Schmidheiny a giudizio ma in 4 tribunali diversi.
Parenti delle vittime e giornalisti dopo la lettura dell’ordinanza del Gup dell’Eternit Bis l’altro giorno a Torino
Va avanti il giudice: «E ciò malgrado, per mero fine di lucro decise di continuare le attività», di non attuare riconversioni, «di risparmiare sulle gravose spese indispensabili per una radicale revisione degli impianti e delle procedure di lavoro», e decise di «omettere l’informazione e la formazione dei lavoratori circa i rischi derivati dall’amianto». Ma di più: «In aree private e pubbliche», al di fuori delle fabbriche, «consentì e non impedì la fornitura di materiali per la pavimentazione di strade, cortili, aie e la coibentazione di sottotetti» determinando «una esposizione incontrollata, continuativa e a tutt’oggi perdurante». Anzi, «promosse una sistematica e prolungata opera di disinformazione volta a tranquillizzare la collettività, divulgando false rassicurazioni». E poi l’affondo: «Confidò che l’opera di disinformazione da lui promossa avrebbe impedito alla collettività di acquisire esatta consapevolezza» e, per fare questo, «si avvalse sistematicamente di un esperto di pubbliche relazioni (Roberto Bellodi di Milano, dove la procura di Torino sequestrò montagne di documenti, ndr) per allontanare dalla sua persona qualsiasi sospetto sulla parte avuta nella decisione di gestire gli stabilimenti italiani con modalità tali da diffondere in notevole quantità le fibre di asbesto». Da tutto questo dovrà difendersi Schmidheiny dal 14 giugno a Torino.
E per gli altri morti – 2 a Reggio Emilia, 8 a Napoli e a Vercelli per le 243 vittime del Casalese – che cosa accadrà? Tre procure le prenderanno in carico. Tolti i casi prescritti (e ce ne saranno), ci sono quelli più recenti e, purtroppo, ci sono i morti che ci saranno, fino a che non si troverà una cura per guarire. Saranno (o potranno essere) tutti processi - chissà per quanti anni ancora (c’è da dire: purtroppo) - che arriveranno addosso a Schmidheiny come uno stillicidio. Ogni morto, una querela. E ogni volta, per ogni vittima, si sentirà accusare di colpa cosciente, cioè di aver previsto anche, e proprio, quella morte lì e, nonostante questo, di aver continuato ad agire nel modo che il giudice Bompieri ha descritto e dedotto sulla base delle indagini della procura di Torino. A quei processi, poi, si arriverà con il campo già sgombrato (dalla Corte Costituzionale) dell’ingombrante «ne bis in idem».
«Il binario giusto»
Spiega l’avvocato Maurizio Riverditi, tra i legali delle parti civili: «È stato riconosciuto che Schmidheiny può e deve essere processato (anche) per le morti d’amianto». E aggiunge: «Personalmente, non ritengo che la decisione del gup di Torino sia una sconfitta. Non è vero che la giustizia ha tradito i cittadini, semplicemente è stata rimessa sul binario normale dei processi per colpa». Prosegue: «L’accusa di cui oggi il magnate svizzero dovrà rispondere, di fronte a più tribunali, è di omicidio colposo pluriaggravato, della stessa accusa, cioè, che ha caratterizzato fino a oggi tutti i processi per infortuni sul lavoro. Certo – ammette – l’ipotesi di omicidio doloso, proprio per le peculiarità della vicenda Eternit era sostenibile, ma il rischio era che si giungesse in Cassazione per sentir pronunciare una sentenza dal contenuto analogo a quanto affermato dal gup di Torino».
E l’avvocato Esther Gatti, legale dei Comuni che si sono costituiti parte civile (tra cui Casale, Mirabello, Ozzano, Rosignano, Cella Monte e Ponzano) ribadisce: «Si è dimostrato e riconosciuto Schmidheiny come l’effettivo responsabile della società Eternit, consapevole di quanto avveniva. Finché l’attenzione della popolazione sarà alta, non c’è il rischio che i processi non si facciano».
Analogo sentire esprime Nicola Pondrano, uno dei pionieri della battaglia contro l’amianto. «L’aver risolto la questione del “ne bis in idem” è un passo fondamentale per i processi futuri. L’importante ora è concentrare l’attenzione su Vercelli».
Abbiamo interpellato il procuratore di Vercelli, Paolo Tamponi. Andrà in pensione dal 1° gennaio prossimo, quindi gli resta un mese di attività. «Sono amareggiato - esordisce - perché mi spiace lasciare i colleghi a dover gestire una situazione così complessa». Si tratterà innanzi tutto di trovare un luogo fisico per ospitare la valanga di faldoni che arriveranno da Torino. «Un bel problema - ammette - non ci sono molti spazi». E poi si dovrà assegnare i casi a uno o più sostituti. «Chiederò sicuramente l’applicazione di un magistrato, con competenze in questo settore, e penso (spero) che ci sarà accordata, non è pensabile fare altrimenti».
La neopresidente dell’Afeva, Giuliana Busto, insiste: «Continuiamo la lotta che abbiamo iniziato tanto tempo fa: non è il momento di smettere». «Non si può smettere» incalza l’assessore Cristina Fava -: i giovani chiedono conto “chi pagherà per le morti future?”. Prima di tutto bisogna cercare di prevenirle, insistendo sulle bonifiche ed è così che ci stiamo muovendo agevolando in tutti i modi i privati».
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