Chiusura progressiva dei centri di detenzione e collaborazione nel contrasto all’immigrazione irregolare in cambio di finanziamenti, senza però specificare le tempistiche. Nella bozza della rinegoziazione del Memorandum Italia-Libia sui migranti diffusa da Avvenire si legge il tentativo del governo di Roma di limitare, fino arrivare alla chiusura delle strutture stesse, il ricorso alla detenzione nei centri diventati famosi per i soprusi, le minacce, le estorsioni, le torture e le uccisioni da parte delle milizie che li controllano.
Nel documento si parla, ad esempio, di “rilascio di donne, bambini e altri individui vulnerabili dai centri e alla chiusura di quei centri che, in caso di ostilità, siano più direttamente esposti al rischio di essere coinvolti nelle operazioni militari”. Provvedimenti, questi, che non vengono però indicati come urgenti o immediati, così da rendere impossibile stabilire le tempistiche. Inoltre, le strutture di detenzione vengono definite sempre “centri d’accoglienza”, mentre le inchieste giornalistiche degli ultimi anni hanno raccontato di luoghi più simili a dei lager, sovraffollati, dove acqua e cibo scarseggiano, così come l’accesso alle cure sanitarie di base, mentre abbondano le violenze dei carcerieri. A tutto questo, anche per giustificare le richieste del governo italiano, non si fa cenno.
Nel primo punto del documento, composto da 8 articoli, Roma propone alla controparte di “avviare e proseguire iniziative di cooperazione, con riferimento al sostegno alle istituzioni di sicurezza e militari al fine di arginare i flussi di migranti irregolari e affrontare le conseguenze da essi derivanti”. Si rinnova così, dietro “sostegno e finanziamento”, oltre a “supporto tecnico e tecnologico”, la partnership Italia-Tripoli per bloccare le partenze dalle spiagge libiche. Punto contenuto già nell’accordo tutt’oggi in vigore raggiunto dall’ex ministro dell’Interno, Marco Minniti, oggetto di critiche dopo alcune inchieste giornalistiche che rivelavano il trasferimento dei fondi italiani dal Governo di Accordo Nazionale libico alle milizie che di fatto controllavano i flussi.
Nel documento si legge anche che si dovranno “avviare programmi di sviluppo, attraverso iniziative capaci di creare opportunità lavorative ‘sostitutrici di reddito’ nelle regioni libiche colpite dai fenomeni dell’immigrazione irregolare, traffico di esseri umani e contrabbando”, ammettendo implicitamente che proprio il traffico e lo sfruttamento dei migranti nei centri rappresentano una delle principali fonti di guadagno per i gruppi che operano nell’area.  Il processo di chiusura delle strutture dovrà essere accompagnato dal “pieno e incondizionato accesso agli operatori umanitari, che potranno rafforzare l’attività di assistenza umanitaria a favore dei migranti e delle comunità ospitanti”, impedendo invece l’entrata nei centri “del personale che non abbia adeguate credenziali in materia di diritti umani”.In cambio, “l’Italia si impegna a sostenere finanziariamente, con corsi di formazione e con equipaggiamento la guardia costiera del Ministero della Difesa (libico, ndr)”, lasciando aperta anche la possibilità di un supporto degli “organi e dipartimenti competenti del Ministero dell’Interno”, anch’esso dotato di una propria milizia navale. I mezzi, però, dovranno essere equipaggiati esclusivamente con le attrezzature fornite, non dovranno essere riarmati e dovranno essere usati in azioni che assicurino “il pieno rispetto del diritto internazionale”.
Inoltre, “la Parte italiana si impegna a fornire supporto tecnico e tecnologico agli organismi libici incaricati della prevenzione e del contrasto all’immigrazione irregolare e delle attività di ricerca e soccorso in mare e nel deserto. Le Parti si impegnano a sostenere le misure adottate dall’Unhcr-Acnur e dall’Oim nel quadro del piano d’azione per l’assistenza ai migranti in Libia e la Parte libica assumerà ogni utile iniziativa per facilitarne l’attuazione”. Ma di questo, scrive il quotidiano, le agenzie Onu citate non sono state informa