I ragazzi di Casale cresciuti nella tragedia: “Anche il nostro futuro è a
rischio”
Nel parco Eternot le reazioni degli
studenti tra delusione, rabbia e speranza nello “spacchettamento” dei
processi
I ragazzi delle scuole casalesi al parco Eternot
tra i filari delle piante dei fazzoletti, monumento simbolo della rinascita di
Casale Monferrato (foto Albino Neri)
«Dire che la montagna ha partorito il topolino pare riduttivo»: ecco a cosa,
dopo udienze, discussioni, interruzione di un anno in attesa della decisione
della Consulta e sei ore di Camera di consiglio, è arrivata la giustizia
italiana secondo l’Afeva, a
«partorire un topolino».
l
a
presidente dell’associazione familiari vittime dell’amianto di Casale, Giuliana
Busto, non riesce a credere che Stefhan Schmidheiny «malgrado sapesse
delle morti, grazie alle relazioni dei centri di ricerca dell’Eternit, abbia
continuato come se nulla fosse: la morte di centinaia, migliaia di persone è
stata trattata come un costo necessario in nome del profitto e questo si chiama,
in qualsiasi cultura e tradizione giuridica, dolo di omicidio».
Uno “spacchettamento” che invece preoccupa il sindaco di Casale, Titti
Palazzetti. Ieri, proprio mentre il giudice si pronunciava a Torino, lei era in
Senato alla II assemblea nazionale sull’amianto: «Sono sconcertata, ma
soddisfatta per il rinvio a giudizio, lotteremo ancora, per rispetto delle
vittime di questa tragedia e per il futuro nostro e dei giovani, affinché sia
chiaro che inquinare l’ambiente e trascurare la salute dei cittadini per
profitto è un gravissimo delitto che pregiudica la vita delle generazioni a
venire».
Generazioni che sono state raggiunte dalla notizia mentre si trovavano al
parco Eternot, nato quest’anno sulle ceneri dell’Eternit.
Carlotta Rubinato (5ª B scienze applicate Sobrero) voleva
studiare per diventare medico e fare ricerca sull’amianto, ma il viaggio a
Torino, in Procura, nel 2012, quando aveva 14 anni, e la delusione per la
prescrizione del 2014, l’hanno choccata e le hanno fatto rinchiudere il sogno
nel cassetto: «È stato terribile» poi, col magone va a ruota libera: «Sono nata
9 mesi dopo che mio nonno è morto, per mesotelioma, ma non glielo avevano
riconosciuto, credevano fosse un cancro alla pleura».
Lo
racconta tra le piante del fazzoletto, diventate il monumento simbolo della
rinascita di Casale: «Non so cosa ci fosse qui prima di questo giardino,
ma è come se lo vedessi davanti agli occhi ogni giorno, quel passato triste: i
nonni sbattevano tovaglie e lenzuola e in aria si volatilizzava il polverino, è
cronaca di tutti i giorni in casa mia».
Nicola Mossone (2ª A liceo classico Balbo), era in
prima fila alla fiaccolata di protesta dopo la delusione del primo processo
Eternit, oggi ha identica rabbia e uguale delusione di allora, ma una
consapevolezza in più: «Un tempo perdevamo i nonni, ora perdiamo i genitori, è
successo al mio migliore amico, il papà è morto per l’amianto». «Noi saremo i
prossimi»: è agghiacciante, e lucida, la profezia di Carlotta. Nicola lo spiega
scientificamente: «Il picco della produzione è stato tra il 1976 e il 1980,
quello dei morti tra il 2016 e il 2020».
Sull’accusa di omicidio che da volontario è diventato colposo, i più
pessimisti sono
Marco Albieri, 5ª B commerciale Leardi
(«Cadrà in prescrizione anche questa volta: lui la farà franca») e
Fabiana Bonfante, 5ª A Leardi: «Me lo aspettavo: studio
diritto, mi hanno insegnato che il diritto non è sempre giusto: ci sono cavilli
che uccidono la speranza». Lei “tifava” per il volontario, come
Arianna Bosticco (5ª B commerciale Leardi): «Sarebbe stata una
piccola rivincita per chi ha perso parenti per colpa dell’Eternit e di
Schmidheiny».
Nicola vorrebbe incontrarlo il magnate svizzero: «Gli direi: “Tu per la
giustizia potrai anche non essere responsabile, ma per noi lo sei e anche per la
tua coscienza”». «Io gli chiederei - interviene
Alessio Zito,
5ª A elettronica Sobrero -: “Lo rifaresti?”».
Andrea
Savallo (2ª classico Balbo) ha deciso invece di guardare oltre: «Non è
una vittoria, ma neanche una sconfitta: sapevo che sarebbe andata così, ora
confido nelle singole procure, spero e credo che siano più sensibili». Anche se
i 258 morti, per i quali è imputato Schmidheiny, non saranno trattati assieme:
«Noi però restiamo uniti nella battaglia: questa lotta annulla anche la naturale
competizione tra istituti scolastici» chiosa Fabiana. E poi, all’unisono:
«Ricordiamoci che le vittime sono più di 258: molte di
più».
L’ex operaio Pietro
Condello, diventato simbolo della battaglia contro il magnate svizzero Stephan
Schmidheiny
Questo dramma di morti nella malapolvere e per la malapolvere sembra non
finire mai. La giustizia, che potrebbe e dovrebbe placare l’inquietudine di un
torto subito, pare più invisibile della fibra che provoca la morte di
mesotelioma. Perché, a Casale Monferrato e non solo, dove si è sparso amianto
come polvere di stelle, un torto l’abbiamo subito, inconsapevoli e inermi.
Per cinque anni si sono esposte
bandiere tricolore
lungo tutto il percorso del maxiprocesso Eternit in cui era stato
contestato il reato di disastro ambientale doloso. Restò in piedi, con relative
condanne, per due gradi di giudizio, poi franò in quello che avrebbe dovuto
sancire la sua definizione:
la Cassazione concluse tutto nella
prescrizione. La procura di Torino tirò fuori altre carte e imboccò
un’altra via, peraltro tra le righe evocata dalla Suprema Corte, quella di un
procedimento per le morti singole, anziché il reato collettivo di disastro. Ne
compilò un elenco di 258: sono soltanto un campione, incompleto, dei lutti di
questa città. E
accusò l’ultimo dei proprietari di Eternit
Italiana ancora vivente, l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny, di aver
messo in conto consapevolmente che questi uomini e queste donne, madri e padri
di famiglia, figli che hanno preceduto contro natura i genitori, fratelli,
sorelle avrebbero potuto morire per l’amianto che usciva largamente dalla
fabbrica, e volteggiava nell’aria, nei cortili, nelle case. Anche questa
ipotesi non va. Un giudice non ha ritenuto fondata questa consapevolezza, questa
«volizione» in gergo giuridico, da parte dell’imputato. Non nega una colpa
cosciente, cioè la previsione, nell’agire dell’imputato, che delle persone
sarebbero morte, ma esclude la volontà specifica di aver agito per quello scopo.
Colpa e non dolo.
E il fascicolo è stato smembrato in quattro
parti, i tempi per incardinare nuovi procedimenti si allungano, il gufo della
prescrizione è in agguato.
Eternit bis: parti civili, si allontana accertamento
cause

Altri
magistrati prenderanno in mano quelle carte e proveranno a ragionare per capire
se esistono altre ricostruzioni possibili. Quando si arriverà a celebrare quei
processi sarà durissima, perché si apriranno, come non si è mai fatto prima, le
porte di ogni casa, di ogni camera da letto, di ogni stanza di ospedale dove
sono passate le vittime, dove i loro familiari le hanno viste soffrire,
impaurite quanto dignitose.
Si va avanti perché, per sopire
questa inquietudine, e per superare quest’angoscia latente, c’è bisogno di
mettere ordine. C’è un modo: trovare la cura che sconfigga il
mesotelioma.
Di mal d’amianto si deve guarire. In
fretta. È un’illusione sperare che la giustizia passi anche attraverso la
disponibilità responsabile, autentica e scevra da ricatti, da parte del magnate
svizzero verso un risarcimento senza limitazioni, etiche e quantitative, a
priori, che porti a compimento la ricerca di una cura salvifica?

La Cia di Alessandria
esprime delusione per la decisione in udienza preliminare dell’ “Eternit bis” a
Torino che prevede la modifica dell’accusa a Schmidheiny da omicidio volontario
a colposo e il trasferimento dei casi ad altre Procure.
“La prima sensazione è che le 258 vittime non
vedranno più giustizia – commenta il
vicedirettore, casalese, della Cia di Alessandria Germano Patrucco -: il
processo sarà spacchettato e questo comporterà inevitabili lungaggini a causa
della ripresa, dal principio, dello studio dei casi.