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Un movimento popolare, internazionale e spontaneo che nasce da una domanda scomoda ma inevitabile: "Quando le future generazioni ci chiederanno cosa abbiamo fatto di fronte al genocidio di Gaza, cosa risponderemo?". È questo il motore che ha dato vita a "March to Gaza", un'iniziativa nata in Francia e che – in pochi giorni – ha cominciato a prendere piede anche in Italia e in molti altri paesi del mondo. Lo scopo dichiarato è quello di recarsi in Egitto e di spostarsi in massa fino al valico di Rafah, con un solo obiettivo: "Aprire la frontiera, far entrare gli aiuti umanitari ed esigere la fine dell'assedio".
L'idea è potente nella sua semplicità: una marcia di cittadini comuni verso la Palestina, un atto simbolico di resistenza e solidarietà per fermare – nel silenzio assordante della diplomazia – il massacro del popolo gazawi. Un modo per colmare il vuoto lasciato dall'inerzia dei governi, di fronte alla tragedia umanitaria che si consuma ogni giorno nella Striscia di Gaza, dove i bombardamenti israeliani hanno provocato, secondo le stime, oltre 52.000 morti; di questi, 18.000 sono bambini e 12.400 donne, due categorie che da sole rappresentano il 65% delle vittime. E i numeri sono sottostimati.
Alla morte sotto le bombe si aggiunge la fame. Dal 2 marzo, Israele ha bloccato l'ingresso degli aiuti umanitari, provocando una carestia di massa: il Programma Alimentare Mondiale (Wfp) ha registrato un'impennata del 1.400% del prezzo dei generi alimentari (i pochi rimasti), mentre l'Onu ha segnalato circa 10.000 casi di malnutrizione acuta tra i bambini, di cui 1.600 in forma grave. La popolazione è allo stremo: mancano cibo, medicinali, acqua, carburante ed elettricità per far funzionare gli ospedali, nonché semplici materiali per ripararsi.
Una terra inabitabile
Di fronte a questo inferno voluto dal governo di estrema destra guidato da Benjamin Netanyahu, sulla cui testa pende un mandato d'arresto internazionale per crimini di guerra, "March to Gaza" vuole essere
una risposta concreta, visibile, collettiva, una risposta anche alle complicità di Stati Uniti ed Europa, che continuano a vendere armi e a fare affari con lo Stato d'Israele, il cui intento esplicito è ora quello di rendere il Nord di Gaza una terra inabitabile (per prenderne poi il possesso), obbligando la popolazione a spostarsi per non morire di fame.
L'iniziativa della marcia è nata Oltralpe, con una lettera aperta rivolta alle ambasciate francesi d'Egitto e d'Israele, da parte di un gruppo di attivisti pro-Pal. Si legge nella missiva:
All'attenzione delle autorità diplomatiche della Repubblica araba d'Egitto e dello Stato d'Israele