In un articolo, insolitamente lucido data la fine del personaggio Fausto Bertinotti, viene ripresa un'analisi decisamente più corretta del piano Marchionne di quanto appaia normalmente su Il Manifesto e in voga negli ambienti della sinistra parlamentare e del sindacalismo di opposizione.
“E' in campo una rivoluzione reazionaria provocata dall'impresa multinazionale che può avere esiti più generali sconvolgenti”, dice Bertinotti, aggiungendo inoltre che “...ci si aspettava un attacco del governo e della Confindustria di messa in discussione del CCNL in direzione di un patto neocorporativo, con il consenso di una parte rilevante del sindacato, quello che non ci si aspettava che fosse direttamente l'impresa multinazionale, intervenuta sulla sollecitazione di una dimensione internazionale”.
Si mettono poi in luce di come si tratti di un “attacco al modello sociale europeo, con l'impresa che ne prende il comando forgiata sul modello nord americano che lascia intravedere, oltre la drammatica demolizione dei diritti dei lavoratori, un rapporto tra lavoratori e impresa che arriva fino all'annichilimento della persona che lavora”.
Si critica la posizione di chi ha considerato Pomigliano un caso a sé e come tale isolabile; così come si critica la posizione di chi “critica Marchionne ma ne fa risalire la responsabilità al governo nazionale”, e giustamente si dice “la scelta della Fiat non deriva da tale deplorevole contesto, ma dalla collocazione scelta da parte dell'azienda nella competitività internazionale e dalla sua autonoma decisione di quale modello d'impresa perseguire”. E si afferma che “lo scontro è con la Fiat”.
Aggiunge che non è neanche vero “nè regge il 'ma fanno tutti così'; come “porta fuori strada anche insistere sul grande ritorno, quello di un Marchionne come Valletta e come Romiti... non solo perchè su questa via si rischia di perdere l'essenziale della nuova contesa ma anche... di non vedere una differenza storica rilevante. Valletta e Romiti hanno fatto ricorso ad ogni mezzo anche il più detestabile per prevalere in un duro conflitto di classe di cui tuttavia almeno veniva riconosciuta l'esistenza. Marchionne invece la nega e con essa nega ogni autonomia del sindacato come dei lavoratori per proporre la nuova impresa come una macchina da guerra, autoritariamente coesa al suo interno al fine di combattere il competitore nemico esterno”.
E' quello che noi chiamiamo fascismo padronale, dentro il moderno fascismo in formazione nell'imperialismo italiano.
Bertinotti, poi, non manca di mandare una frecciata – ma meriterebbe ben più di una frecciata – verso l'idea di poter aggirare questo scontro per la via di una sostituzione qui ed ora dell'auto con nuove produzioni ecologiche. Si tratta qui delle posizioni ampiamente espresse da Guido Viale sul Manifesto e di cui si fa portavoce nelle fila operaie quella parte meno evoluta del sindacalismo di classe che è la Cub di Tiboni che attraverso queste posizioni diserta di fatto il conflitto reale in corso.
Infine, anche la conclusione di Bertinotti è apprezzabile: “Marchionne e i suoi compagni di avventura... hanno fatto e perseguono una scelta che non è fuori dal Contratto e dalla Costituzione, essa è contro il Contratto e contro la Costituzione. Bisognerebbe intenderlo bene e trarne tutte le conseguenze sociali, politiche, istituzionali, altrimenti la sinistra non rinascerà”.
Bertinotti è stato uno dei principali fautori e sostenitori del “padrone progressista Marchionne”, ha dato un fortissimo contributo all'affermazione di Marchionne, contribuendo attivamente a quella demolizione di una sinistra di opposizione in questo paese, anche parlamentare. Va bene che siamo in un paese di trasformisti ma è davvero assai improbabile che chi è parte della malattia della cosiddetta “sinistra” ne sia anche il medico curante! La ”sinistra” di cui parla Bertinotti non rinascerà o nasce già morta, e questo non è un male ma un bene.
Tocca ad altri trarne tutte le conseguenze sociali, politiche, istituzionali anche delle analisi contenute nell'articolo per rispondere alla macchina da guerra di Marchionne con la guerra di classe.
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