sabato 10 maggio 2025

pc 10 maggio - Per Informazione - Cosa è l'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII e qual'era il suo scopo - (Enciclica di cui si sta riparlando con l'elezione del nuovo papa) - da Wikipedia

 

Rerum novarum (in italiano "Le cose nuove") è un'enciclica sociale promulgata il 15 maggio 1891 da papa Leone XIII con la quale per la prima volta la Chiesa cattolica prese posizione sulle questioni sociali e fondò la moderna dottrina sociale della Chiesa.

Il movimento cattolico era diviso in varie correnti riguardo all'atteggiamento da tenere nei confronti del capitalismo avanzante: a coloro che prospettavano un avvicinamento al movimento socialista per tentare di mediare in considerazione del radicale ateismo marxista, si opponevano i convinti sostenitori del progresso, del commercio e del laissez faire, concetti rispetto ai quali chiedevano una sostanziale benedizione.

Una corrente significativa era inoltre rappresentata dai corporativisti, che indicavano un ritorno alle istituzioni economiche medievali, al fine di ricomporre la tensione sociale.

L'originalità dell'enciclica risiede quindi nella sua mediazione: il Pontefice, ponendosi esattamente a metà strada fra le parti, ammonisce la classe operaia affinché non dia sfogo alla propria rabbia attraverso inefficaci idee di rivoluzione, di invidia e odio verso i ricchi, e chiede ai padroni di mitigare gli atteggiamenti verso i dipendenti, da non trattare come schiavi. L'auspicio è che fra le parti sociali vi siano accordi e collaborazioni nella questione sociale, ammettendo associazioni «sia di soli operai sia miste di operai e padroni» per la reciproca tutela dei diritti.

Viene persino rivolto un invito ai lavoratori cristiani a formare proprie società, piuttosto che aderire a un'«organizzazione contraria allo spirito cristiano e al bene pubblico».

L'enciclica contiene infine una condanna ferma nei confronti del socialismo, della teoria della lotta di classe
e della massoneria, preferendo che la questione sociale venga affrontata e risolta dall'azione combinata di Chiesa, Stato, impiegati e datori di retribuzione.

Motivo dell'enciclica: la questione operaia
L'enciclica si apre riconoscendo che, dopo un lungo periodo di fermento politico, l'attenzione si è spostata verso le questioni economiche e sociali. Le cause principali del conflitto sociale sono identificate in:

    il rapido sviluppo industriale e tecnologico;
    il mutamento dei rapporti tra lavoratori e datori di lavoro;
    l'estrema concentrazione della ricchezza in poche mani, a fronte della crescente povertà delle masse;
    il rafforzamento della coscienza collettiva degli operai, accompagnata da un deterioramento morale in alcuni ambienti.

La Chiesa, preoccupata per le gravi ingiustizie e l'instabilità sociale, si sente chiamata a intervenire. Pur riconoscendo la difficoltà e i rischi della questione – specialmente nell'equilibrare i diritti e doveri di ricchi e poveri – Papa Leone XIII afferma che è doveroso occuparsi con urgenza delle condizioni dei lavoratori, spesso ridotti a una situazione indegna e disumana.[3]

Con la scomparsa delle antiche corporazioni di arti e mestieri, e in assenza di nuove forme di tutela, i lavoratori sono diventati vulnerabili di fronte alla durezza dei padroni e all'avidità della concorrenza. A peggiorare la situazione contribuiscono:

    l'usura, più volte condannata dalla Chiesa, ma ancora praticata sotto nuove forme;
    la concentrazione della proprietà dei mezzi produttivi e dei commerci nelle mani di pochi.

In questo contesto, l'enciclica si propone di offrire principi morali e religiosi per guidare una riforma sociale che ristabilisca la giustizia e promuova la dignità del lavoro umano.[3]
Parte prima: il Socialismo, falso rimedio
La soluzione socialista inaccettabile dagli operai

Leone XIII affronta le proposte socialiste che, come rimedio alle ingiustizie economiche e sociali, propugnano l'abolizione della proprietà privata e la collettivizzazione dei beni attraverso la gestione statale o municipale. Secondo questa visione, l'eliminazione della proprietà privata garantirebbe un'equa distribuzione delle ricchezze e la fine delle disuguaglianze. Tuttavia, il Papa critica tale prospettiva come non solo inefficace, ma anche profondamente ingiusta, in quanto viola i diritti naturali dei legittimi proprietari, altera i ruoli dello Stato e sovverte l'ordine sociale.[3]

Leone XIII difende la proprietà privata come conseguenza naturale e legittima del lavoro umano. Il lavoratore, con la sua fatica, guadagna un salario che ha il diritto di gestire e investire liberamente, anche acquistando beni durevoli come la terra. Questi beni, frutto del risparmio e del lavoro, rappresentano una legittima estensione della mercede ricevuta. L'abolizione della proprietà privata, dunque, priva l'operaio non solo del frutto del proprio lavoro, ma anche della possibilità di migliorare la propria condizione e quella della propria famiglia.[3]

A fondamento della sua argomentazione, il Papa pone una visione antropologica che distingue nettamente l'uomo dagli animali: mentre il bruto è guidato solo da istinti, l'uomo possiede la ragione, che lo rende capace di progettare, risparmiare e possedere stabilmente beni materiali. Di conseguenza, il diritto alla proprietà privata è considerato un diritto naturale, inerente alla dignità razionale dell'essere umano, e non può essere soppresso senza commettere un'ingiustizia fondamentale.

Tutela dei ceti deboli
«Se con il lavoro eccessivo o non conveniente al sesso e all'età, si reca danno alla sanità dei lavoratori; in questi casi si deve adoperare, entro i debiti confini, la forza e l'autorità delle leggi.»

(Rerum novarum, 29)
«Nel tutelare le ragioni dei privati, si deve avere un riguardo speciale ai deboli e ai poveri. Il ceto dei ricchi, forte per sé stesso, abbisogna meno della pubblica difesa; le misere plebi, che mancano di sostegno proprio, hanno speciale necessità di trovarlo nel patrocinio dello Stato. Perciò agli operai, che sono nel numero dei deboli e dei bisognosi, lo Stato deve di preferenza rivolgere le cure e le provvidenze sue.»

(Rerum novarum, 29)
Avendo a cuore la tutela dei diritti delle donne e dei fanciulli, che sovente erano i lavoratori maggiormente sfruttati, l'enciclica propone anche di riservare alle donne mansioni a loro consone, anche dal punto di vista morale e del loro ruolo nell'educazione della prole.
«Un lavoro proporzionato all'uomo alto e robusto, non è ragionevole che s'imponga a una donna o a un fanciullo. […] Certe specie di lavoro non si addicono alle donne, fatte da natura per í lavori domestici, í quali grandemente proteggono l'onestà del sesso debole, e hanno naturale corrispondenza con l'educazione dei figli e il benessere della casa

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