I ragazzi di Casale cresciuti nella tragedia: “Anche il nostro futuro è a rischio”
Nel parco Eternot le reazioni degli
studenti tra delusione, rabbia e speranza nello “spacchettamento” dei
processi
I ragazzi delle scuole casalesi al parco Eternot
tra i filari delle piante dei fazzoletti, monumento simbolo della rinascita di
Casale Monferrato (foto Albino Neri)
30/11/2016
casale monferrato
la presidente dell’associazione familiari vittime dell’amianto di Casale, Giuliana Busto, non riesce a credere che Stefhan Schmidheiny «malgrado sapesse delle morti, grazie alle relazioni dei centri di ricerca dell’Eternit, abbia continuato come se nulla fosse: la morte di centinaia, migliaia di persone è stata trattata come un costo necessario in nome del profitto e questo si chiama, in qualsiasi cultura e tradizione giuridica, dolo di omicidio».
Uno “spacchettamento” che invece preoccupa il sindaco di Casale, Titti Palazzetti. Ieri, proprio mentre il giudice si pronunciava a Torino, lei era in Senato alla II assemblea nazionale sull’amianto: «Sono sconcertata, ma soddisfatta per il rinvio a giudizio, lotteremo ancora, per rispetto delle vittime di questa tragedia e per il futuro nostro e dei giovani, affinché sia chiaro che inquinare l’ambiente e trascurare la salute dei cittadini per profitto è un gravissimo delitto che pregiudica la vita delle generazioni a venire».
L’ex operaio Pietro
Condello, diventato simbolo della battaglia contro il magnate svizzero Stephan
Schmidheiny
30/11/2016
casale monferrato
Questo dramma di morti nella malapolvere e per la malapolvere sembra non
finire mai. La giustizia, che potrebbe e dovrebbe placare l’inquietudine di un
torto subito, pare più invisibile della fibra che provoca la morte di
mesotelioma. Perché, a Casale Monferrato e non solo, dove si è sparso amianto
come polvere di stelle, un torto l’abbiamo subito, inconsapevoli e inermi.
Per cinque anni si sono esposte bandiere tricolore lungo tutto il percorso del maxiprocesso Eternit in cui era stato contestato il reato di disastro ambientale doloso. Restò in piedi, con relative condanne, per due gradi di giudizio, poi franò in quello che avrebbe dovuto sancire la sua definizione: la Cassazione concluse tutto nella prescrizione. La procura di Torino tirò fuori altre carte e imboccò un’altra via, peraltro tra le righe evocata dalla Suprema Corte, quella di un procedimento per le morti singole, anziché il reato collettivo di disastro. Ne compilò un elenco di 258: sono soltanto un campione, incompleto, dei lutti di questa città. E accusò l’ultimo dei proprietari di Eternit Italiana ancora vivente, l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny, di aver messo in conto consapevolmente che questi uomini e queste donne, madri e padri di famiglia, figli che hanno preceduto contro natura i genitori, fratelli, sorelle avrebbero potuto morire per l’amianto che usciva largamente dalla fabbrica, e volteggiava nell’aria, nei cortili, nelle case. Anche questa ipotesi non va. Un giudice non ha ritenuto fondata questa consapevolezza, questa «volizione» in gergo giuridico, da parte dell’imputato. Non nega una colpa cosciente, cioè la previsione, nell’agire dell’imputato, che delle persone sarebbero morte, ma esclude la volontà specifica di aver agito per quello scopo. Colpa e non dolo. E il fascicolo è stato smembrato in quattro parti, i tempi per incardinare nuovi procedimenti si allungano, il gufo della prescrizione è in agguato.
Per cinque anni si sono esposte bandiere tricolore lungo tutto il percorso del maxiprocesso Eternit in cui era stato contestato il reato di disastro ambientale doloso. Restò in piedi, con relative condanne, per due gradi di giudizio, poi franò in quello che avrebbe dovuto sancire la sua definizione: la Cassazione concluse tutto nella prescrizione. La procura di Torino tirò fuori altre carte e imboccò un’altra via, peraltro tra le righe evocata dalla Suprema Corte, quella di un procedimento per le morti singole, anziché il reato collettivo di disastro. Ne compilò un elenco di 258: sono soltanto un campione, incompleto, dei lutti di questa città. E accusò l’ultimo dei proprietari di Eternit Italiana ancora vivente, l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny, di aver messo in conto consapevolmente che questi uomini e queste donne, madri e padri di famiglia, figli che hanno preceduto contro natura i genitori, fratelli, sorelle avrebbero potuto morire per l’amianto che usciva largamente dalla fabbrica, e volteggiava nell’aria, nei cortili, nelle case. Anche questa ipotesi non va. Un giudice non ha ritenuto fondata questa consapevolezza, questa «volizione» in gergo giuridico, da parte dell’imputato. Non nega una colpa cosciente, cioè la previsione, nell’agire dell’imputato, che delle persone sarebbero morte, ma esclude la volontà specifica di aver agito per quello scopo. Colpa e non dolo. E il fascicolo è stato smembrato in quattro parti, i tempi per incardinare nuovi procedimenti si allungano, il gufo della prescrizione è in agguato.
La Cia di Alessandria
esprime delusione per la decisione in udienza preliminare dell’ “Eternit bis” a
Torino che prevede la modifica dell’accusa a Schmidheiny da omicidio volontario
a colposo e il trasferimento dei casi ad altre Procure.
“La prima sensazione è che le 258 vittime non
vedranno più giustizia – commenta il
vicedirettore, casalese, della Cia di Alessandria Germano Patrucco -: il
processo sarà spacchettato e questo comporterà inevitabili lungaggini a causa
della ripresa, dal principio, dello studio dei casi.
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