sabato 18 agosto 2012

ilva taranto - la giornata del 17 agosto dal lato delle masse e dal lato della borghesia - nella cronaca commento dello slai cobas per il sindacato di classe taranto

E' stata innanzitutto una grande assemblea popolare la risposta del 'Comitato lavoratori cittadini liberi e pensanti' alla visita dei ministri Passera e Clini a Taranto, e alla "zona rossa" con cui lo Stato ha blindato
questa visita.Dal palco, con un improvvisato Apecar artigianale - a quello vero era vietato l'accesso - si sono susseguiti interventi di operai, lavoratori, cittadini, donne, che hanno denunciato la gravità degli effetti
dell'inquinamento provocato dai padroni dell'Ilva alla salute e alla vita della gente, con il racconto di morti per tumori, di adulti e bambini, che hanno colpito famiglie del popolo e oggi alimenta la rivendicazione piena
del diritto a non morire più, a non ammalarsi in forme così eclatanti in alcuni quartieri, a potersi curare; questa è l'anima effettiva del Comitato che ne amplia la partecipazione dopo ogni iniziativa e che si trasforma
anche in un fenomeno di cittadini che prendono la parola per la prima volta in contesti così grandi. Ci sono  stati poi interventi che hanno denunciato come l'inquinamento abbia prodotto danni ad altri settori della vita
economica e sociale della città, vedi i miticultori.
E' da qui che nasce il grido di ribellione e la volontà di lotta di numerosi cittadini che stanno partecipando alle iniziative. L'assemblea popolare ha dimostrato che questo grido deve essere raccolto e non si può soffocare con denunce e divieti, che vi è un risveglio della popolazione di Taranto e che tanti cittadini si stanno prendendo il diritto di parola e devono essere ascoltati.
Alcuni operai hanno denunciato il clima in fabbrica, dove l'azienda e i sindacati aziendalisti stanno promuovendo degli scioperi a difesa sostanzialmente di Riva e dell'azienda così com'è adesso. Alcuni operai
hanno preso coscienza anche attraverso questo movimento della gravità del problema dell'inquinamento fuori dalla fabbrica e sono divenuti assai sensibili e vogliono che questa situazione venga affrontata realmente.
Altri interventi hanno solidarizzato e invitato a solidarizzare - invito raccolto - con la Magistratura e il giud. Todisco che con la sua inchiesta ha messo realmente a nudo il problema cominciando a colpire i responsabili,
padron Riva, Emilio e Nicola, come il dirigente Capogrosso, sono ancora ai domiciliari, e l'ordinanza impone perentoriamente interventi per mettere fine alle violazioni.L'assemblea si è svolta costantemente in un clima di partecipazione, di applausi, di slogan - molti mutuati dallo stadio vista la presenza di una forte componente ultras. L'assemblea ha denunciato le istituzioni, dal sindaco Stefano, a Florido, a Vendola, come silenti e complici delle violazioni in materia di sicurezza e ambiente dell'Ilva, peraltro ora al centro anche di un'inchiesta di corruzione che tocca politici, funzionari, sindacalisti, ecc.
Dopo l'assemblea popolare la spinta dei partecipanti è stata verso un corteo che violasse la "zona rossa" e portasse fin sotto la prefettura la protesta, à dove i ministri erano intanto giunti. E un corteo è partito e ha fatto, ingrossandosi, il breve pezzo che va da p.zza Immacolata a p.zza Della Vittoria. Qui ha trovato la barriera del massiccio spiegamento della polizia e la scelta del Comitato, che ha messo su allo scopo anche un 'servizio d'ordine', è stata di fermare lì la protesta, scelta accettata a fatica da una parte dei manifestanti.

Ma a Taranto oggi vi è stata anche un'altra manifestazione, centinaia di operai hanno partecipato allo sciopero e al blocco promosso da Fim e Uilm, ma in realtà voluto dall'azienda che ha visto i portavoci aziendali nelle fila operaie farla da padroni. Uno sciopero negativo che lo Slai cobas, con un volantinaggio di questa mattina, ha invitato a boicottare.

Nella piazza in cui si è radunato il Comitato è stato presente lo Slai cobas per il sindacato di classe, con rappresentanti di operai Ilva, precari, disoccupati, prima di tutto per effetto di un divieto che ha negato allo
Slai cobas la possibilità di tenere un presidio sotto la prefettura per esprimere direttamente la protesta contro la visita dei Ministri - la questura ha costretto tutti a manifestare solo in p.zza Immacolata.
Lo Slai cobas per il sindacato di classe aveva striscioni ben chiari: "Contro padron Riva e lo Stato dei padroni, difendiamo con la lotta la salute e il lavoro", "Per il lavoro e il salario garantito, uniti nella
lotta operai e disoccupati" - che rappresentano la battaglia quotidiana fatta in Ilva e in città.
Lo Slai cobas per il sindacato di classe non si trincea nell'anonimato e difende realmente lavoro e salute battendosi soprattutto in fabbrica contro Riva, non per la chiusura dell'Ilva ma per imporre con la lotta il suo
effettivo, e controllato dagli stessi operai, risanamento e ponendo nell'unità tra operai e masse popolari la via per ottenere il massimo dei fondi, interventi immediati per la bonifica dei quartieri più colpiti e il
rafforzamento delle strutture per la tutela della salute.
Lo Slai cobas si batte perchè tutto il movimento assuma questa linea e per questo ha rivolto la sua iniziativa e le sue parole d'ordini anche alla massa di partecipanti all'iniziativa del Comitato. Questo non sta bene a chi invece vuole la chiusura dell'Ilva e vede in questo la soluzione e contrappone la lotta per la salute alla lotta per il lavoro in Ilva. Una posizione dannosa agli operai e alle masse popolari e controproducente
rispetto agli obiettivi che ci si pone.

Ma naturalmente la questione principale resta la mobilitazione autonoma da padroni, governo e sindacati confederali degli operai dell'Ilva e dell'indotto, arma indispensabile per vincere in fabbrica e in città.
La mobilitazione deve continuare e da parte nostra noi lavoriamo per uno sciopero e un'assemblea autonoma degli operai Ilva, così come va raccolto, oltre l'attività del Comitato, l'appello a formare comitati popolari nei
quartiere ed altri strumenti di organizzazione necessari ad una battaglia così grande e nello stesso tempo difficile e complessa.

SLAI COBAS per il sindacato di classe
17.8.12




La giornata di ieri è definita “storica” da alcune delle forze istituzionali e dalla stampa per la venuta dei Ministri e per i Vertici che si sono fatti, le decisioni prese e quelle annunciate dal governo, l'assunzione di responsabilità delle Istituzioni e per gli impegni e dichiarazioni del facente funzione di padron Riva, Marco Ferrante.
Di “storico” c'è solo che questa concentrazione sia avvenuta dopo anni di disinteresse o di interesse saltuario per la situazione ambientale, per la città di Taranto in generale. Non c'è però niente di “storico” nelle decisioni e negli impegni presi.
Essi sono di natura molto insufficiente e inadeguata, sia rispetto alle stesse intenzioni annunciate da chi le ha prese, sia soprattutto rispetto alle esigenze imposte dalle manifestazioni di lavoratori e cittadini e posta, ancora senza adeguata manifestazione, dalla parte cosciente e avanzata degli operai Ilva di cui lo Slai cobas per il sindacato di classe è parte e interprete.
L'impegno principale è quello, finora puramente formale, di integrare le prescrizioni della magistratura, tranne una, quella del fermo degli impianti, nella nuova Aia da concedere a fine settembre. Si tratta attualmente di un impegno tutto sulla carta perchè mancano totalmente piani e cronoprogramma Ilva che possano tradurre gli impegni in fatti; sostanzialmente Ferrante ha dichiarato che la proprietà è disponibile a fare questo sforzo ulteriore a condizione che la continuità della produzione venga altrettanto assicurata e non messa più in discussione; quando invece è ben chiaro che la questione è rovesciata, è la messa a norma dello stabilimento la principale garanzia della sua continuità produttiva.
Detto questo, i soldi in tutti i campi sono pochi. Sono cifre quasi da ordinaria amministrazione di uno stabilimento come l'Ilva, non ci voleva tutto questo “casino” per impegnare solo questi fondi. Questo dimostra che si affronta una situazione straordinaria con mezzi ordinari, quando solo l'assunzione di mezzi straordinari può affermare una ordinarietà accettabile.
Circa poi la magistratura, gli equivoci sono rimasti tutti. Il governo ha fatto un passo indietro rispetto alla minaccia di ricorso alla Consulta, ma non ha mancato di esercitare il massimo di pressione sulla vicenda e di svolgere un dialogo a distanza i cui esiti verso l'inchiesta sono tutti da vedere. Ci riferiamo qui ad una telefonata fatta dal Ministro Clini al Procuratore della Repubblica Sebastio, di cui Clini non divulga i particolari ma parla di “convergenze di intenti”, e ad una intervista al Procuratore di Lecce, massima autorità nella gestione dell'inchiesta, che giudica molto positivo l'esito del Vertice. Tutto questo sembra una pressione, mentre si è in attesa della, obiettivamente tardiva e non sappiamo quando incidente a questo punto, motivazione della sentenza del riesame.
Noi da parte nostra diciamo a chi esprime una fiducia incondizionata ai giudici, nel caso concreto al giudice Todisco, sappia che la Magistratura è una parte dello Stato, uno Stato che complessivamente è al servizio degli interessi delle classi dominanti e, nel caso concreto, dei padroni, e questo indipendentemente che ci siano dei giudici che si muovano dentro una logica diversa, e non si può avere fiducia in questo Stato e nei suoi governi.
Per questo diciamo che ora più che mai, anche alla luce del Vertice, contro padron Riva e lo Stato dei padroni difendiamo salute e lavoro con la lotta.

Dove i nodi appaiono effettivamente inadeguati è nel merito, nella valutazione degli atti di intesa alla Regione e degli impegni della proprietà espressi da Ferrante, a partire da quella che è diventata una specie di simbolo di questa situazione, vale a dire la questione dei parchi minerali. Gli impegni contenuti nell'intesa tra Regione e Riva su questo prevedono solo interventi tampone, o già vecchi e non adeguati, o la costruzione di una barriera alta che al massimo ridurrebbe ma non bloccherebbe lo spandersi delle polveri; non arrivano invece a prevedere, e quindi di fatto escludono, la copertura totale dei parchi minerali o il trasferimento di essi, quando è divenuto chiaro agli operai, ai cittadini che si stanno mobilitando che al di sotto di questi provvedimenti, il problema non è realmente affrontato. Ma su questo, è evidente, non ne vogliono sapere. Questo finisce per dare un segno negativo anche alle altre cose che si vogliono fare, su cui torniamo in altre occasioni.

Per questo la lotta deve continuare. Ma nella continuità di questa lotta che ha la salute al centro, è il lavoro la chiave per vincere. Il lavoro significa difendere attivamente il posto di lavoro all'Ilva sapendo che esso è legato strettamente ai risultati della messa a norma degli impianti e che quindi si deve tradurre nell'azione di lotta in fabbrica per imporre e controllare la messa a norma.
I dirigenti sindacali di Fim e Uilm si muovono solo a comando di Riva, fanno sciopero quando il padrone lo ordina o glielo permette, e ora dicono esattamente le stesse cose che dice Ferrante per dire che non si deve più lottare. La Fiom ultimamente si è distinta da questa posizione ma c'è troppa coda di paglia, troppa voglia di rientrare nel gioco truccato che attualmente è l'attività sindacale all'Ilva. Ciò che è necessario si deve imporre in fabbrica come linea di condotta per tutti gli operai qualunque sia il sindacato a cui siano iscritti.
Lottiamo subito per la vera messa a norma dello stabilimento, su questo noi dei cobas vogliamo costruire insieme agli operai la piattaforma necessaria subito e senza una nuova organizzazione sindacale senza lotta non si fa e soprattutto non si vince.
Ma la questione lavoro va messa al centro anche dal movimento di lotta che si è raccolto intorno al Comitato lavoratori cittadini liberi e pensanti', perchè esso è la chiave per l'unità operai e movimento antinquinamento; ma è anche molto di più, la chiave per la chiamata a raccolta dei disoccupati, della gente dei quartieri perchè i soldi che arrivano per la bonifica servano per darlo il lavoro non per toglierlo, affinchè Taranto sia la città del lavoro e della salute.
Su questo lo Slai cobas per il sindacato di classe all'Ilva, i Disoccupati Organizzati in lotta per il lavoro sono strumento indispensabile.
Non è che l'inizio, la lotta continua

 18 -8-2012
slaicobas per il sindacato di classe ilva taranto
347-5301704 cobasta@libero.it.


venerdì 17 agosto 2012

Il fuoco della rivolta nelle banlieus parigine non si è mai spento!


Francia / Rivolta ad Amiens

Centinaia di giovani, nella notte tra il 13 e il 14 agosto, danno fuoco agli automezzi, ad una scuola e una palestra. Il governo Hollande-Ayrault risponde con la militarizzazione. Ma l’alternativa esiste.

16 agosto 2012 - 11:05
S’illumina la notte tra il 13 e il 14 agosto il quartiere Amiens-Nord, dichiarata di recente “zona di sicurezza prioritaria” dal governo. Non sono le luci delle case, niente feste di ferragosto. A squarciare il buio sono stati i fuochi appiccati – secondo fonti istituzionali – da un centinaio di giovani dello stesso quartiere. Gli obiettivi, ormai “tradizione popolare”, sono stati principalmente autovetture parcheggiate, utilizzate per erigere barricate e fermare l’avanzata della polizia quando i lanci di oggetti non risultassero più sufficienti. E, esattamente come nel 2005, anche gli edifici pubblici: una scuola è stata data alle fiamme, una palestra ha subito lo stesso trattamento.

Le forze dell’ordine hanno risposto con generoso utilizzo di gas lacrimogeni e “flashball”, i fucili caricati a pallottole di caucciù della grandezza di palline da golf in dotazione alla Brigata Anti Crimine, la Polizia riservata alle banlieue. Sopraffatti dalla reazione popolare dei giovani, i politici locali e il governo nazionale hanno condannato fermamente le violenze: il presidente Hollande vuole “ristabilire la calma con ogni mezzo dello Stato”, ed ha affermato che la sicurezza “è un dovere delle Stato”. Il Ministro dell’Interno, Manuel Valls, si è recato ieri pomeriggio nel quartiere per tentare di riportare la calma, ma senza troppo successo: accompagnato per tutta la sua permanenza da una folla di residenti che lo hanno fischiato e contestato, non sono bastate le parole “amorevoli” del padre severo a riportare la calma. Valls ha dichiarato di fronte ai residenti che lo contestavano di non essere venuto “per ripulire al karcher il quartiere”, cercando così di prendere le distanze dalla politica ultra-securitaria della destra sarkozista. L’espressione “ripulire al karcher” era stata impiegata dall’allora Ministro dell’Interno Nicolas Sarkozy nel Novembre 2005 durante una visita alla banlieue parigina di Clichy sous Bois, attizzando così il fuoco della storica rivolta.

Lo stesso Valls ha aggiunto tuttavia che “non è in nessun modo scusabile che qualcuno tiri sulla polizia, che tiri sulle forze dell’ordine e che bruci degli edifici pubblici […] La legge e l’ordine repubblicano devono ritrovare il loro posto, qui, ad Amiens”.

La destra tutta, dall’UMP al Front National, coglie invece l’occasione per puntare il dito contro il governo e le sue politiche di sicurezza, accusando apertamente l’esecutivo socialista di aver dato prova di “lassismo” e di “essere dalla parte dei delinquenti”. Il riferimento è esplicito ad uno dei proclami che Hollande aveva fatto già durante la campagna elettorale, nel quale si diceva pronto ad appoggiare le inchieste interne sugli abusi polizieschi, in particolare nelle “zone difficili”, impegnadosi così per una “giustizia” secondo il motto “chi sbaglia, paga, anche se in divisa”. Molti avevano visto allora nelle sue parole la volontà di porre fine all’impunità delle forze dell’ordine e di combattere l’omertà sempre molto presente all’interno dei corpi delle varie polizie del Paese.

La ricostruzione dei fatti da parte dei politici, di destra e di sinistra, è comunque a senso unico: si parla di “aggressioni agli agenti da parte dei giovani durante normali controlli” (sindaco socialista di Amiens) o dell’aumento delle “contestazioni violente ai controlli di polizia [che] sembrano essere divenute la regola. La Paura ha cambiato campo!” (segretario nazionale UMP per le forze di sicurezza). Ed è il Front National che riassume la linea comune in materia di politiche securitarie: “la Francia deve farsi rispettare”.

Stando alle testimonianze finora raccolte, sembra che lo scontro tra giovani del quartiere e le forze di polizia non sia mai cessato e, anzi, abbia seguito la curva dell’escalation proprio in questi ultimi mesi. La “scintilla” sarebbe stata un controllo stradale ad automobilista avvenuto domenica sera. Un gruppo di residenti, riunito poco distante per la veglia funebre di un ragazzo di 20 anni morto per un incidente in moto, ha dichiarato di essere stati invasi dal fumo dei gas lacrimogeni, utilizzati dagli agenti durante il “normale” controllo stradale. Gli stessi residenti hanno ritenuto questa pratica “eccessiva”. A questo episodio sarebbe seguiti, nello spazio di pochissimi giorni, diversi altri “controlli”, fino all’esplosione della rivolta.

Il Governo e il Ministero dell’Interno hanno già mobilitato ingenti rinforzi da tutta la regione, portando il numero di agenti presenti in loco a 250 – a fronte dei 30 normalmente impiegati – tra cui un’intera brigata della BAC direttamente da Parigi e un elicottero.

giovedì 16 agosto 2012

ILVA, IL "MERCATO DELLE SOLUZIONI" - MA UN'ANALISI MATERIALISTICA, DI CLASSE E' POSSIBILE?

Quello che sta accadendo all’Ilva e alla città di Taranto è una dimostrazione della stridente e irrisolvibile contraddizione tra capitale e lavoratori, tra modo di produzione capitalista che ha come unico scopo il profitto privato e i bisogni delle masse popolari, della società.
Il capitalismo va avanti schiacciando tutto ciò che ostacola il suo cammino; in nome del profitto aumenta i livelli dello sfruttamento degli operai e insieme si fa beffe di ogni tutela delle condizioni di vita, si fa beffe della salute, del rispetto dell’ambiente, anzi non ha alcun scrupolo a distruggerlo, a lasciare morti, malati nel suo cammino. Gli interessi dei lavoratori e delle masse popolari sono inconciliabili con gli interessi capitalistici e di tutto lo Stato dei padroni. Ciò che ha diritto di vita è solo il capitale e il suo sistema. L’Ilva per Marx sarebbe da manuale di come non è possibile lottare per l’abolizione dello sfruttamento, del lavoro salariato, contro la distruzione dell’ambiente, per unire realmente lavoro e salute, senza distruggere il sistema capitalista.
Il proletariato, la classe operaia, può e deve essere il “becchino” del capitale. Questa verità storica si conferma anche nella vicenda odierna.
Per questo, chi oggi nella battaglia contro padron Riva non vede prioritariamente negli operai Ilva il cuore dell’organizzazione delle forze per combattere il suo sistema, si arrende di fronte alla potenza del capitale e sposta su un terreno non di classe lo scontro, in cui la prospettiva, al di là delle parole, può essere apparentemente “rivoluzionaria” ma nella sostanza è inconcludente, al massimo riformista.

Oggi, nella vicenda Ilva sembra che alcuni, sia a Taranto che a livello nazionale (un esempio è il testo fatto da Villa Roth Bari, Comitato di quartiere Taranto, Area Antagonista: Lab. Okk. Ska, C.S.O.A. Officina 99 Napoli, C.S.O.A. Asilo 45 Terzigno, C.S.O.A. Rialzo – Cosenza, LOA Acrobax Roma) scoprano ora le brutture del capitalismo, e dicono: basta con il lavoro, la retorica lavorista, l’ossessione salariale, la paranoia dell’occupazione, rivendichiamo reddito per tutti, un diritto all’esistenza fuori dai rapporti sociali di produzione capitalistici. E si preparano a scendere a Taranto come un esercito bonificatore – di fatto verso gli operai che continuano a voler lavorare e a voler difendere il loro posto di lavoro.
Queste posizioni esprimono oggettivamente un humus antioperaio. Rappresentano l’ideologia, le aspirazioni, la vita della classe che le esprime, la piccola borghesia, il cui sogno è una città senza fabbrica e quindi – per coerenza inevitabile - senza operai. Le fabbriche tout court vengono viste come un orrore da cui liberarsi (e, allora perché non chiudiamo anche tutte le altre fabbriche, gli stabilimenti Fiat, facendo un favore a Marchionne, dove viene attaccata eccome quotidianamente la salute, insieme alla dignità, degli operai). Vogliono far diventare gli operai disoccupati, che vadano ad alimentare il grande esercito dei senza lavoro questo sì ricattabile da padroni, istituzioni, politici, criminalità (come la stessa realtà di Taranto dimostra, e in cui l’unica controtendenza negli ultimi tempi sono i Disoccupati Organizzati dello Slai cobas per il sindacato di classe che sottraendosi a questo ricatto uniscono lotta per il lavoro, lotta per il reddito e lotta per la dignità).
“No ai ricatti”, dicono – come anche è scritto nello striscione del ‘Comitato lavoratori liberi e pensanti” di Taranto - ma di fatto individuano il ricatto nel lavoro. La rivendicazione del reddito, che chiaramente e non a caso è diversa dal “salario garantito”, è sempre stata una rivendicazione dei movimenti dei disoccupati ma come parte della lotta per il lavoro: “lavoro o salario garantito”, essa si lega alla lotta degli operai ma per impedire che il padronato usi la questione dei disoccupati per abbassare il salario operaio, non certo come la rivendicazione trovata che fa vivere il proletariato senza lavorare e finalmente liberato dal ricatto del lavoro salariato.
Gli operai non vogliono vivere di “reddito” – qualcuno oggi vuole, per favore, ricordarsi i più di 200 operai Fiat che negli anni 80 buttati fuori dalla fabbrica, si suicidarono, pur essendo assistiti da un “reddito”? Non ci dimentichiamo poi che Riva, per suo interesse, ha già inventato i lavoratori pagati per non lavorare: prima i lavoratori della Palazzina Laf, oggi un ex delegato Fiom, Battista – ma questo si chiama “mobbing”, e gli operai che potevano starsene in pace a casa con lo stesso salario, dissero e dicono No e lottano per lavorare.

Vi sono altri che dicono riconvertiamo in senso ecologico la produzione, o lottiamo per alternative produttive ad una fabbrica siderurgica. Come se queste altre attività non fossero regolate e interne al modo di produzione capitalista e non avessero, quindi, per scopo sempre e solo il profitto e non la tutela dei diritti delle persone e delle popolazioni. Il capitale, in qualunque settore produttivo, non ha alcun motivo per occuparsi principalmente di mettere suoi soldi per rendere la produzione compatibile con la difesa della salute e dell’ambiente, perché è costoso, e ogni soldo impegnato in questo al capitalista sembra uno spreco.
Pensiamo per esempio alla produzione di energie alternative, l’anno scorso emerse lo “scandalo” del fotovoltaico nella provincia di Lecce, con appalti e subappalti in cui vigeva uno sfruttamento schiavistico verso operai immigrati, che non metteva forse a rischio la salute della popolazione ma quella degli operai sì, costretti a 14 ore di lavoro in condizioni bestiali; pensiamo alla devastazione ambientale e all’inquinamento dell’industria del turismo, che spesso distrugge terreni, deturpa l’ambiente, inquina i mari, ecc.
Ogni discorso di “riconversione” industriale effettivamente ecocompatibile è impotente, o della serie “mettersi la coscienza a posto” se non parte da un’analisi materialista del sistema capitalista.
Per non parlare di coloro che auspicano il ritorno ad una Taranto prima del siderurgico – ma dovremmo dire anche prima dell’Eni, della Cementir, della Marcegaglia, ecc., cioè un ritorno ad una città fatta solo di agricoltura e pesca, che come altre tra le città più povere del Sud, era preda essenzialmente di emigrazione e disoccupazione.
Ma la storia va avanti e non indietro, e la stessa agricoltura è regolata dalle leggi del profitto delle grandi aziende che hanno reso i prodotti agricoli anch’essi inquinati e nocivi per la salute della popolazione, in cui per il massimo sfruttamento si uniscono vecchi sistemi, il caporalato, a moderni, il massiccio impiego di lavoratori stranieri. Parlare della Taranto di prima, poi, nasconde l’altra faccia della medaglia di quegli anni, la miseria dilagante che provocava altrettanti morti e malattie – e qui, se mai, il “ritorno” lo stanno facendo padroni e governo facendo arrivare il tasso di disoccupazione a Taranto al 40%.

Nello stesso tempo proprio coloro che parlano di riconversione produttiva, segano le gambe all’unica forza che può fare questa battaglia, gli operai. Se gli operai non sono più una classe e arretrano a condizione di disoccupati, di “assistiti dallo Stato” come possono fare questa lotta?
Per coloro – come il “Comitato di lavoratori e cittadini liberi e pensanti” - che si stanno battendo a gran voce per la chiusura dell’Ilva e la difesa dell’ambiente, ma con operai fuori dalla fabbrica (con reddito garantito), gli operai o sono tutti succubi di Riva e della logica aziendalista o finora sono stati ciechi e sono “colpevoli” anch’essi dei morti dei bambini dei Tamburi.
Costoro, anche alcune figure di operai ex delegati Fiom molto intervistati dai massa media, in questi giorni non parlano più della condizione degli operai in questo “inferno dell’Ilva”, e l'essere “cittadini” è la condizione che unisce tutti, dai lavoratori fino ai medio borghesi. Tra le cifre snocciolate sono sparite le cifre degli operai morti all’Ilva (una media di 3,4 all’anno), quelle di centinaia di operai morti per tumore, non contabilizzati; nessuno dice che la vera devastazione è ciò che succede ogni giorno in fabbrica.
Gli operai non sono “colpevoli” perché non sono loro che potevano e possono decidere all’Ilva, loro potevano e possono solo lottare contro Riva – su quanto poco hanno lottato questa sì è una responsabilità della classe che spesso anche all’Ilva si lamenta ma ancora non “prende il bastone e tira fuori i denti”, e non si libera realmente dei sindacati confederali.
Come ha giustamente scritto Rossana Rossanda “… Come se fossero loro (gli operai) a decidere se aprire o chiudere una fabbrica e a determinarne le linee e l’organizzazione della produzione…” e non la proprietà del capitale. “l’operaio è meno di un uomo libero, lo è meno di un altro cittadino”. La sua “libertà” è solo quella di lottare e organizzare sia il proprio sindacato di classe per difendersi oggi, sia il proprio partito per rovesciare questo sistema capitalista di sfruttamento e morte.

Poi vi sono le posizioni che vedono nell’esproprio dell’Ilva e nell’affidarla ai lavoratori - vedi Marco Ferrando del Pcl su Il Manifesto dell’11 agosto) – la soluzione.
E’ ben strano. Queste da un lato sostengono che il governo e lo Stato sono amici di Riva e quindi non farebbero mai qualcosa contro l’azienda, dall’altro sostengono che questo stesso governo, questo stesso Stato dovrebbero espropriare Riva senza indennizzo, requisendone gli utili per metterli al servizio della riorganizzazione della produzione, del cambiamento degli impianti, della bonifica dei territori, e sempre questo governo e questo Stato dovrebbe mettere la fabbrica nazionalizzata sotto il controllo degli operai, dando ai lavoratori e ai comitati di quartiere della città appunto il potere di controllo. Questa sarebbe la “soluzione” per difendere insieme lavoro e salute…
Perfetto. Ma chi dice questo dimentica un “piccolo” passaggio fondamentale: perché la produzione sia nelle mani e sotto il controllo operaio è necessario che il proletariato rovesci questo sistema capitalista, rovesci il potere di questo Stato borghese, e costruisca il potere proletario. Questo richiede lo sviluppo della via rivoluzionaria, organizzare le forze proletarie e popolari per farla, costruire lo strumento per questo, il partito rivoluzionario del proletariato.
Non si possono ingannare i lavoratori dicendo che realizzare l’esproprio di un capitalista, primo polo nel paese, secondo produttore di acciaio a livello europeo e tra i 20 padroni nel mondo, per una produzione al servizio della società, quindi non capitalista, sarebbe una “rivendicazione elementare”, e che “conciliare lavoro e salute significa mettere in discussione i fondamenti su cui il capitalismo regge”.
Così, sulla costruzione della forza e degli strumenti per il potere proletario, Ferrando è dirigente di un partito che la domenica fa propaganda rivoluzionaria e il lunedì, martedì, mercoledì… parla e pratica una politica che ha come principale scopo l’elettoralismo.

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La questione Ilva che dovrebbe essere chiara, emblematica della guerra di classe che c’è e che gli operai devono fronteggiare attrezzandosi per la loro guerra di classe, sta diventando invece il “mercato” delle idee, in cui ognuno porta “la sua analisi e soluzione”. E questa importante battaglia in corso, sia sindacale che politica, oggi ha il problema di contrastare anche queste posizioni.

Oggi operai e popolazione devono portare avanti una lotta per strappare il massimo possibile a Riva e allo Stato in tema di sicurezza, ambiente, impedendo che si perda anche un solo posto di lavoro: dalla copertura integrale dei parchi minerali, alla messa a norma dei filtri, ecc., all’attuazione di tutte le prescrizione vecchie e nuove, al rinnovamento di impianti vecchissimi, fino alla riconversione tecnologica del ciclo produttivo dell’acciaio, alla riduzione del carico produttivo. Questa lotta si deve fare! E’ una lotta sindacale di classe, necessaria e possibile. Chi dice: non è possibile, l’Ilva deve andarsene punto e basta, Riva non farà mai gli interventi necessari per il risanamento degli impianti, rinuncia a priori alla lotta in fabbrica non solo contro padron Riva ma contro governo, Istituzioni. Certo Riva piuttosto che mettere a norma, potrebbe andare in altre zone più convenienti, ma è costruendo nuovi rapporti di forza che glielo si può impedire.
Ma nessuno può illudere o illudersi che questa lotta di difesa può in questo sistema rendere effettivamente compatibili lavoro salariato e difesa della salute e dell'ambiente. Ilva o non Ilva, senza rovesciare il sistema del capitale non è possibile eliminare l'inquinamento, l'attacco alla salute (anche in una Ilva nazionalizzata vigerebbero le stesse leggi di questo sistema sociale – proprio l’Italsider, prima di Riva, lo insegna); sarebbe come dire che ci può essere il lavoro ma senza sfruttamento, senza licenziamenti, senza bassi salari.
Quando comunisti, come noi, dicono e lavorano per la rivoluzione, per il potere proletario, per la società socialista, non è per parlare solo di belli ideali, ma perchè la rivoluzione è la soluzione più concreta e possibile perchè non ci siano morti di operai, di bambini per una fabbrica come l'Ilva. Ogni altra soluzione, questa sì è illusione, mentre la realtà possibile e da perseguire è la rivoluzione.

Proletari comunisti - 16.8.12


lunedì 13 agosto 2012

la posizione di proletari comunisti - PCm Italia sulla situazione all'Ilva Taranto


la posizione generale dello slai cobas per il sindacato di classe ilva taranto


pc 12 agosto - Ilva - gli operai tornano a bloccare le strade - la posizione dello slai cobas per il sindacato di classe ILVA taranto

proletari comunisti riprenderà le normali  pubblicazioni a settembre
in questi giorni saranno pubblicati  testi utili alla lotta di classe secondo necessità

Circa 600 lavoratori stanno occupando la statale 7 Appia che porta al centro di Taranto.
i blocchi proseguiranno durante la giornata per turni sia oggi che probabilmente domani

la posizione dello slai cobas per il sindacato di classe

SI, ALLA MOBILITAZIONE PER MANTENERE TUTTI GLI OPERAI IN FABBRICA PER DIFENDERE LAVORO E SALUTE CONTRO RIVA E IL GOVERNO

La scesa a Taranto il 17 dei tre ministri ha tutto il segno di una venuta in soccorso a Riva, e non di un effettivo impegno del governo per salvaguardare i posti di lavoro, imporre all’azienda effettivi interventi di risanamento degli impianti, finanziare realmente la bonifica sul territorio; l’azienda interpreta il riesame come una sostanziale continuità dell'esistente e all'interno delle decisioni assolutamente insufficienti già prese al Tavolo regionale, del decreto governativo e degli impegni, anche finanziari, inadeguati

La posizione dello Slai cobas è netta e chiara, sintetizzata da “operai in fabbrica padroni in galera” - questa fabbrica si risana solo con gli operai dentro e con la lotta operaia e che questa lotta in fabbrica permette di sviluppare la battaglia unitaria e popolare per affrontare e combattere i gravi effetti che la politica dei padroni, pubblici prima e con Riva dopo, hanno prodotto sulla vita e la salute della popolazione di Taranto, in particolare di quella dei quartieri contigui alla grande fabbrica.
Abbiamo bisogno un sindacato di classe e di massa nelle mani degli operai, che all'Ilva si chiama slai-Cobas per il sindacato di classe.
Siamo per la mobilitazione degli operai ma su queste posizioni. Non aderiamo a mobilitazioni organizzate dall'azienda, né a scioperi ambigui che non abbiano l'azienda e il governo come controparte.

13.8.12
SLAI COBAS per il sindacato di classe ilva - 3475301704 – cobasta@libero.it

domenica 12 agosto 2012

pc 12 agosto - Ilva Taranto: La pensiamo "liberamente" diversamente


LA PENSIAMO “LIBERAMENTE” DIVERSAMENTE.

Il portavoce riconosciuto del 'Comitato lavoratori cittadini liberi e pensanti' ha fatto un'intervista a Il Manifesto di oggi, in cui vi sono cose che condividiamo e cose che non condividiamo.
Giustamente denuncia come “l'azienda faceva finta che non fosse successo nulla. Continuava a produrre interpretando erroneamente il provvedimento. Aveva fatto la stessa cosa anche quando fu emessa la prima ordinanza...”.
Pdron Riva e la siderurgia di Stato prima sono responsabili di aver fatto di Taranto e della fabbrica Ilva, quello che giustamente viene chiamato “fabbrica della morte e della devastazione ambientale”, e quindi è inaccettabile che padron Riva e il portavoce, Ferrante, possano pensare di cavarsela con misure parziali, senza pagare in tutti i campi, giudiziari, economici, produttivi e sociali, il costo di quello che è successo e succede a Taranto, e che giustamente il Comitato denuncia e chiama alla mobilitazione la popolazione – denuncia e lotta, in fabbrica e nella città, in Tribunale e a .livello nazionale, che lo Slai cobas per il sindacato di classe, soprattutto attraverso la costruzione e la mobilitazione della Rete Nazionale per la sicurezza, ha sempre portato avanti.
Ma alla domanda “se l'Ilva mettesse a norma gli impianti, sarebbe una soluzione o no?”, risponde “Riva non lo farà mai, è molto più probabile che scelga di chiudere”. Che padron Riva, chiaramente, non voglia sacrificare i suoi profitti sull'altare della salute e sicurezza non è certo una novità, ma che questo debba essere contrastato apertamente in fabbrica dagli operai, che gli operai debbano alzare il tiro all'interno della fabbrica per rivendicare tutto quello che è necessario, è altrettanto vero. Non farlo significa lasciar mani libere all'azienda nell'utilizzo del ricatto del lavoro come unica soluzione per il mantenimento dello stabilimento.
Fare questo oggi richiede la costruzione di un sindacato di classe e di massa che dia organizzazione e continuità a questa battaglia e trasformi la contestazione ai sindacati confederali al servizio dell'azienda in alternativa praticabile per gli operai in fabbrica.
Il portavoce dice che “politici e sindacalisti farebbero meglio a concentrasi sul futuro e su come dare una nuova economia a questo territorio, invece che contrastare la magistratura”.
Politici e sindacalisti, questo sì, non lo faranno mai, perchè sono quelli che hanno contribuito a produrre col loro fiancheggiamento dell'azienda, questa situazione.
Il futuro di questa città e la sua nuova economia è nelle mani degli operai se restano operai di una grande fabbrica, quindi una grande forza materiale e di classe contro padroni, Stato e capitale. Questo non lo può certo fare la magistratura e né è frutto delle decisioni della magistratura.
L'esperienza delle lotte ha sempre indicato che quando operai e masse popolari si uniscono in fabbrica e sul territorio, riescono ad influenzare con la loro lotta, fino a forme di contropotere, nei settori dell'ambiente, della medicina, scienza e tecnologia applicata al servizio della salute, ecc.

Il portavoce dichiara “considerando che gli stipendi dei dipendenti gravano sugli utili dell'azienda non più del 10%, si potrebbe spegnere gradualmente il siderurgico in tre/quattro anni, nel frattempo avviare le bonifiche, restituire alla città le aree demaniali e favorire buoni investimenti”.
Si tratta di poche idee ma ben confuse, che trascurano la sostanza del problema, siamo in un sistema capitalista, i padroni in questo sistema hanno, tutti, come obiettivo il massimo profitto col massimo sfruttamento e cercano sempre di ridurre e tagliare i costi considerati “inutili”, come quelli sulla sicurezza e la salute. Questo sia che producano acciaio, sia che producano fotovoltaico, sia siano nel campo delle attività turistiche. Spegnere il siderurgico in tre/quattro anni, cancellando tra fabbrica e indotto circa 18 mila posti di lavoro, non ha nessuna possibilità di avere altrettanti posti di lavoro nell'attività di bonifica, in un territorio in cui certamente hanno già bisogno di lavorare circa 100 mila tra disoccupati e chi ha già perso il lavoro.
La restituzione delle aree demaniali alla città, obiettivo giusto, significa lottare a fondo contro la Marina e lo Stato, contro il sistema imperialista italiano che ha fatto di questa città una base militare, di guerra, espropriata, molto ben prima che ci fosse il siderurgico, e circa 100 anni prima che ci fosse Riva. E la presenza di una forte classe operaia, se fosse organizzata e combattiva, sostenitrice di un lavoro produttivo per la società, è una forza indispensabile per combattere queste scelte.
I nuovi investimenti che sono necessari alla città, tagliati oggi da padroni e governo in tutt'Italia e in particolare al sud, si possono strappare con una lotta di tutta la città, e anche in questo la presenza organizzata della classe operaia è un fattore decisivo, come tutta la storia delle lotte al sud ha sempre dimostrato, e come l'esempio di Bagnoli sta tragicamente a dimostrare il contrario. Bagnoli è stata per anni il baluardo della lotta per i diritti, il lavoro, la salute contro padroni, governi dei padroni, contro il potere clientelare e malavitoso, l'abbandono del sud alla disoccupazione, alla miseria. Cancellata la classe operaia di Bagnoli, con motivazioni abbastanza simili a quelle con cui si vuole chiudere l'Ilva, è stata cancellata questa lotta, e Napoli e tutto il sud hanno perso un loro solido riferimento di classe e di massa.
Tutta questa lotta però non è fine a sé stessa anche se deve vivere di risultati concreti, ma è inserita e finalizzata nell'unica lotta che può affrontare i problemi della salvaguardia del lavoro e della salute, la lotta per abbattere il sistema capitalista, costruendo la forza materiale della classe e delle masse per farlo, attraverso una rivoluzione sociale e politica che, senza la classe operaia, non si potrà mai fare né a Taranto né in Italia.
Certo, la classe operaia attuale non è ancora pronta a questo, ma dipende dal dominio in essa delle idee del padrone e della presenza in essa con ruolo di egemonia e direzione del sindacalismo filopadronale e delle forze politiche riformiste, al cui campo appartiene l'ambientalismo dei Bonelli, ecc.
Gli operai che ci tengono al proprio futuro e a quello dei propri figli, della propria classe, al futuro del lavoro e della città, a questa battaglia devono dare le loro energie qui ed ora per non rendere vane le mobilitazioni, la partecipazione popolare dei giovani, delle donne nei quartieri, che questa situazione sta producendo

pc 12 agosto - Ilva Taranto: Lo SlaiCOBAS per il sindacato di classe sulle ultime decisioni del GIP


Lo Slai cobas per il sindacato di classe ILVA già nel suo comunicato dopo la sentenza del riesame aveva messo in guardia circa gli effettivi contenuti di essa e soprattutto il tipo di interpretazione che ne sarebbe stata data dall'azienda e per valutarne la sua reale portata negli effetti sulla continuità lavorativa in fabbrica, dato che la posizione dello Slai cobas è netta e chiara su questo, sintetizzata da “operai in fabbrica padroni in galera” e dalla linea che afferma con chiarezza che questa fabbrica si risana solo con la lotta operaia e che col risanamento in fabbrica grazie alla lotta degli operai è possibile sviluppare la battaglia unitaria e popolare per affrontare e combattere i gravi effetti che la politica dei padroni, pubblici prima e con Riva dopo, hanno prodotto sulla vita e la salute della popolazione di Taranto, in particolare di quella dei quartieri contigui alla grande fabbrica.
In questo senso la sentenza del riesame – di cui però continuiamo ad aspettare le motivazioni - che pone l'obiettivo del risanamento e non della chiusura permette agli operai di aprire lo scontro con padron Riva e la sua attuale direzione, Bruno Ferrante, che certamente anche dalle prime dichiarazioni interpreta il riesame come una sostanziale continuità dell'esistente e all'interno delle decisioni minime e blande già prese al Tavolo regionale, del decreto governativo e degli impegni, anche finanziari, inadeguati già dichiarati e riconfermati con una certa enfasi da Ferrante.
Per chiarezza noi consideriamo tutto questo assolutamente insufficiente e per questo abbiamo già parlato nel precedente comunicato di alzare il tiro della lotta operaia contro padron Riva da un lato e governo /Istituzioni dall'altro, criticando e liberandosi delle posizioni aziendaliste e di quelle conciliative dei tre sindacati confederali.
Questa è l'unica strada per cambiare le cose e fronteggiare la situazione, e si può tradurre in fatti con un sindacato di classe e di massa nelle mani degli operai, che all'Ilva si chiama Slai cobas.
Ogni altra strada è illusoria e perdente per gli operai e per la città.

Perchè il giudice Todisco non ha aspettato le motivazioni del riesame per riproporre la sua ordinanza? Dato che in via normale neanche la giudice Todisco dovrebbe già conoscere i contenuti del dispositivo. Siamo di fronte ad un dissenso, ad una guerra tra magistrati? Tutte questioni legittime in cui però non vogliamo neanche entrare dentro, ma sicuramente vanno chiarite, perchè tutto questo non si può fare sulla testa degli operai.
Per questo lo Slai cobas per il sindacato di classe è per la mobilitazione degli operai ma sulle posizioni che esso esprime. Per cui non aderiamo sin da ora a mobilitazioni organizzate dall'azienda – tipo quella del 30 marzo – né a scioperi che non abbiano l'azienda come controparte.

Chiediamo agli operai di darci forza e organizzazione per procedere lungo la strada che indichiamo, e saremo comunque in ogni mobilitazione di massa degli operai per sostenere le ragioni di classe e permettere agli operai di difendere diritti e lavoro, salute e sicurezza, insieme a tutti coloro che giustamente si stanno mobilitando in città.

12.8.12

SLAI COBAS per il sindacato di classe - ILVA

pc 12 agosto - Rivoluzionaria professionale... appunti di studio

Riportiamo sotto lo scritto di una giovane compagna aderente al Circolo di Proletari Comunisti e al Movimento femminista proletario rivoluzionario di Palermo di sintesi e commento al libro " Rivoluzionaria Professionale" sulla vita della compagna Teresa Noce, oggetto di lettura e studio nell'ambito del percorso formativo di questo anno.

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Rivoluzionaria Professionale è la biografia della valorosa compagne e partigiana Teresa Noce, nata nel 1900 in una Torino a quel tempo proletaria. Il 1900 è il periodo del decollo della grande industria e della nascita delle prime industrie metallurgiche e meccaniche.

Teresa è la figlia più piccola di una famiglia povera, famiglia costretta a cambiare abitazione ed a trasferire i figli in tante scuole ripetutamente ogni anno a causa dei debiti sull'affitto che la madre non poteva saldare. Nonostante ciò Teresa, bambina attenta e curiosa, divenne addirittura la più brava alunna della classe.

A sei anni rinuncia agli studi per portare a casa qualche spicciolo in più; il suo primo lavoro è presso un fornaio, poi diventa stiratrice: parteciperà in questo periodo al primo sciopero delle sartine (il cosiddetto sciopero del "fiocco rosso", tipico delle apprendiste stiratrici come Teresa).

Aumentano nello stesso momento gli scioperi dentro le fabbriche, guidati dalla Fiom divenuta più importante su scala nazionale.

E' il periodo di quel socialismo che va verso il riformismo, cui la parola d'ordine a proposito della I guerra mondiale era "né aderire né sabotare la guerra"; la risposta dei socialisti rivoluzionari è di critica verso i primi: "nessuna delle nazioni in guerra lotta per i diritti dei popoli"

Appena quindicenne, Teresa è spettatrice del violento sciopero generale del 19 maggio 1915, nel quale i manifestanti rispondono alla repressione creando barricate. Queste rivolte si moltiplicheranno come risposta alla crisi che si manifesterà con scarsità di viveri, orari di lavoro pesanti e la prosecuzione di una guerra interminabile che creerà malcontento generale.

Già precedentemente nella cosiddetta settimana rossa (tra il 7 e il 14 giugno 1914) i fucili delle forze dell'ordine avevano ucciso diversi manifestanti.

A diciassette anni, Teresa lavorerà come tornitrice alla Fiat Brevetti. Qui i lavoratori più stanchi sono le donne ed i giovani, massacrati dal ritmo di un lavoro dove il macchinario più vicino al corpo del lavoratore è un forno alla temperatura di 300 gradi. Questa condizione matura nei lavoratori la richiesta delle prime rivendicazioni all'interno della fabbrica che porteranno all'ottenimento di 15 minuti dedicati al pranzo.

La morte del fratello, socialista rivoluzionario, accenderà il desiderio di lotta in Teresa e farà trasformare le sue lacrime in ribellione: la seconda importante rivendicazione sindacale alla Fiat Brevetti è contro i licenziamenti delle operaie causati dalla fine della guerra mondiale e il conseguente ritorno degli uomini nelle fabbriche.

I primi contatti con la politica li ha a 18 anni, quando entrerà a far parte della Gioventù Socialista. Nel 1921 sarà tra i fondatori del Partito Comunista e si occuperà della pubblicazione del giornale femminile "La Compagna".

I comunisti, e quindi anche Teresa Noce, cominciano nel 1918 a contrabbattere l'offensiva delle squadre fasciste che in quel periodo andavano rafforzandosi a tal punto da commettere assassinii (come l'uccisione senza alcuna pietà del segretario dei metallurgici Pietro Ferrero). La risposta dei compagni è la creazione di una rete di combattenti e di compagne dedite alla sorveglianza ed al soccorso dei compagni feriti negli scontri con i fascisti.

Torino, sotto la morsa delle squadre fasciste, è terrorizzata, tuttavia si può respirare una forte volontà di lotta. Si tengono quindi le prime riunioni clandestine e Teresa entrerà in clandestinità.

Un compito che Teresa avrà per lungo tempo e che porterà avanti con dedizione sarà quello della battaglia sulla condizione femminile durante il fascismo. Teresa ha coscienza che per la liberazione femminile la donna deve essere antifascista e politicamente attiva. Terrà delle lunghe conversazioni con tantissime donne convincendo loro di non votare i fascisti alle elezioni. Molte donne a loro volta avrebbero convinto le intere famiglie a non votare!

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“La necessità della nostra presenza organizzata in Italia si faceva più viva. Senza LA LOTTA ATTIVA DELLE MASSE LAVORATRICI il fascismo non sarebbe mai caduto. Inutile sperare nella monarchia o nel vecchio liberalismo come faceva la concentrazione antifascista. Solo l'attività del partito comunista poteva organizzare e dirigere questa lotta”

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Teresa all'interno delle riunioni del Partito darà rilevanza alla presenza delle donne nella conduzione della lotta, perché esse lottano per sè stesse, per le loro famiglie e per l'avvenire dei loro figli. Si condurrà quindi una campagna di reclutamento femminile nel Partito.

Negli anni '30 viene intensificato il lavoro operativo in Italia e l'8 marzo '31 si terranno delle iniziative nelle fabbriche tessili di Biella contro il rischio licenziamenti e la repressione verso le operaie.

Più tardi si occuperà maggiormente al lavoro sindacale e di lotta politica, conseguente al suo ingresso al Comintern in Russia, ma essendo in clandestinità espatria in Francia e lì collabora all'uscita di "Noi Donne", un giornale per le emigrate italiane in Francia: i due compiti affidatele erano di vitale importanza per mantenere i legami con l'Italia.

Durante la guerra di Spagna (iniziata nel 1936), Teresa entrerà clandestinamente nel paese e si occuperà di un giornale.

1940. Con lo scoppio della grande guerra, un susseguirsi di arresti dei compagni più importanti è la risposta al movimento partigiano. Anche Teresa viene arrestata e deportata nel campo di Rieucros, un campo riservato alle donne. Qui la compagna avrà la capacità di mettersi, insieme alle altre compagne comuniste deportate, alla guida del campo: il gruppo sarà capace di attivare nascosti gruppi di studio, di insegnare canti rivoluzionari...

Scamperà alla morte grazie all'aiuto di compagni esterni al campo e vivrà per qualche tempo a Parigi nell'illegalità. Avrà il compito di dirigere i Francs Tireurs Partisans tra il 1941 ed il 43.

Verrà incarcerata a Parigi nel 1943, ma anche qui sarà capace di avvicinare a sé le altre donne, anche coloro le quali non avevano mai partecipato a una lotta.

Dal carcere de la Petite Roquette, Teresa viene deportata nel campo di Ravensbruck. Appena giunte a destinazione, le deportate vengono condotte nelle docce, depilate e rasate. Il letto equivale ad un tavolo di legno. La routine giornaliera è: sveglia alle 5 del mattino, corsa verso dei bagni luridi, un appello al freddo e lavoro fino a tardi.

Successivamente verrà spostata ad Holleischen. Nonostante la dura vita all'interno del campo, nonostante la mancanza di cibi nutrienti, di igiene, di riposo, Teresa è una compagna forte e a mente fredda sa che per uscire e liberare i deportati non si può solo aspettare l'aiuto dall'esterno sperando nella caduta del regime fascista e nazista bensì la lotta deve continuare finché si ha la capacità di farlo... così, Teresa sarà l'artefice del primo "sabotaggio" della produzione di proiettili all'interno del campo.

Come punizione, sebbene non ebbe mai la certezza che i tedeschi avessero compreso chi fosse stato l'ideatore dell'azione, Teresa ed altre donne vengono trasferite in un gelido bosco a segare alberi. A poco a poco si ha un aumento di trasferimenti nel bosco: si erano diffusi i sabotaggi nella produzione!


Teresa ci dà la prova, ancora un'altra volta, che la lotta deve essere condotta sempre, qualsiasi siano i mezzi a disposizione, a qualsiasi prezzo.

E' con questa mentalità e ideologia che Teresa, con grande dedizione, diffonde la notizia che l'otto marzo all'interno del campo avrebbe tenuto una conferenza (con grande segretezza e facendo attenzione alle kapò) sulla storia del movimento operaio internazionale...

Giunge l'ora della liberazione dal campo, la prima assemblea dopo il grande evento ed il ritorno in Italia.

Dalla liberazione in poi, purtroppo, Teresa Noce assumerà delle posizioni che, sebbene in buona fede, convergevano con la linea via via revisionista del PCI verso quello che doveva essere invece il lavoro costruttivo per il popolo in funzione del processo rivoluzionario; posizioni che non si rifanno alle esperienze vissute sulla sua stessa pelle e alle lotte concrete dei partigiani e del partito comunista fino alla guerra. Di questo se ne rende conto anche lei, quando le viene affidata la direzione del partito nel 1945: "per me Roma significava burocrazia e non lavoro vivo tra le masse lavoratrici" !

Avvierà anche la sua campagna elettorale e successivamente diventerà presidente Fiot, il sindacato delle operaie tessili.

Le sue lotte, come detto poco sopra, erano nonostante tutto pregne di entusiasmo, tanto che ancora una volta tenterà (questa volta tramite il parlamento e non la lotta diretta con le masse come faceva una volta) un progetto di legge sulla maternità: due anni di trafile burocratiche, di sabotaggi dei parlamentari (anche dei suoi stessi "compagni" di partito!) faranno concludere il tentativo senza nessun importante successo.

Teresa è anche a conoscenza del fatto che tutti i partiti, anche il partito di cui faceva parte, e i sindacati si erano allontanati dalla politica viva nelle fabbriche: quei compagni che, come lei, avevano lottato a fianco degli operai e delle operaie, adesso erano seduti in parlamento.

Nel 1955 Teresa darà le dimissioni dalla Fiot per malattia.

Qualche anno dopo entrerà a far parte del CNEL ma: "[...] per la verità non si concludeva poi molto [...]". Teresa giustifica l'inutilità del Consiglio con la divisione sindacale esistente e con l'enorme potere dei padroni all'interno dell'organizzazione.

" […]Solo è soltanto chi vuol esserlo, chi non comunica con gli altri, chi vive esclusivamente per sé. Ma chi è e rimane comunista, chi si interessa di tutto e di tutti, chi si sente partecipe degli avvenimenti e delle lotte non si sente solo e non lo è. Non è in pensione perché nel mondo c'è sempre tanto da fare […] – T.N.

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Per noi la lettura di "Rivoluzionaria Professionale" è innanzitutto utile per ricordare in modo vivo la storia della Resistenza, per non scordare cosa è stato il fascismo allora, di come lo Stato borghese è e sarà sempre uno strumento di oppressione e di inconciliabilità delle classi finché non viene sostituito da un altro tipo di stato, la necessità della linea rivoluzionaria del partito della classe che se soffocata e sostituita dal revisionismo mantiene lo stato di cose presenti cioè la democrazia della classe dominante borghese a danno delle masse proletarie e popolari.

Nelle ultime pagine del testo si tocca con mano l'assoluta mancanza di successo nel lavoro da lei svolto una volta costituito il CLN: erroneamente e ingenuamente ha creduto che le cose potessero essere cambiate a colpi di progetti di legge all'interno del sistema parlamentare (poi sempre sabotati o parzialmente portati a termine) insoddisfacenti per cambiare poi realmente qualcosa.

Teresa è stata la prova eclatante che la lotta si fa con i fatti, con le manifestazioni, stando fianco a fianco con i proletari, bisogna far propria l'idea che solo l'organizzazione del popolo per mezzo di un partito comunista rivoluzionario che abbia realmente a cuore gli interessi della classe oppressa può agire per cambiare e sradicare il sistema cui è assoggettato, questo non può essere mai opera delle classi dirigenti che vanno a braccetto e creano accordi con i padroni .

E ancora le analogie col presente relativamente all'azione del sindacalismo confederale (in particolare nell'ultima parte del libro)… tutto questo ci aiuta a ragionare e ad armarci meglio per affrontare la fase politica attuale che definiamo di moderno fascismo in divenire e trarre tutti gli insegnamenti utili per lottare oggi come compagne e compagni rivoluzionari di tipo nuovo.

Questa biografia, con le sue storie di lotta, di successi ma anche di sconfitte dal punto di vista della classe, può dare molto coraggio ai compagni ma soprattutto alle compagne, in particolare infatti questo libro offre ampi spaccati vivi e a volte anche emozionanti e utili lezioni a noi compagne che siamo chiamate ad una doppia lotta e ad un "doppio lavoro" per spezzare le doppie catene relativamente a ciò che Teresa Noce ha messo in campo per e con le donne combattendo contro la condizione di doppia oppressione subita, in particolare dalle proletarie, non solo all'esterno nella società ma anche contro concezioni maschiliste allo stesso interno del PCI. Teresa Noce nella sua viva lotta di "rivoluzionaria di professione", di compagna e donna ha dimostrato che le donne proletarie "brutte, sporche e cattive" sono quelle che possono mettere in pratica la lotta rivoluzionaria, che si possono trasformare mettendosi al servizio delle masse, come il ruolo delle donne è importante e determinante nella lotta rivoluzionaria contro il sistema borghese che le vuole invece tenere incatenate ad un unico ruolo subordinato.

Nel circolo di proletari comunisti di Palermo questo libro è stato commentato qualche giorno precedente al 25 aprile: il filo conduttore tra la data ed il libro era appunto la Resistenza.

Cosa deve significare resistenza oggi? Si è detto, sicuramente non si deve intendere come una storia passata, bensì qualcosa che a tutt'oggi è viva, anche in Italia: i NO TAV in alcune forme ne sono un esempio moderno, è stato detto. In Val di Susa alta è la repressione borghese contro una popolazione che difende il suo dissenso alla costruzione di un'opera inutile, dispendiosa e rischiosa per la salute! I Valsusini sono in lotta contro un' occupazione militare vera e propria da parte di governo e padroni e oppongono una forte resistenza popolare.

Allargando la visuale resistenza è anche quella dei minatori in Spagna in forte lotta contro le misure del governo.

Quel 25 aprile lo dedicammo alle lotte di resistenza dei No Tav ed anche a tutte le lotte che portiamo avanti anche noi quotidianamente con lavoratori, giovani e donne; oggi lo dedichiamo alla lotta all'Ilva di Taranto contro la chiusura dello stabilimento, per il lavoro e per la salute; che questa lotta possa essere d'esempio, possa realizzare l'unità di classe e unità popolare e in stretto legame con la massa degli operai e la costruzione dell'alternativa di classe.

Sabina