domenica 31 dicembre 2023

pc 31 dicembre - 'FORMIAMO UN CONTINGENTE CHE VA IN PALESTINA'. DALLA PIAZZA DI MILANO - UNA PAROLA D'ORDINE DA PORTARE IN TUTTE LE PIAZZE!

UN GIUSTO APPELLO CHE APPOGGIAMO, CHE VA APPOGGIATO E FATTO CRESCERE

...contro i criminali sionisti israeliani, noi siamo pronti, per una forza di interposizione, a fare scudi umani con i nostri corpi, contro i vostri carri armati, le vostre armi che stanno uccidendo gli innocenti a Gaza... Siamo pronti a partire subito, per i nostri fratelli

Questo importante messaggio, è  stato lanciato al corteo di sabato 23  dicembre a Milano, (per problemi tecnici del primo intervento abbiamo solo l'audio) e saltutato calorosamente dalla manifestazione.

https://drive.google.com/file/d/1U5-kAD04YHw8K4x1g3gTvCX5EkRt8TTq/view?

UNA    PAROLA D'ORDINE   DA   PORTARE IN  TUTTE LE  PIAZZE!

   ...noi siamo pronti, come Proletari Comunisti, come operai dello Slai Cobas per il sindacato di classe, a costruire una brigata di solidarietà e andare in Palestina a Gaza. Questo serve, costruire le nostre brigate di solidarietà internazionali, e andare a contrastare quelli che sono i fascisti e nazisti...

pc 31 dicembre - Immagini e video manifestazione 30 dicembre per la Palestina - Milano

Corteo di 2mila persone da Porta Ticinese a Porta Romana fra slogan e bandiere 
 

altro video https://www.ansa.it/lombardia/videogallery/2023/12/30/milano-nuova-manifestazione-pro-palestina-israele-nazista_3c9d62e2-d439-4975-9d7c-4ed69acaee71.html


pc 31 dicembre - 7 ottobre - Azione eroica della resistenza palestinese e menzogne israeliane - un contributo

Nuove informazioni sulle menzogne israeliane sul 7 ottobre

Un generale israeliano ha ucciso altri israeliani e poi ha mentito. Prosegue la controinchiesta di Electronic Intifada sulle vittime dell’attacco palestinese ai kibbutz israeliani del 7 ottobre.

Video e testimonianze recentemente pubblicati dai media israeliani rivelano nuovi dettagli su come le forze israeliane hanno ucciso i propri civili nel Kibbutz Be’eri il 7 ottobre.
La settimana scorsa, il Canale 12 di Israele ha pubblicato un filmato inedito di un carro armato israeliano che sparava contro una casa civile nell’insediamento, a pochi chilometri a est di Gaza.
Le nuove prove dimostrano che il comandante israeliano sul posto, il generale di brigata Barak Hiram, ha mentito a un importante giornalista israeliano su ciò che è accaduto nel kibbutz quel giorno, dopo che i combattenti della resistenza palestinese hanno lanciato un assalto su larga scala alle basi militari israeliane e agli insediamenti oltre il confine di Gaza.
Si tratta di un tentativo di insabbiamento da parte di un alto ufficiale militare, con la complicità dei media.
Ma, lungi dall’essere ritenuto in qualche modo responsabile, Hiram si appresta ad assumere il suo nuovo ruolo di comandante della Divisione Gaza, la Brigata dell’esercito israeliano che è stata sbaragliata dalle forze palestinesi il 7 ottobre.
Hiram risiede nell’insediamento di Tekoa, costruito in violazione del diritto internazionale vicino alla città di Betlemme, nella Cisgiordania occupata.
In un’intervista rilasciata il 26 ottobre a Ilana Dayan, conduttrice del prestigioso programma investigativo Uvda del Canale 12 israeliano, Hiram ha fornito un resoconto falso degli sforzi per salvare i civili a Be’eri.
Ha anche inventato una propaganda di atrocità, sostenendo che i combattenti palestinesi avevano legato e giustiziato a sangue freddo 10 civili nel kibbutz, otto dei quali erano bambini.
Questo tipo di storie raccapriccianti – amplificate dai leader israeliani e trasmesse direttamente alla Casa Bianca e ai media di tutto il mondo – hanno avuto un ruolo diretto nell’incitare il governo occidentale e il sostegno pubblico alla risposta genocida di Israele.
L’intervista di Hiram a Dayan è stata trasmessa più di 10 giorni dopo la testimonianza di Yasmin Porat alla radio di Stato israeliana – un resoconto molto diverso da quello di Hiram e molto meno lusinghiero per le forze israeliane.
Porat era tra i 15 civili trattenuti dai combattenti palestinesi nella casa colpita dal carro armato che si vede nel nuovo video, la casa di Pessi Cohen, residente del kibbutz Be’eri, anch’egli ucciso lì.
Nell’intervista rilasciata il 15 ottobre alla radio israeliana, divenuta virale dopo la traduzione di The Electronic Intifada, Porat ha descritto come lei e il suo compagno Tal Katz si trovassero al rave Supernova quando è iniziato il lancio di razzi da Gaza la mattina presto di sabato 7 ottobre.
La coppia è salita in macchina ed è fuggita a Be’eri, dove ha bussato alla porta dei residenti del kibbutz Adi e Hadas Dagan.
Si sono nascosti con i Dagan finché i combattenti palestinesi non li hanno trovati e li hanno portati in un’altra casa vicina, dove altre decine di combattenti di Hamas tenevano prigionieri altri civili.
Le prime notizie riportavano erroneamente che questi eventi si erano svolti nella sala da pranzo del kibbutz.
A casa di Pessi Cohen, secondo Porat, i combattenti palestinesi hanno trattato la dozzina di civili israeliani “umanamente”, assicurando loro che non avrebbero subito ulteriori danni.
I palestinesi hanno fornito loro dell’acqua e li hanno fatti uscire sul prato per sfuggire al caldo.
Secondo Porat, i combattenti volevano che le autorità israeliane, che pensavano si stessero già ammassando nell’area, concedessero loro un passaggio sicuro per tornare a Gaza, dove avrebbero poi rilasciato i civili al confine.
Le richieste dei combattenti sono state trasmesse a Porat tramite Suhayb al-Razim, un autista di minibus palestinese di Gerusalemme Est occupata, che avevano anche catturato e costretto a fare da traduttore in ebraico.
Al-Razim era stato fatto prigioniero all’inizio della giornata mentre trasportava i festaioli israeliani da e verso il Supernova rave.
Su richiesta dei combattenti palestinesi, Porat ha chiamato la polizia israeliana affinché gli uomini armati potessero negoziare la loro uscita.
Dopo numerose telefonate con la polizia, gli ostaggi e i loro rapitori hanno atteso l’arrivo delle forze israeliane. Quando queste hanno finalmente raggiunto la casa di Pessi Cohen, hanno iniziato a sparare senza preavviso, ha raccontato Porat.
Uccisi dal loro stesso esercito
“Eravamo fuori e all’improvviso ci è arrivata una raffica di proiettili dall’unità [israeliana] YAMAM. Abbiamo iniziato a correre per trovare un riparo”, ha raccontato Porat a Channel 12.
Nel corso dello scontro a fuoco che ne è seguito, un comandante palestinese, poi identificato come Hasan Hamduna, ha negoziato la propria resa con le forze israeliane. Gli hanno ordinato di spogliarsi e di uscire con Porat.
Quando sono usciti, Porat ha chiesto agli israeliani di smettere di sparare, cosa che hanno fatto. Poi ha visto diversi residenti del kibbutz stesi a terra – persone che, con un’unica eccezione, sarebbero finite morte.
Alla domanda se le forze israeliane potessero averli uccisi, Porat ha risposto: “Senza dubbio”.
“Hanno eliminato tutti, compresi gli ostaggi. Perché c’era un fuoco incrociato molto, molto pesante”, ha detto Porat. “Sono stato liberato alle 17:30 circa. I combattimenti sono terminati apparentemente alle 20.30. Dopo un folle fuoco incrociato, sono stati sparati due colpi di carro armato nella casa”.
Tra le persone uccise dai proiettili dei carri armati c’erano Adi Dagan e Tal Katz, compagno di Porat.
Hadas Dagan fu ferita ma sopravvisse – l’unico israeliano, oltre a Porat, a uscire vivo dalla battaglia.
In un’altra intervista del mese scorso, Porat ha rivelato che, secondo Hadas Dagan, il bombardamento dei carri armati avrebbe ucciso anche Liel Hatsroni, una ragazzina di 12 anni che i propagandisti israeliani sostengono essere stata uccisa dai palestinesi.
All’inizio di questo mese, Hadas Dagan ha rilasciato la sua prima intervista, confermando parti fondamentali del racconto di Porat.
L’intervista fa parte di un servizio di mezz’ora di Channel 12, pubblicato il 9 dicembre, in cui compaiono anche Porat e i familiari di altri prigionieri israeliani uccisi nello stesso incidente.
“È ovvio che questo incidente presenta un dilemma morale molto pesante. Non voglio che qualcuno prenda la storia con il difficile dilemma morale presentato qui e punti un dito accusatorio contro l’esercito”, dice Dagan quando identifica la causa immediata della morte di suo marito. “Per me è molto chiaro che io e Adi siamo stati feriti dalle schegge del carro armato perché è successo proprio in quel momento”.
La donna descrive l’orribile esperienza di vedere il marito sanguinare su di lei da un foro nel collo lungo diversi centimetri, fino a quando non ha smesso di muoversi.
“Sono arrabbiata, molto arrabbiata. Sono arrabbiata perché siamo stati abbandonati, perché siamo stati traditi, perché siamo stati soli, soli, soli, per così tante ore”, dice. “Adi, per finire la sua vita così, in quel modo, accartocciato”.
“All’improvviso ho visto un carro armato”
Un video girato vicino al suolo mostra un carro armato che attraversa il kibbutz il 7 ottobre, mentre le riprese aeree effettuate da un elicottero israeliano mostrano un carro armato che spara una granata contro la casa di Pessi Cohen alle 17:33. I combattenti israeliani presenti hanno descritto il colpo come un avvertimento.
Il carro armato ha poi subito danni, forse a causa di un razzo RPG sparato dall’interno della casa dai combattenti di Hamas. “In seguito, il carro armato è stato danneggiato e ne è arrivato un altro che ha portato a termine la missione”, ha riferito Channel 12.
Nel servizio del 9 dicembre, Hadas Dagan ha confermato il resoconto di Yasmin Porat, che ha parlato di lunghe trattative con i combattenti palestinesi prima che le forze israeliane arrivassero e iniziassero a sparare.
Channel 12 ha fatto ascoltare l’audio delle telefonate fatte da Porat in cui lei, i gemelli israeliani di 12 anni Liel e Yanai Hatsroni e il comandante palestinese Hasan Hamduna parlano con i servizi di emergenza.
Hamduna dice all’ufficiale israeliano che vuole che l’esercito assicuri il loro passaggio a Gaza, sostenendo che i palestinesi stanno trattenendo circa 50 israeliani.
Come ha spiegato Porat, Hamduna stava deliberatamente esagerando il numero di israeliani detenuti, apparentemente nel tentativo di indurre la polizia e l’esercito a trattare la situazione con maggiore urgenza.
Dopo che Hamduna si è arreso con Porat, c’è un video che lo ritrae in custodia israeliana, nudo, bendato e ammanettato, mentre invita i suoi compagni ad arrendersi, dicendo loro attraverso un megafono che gli israeliani li avrebbero trattati umanamente e si sarebbero presi cura di eventuali ferite.
Mentre era in corso questo tentativo di rinnovare i negoziati, si sparava senza sosta in entrambe le direzioni, ha raccontato Porat alla televisione di Stato israeliana Kan il 6 dicembre.
Alla fine è arrivato un secondo carro armato israeliano, probabilmente comandato dal tenente colonnello Salman Habaka, ucciso settimane dopo a Gaza.
“Io stesso sono arrivato a Be’eri e ho fatto rapporto al generale di brigata Barak Hiram”, ha detto Habaka in un video prodotto dall’esercito israeliano nei giorni successivi alla battaglia di Be’eri.
“La prima cosa che mi ha chiesto è stata di sparare una granata contro la casa”.
Alla richiesta di un canale social media israeliano di fornire una storia di come sia “riuscito a salvare una famiglia”, Habaka non ha offerto nulla.
Ha detto invece che la sua missione era “localizzare e distruggere i terroristi” e che, se venivano trovati in casa, “distruggevamo i terroristi prima di inviare la fanteria per far uscire le persone”.
L’arrivo di questo tipo di armamento ha immediatamente suscitato i timori di Yasmin Porat.
“All’improvviso ho visto un carro armato”, ha raccontato a Kan. Ricordo di aver detto a uno degli agenti di polizia: “Cosa, state per sparare con un carro armato? Ci sono degli ostaggi fuori'”.
E lui mi ha risposto: “No, è solo per permettere alle unità di entrare in casa, stanno abbattendo i muri””, ha aggiunto Porat.
L’enorme distruzione nel Kibbutz Be’eri non può essere stata causata solo dalle armi leggere portate dai combattenti palestinesi il 7 ottobre. È ormai noto che Israele ha utilizzato carri armati ed elicotteri nell’insediamento.
Ma queste non sono state le uniche armi pesanti utilizzate dalle forze israeliane a Be’eri.
I media di tutto il mondo hanno trasmesso filmati delle conseguenze nel kibbutz, dove intere strade di case sono state ridotte in macerie.
Ma nessuno si è posto la domanda più ovvia: Come hanno potuto i combattenti di Hamas, armati solo di fucili d’assalto AK-47 e di qualche RPG, provocare danni così ingenti?
La risposta, ovviamente, è che non lo hanno fatto da soli. La televisione di Stato israeliana ha riferito che, oltre ai carri armati, le forze israeliane hanno utilizzato elicotteri da combattimento nel loro contrattacco per riconquistare Be’eri.
Due veterani della squadra di soccorso tattico d’élite dell’esercito israeliano, l’Unità 669, che erano soccorritori volontari il 7 ottobre, hanno raccontato a Kan all’inizio di questo mese ciò che hanno visto a Be’eri.
“Questa era la situazione: Sei seduto in un kibbutz nello Stato di Israele dove portiamo i bambini in bicicletta nei fine settimana. Ogni secondo un missile cade su di te. Ogni minuto”, racconta Erez Tidhar, uno dei volontari. “All’improvviso si vede un missile da un elicottero che spara sul kibbutz”.
“Un elicottero dell’IDF che spara su un kibbutz israeliano”, aggiunge Tidhar costernato, “e poi vedi un carro armato che percorre le strade del kibbutz, spara con il cannone e spara una granata su una casa. Sono cose che non si possono comprendere”.
Tidhar, in particolare, è a capo della direzione nazionale israeliana per la sicurezza informatica.
Gli elicotteri Apache di fabbricazione americana di Israele erano già noti per essere stati dispiegati in gran numero in tutta la regione il 7 ottobre, sparando enormi quantità di devastanti missili Hellfire  e proiettili esplosivi, uccidendo sia palestinesi che civili israeliani.
Questa feroce potenza di fuoco ha bruciato centinaia di persone in modo così completo che le autorità israeliane non sono riuscite a capire per settimane se si trattasse di combattenti palestinesi o di civili israeliani.
La confusione ha portato Israele a ridurre il bilancio delle vittime a 1.200 il 10 novembre, con l’alto portavoce del governo israeliano Mark Regev che ha ammesso che 200 dei morti inizialmente contati come israeliani erano in realtà combattenti palestinesi.
“Autorizzazione a sparare”
Ma non è così che Barak Hiram, il generale di brigata che si trovava sul posto, descrive gli eventi di Be’eri.
Hiram si ritrae come se fosse entrato eroicamente in una situazione caotica, assumendo il comando, combattendo coraggiosamente i terroristi e salvando gli ostaggi civili.
Racconta anche di atrocità smascherate come bugie dalle testimonianze delle due sopravvissute, Yasmin Porat e Hadas Dagan.
“Sabato mattina, quando abbiamo capito che c’era un’invasione nella zona di Gaza, molti soldati ed ex soldati di tutto Israele si sono uniti per sconfiggere i terroristi e salvare le famiglie israeliane nelle loro case”, ha dichiarato Hiram a i24News l’11 ottobre.
Due settimane dopo, nell’intervista del 26 ottobre a Ilana Dayan di Channel 12, Hiram ha ampliato la sua versione.
“A un certo punto è arrivato anche Nissim Hazan, che era un comandante di brigata della mia divisione”, spiega Hiram.
Come Hiram, anche Hazan risiede in un insediamento nella Cisgiordania occupata.
“È arrivato come comandante di carro armato su un solo carro armato che è riuscito a mettere in funzione dopo essere stato danneggiato, ed è stato il nostro primo carro armato all’interno dell’insediamento”, racconta Hiram.
“E gli ho dato l’autorizzazione a sparare con i mortai contro le strutture per fermare semplicemente i terroristi”, aggiunge Hiram.
Parlando della situazione degli ostaggi, Hiram dice che mentre un commando israeliano noto come YAMAM stava “purificando” uno dei quartieri, “uno dei cittadini è riuscito a fuggire dagli edifici”.
Questo sembra essere un riferimento all’uscita negoziata di Porat da casa Cohen con il combattente palestinese Hasan Hamduna.
“E si crea una sorta di dinamica o di sensazione che i terroristi asserragliati all’interno del blocco [di case] possano essere pronti a parlare o qualcosa del genere”, ricorda Hiram.
Una squadra speciale di negoziatori è arrivata sul posto e ha cercato di comunicare con i combattenti all’interno, secondo Hiram.
Le distorsioni e le bugie di Hiram
Fino a questo punto, il resoconto di Hiram è più o meno congruente con quello di Porat, ma poi, con la complicità di Ilana Dayan, si trasforma in distorsione e in vera e propria finzione.
“Rispondono?” Chiede Dayan a proposito dei tentativi di negoziazione. “Ci rispondono con un razzo RPG”, dice Hiram.
“A questo punto autorizzo il comandante della forza YAMAM ad irrompere all’interno e a cercare di salvare i cittadini intrappolati in quegli edifici”, afferma Hiram.
“Così la forza YAMAM ingaggia una battaglia davvero eroica e si lancia all’interno”, aggiunge Dayan. “C’è ancora qualche speranza che si possano salvare degli ostaggi?”.
“Credo che in quel blocco ci fossero circa 20 cittadini e credo che la forza YAMAM sia riuscita a salvarne circa quattro”, afferma Hiram.
“Tutti gli altri sono stati uccisi”, dice Dayan.
“Tutti gli altri sono stati uccisi a sangue freddo”, risponde Hiram. “E lì abbiamo trovato otto bambini legati insieme e uccisi, una coppia, marito e moglie, legati insieme e uccisi”.
Bugie mortali ascoltate a Washington
La storia di Hiram è probabilmente all’origine delle affermazioni del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, fatte direttamente al Presidente degli Stati Uniti Joe Biden nei giorni immediatamente successivi, secondo cui “hanno preso decine di bambini, li hanno legati, bruciati e giustiziati”.
Il quotidiano israeliano Haaretz ha sfatato l’affermazione, riferendo all’inizio del mese che “non ci sono prove che i bambini di diverse famiglie siano stati uccisi insieme”.
Questo vale anche per le famiglie tenute in ostaggio nella casa di Pessi Cohen, come confermato dagli unici prigionieri che ne sono usciti vivi.
Hadas Dagan non ha mai affermato che gli ostaggi sono stati legati e Yasmin Porat ha notato in un’intervista del 12 ottobre con Channel 12 che il suo compagno Tal Katz, anch’egli ucciso dal bombardamento finale dei carri armati, era l’unico del loro gruppo di 15 ostaggi ad avere le mani legate dai combattenti di Hamas.
Dagan non ha mai affermato che ci sono state esecuzioni e Porat ha insistito che non ce ne sono state.
Nella stessa intervista del 12 ottobre, Porat ha affermato che, sebbene i combattenti palestinesi avessero tutti armi cariche, non li ha mai visti sparare ai prigionieri o minacciarli con le loro armi.
“Non hanno abusato di noi. Ci hanno trattato in modo molto umano”, ha detto Porat nella sua ormai famosa intervista radiofonica di tre giorni dopo con Kan.
“Con questo intendo dire che ci hanno sorvegliato. Ci danno qualcosa da bere qua e là. Quando vedono che siamo nervosi, ci calmano”, ha aggiunto. “È stato molto spaventoso, ma nessuno ci ha trattato con violenza. Per fortuna non mi è successo nulla di quello che ho sentito nei media”.
Inoltre, né Porat né Dagan hanno mai riferito, né è emerso alcun video, di commando israeliani che hanno preso d’assalto la casa nel tentativo di salvare i prigionieri.
E contrariamente alla rappresentazione di Hiram, c’erano stati dei negoziati, come descritto da Porat.
Giorni dopo la pubblicazione dell’intervista di Hiram da parte di Canale 12, Canale 13 ha trasmesso le registrazioni delle chiamate ai servizi di emergenza in cui i combattenti palestinesi cercavano di negoziare il loro passaggio sicuro verso Gaza.
Un resoconto degli eventi a Be’eri pubblicato dal New York Times il 22 dicembre ritrae Hiram come se avesse fretta di usare la forza, anche quando altri ufficiali pensavano che i negoziati avrebbero prodotto risultati migliori.
“All’imbrunire, il comandante della SWAT e il generale Hiram cominciarono a discutere”, riporta il Times. “Il comandante della SWAT pensava che altri rapitori potessero arrendersi. Il generale voleva che la situazione si risolvesse entro il tramonto”.
“Pochi minuti dopo, i militanti hanno lanciato una granata a propulsione di razzo, secondo il generale e altri testimoni”, afferma il giornale.
“I negoziati sono finiti”, ha ricordato Hiram dicendo al comandante del carro armato, secondo il Times. “Fate irruzione, anche a costo di vittime civili”.
Invece di salvare quattro persone, come aveva dichiarato a Ilana Dayan, con l’ordine di sparare i proiettili dei carri armati contro la casa, Hiram fece in modo che tutti i presenti sul campo di battaglia, tranne Hadas Dagan, venissero uccisi e che almeno altri tre – Liel Hatsroni, sua zia e tutrice Ayala Hatsroni e Suhayb al-Razim – venissero quasi completamente inceneriti sul posto.
I parenti chiedono un’indagine
I parenti delle persone uccise a Be’eri si chiedono cosa sia successo ai loro cari e prendono atto delle bugie di Hiram.
“Raccogliamo frammenti di informazioni, nessuno ci parla in modo ordinato”, dice Naama Ben Ami, la cui madre Hava è stata uccisa a Be’eri. “Non sappiamo davvero cosa sia successo qui”.
Ben Ami e altri parenti sono stati intervistati tra le rovine di Be’eri, nello stesso servizio di Channel 12 del 9 dicembre in cui Hadas Dagan ha parlato per la prima volta.
“Penso che ci siano molte domande operative inquietanti qui”, dice Omri Shifroni, nipote di Ayala Hatsroni e cugino dei due gemelli di 12 anni che ha cresciuto, Liel e Yanai Hatsroni, tutti morti nel bagno di sangue di Be’eri.
“Come sono arrivati qui? Quando hanno aperto il fuoco, chi ha sparato? Non so chi abbia sparato per ucciderli”, dice Shifroni.
Poi si riferisce direttamente alle affermazioni di Hiram fatte nell’intervista con Dayan.
“Non ne aveva idea!” Shifroni dice del generale di brigata. “Anche quando ha parlato, e questo due settimane dopo [gli eventi del 7 ottobre], non aveva idea di cosa fosse successo qui. Non ne aveva idea, perché non era la verità”.
“Questo è qualcosa che deve essere indagato”, dice Sharon Cohen, la nuora di Pessi Cohen. “Deve esserlo”.
I due parlavano specificamente dei loro parenti, ma quello che si è verificato nel kibbutz Be’eri non è un episodio isolato di Israele che uccide la sua stessa gente, sia per sconsiderata incompetenza che per disegno.
La verità trapela
Finora, la verità è trapelata solo a goccia a goccia.
A novembre, una fonte della polizia israeliana ha ammesso che gli elicotteri militari hanno sparato ai civili durante il rave Supernova, la festa danzante nel deserto vicino a Be’eri a cui Yasmin Porat e il suo compagno avevano partecipato.
Nof Erez, colonnello dell’aeronautica israeliana, è arrivato a definire la risposta israeliana al 7 ottobre una “direttiva Annibale di massa” – un’applicazione su vasta scala della dottrina militare israeliana che consente di uccidere deliberatamente il proprio popolo piuttosto che permetterne la cattura.
Nello stesso mese, Israele ha rivelato che centinaia di corpi irriconoscibilmente bruciati, che pensava fossero propri civili, erano in realtà combattenti di Hamas – una chiara ammissione di fuoco indiscriminato su vasta scala.
All’inizio di questo mese, l’esercito israeliano ha ammesso una quantità “immensa” di cosiddetti incidenti di fuoco amico il 7 ottobre, ma ha affermato che non sarebbe stato “moralmente corretto” indagare su di essi, come ha riportato il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth.
Israele ha inoltre affrontato un enorme imbarazzo internazionale e la rabbia in patria dopo che il suo esercito ha ammesso di aver ucciso tre prigionieri israeliani che erano riusciti a scappare dai loro carcerieri a Gaza.
Il “mostro” palestinese
Mentre l’uccisione di civili israeliani – uomini e donne, giovani e anziani – da parte dei combattenti palestinesi il 7 ottobre è stata ampiamente riportata, l’uccisione di civili israeliani da parte delle forze israeliane nello stesso giorno è stata insabbiata dallo Stato israeliano.
Nel frattempo, i media israeliani e i suoi simpatizzanti all’estero diffondono a tutto volume affermazioni non verificate e bugie per distrarre o giustificare il genocidio a Gaza.
Tra queste, le famose bugie sui bambini ebrei giustiziati e appesi a un filo del bucato, decapitati e persino cotti in un forno.
Ma in un Israele più che mai entusiasta di annientare i palestinesi, sono poche le voci che invocano una reale responsabilità per quanto accaduto il 7 ottobre e dopo.
Prendiamo ad esempio Ilana Dayan.
Come una delle principali giornaliste “investigative” israeliane, ha cercato di scagionare Barak Hiram dalla responsabilità del bombardamento di Be’eri che ha ucciso cittadini israeliani affermando: “Quando i notiziari parlano di un incidente con ostaggi a Be’eri, in realtà, purtroppo, non c’erano ostaggi”.
Ecco come ha spiegato cosa è successo quel giorno in un recente episodio del podcast Unholy, condotto da Yonit Levy di Channel 12 e Jonathan Freedland del Guardian: “C’è un mostro che è cresciuto dall’altra parte della recinzione, dall’altra parte del confine”.
Sebbene sia felice di ripetere esagerazioni e finzioni, Dayan non ha espresso alcun interesse per ciò che Israele ha fatto per oltre 75 anni ai palestinesi in tutto il Paese, e specialmente a Gaza, che li avrebbe portati a lanciare un attacco armato contro Israele su qualsiasi scala.
Quando gli è stato chiesto se un giorno gli israeliani avrebbero dovuto fare i conti con l’orribile portata di morte, sofferenza e devastazione che il loro esercito sta infliggendo ai civili di Gaza, Dayan ha risposto con indignazione.
“È possibile capire che una nazione affranta è troppo distrutta per avere un serbatoio di empatia per l’altro, per il nemico?”. ha chiesto Dayan. “Cosa si aspettava Hamas quando ha lanciato questa brutale, sadica, terribile, orribile atrocità? Cosa si aspettavano?”.
E alla domanda se agli israeliani dovesse essere mostrata questa realtà, Dayan ha risposto: “Non siamo giornalisti stranieri, siamo giornalisti israeliani. Non è questo il momento di soppesare entrambe le parti”.
Questo potrebbe spiegare perché Dayan era disposto a portare acqua a Barak Hiram e a sostenere il suo resoconto fittizio della battaglia di Be’eri, seppellendo la verità su come Israele abbia ucciso i suoi stessi cittadini.
Non spiega però perché i media, le organizzazioni e i governi internazionali, comprese le Nazioni Unite, continuino ad accettare le bugie di Israele e non abbiano chiesto indagini credibili e indipendenti su ciò che è realmente accaduto il 7 ottobre.
Il prezzo di questa complicità lo sta pagando la popolazione di Gaza.

 * da The Electronic Intifada. Ali Abunimah è direttore esecutivo di The Electronic Intifada. David Sheen è autore di Kahanism and American Politics: The Democratic Party’s Decades-Long Courtship of Racist Fanatics.

pc 31 dicembre - Dal blog https://femminismorivoluzionario.blogspot.com/

Con la Resistenza del popolo palestinese in tutte le forme: presidio itinerante a Milano

Le compagne del Mfpr di Milano oggi hanno animato un presidio itinerante al mercato settimanale in zona via Padova portando uno striscione "Al fianco della resistenza del popolo palestinese Sabato 30 dicembre ore 15 corteo da piazza XXIV Maggio"
L'iniziativa è stata molto apprezzata e condivisa la posizione chiara e netta di schierarsi al fianco del popolo palestinese. In tanti hanno espresso in maniera esplicita la solidarietà, altri hanno ringraziato, qualcuno ha detto che domani parteciperà al corteo, il gesto commosso di stringere simbolicamente al cuore un intero popolo. Un solo intervento ha tentato di perorare la causa del nazisionismo con il solito incipit "Ma dimenticate  il 7 ottobre non dite nulla in solidarietà con gli ebrei?" con veemenza è stato risposto che il nazisionismo è da 75 anni che attacca in ogni modo il popolo palestinese, lo vediamo bene quotidianamente in questi giorni
Domani saremo, come sempre, al corteo che in maniera tenace le comunità  e le associazioni palestinesi promuovono ogni sabato "Save Gaza; stop israeli occupation"  determinate a dare il nostro tenace contributo nella lotta contro il genocidio in atto del popolo palestinese, la feroce rappresaglia dello stato nazisionista

Con la Palestina nel cuore!!
Free Free Palestine! 

pc 31 dicembre - Dal blog tarantocontro: A Taranto con la Palestina fino all'ultimo dell'anno

 zona magna grecia - città vecchia ex casa occupata - via d'aquino



pc 31 dicembre - Palestina - Una voce importante cristiana da Betlemme - genocidio e pulizia etnica -info


“Gesù Cristo sotto le macerie” – Il discorso integrale del rev. Isaac Munther a Betlemme

Questa non è Betlemme, è Bolzano. E a parlare sono i compagni e le compagne solidali con la resistenza palestinese.

Siamo arrabbiati, siamo spezzati. Questo doveva essere un momento di gioia. Invece siamo in lutto. Abbiamo paura. Più di 20.000 uccisi. Migliaia sono ancora sotto le macerie. Circa 9.000 i bambini uccisi nel più brutale dei modi, giorno dopo giorno, 1 milione e 900.000 sfollati, centinaia di migliaia di case distrutte. Gaza, per come l’abbiamo conosciuta, non esiste più.

Questo si chiama annichilimento. Questo è genocidio. Il mondo sta guardando. Le chiese stanno guardando. Le persone a Gaza stanno inviando in tempo reale immagini del loro stesso sterminio. Forse al mondo importa, ma lo sterminio continua. Ci chiediamo oggi, può questa essere la nostra fede a Betlemme? A Ramallah? A Jenin? È questo il nostro destino?

Siamo tormentati dal silenzio del mondo.

I leader del cosiddetto “mondo libero” si sono messi in fila, uno dopo l’altro per dare il via libera a questo genocidio commesso contro una popolazione imprigionata. Lo hanno coperto. Non solo si sono assicurati di pagare il conto in anticipo, ma hanno coperto la verità, il contesto, fornendo così la copertura politica. E quindi è stato aggiunto un altro strato: la copertura teologica, con la chiesa occidentale che salta sotto questo riflettore. 

I nostri cari amici in Sudafrica ci hanno insegnato il concetto della teologia di Stato, definendola come la giustificazione teologica per il mantenimento dello status-quo razzista, capitalista, totalitario. È l’uso ideologico dei concetti teologici e biblici, per i propri scopi politici.

Qui in Palestina la Bibbia è strumentalizzata contro di noi. Il nostro stesso libro sacro. Nella nostra terminologia in Palestina noi parliamo di “impero”. Qui affrontiamo la teologia dell’impero: un travestimento di superiorità, suprematismo, “prescelta”, legittimazione. 

La teologia dell’impero qualche volta si copre con parole belle, come “missione”, “evangelismo”, “realizzazione della Profezia” e “portare libertà e liberazione”. La teologia dell’impero diventa uno strumento potente per mascherare l’oppressione, sotto l’orologio della sanzione divina. Parla di terra senza popolo. Divide il popolo tra “Noi” e “Loro”. Disumanizza e demonizza.

Il concetto di terra senza popolo, di nuovo, nonostante sapessero benissimo che quella terra aveva un popolo, e non un popolo qualsiasi, ma un popolo molto speciale… La teologia dell’impero vuole lo svuotamento di Gaza, proprio come voleva la pulizia etnica del 1948. Lo hanno chiamato “miracolo”, anzi “miracolo divino”.

Vuole che ora noi Palestinesi andiamo in Egitto, o forse in Giordania. Perché non in mare?

Penso alle parole dei discepoli di Gesù, quando era in procinto di entrare in Samaria: “Signore, vuoi che comandiamo il fuoco dal paradiso, che li consumi?”. Parlavano dei Samaritani. Questa è la teologia dell’impero, questo è quello che loro dicono, oggi, di noi.

Questo mondo, questa guerra ci ha confermato che questo mondo non ci vede come uguali. Forse è il colore della nostra pelle. Forse è perché siamo nel lato sbagliato di un’equazione politica. Persino il nostro Regno in Cristo non ci protegge.

E quindi dicono: se dovremmo uccidere 100 palestinesi per prendere un solo “militante di Hamas” così sia. Se ai loro occhi non siamo umani, agli occhi di Dio nessuno può dire lo stesso. L’ipocrisia e il razzismo del mondo occidentale è trasparente e spaventoso. Prendono le parole dei palestinesi sempre con sospetto e categorizzazione. No, non siamo trattati equamente. Eppure dall’altra parte nonostante un chiarissimo record di disinformazione e bugie, le loro parole sono praticamente sempre al di là di ogni fallibilità. Ai nostri amici europei dico: non voglio mai più, mai più che nessuno di voi ci dia lezioni sui diritti umani o sulla legge internazionale. Mai più. Non siamo bianchi, immagino ed esse, secondo la vostra logica, per noi non valgono. Durante questa guerra i tanti cristiani del mondo occidentale si sono assicurati che l’Impero avesse la teologia necessaria. 

È auto-difesa, ci hanno detto, e io ancora chiedo: come può l’uccisione di 9.000 bambini chiamarsi auto-difesa? Come può lo sfollamento di un milione e novecentomila palestinesi chiamarsi auto-difesa? All’ombra dell’impero hanno scambiato il colonizzatore per vittima e il colonizzato per aggressore. Abbiamo dimenticato che lo stato di cui parlano, questo stato è stato messo in piedi sulle rovine delle città e dei villaggi dei loro cugini, lo hanno dimenticato?

Siamo oltraggiati dalla complicità della Chiesa. Amici, lasciate che sia chiaro: il silenzio è complicità. E i vuoti richiami alla pace senza un cessate il fuoco e la fine dell’occupazione, e le parole superficiali di empatia senza un’azione concreta stanno sotto la definizione di complicità.

Così, ecco il mio messaggio: oggi Gaza è diventata la bussola morale del mondo. Gaza era l’inferno prima del 7 Ottobre e il mondo stava zitto. Dovremmo essere sorpresi, oggi, del loro silenzio?

Se non siete terrorizzati da ciò che sta succedendo a Gaza, se non siete scossi fino al midollo c’è qualcosa che non va nella vostra umanità. E se noi, come cristiani, non ci sentiamo oltraggiati dal genocidio, dalla strumentalizzazione della Bibbia per giustificarlo c’è qualcosa di sbagliato nella nostra testimonianza cristiana, e stiamo compromettendo la credibilità del nostro messaggio evangelico.

Se non riuscite a chiamare questo “genocidio” è colpa vostra. È un peccato oscuro che state decidendo di abbracciare. 

Alcuni non hanno nemmeno chiesto un cessate il fuoco, parlo delle chiese. Mi dispiace per voi, noi staremo bene. Nonostante la sofferenza immensa che stiamo affrontando, noi Palestinesi guariremo. Risorgeremo. Ci rialzeremo di nuovo nel mezzo della distruzione come abbiamo sempre fatto in quanto palestinesi, anche se probabilmente questa è l’avversità più grande che abbiamo ricevuto da tanto tempo a questa parte. Staremo bene. Ma per coloro che sono complici, mi dispiace per voi: guarirete mai da questo? La vostra carità e le vostre parole scioccate dopo il genocidio non faranno nessuna differenza. E so che arriveranno, ma non faranno la differenza. Le parole di rimorso non vi alleggeriranno e fatemi dire una cosa: non accetteremo le vostre scuse dopo il genocidio. Quello che è stato fatto è stato fatto.

Voglio che vi guardiate allo specchio e vi chiediate: “dov’ero mentre a Gaza si realizzava un genocidio?”

pc 31 dicembre - Israele deferita dal Sudafrica alla Corte Internazionale per genocidio. A Gaza la resistenza palestinese fa giustizia - info importanti da far circolare

Israele deferita dal Sudafrica alla Corte Internazionale per genocidio. A Gaza la resistenza palestinese fa giustizia

Secondo il Wall Street Journal, la guerra nella Striscia di Gaza ha lasciato una distruzione paragonabile alla campagna più distruttiva della storia moderna, confermando che Israele ha sganciato 29.000 bombe che hanno distrutto circa il 70% delle case nella Striscia.

Scontri con mitragliatrici pesanti si sono verificati tra la resistenza palestinese e le forze di occupazione israeliane nel campo di Bureij. Le Brigate Al-Qassam rivendicano che i loro combattenti hanno fatto saltare in aria un carro armato Merkava con una mina e hanno completamente distrutto un trasporto truppe con un proiettile Al-Yassin 105 a nord del campo profughi di Bureij, nella Striscia di Gaza centrale.

Le Brigate Al Quds affermano che i propri combattenti sono impegnati in feroci scontri con le forze di occupazione nelle aree di avanzata a nord e ad est della città di Khan Yunis. Gli aerei israeliani hanno lanciato una serie di violenti raid sulla città di Khan Yunis, a sud della Striscia di Gaza, e Israele ha anche preso di mira le vicinanze dell’ospedale Nasser.

****

Un ufficiale israeliano che festeggiava le brutalità dei coloni è stato ucciso dalla resistenza palestinese

Un video postato poche settimane fa dal 33enne ufficiale della riserva israeliana, faceva vedere il

sabato 30 dicembre 2023

pc 30 dicembre - Dal sit-in cittadino di ieri pomeriggio a Palermo davanti la fabbrica di armi Leonardo contro la guerra imperialista e a sostegno del popolo palestinese - foto e alcuni video

Ieri pomeriggio abbiamo partecipato al sit-in promosso da Assemblea NoGuerra, Movimento No Muos e Rete Siciliana per la Palestina, che si è svolto davanti la fabbrica Leonardo, nel quartiere Guadagna.  Un sit-in presidiato da digos e polizia in modo esagerato, che ha posto la necessità, dopo la denuncia fatta attraverso diversi interventi contro la guerra al servizio degli interessi dei padroni capitalisti complici con i governi degli Stati imperialisti, dagli Usa all'Italia, dei massacri di popoli  in tanti paesi oppressi del mondo e ora in particolare del genocidio del popolo palestinese messo in atto dallo Stato nazisionista di Israele, di continuare la mobilitazione contro la guerra dei padroni, a sostegno del popolo palestinese e di tutti i popoli oppressi, contro la militarizzazione dei territori.  Diverse le persone che passando con le macchine dal centro commerciale attiguo rallentavano per vedere i cartelli e gli striscioni. 











Interventi di compagni di proletari comunisti 



Intervento di una studentessa del Fgc

Intervento della compagna  che ha letto il comunicato Mfpr ripreso e in collegamento con le iniziative messe in campo dalle compagne nelle altre città da L'Aquila e Milano 

pc 30 gennaio - La legge di Bilancio del governo antioperaio e antipopolare Meloni passa facilmente in Parlamento


Una critica condivisibile - estratti

Con la legge di bilancio devono decidere come spartirsi i soldi delle casse dello Stato.  Ogni partito punta ai suoi interessi e a quello dei suoi elettori di prima fede. Finanziamenti agli industriali, qualche obolo ai lavoratori dipendenti e poco o niente per i servizi sociali.  Entro il 31 dicembre la legge di bilancio, contenente la manovra triennale di finanza pubblica, deve essere approvata. La manovra fiscale, nella propaganda dello Stato “democratico”, dovrebbe rappresentare il modo in cui lo Stato destina i capitali, raccolti attraverso l’imposizione fiscale e il debito pubblico, alla spesa pubblica al “servizio dei cittadini”. In realtà, la maggior parte di queste risorse ritorna ai padroni attraverso una serie di misure che vanno dagli “aiuti all’economia”, alle spese militari che arricchiscono prima di tutto gli industriali impegnati nella produzione di armi, al pagamento degli interessi sul debito pubblico a favore delle banche, i maggiori investitori, e ai ricchi in generale. Solo una parte della spesa sociale, affinché il processo di produzione proceda senza intoppi, viene impegnata per i servizi essenziali, tra i quali, per consistenza degli investimenti, spicca il finanziamento delle forze della repressione: poliziotti e carceri. Coercizione e controllo sociale sono fondamentali per il sistema.

I soldi che vanno agli industriali


Nell’ultima manovra, le imprese sono direttamente rappresentate nel bilancio da un capitolo importante anche se non in termini percentuali, il 14.1%, sotto la voce affari economici, ma parliamo di circa 4 mld. Ma i soldi sono molti di più, disseminati negli altri capitoli di spesa. Gli interventi unitari ed anche gli aiuti ai singoli imprenditori vanno dal credito d’imposta per l’acquisizione dei beni strumentali connessi con la Zona Economica Speciale (ZES) unica del Mezzogiorno per 1,8 miliardi; alla realizzazione del ponte sullo stretto di Messina che per avvio dei lavori vale 2.3 miliardi; dalle meno tasse per chi assume, al rifinanziamento della nuova Sabatini con 50 milioni per le piccole e medie imprese per acquisto di beni strumentali. La manovra sarà finanziata con un extra deficit da 15,7 miliardi combinato con il rincaro delle accise sui tabacchi e una “razionalizzazione” (leggi tagli) sui ministeri e sugli enti locali più legati ai servizi essenziali per i cittadini; mentre della possibile tassazione ai profitti del caro-tassi di banche e dalla Global minimum tax, ovvero la nuova imposta minima sui “giganti” societari, tanto sbandierata nei mesi scorsi, rimane solo un’apparente dichiarazione di principio di un prelievo del 15% dei profitti, tutta da verificare e quantificare vista la maestria delle aziende nel ritoccare i bilanci, cosa resa loro ancora più facile dalle innumerevoli scappatoie che la normativa concede.

L’obolo ai “lavoratori”, il favore agli imprenditori

A favore dei “lavoratori”, sulla carta, c’è la riduzione dei contributi previdenziali a carico dei dipendenti a cui sono destinati quasi 11 miliardi. Il taglio del cuneo fiscale viene introdotto come strumento per combattere gli effetti dell’inflazione sul reddito dei lavoratori dipendenti, ma nonostante la mole, individualmente è un misero obolo che vale poco rispetto ad un’inflazione dichiarata del 5.7%, ma che sui prodotti alimentari arriva ufficialmente all’11%. Anche su questo, lo Stato, con il taglio del cuneo, ha fatto l’elemosina agli operai e un favore agli imprenditori che scaricano sulla spesa pubblica un misero aumento dei salari che rimangono da fame e che, rispetto all’inflazione, si riducono costantemente. Non a caso, in America gli operai hanno costretto i padroni a reintrodurre la Cola, una sorta di adeguamento al carovita, ed ottenuto un sostanzioso aumento salariale, anche se lontano dalle richieste alla base della mobilitazione. Da noi, i padroni continuano a macinare profitti e agli operai toccano solo le briciole del cuneo fiscale a carico della spesa pubblica. Anche su questo però, gli imprenditori storcono il naso. Da un lato auspicano che la misura sul cuneo diventi permanente, perché è meglio che l’incremento salariale per contrastare gli effetti dell’inflazione lo paghi, o meglio, faccia finta di pagarlo, lo stato e non direttamente i loro dividendi, dall’altra temono che questo provvedimento distoglierà utili risorse dalla produzione e quindi dai profitti. Intanto lo Stato da un lato rassicura i padroni sulla temporaneità del provvedimento e dall’altra rassicura che i soldi continueranno ad andare principalmente a loro eliminando il reddito di cittadinanza e facendo la guerra al salario minimo. Il taglio del cuneo, ma anche l’estensione dell’aliquota Irpef del 23% fino a soglia 28.000 euro, sono palliativi per il solo 2024 che non cambieranno granché il potere di acquisto dei salari mentre per la borghesia il lauto banchetto continua. Per il superbonus, per esempio, al di là delle dichiarazioni ufficiali, il credito d’imposta sfiorerà i 100 mld nel 2024.

Legnate sul fronte delle pensioni

La generosità dello Stato non si limita a questo. Sul fronte pensioni sono altre legnate. Il governo con la manovra prevede in tutte le forme di pensionamento anticipato (quota 103, peggioramento dell’APE e opzione donna) una riduzione della pensione in cambio della sua erogazione anticipata e la scomparsa del calcolo retributivo degli importi. L’obiettivo è quello di calcolare l’importo degli anni di pensione anticipata interamente col sistema contributivo, abbassando inoltre il limite di importo massimo consentito dell’assegno mensile. Non tutti però vengono colpiti. Infatti, si trovano fondi aggiuntivi per le integrazioni salariali delle forze armate e delle forze dell’ordine e nulla viene detto sulla estensione della legge Fornero anche a queste categorie, malgrado questa “armonizzazione” con gli altri dipendenti pubblici sarebbe dovuta scattare già dal 2012. Per gli altri il peggioramento è assicurato. Per ora solo i medici, grazie alla loro mobilitazione, sembra che abbiano ridimensionato l’attacco alle loro pensioni.

Le menzogne sulla sanità


La Sanità in generale, sulla carta, sembra l’unico settore che ha avuto qualcosa in più, ma nella realtà, le risorse sono comunque limitate e destinate essenzialmente per il rinnovo dei contratti del personale, il servizio sanitario continuerà a peggiorare nel complesso. La problematica delle liste di attesa è stata formalmente affrontata, perché non se ne poteva fare a meno, ma le risorse destinate, 280 milioni, non basteranno per risolvere le tante richieste, l’accesso al servizio sanitario resta comunque un percorso ad ostacoli, spingendo le urgenze verso la sanità privata e per chi non se lo può permettere, parliamo di operai, lavoratori e pensionati poveri, o si finisce col sottrarre reddito al sostentamento, o si crepa.

S. C. - operai contro

pc 30 dicembre - Sit-in al Carrefour Cinecittà 2 - Roma in solidarietà con il popolo palestinese


pc 30 dicembre - Le forze della resistenza palestinese chiamano all’azione comune

Giovedì 28 dicembre è stata rilasciata in Libano una dichiarazione congiunta da parte dei leader dei principali gruppi della Resistenza palestinese.

La dichiarazione è stata rilasciata a seguito di “un incontro consultivo a Beirut”, si legge in un comunicato stampa, una copia del quale è stata ricevuta dal Palestinian Chronicle.

I gruppi coinvolti nell’incontro in Libano sono stati il Movimento di Resistenza Islamica Hamas, il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, il Movimento della Jihad Islamica Palestinese, il Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina e il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina – Comando Generale.

Di seguito sono riportati alcuni estratti della dichiarazione finale.

Liquidare la Palestina

In primo luogo, l’obiettivo finale di Israele, attraverso i suoi continui attacchi brutali contro i palestinesi in tutto il mondo, e il genocidio in corso a Gaza, è quello di sfollare il popolo palestinese e di “porre fine alla causa nazionale palestinese e liquidare i legittimi diritti nazionali del nostro popolo, determinando il destino, stabilendo lo stato palestinese indipendente con Al-Quds (Gerusalemme Est) come capitale, e garantendo il diritto al ritorno per i rifugiati del nostro popolo alle loro case e proprietà. secondo la risoluzione 194.”

Contrastare gli obiettivi di Israele

In secondo luogo, la Resistenza è riuscita a “sventare gli obiettivi del nemico, dimostrando la sua

pc 30 dicembre - Leggi lo straordinario blog internazionalista in lingua originale maoistroad

 ultimi post

pc 30 dicembre - Palestina - libertà per Khalida Jarrar - info e appello alla più ampia solidarietà

Ce mardi 26 décembre, l’armée d’occupation israélienne a kidnappé dans la nuit, la députée et militante féministe Khalida Jarrar à son domicile de Ramallah. Khalida Jarrar, est ancienne représentante du Front populaire de libération de la Palestine (FPLP), qui avait été au Conseil national Palestinien. Elle a déjà été mise en détention à quatre reprises par Israël  qui n’a jamais réussi à faire taire cette militante féministe, particulièrement impliquée dans la défense des droits des prisonnier-es politiques palestinien-nes.

 secours rouge

Dal blog femminismorivoluzionario

Gli occupanti israeliani hanno arrestato nuovamente – senza alcuna accusa, come capita a migliaia di palestinesi – la parlamentare, compagna e femminista palestinese Khalida Jarrar.

La Jarrar è stata rapita, nella notte tra il 25 e il 26 dicembre, dalla sua abitazione a Ramallah – in Cisgiordania – e portata in carcere, assieme ad altri compagni e compagne del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, principale forza politica della sinistra marxista palestinese.

Il 27 dicembre la Jarrar – ricercatrice all’Università di Birzeit – avrebbe dovuto partecipare a un panel dedicato proprio ai prigionieri politici, organizzato dall’Arab Studies Institute di Washington e Beirut e dal titolo “Prisons and incarceration in a time of genocide” (prigioni e incarcerazione in tempi di genocidio).

Khalida Jarrar – eletta membro del Consiglio legislativo nelle ultime elezioni parlamentari che in Palestina risalgono ormai al 2006 – è stata arrestata almeno quattro volte negli scorsi anni, sempre senza alcuna accusa specifica, se non il fatto di essere una militante politica della sinistra palestinese, quella dell’FPLP, organizzazione politica che Israele (e quindi a ruota Ue e Usa) bollano come “terroristica”.

L’ultima volta nel 2019, con due anni di carcere preventivo per “attività che mettono a repentaglio la sicurezza” (questa la giustificazione di Tel Aviv) prima del rilascio, nel 2021. In quell’ultima detenzione le fu impedito di partecipare al funerale della figlia, Suha Ghassan Jarrar, deceduta poche settimane prima che la madre uscisse dalle carceri israeliane, dove era entrata, per la prima volta, nel 1989.

Durante le sue detenzioni, la Jarrar ha curato in carcere programmi educativi indipendenti per insegnare alle ragazze minorenni detenute l’istruzione superiore (negata da Israele) oltre che per insegnare alle donne adulte i loro diritti ai sensi del diritto internazionale.

La sua lotta, dentro e fuori le carceri, è diventata anche una breve autobiografia, all’interno del libro (edito nel maggio 2022) “Our vision of liberation”, dove lo storico israeliano anti-occupazione Ilan Pappè e il giornalista palestinese-americano Ramzy Baroud (direttore di www.palestinechronicle.com) intervistano numerosi attivisti palestinesi, intellettuali, leader popolari e politici.

Clicca qui per leggere il capitolo scritto da Khalida Jarrar e intitolato “Creare speranza nella disperazione: come resistere e vincere nelle carceri israeliane”.

APPELLO INTERNAZIONALE – Per la liberazione di Khalida Jarrar è stata lanciata una mobilitazione internazionale, come si legge sul sito di Samidoun, il network solidale internazionale che si batte al fianco dei prigionieri politici palestinesi (clicca qui per l’appello).

L’intervista di Radio Onda D'urto sulla Jarrar, l’Fplp e le migliaia di prigionieri politici palestinesi (si stima siano quasi 10mila, la metà dei quali dopo il 7 ottobre 2023) a Romana Rubeocaporedattrice di The Palestine Chronicle, effettuata giovedì 28 dicembre. 




Sulla figura di Khalida Jarrar e, più in generale, il ruolo e il posizionamento delle forze della sinistra palestinese Radio Onda D'urto ha intervistato mercoledì 27 dicembre Francesco Giordano, compagno del collettivo Palestina Rossa. 

pc 30 dicembre - Argentina manifestazione dei lavoratori si scontra con la polizia

Argentine: Affrontements à la manifestation syndicale contre legouvernement Milei.

La CGT, principale confédération syndicale d’Argentine, avait convoqué, avec d’autres organisations sociales, une manifestation contre les plans économiques du gouvernement de Javier Milei. Les affrontements ont commencé lorsque des dizaines de policiers anti-émeutes ont formé un cordon à l’intersection des avenues Corrientes et 9 de Julio pour éviter que la circulation ne soit perturbée par le flux massif de manifestants traversant la rue. Au cours des incidents, un policier a été blessé après avoir été heurté par un bus municipal et sept personnes ont été arrêtées. Par ailleurs, au milieu des émeutes, un journaliste a été frappé par derrière par un agent de la police anti-émeute. Depuis dix jours, l’Argentine applique un protocole largement critiqué, mis en œuvre par la ministre de la sécurité, Patricia Bullrich, qui interdit le blocage des voies publiques lors des manifestations. La marche de la semaine dernière, la première contre le gouvernement de Javier Milei, coïncidait avec le 22e anniversaire de la crise économique, politique et sociale de décembre 2001, qui avait conduit à la démission du président radical Fernando de la Rúa (1999-2001) et fait 39 morts parmi les manifestants.

secours rouge

pc 29 dicembre - Ancora sugli arresti di antifascisti in Ungheria e su Gabriele - info

 secours rouge

Allemagne/Hongrie: Le point sur les antifas de Budapest

Lundi 11 décembre, Maja,  a été arrêté.e à Berlin dans le cadre des enquêtes sur différents affrontements contre des néonazis, pendant la période du « Jour de l’honneur » de 2023, à Budapest. Des milliers de néonazis s’étaient rassemblés dans la capitale hongroise et certains d’entre eux avaient été attaqués. Ilaria et Tobias sont en détention à Budapest depuis février, accusés d’avoir participé à ces actions, et Gabriele est actuellement détenu à Milan. Certain.e.s camarades allemand.e.s visé.e.s par d’autres mandats d’arrêt européens pour les mêmes faits sont en fuite depuis plusieurs mois. Lors de son

pc 29 dicembre - Dal blog tarantocontro - Ex Ilva - Oggi ennesimo passaggio a vuoto. Ancora rinvio a gennaio - Ma a gennaio deve essere sciopero!


L’incontro di oggi tra governo e sindacati è stato un ennesimo passaggio a vuoto e senza soluzione. La nota che riportiamo in coda, fatta dalla Gazzetta del Mezzogiorno, costituisce una prima info.

Diciamo chiaro che noi non pensiamo affatto che l’incontro dell’8 gennaio uscirà con una soluzione. Certo, qualcosa sarà più chiaro, almeno delle intenzioni effettive del governo, non le ipotesi che si succedono sui giornali.

A nostro giudizio è “l’accordo segreto” Fitto/Mittal che andrà avanti, ma certamente senza una soluzione vera. E il proseguio di questo è che Invitalia farà un passo indietro.

Per dirla brutale: non è la Morselli che se ne va ma Bernabè.

L’alternativa per loro è una sola, non la nazionalizzazione ma l’amministrazione straordinaria.

Ove Mittal non ottenesse il risultato previsto dall’”accordo segreto” con Fitto (che poi è Meloni) secondo i particolari ampiamente illustrati dalla stampa, l’Amministrazione straordinaria – come peraltro sono costretti a dire i dirigenti dei sindacati confederali - sarà senz’altro un rimedio peggiore del male in materia di tutela degli interessi dei lavoratori.
I lavoratori, al di là delle dichiarazioni dei segretari dei sindacati confederali e dei loro megafoni sui posti di lavoro, non hanno voce in capitolo.

La verità è che dal 1° gennaio parte la nuova cassaintegrazione unilaterale, e i sindacati confederali non sono riusciti neanche a produrre un congelamento di essa, in attesa di…

Drammatica resta la situazione dell’appalto, qui le aziende AIGI hanno chiesto un incontro urgente ai sindacati per comunicare una cassintegrazione generalizzata. Pur essendo differenziate le situazioni nell’appalto, come lo sono state e lo sono tuttora in relazione agli stipendi e 13°, è chiaro che tutte le Ditte dell’appalto a macchia d’olio, a catena, possono trovarsi nelle stesse situazioni, sia nella zona industriale che al porto.

Alla Castiglia gli operai organizzati dallo Slai cobas stanno continuando a battersi comunque per la proroga dei contratti in corso almeno ad un anno e passaggio a tempo indeterminato il più presto possibile, all’interno della difesa del contratto metalmeccanico - contro contratti multiservizi voluti dai padroni e sottoscritti dai sindacati.

Comunque per noi la settimana 8/12 gennaio è quella dello sciopero, della non accettazione di alcun ricatto, né di Acciaierie né dei padroni dell’appalto, e meno che mai come garanzia “paracadute” offerta dal governo. 

DALLA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO

Ex Ilva, incontro a Roma tra i sindacati con i ministri Fitto e Urso. «L'8 gennaio Mittal dia