – tutte le opposizioni si mettano al lavoro per concertare insieme una linea politica con la quale contrastare e battere questa inaudita offensiva”.

ORE 14.57 - D'ANOLFO (UGL): AZIENDA CAMBI ATTEGGIAMENTO
"Una notizia positiva per il sindacato e per tutti i lavoratori”: così il segretario dell’Ugl metalmeccanici, Antonio D’Anolfo, ha commentato la sentenza del giudice del lavoro che ha reintegrato tre operai dello stabilimento di Melfi (Potenza) della Fiat licenziati nel luglio scorso dall’azienda.

“Di fronte a questo episodio – ha aggiunto D’Anolfo – Fiat dovrebbe cambiare l’atteggiamento assunto negli ultimi tempi sia perchè è proprio da quanto accaduto a Melfi che il cilma è iniziato a peggiorare sia perchè in Italia esiste un sistema giuridico che tutela diritti dei lavoratori delle piccole come delle grandi aziende, il cui rispetto può essere rivendicato in sede giudiziaria. Ma non è interesse di nessuna delle parti in causa arrivare fino a questo punto, basterebbe invece – ha concluso – rispettare le regole vigenti, che l’azienda ben conosce”.

ORE 14.58 - LANDINI (FIOM): A MELFI GRANDE SENTENZA, ORA SI CHIEDA SCUSA A OPERAI
Una "grande" sentenza che restituisce "la giusta dignità ai tre lavoratori ingiustamente licenziati. In troppi hanno fino ad oggi parlato a sproposito di sabotaggio, oggi devono chiedere scusa ai lavoratori e anche alla Fiom". E’ il leader della Fiom, Maurizio Landini a commentare così con l’ADNKRONOS la decisione del giudice del Lavoro di Potenza che ha annullato il licenziamento dei tre operai dello stabilimento Fiat di Melfi, due dei quali delegati Fiom, per un atto 'antisindacalè ordinandone l’immediato reintegro.

"Una soddisfazione doppia perchè innanzitutto viene dimostrata la volontà antisindacale di Fiat e in secondo luogo perchè viene confermata l’importanza dello Statuto dei lavoratori in un momento in cui il governo ha annunciato di volerci mettere mano", aggiunge. Ma la sentenza, prosegue Landini, "deve far riflettere anche la Fiat perchè la vicenda ha dimostrato come il tentativo di uscire da una crisi cancellando i contratti e le leggi non porti da nessuna parte, nè l’azienda nè i lavoratori".

Per questo il Lingotto "anzichè chiedere deroghe o cancellazioni del contratto, o peggio ancora inventarsi Newco strane che in Italia non esistono, farebbe meglio a fare i conti fino in fondo con l’attuale sistema di relazioni sindacali affrontando i problemi di riorganizzazione produttiva con tutti i sindacati perchè senza un consenso unanime le fabbriche non funzionano", prosegue Landini ribadendo la disponbilità delle tute blu della Cgil ad un "confronto vero che rispetti il contratto". Per questo Federmeccanica, Fim e Uilm che a settembre, sulla scia della vicenda di Pomigliano, torneranno a confrontarsi sulle possibili deroghe contrattuali necessarie ad assicurare maggiori flessibilità alle aziende, dovrebbero fermarsi.

"Prima di fare altri disastri si fermino", ammonisce Landini. "Sarebbe assurdo che un contratto che non è mai stato sottoposto al referendum di tutti i lavoratori siano ora di fatto cancellato senza passare da una consultazione".

ORE 15.06 - BELISARIO (IDV): SCONFITTA DEGLI ARROGANTI
"Il reintegro dei tre lavoratoridi Melfi va nella direzione del rispetto dei diritti dei lavoratori e contro l’arroganza di un’azienda, la Fiat, che con la complicità del Governo e di una parte dei sindacati pretendeva di comportarsi come negli anni 50”.

E' il commento del capogruppo al Senato dell’Italia dei valori, Felice Belisario, alla sentenza del giudice del lavoro che ha dichiarato antinsindale la decisione della Fiat: “Non avevamo dubbi – ha aggiunto – che i tre lavoratori, tutti sindacalisti, illecitamente licenziati, sarebbero stati reintegrati. Ma questo evidentemente è solo l’inizio. La magistratura non consentirà neanche contratti aziendali peggiorativi del contratto nazionale. Per fortuna le leggi, e i magistrati che le applicano, tutelano ancora i lavoratori. Sacconi e Marchionne – conclude Belisario – ne prendano atto e cambino direzione se non vogliono un altro durissimo scontro, che non serve a nessuno e un’altra sonora sconfitta”.

ORE 15.10 - LETTIERI: DIRIGENTI FABBRICA LUCANA INADEGUATI
L'ex Sottosegretario all'Economia,Mario Lettieri, in una dichiarazione, ha detto che “la sentenza del giudice di Melfi rende giustizia, come era prevedibile e giusto, ai tre lavoratori licenziati”.

“Però evidenzia anche – ha aggiunto l’ex Sottosegretario - l'inadeguatezza della dirigenza Fiat di Melfi, la cui 'cecita” portò alcuni anni fa ai 21 giorni di protesta delle tute amaranto. Ignorano i diritti e le esigenze deio lavoratori dello stabilimento di Melfi che, comè noto, è il più produttivo del sistema Fiat. L’amministratore Marchionne, perciò – ha concluso Lettieri – prima del comportamento degli operai, dovrebbe valutare bene quello dei suoi dirigenti”.

ORE 15.32 - PALOMBELLA (UILM): BENE SENTENZA MELFI MA TARDIVA, PERSA LA PRODUZIONE DELLA MONOVOLUME "LO"
Una sentenza "giusta" ma "tardiva"; le proteste della Fiom "che ha messo a ferro e a fuoco lo stabilimento" hanno già dissuaso l’azienda dal produrre la monovolume 'Lò in Italia trasferendola in Serbia. E’ il leader della Uilm, Rocco Palombella,conversando con l’ADNKRONOS, a commentare così la decisione del giudice del Lavoro di Potenza che ha reintegrato i tre operai dello stabilimento di Melfi licenziati da Fiat lo scorso mese imputando all’azienda un comportamento 'antisindacale'.

"Le sentenze non si commentano ma si applicano. Ma a questo risultato si poteva arrivare senza mettere a ferro e fuoco lo stabilimento come ha fatto la Fiom che si è resa di fatto responsabile della decisione dell’azienda di portare la produzione della Lo in Serbia. Dopo 15-20 giorni di blocco dello stabilimento per una sentenza che comunque sarebbe arrivata ha dissuaso il Lingotto da un forte investimento in Italia", spiega.

"Quando c'è un comportamento antisindacale è giusto che ci si rivolga ad un arbitro ma il sindacato deve sapere tenere i nervi saldi e non cadere nelle provocazioni dell’azienda evitando di mettere a ferro e fuoco gli stabilimenti che invece vanno sempre preservati", aggiunge. "La sentenza dunque non ha messo in mostra il lato positivo della vicenda, la saldezza delle maestranze, ma quello negativo, e cioè una litigiosità paralizzante", conclude.

ORE 16.08 - FARINA (FIM): SENTENZA MELFI CONFERMA CHE SISTEMA GARANZIE FUNZIONA
"E' una sentenza che conferma che il sistema di garanzie funziona e che c'è una legge che tutela i lavoratori da comportamenti sbagliati da parte dell’azienda. La Fiat aveva esagerato, aveva fatto una forzatura così come è stata sbagliata la reazione della Fiom. Il dato vero alla fine di tutto, dunque, ci dice che le vicende industriali e sindacali non possono essere affrontate con estremismi ma che è necessario ora concentrarsi sul progetto industriale". Così il segretario generale della Fim, Giuseppe Farina, commenta la decisione del giudice del Lavoro di Potenza che ha reintegrato su posto di lavoro i tre operai della Fiom dello stabilimento Fiat di Melfi licenziati lo scorso luglio.

"Il tema vero, dunque, non è quello di procedere per comportamenti estremi ma di concentrarsi sul progetto fabbrica Italia e di vedere che strada Fiat intenda garantire non solo sul fronte del lavoro ma anche per migliorare il reddito. Il Lingotto fino ad oggi, infatti, ha messo bene in chiaro le proprie esigenze produttive e quello che chiede a sindacati e a lavoratori ma servirebbe uno sforzo in più su quali saranno i ritorni economici, i miglioramenti salariali che li attendono", conclude.

ORE 16.11 - DAMIANO: A MELFI BENE REINTEGRO, ORA TORNI CLIMA CONFRONTO
“La giustizia del lavoro ha fatto il suo corso. E’ una buona notizia la sentenza del reintegro dei tre lavoratori della Fiat di Melfi. Ci auguriamo che da ciò discenda un clima di rapporti improntati al confronto e non allo scontro e che anche per gli altri lavoratori licenziati dalla Fiat si possa aprire la possibilità di un ritorno al lavoro". Lo ha detto Cesare Damiano, capogruppo del Pd in commissione Lavoro, commentando la decisione del giudice del Lavoro di Potenza che ha annullato i licenziamenti dei tre operai dello stabilimento Fiat di Melfi.

"Gli obiettivi di competitività che l’azienda si propone giustamente di raggiungere, possono essere realizzati soltanto a condizione che si ripristini all’interno degli stabilimenti la scelta del confronto e della contrattazione", conclude.

ORE 16.13 - PRESIDENTE BASILICATA: DOPO REINTEGRO OPERAI MELFI RIPRENDA IL DIALOGO
“La sentenza con la quale il giudice del lavoro di Melfi ha annullato il licenziamento dei tre operai dello stabilimento Sata di Melfi, ordinandone l’immediato reintegro nel posto di lavoro, se da un lato rende giustizia agli interessati, accusati a torto di aver interrotto il processo produttivo all’interno della fabbrica lucana, dall’altro pone le condizioni per riannodare i fili di un dialogo interrotto tra i vertici aziendali e una parte del sindacato di Basilicata”. Lo afferma il presidente della Regione Basilicata, Vito De Filippo, dopo il reintegro degli operai licenziati il 13 ed il 14 luglio, i delegati Fiom Antonio Lamorte e Giovanni Barozzino e Marco Pignatelli.

Dopo la sospensione, poi tramutata in licenziamento, i tre operai protestarono anche salendo sulla Porta Venosina di Melfi per alcuni giorni, interrompendo la protesta solo per il malore di uno di loro.

“La decisione del giudice mi solleva dal punto di vista personale, prima ancora che istituzionale - sostiene De Filippo - dall’intima angoscia che sempre procura la perdita anche di un solo posto di lavoro. Tanto più se ad essere interessati, come in questo caso, sono padri di famiglia o giovani che hanno appena deciso di convolare a nozze. Nello stesso tempo però credo che la Regione debba continuare a mantenere la barra dritta, come ha fatto sino ad oggi, nella convinzione che ciascuna delle parti in causa saprà far prevalere il senso di responsabilità per il bene comune dei lucani”.

ORE 16.3O - PRESIDENTE PROVINCIA POTENZA: AZIENDA E PARTI SOCIALI RITROVINO UNA FORTE TENSIONE UNITARIA PER LA DIFESA DEI DIRITTI E IL FUTURO DEL PRESIDIO INDUSTRIALE DI MELFI
“La sentenza di annullamento dei licenziamenti dei tre lavoratori di Melfi è un’importante notizia che può aiutare a costruire condizioni di confronto meno aspro in un momento delicato in cui la crisi economica ha già rotto il delicato equilibrio tra diritti e produttività, tra dignità del lavoro e competitività”. Lo ha dichiarato il presidente della Provincia di Potenza, Piero Lacorazza, dopo la decisione del giudice del lavoro di reintegrare i tre operai licenziati il 13 ed il 14 luglio alla Fiat di Melfi.

“Fiat, innanzitutto, è chiamata a questo sforzo insieme a tutti le parti sociali - aggiunge - che devono ritrovare una forte tensione unitaria per la difesa dei diritti e il futuro del presidio industriale di Melfi. E’ una responsabilità storica che appartiene anche al ruolo delle istituzioni, come già dichiarai partecipando allo sciopero del 16 luglio a Melfi, e che proveremo ad esercitare nell’interesse del territorio”.

ORE 17.07 - PD BASILICATA: REINTEGRO OPERAI OPPORTUNITA' PER AZIENDA E SINDACATO
“Il reintegro sul posto di lavoro dei tre operai della Fiat di Melfi licenziati nelle settimane scorse può rappresentare un’utile opportunità per azienda e sindacato al fine di riattivare una relazione proficua volta a dare più forza allo stabilimento di Melfi e attraverso esso all’intero settore dell’automobile in Italia ed in Basilicata”. Lo afferma Roberto Speranza, segretario regionale del Pd lucano.

“Il tempo è maturo - aggiunge Speranza - per aprire una discussione reale che metta al centro il tema della produttività del lavoro, purtroppo ancora troppo bassa nel nostro Paese ma dentro un quadro di regole e relazioni industriali chiare e condivise e nel pieno rispetto dei diritti e delle garanzie dei lavoratori. Solo questa comune consapevolezza potrà arrecare benefici all’intero sistema produttivo senza fughe in avanti o impostazioni ideologiche che rischiano di spezzare quel clima di collaborazione che è unica condizione possibile in grado di portare risultati positivi a tutte le parti”.

ORE 18.18 - I TRE OPERAI: MESE DA INCUBO E ORA SIAMO FELICI
La «felicità per essere usciti da un inferno durato 32 giorni», ma anche «la gratitudine per quanto è stato fatto dalla Fiom-Cgil», sono il sentimento comune dei tre operai licenziati il 13 e 14 luglio scorsi dalla Fiat-Sata di Melfi (Potenza), e che saranno reintegrati sul posto di lavoro, dopo la decisione, depositata oggi, del giudice del lavoro, Emilio Minio.

«Per me sono stati momenti molto difficili, anche perché stavo facendo i preparativi per il matrimonio» (celebrato il 5 agosto scorso) ha raccontato all’ANSA Antonio Lamorte, operaio di Rionero in Vulture (Potenza), ed anche delegato della Fiom. «Mia moglie ed io – ha aggiunto l’operaio – eravamo molto preoccupati per il nostro futuro, a volte venivamo presi dall’ansia: è stato un vero incubo. Ora, chiaramente, ci siamo tranquillizzati. In fondo, però, sono sempre stato convinto che la giustizia avrebbe fatto il suo corso».

La coppia, il 23 agosto, partirà in crociera per il viaggio di nozze. «Spero, al mio rientro in fabbrica – ha concluso Lamorte – di trovare una Fiat disposta a ristabilire la tranquillità e le corrette relazioni sindacali».

«La prima cosa che ho detto, quando ho letto in Tribunale la decisione del giudice – ha raccontato Giovanni Barozzino, che è di Rionero in Vulture ed è delegato della Fiom – è che forse, lassù, esiste davvero un Dio. Sono stato sempre un pò scettico, ma ora in me è cambiato qualcosa. Adesso voglio starmene tranquillo, dopo giorni d’inferno, e stare vicino alla mia famiglia, che ha molto sofferto e che ha dovuto sopportare il mio nervosismo».

«Sono contentissimo per la decisione del giudice – ha commentato il potentino Marco Pignatelli, l’operaio che ebbe un malore durante la protesta fatta sulla 'Porta Venosina' di Melfi, dopo il licenziamento – e sono veramente grato al sindacato per quello che ha fatto. Dopo giorni difficili, ora sono soddisfatto. Non si può, di questi tempi, permettersi di perdere il lavoro».




10 Agosto 2010

pc quotidiano 10 agosto - vittoria contro i licenziamenti alla fiat sata

proletari comunisti condivide la gioia e la soddisfazione degli operai reintegrati e di tutti gli operai fiat sata



Melfi: Sentenza del tribunale condanna la Fiat per comportamento antisindacale. Immediato reintegro al lavoro per i tre lavoratori (di cui due delegati della Fiom) ingiustamente licenziati con l'accusa di sabotaggio.


Dichiarazione di Maurizo Landini, segretario generale della Fiom

E' con grande soddisfazione che apprendiamo della sentenza del tribunale di Melfi, che condanna la Fiat per comportamento antisindacale, che ordina l'immediato reintegro al lavoro per i tre lavoratori (di cui due delegati della Fiom) ingiustamente licenziati con l'accusa di sabotaggio. Giustizia è fatta applicando lo Statuto dei diritti dei lavoratori e grazie ad una Magistratura indipendente che si è basata sui fatti realmente accaduti.

Ci auguriamo che la Fiat valuti tutto ciò con molta attenzione, perché pensare di uscire dalla crisi cancellando il Contratto nazionale, le Leggi e la Costituzione porta solo fuori strada e non risolve nessun problema. La Fiom conferma la disponibilità a riaprire un vero negoziato su tutti i temi aperti con la Fiat, che ricerchi le soluzioni nel rispetto del Contratto nazionale, delle Leggi e della Costituzione.

E' fuorviante pensare che i problemi si possono risolvere con la cosiddetta “Newco” a Pomigliano e con le deroghe al Contratto nazionale, sarebbe utile che anche Fim e Uilm se ne rendessero conto.

La contrattazione collettiva è una risorsa anche per ricercare soluzioni innovative tra le parti, se diventa una reale mediazione tra i diversi interessi del lavoro e dell'impresa. Per uscire dalla crisi il lavoro deve diventare interesse generale per il Paese, ricercando un nuovo e ambientalmente sostenibile modello di sviluppo.

Per questo essere a Roma il 16 ottobre alla Manifestazione nazionale dei metalmeccanici per il lavoro, la democrazia, la legalità ed un vero contratto nazionale significa essere dalla parte giusta: quella del Lavoro e della Giustizia sociale.

Fiom nazionale

Melfi, 10 agosto 2010

pc quotidiano 10 agosto - NAPOLI - "BASTA CON LA MENZOGNA DELL'ERRORE UMANO"

Un comunicato dall'Assemblea 29 giugno di Viareggio:

BASTA CON LA MENZOGNA dell’errore umano !

Ancora un treno deragliato a Gianturco, nei pressi di Napoli; questa volta, purtroppo, con la drammatica conseguenza di un morto, Giuseppe Marotta, 78 anni, e 58feriti, di cui uno gravissimo, Vincenzo Scarpati, 25 anni, tutt’ora in coma farmacologico.
Vogliamo comunicare, innanzitutto, la nostra vicinanza ai familiari di Giuseppe e a Vincenzo, insieme alla nostra solidarietà ai feriti.

Ma, anche, dichiarare la nostra indignazione riguardo alle accuse all’unico macchinista del treno, a fronte delle condizioni di (in)sicurezza in cui versa anche quel non indifferente “pezzo” di trasporto ferroviario che è la Circumvesuviana, con 1.800 dipendenti, 6 linee, 38 milioni di passeggeri, di cui è proprietaria la società Ente Autonomo Volturno (EAV) che fa a capo alla Regione Campania !

Riteniamo vergognoso tentare, ancora una volta, di addossare tutte le responsabilità sul lavoratore (“ultima ruota del carro”), tacendo sul fatto che era solo alla guida e che mancava, pur essendo il treno nuovo, il meccanismo di controllo della velocità che esiste sulla gran parte dei treni delle ferrovie. Fatto che non ha taciuto, invece, il padre di Vincenzo, macchinista anche lui, che ha gridato le vere responsabilità.

Non sappiamo ancora, e chissà se e quando, come sono andate realmente le cose, ma anche nel caso in cui fosse stato commesso un errore da parte del macchinista, il vero crimine è che non sia installato quel sistema di sicurezza che avrebbe immediatamente arrestato il treno ed impedito il dramma.

Così come non accetteremmo mai, come abbiamo sempre affermato, che le responsabilità del disastro di Viareggio del 29 giugno siano addossate all’ultimo operaio di questa o quella officina. Anche per questo vogliamo che vengano fuori, e al più presto, i nomi degli indagati e che siano quelli giusti !

8 agosto 2010 Assemblea 29 giugno
Associazione “Il mondo che vorrei”
Comitato Avif