da Ore12/Controinformazione rossoperaia dell'11.09.25
Le fabbriche in questo Paese ancora non si
mobilitano, eppure sono gli operai, in ultima analisi, il bersaglio grosso dei
governi e dei padroni che scaricano su di essi la crisi economica, la crisi
sociale, in termini di salari, posti di lavoro, condizioni di sfruttamento,
morti sul lavoro. Il futuro della classe operaia è a rischio e gli operai sono fermi,
paralizzati dalle loro direzioni sindacali che, a parte qualche strillo, sono
ferme ancora più di loro. I sindacati metalmeccanici non sono in grado di
ottenere il contratto, i sindacati metalmeccanici al carro di padroni del
governo ad elemosinare incontri a Roma per cercare di risolvere le vertenze
aziendali, dalle più importanti, come la Stellantis, le Acciaierie, la
siderurgia, a quelle minori che toccano una miriade di fabbriche sul posto di
lavoro.
Eppure anche su questo si fanno inconcludenti
incontri a Roma con le regioni che sono diventate la seconda stanza delle
trattative a perdere, dove si discute solo di ammortizzatori sociali mai di
difesa dei posti di lavoro, mai di allargamento dell'occupazione attraverso la
linea della riduzione dell'orario di lavoro per lavorare meno/lavorare tutti,
mai a tutela effettiva delle condizioni di lavoro divenute di massimo
sfruttamento e di condizioni di sicurezza che mettono a rischio la vita dei
lavoratori e degli operai, anche se ancora meno che nei cantieri e nei luoghi
del lavoro nero dove muoiono giornalmente i lavoratori.
Ma anche lì nulla. FIOM e UILM, con la FIM che
è diventata collaterale al Governo e ai padroni, sono sindacati impotenti a
difendere gli interessi dei lavoratori e gli operai devono far da sé, devono
ricostruire dal basso il sindacalismo di base di classe.
Partiamo dalle due vertenze più importanti del
nostro Paese perché riguardano la classe operaia delle fabbriche più grandi di
questo Paese, dall'ex Ilva di Taranto alle fabbriche del gruppo Stellantis.
La questione Ilva di cui abbiamo parlato
diverse volte combina da tempo la tragedia con la farsa. La tragedia è la
situazione delle fabbriche che è di non lavoro, di cassintegrazione e di attese
infinite di una soluzione effettiva della crisi dell'ex Ilva.
La farsa perché l'azione del Governo
dall'inizio alla fine è una farsa, lo abbiamo sempre denunciato.
Il passaggio da ArcelorMittal a vuoto, le
promesse del Governo di unire lavoro e salute si sono rivelate del tutto
inutili a risolvere a tutt'oggi la crisi dello stabilimento. L'ultima farsa è
stata quella della Baku Steel, con una gara fatta per la Baku Steel, per i
padroni azeri e il loro Governo che era obiettivamente il padrone effettivo.
Una gara che aveva visto assegnare alla Baku Steel la nuova Ilva.
La Baku Steel ha messo subito sul tappeto il
problema del gas, il problema della nave rigassificatrice, e il Governo gli ha
confezionato una gara, una prospettiva e una discussione che è centrata sulla
nave rigassificatrice che alimenterebbe i DRI e i DRI che alimenterebbero i
nuovi forni elettrici concentrati a Taranto ma con la possibilità di un forno
elettrico a Genova. Ma ben presto si è visto la Baku Steel aveva interesse
innanzitutto al gas, al legame con l'oleodotto della TAP e al ruolo che questa
multinazionale che è più del gas che dell'acciaio, perché come acciaio ha una fabbrica
che è un quinto delle Accierie di Taranto, quindi assolutamente non centrale
nella siderurgia mondiale e nazionale.
Tutto un dibattito, tutto un casino tra
Governo e istituzioni che un giorno sì, un giorno no, dicono “sì, ma” al
Governo sul piano, concentrando e raccogliendo le critiche ambientaliste che
riguardano soprattutto la questione della nave di rigassificatrice, ma
trascurando del tutto le richieste dei lavoratori di essere tutelati.
Nessun operaio deve uscire dalla fabbrica,
dalla zona industriale, perché non c'è futuro, soprattutto a Taranto se questo dovesse
avvenire.
Così come devono essere tutelati gli operai
dell'appalto, così come si deve evitare che questa grande città industriale,
perché tale è Taranto nel nostro paese, di diventare un deserto “alla Bagnoli”
o, ancora peggio, un luogo di microaffari all'insegna di un tessuto lavorativo
industriale precario e senza prospettive.
Ebbene, tutto questo casino si arriva alla
nuova gara e la nuova gara ci dice che restano in campo Jindal e Bedrock.
Tutto ciò sarà ufficializzato probabilmente il
15 ma lo anticipa il giornale dei padroni: “Si ritirano gli azeri della Baku
Steel”.
Quindi in sostanza tutto il lavoro che ha
fatto il Governo in tutti questi mesi era fondato sul niente e i lavoratori
hanno pagato ancor più con l'incertezza, con una situazione interna alla
fabbrica, in particolare a Taranto, caratterizzata dalla cassa integrazione permanente.
E ora tornano in campo Jindal e Bedrock, ma
all'interno di un piano e di una proposta di acquisto che è peggiore della
precedente, perché è centrata ancora più sulla riduzione del peso industriale
della siderurgia e degli stabilimenti, in particolare di quelli di Taranto.
È centrata su una soluzione a spezzatino, è centrata su una soluzione
che intende dare tutto ai padroni e nulla ai lavoratori e, per quanto riguarda
la città, solo demagogia, con la sponda utile offerta dall'ambientalismo
antioperaio, o almeno di quella parte dell'ambientalismo che è essenzialmente
antioperaio.
Di conseguenza, che cosa succede secondo il
sole24ore? “Sarebbero in campo due
candidature per l'intero complesso, la società indiana Jindal Steel
International e il fondo statunitense Bedrock Industries”. Poi però al loro
caso vi sarebbero ancora una volta una serie di industrie italiane, in primo
luogo la Marcegaglia, che vogliono in un certo senso la soluzione-spezzatino
per singoli stabilimenti e pezzi degli stabilimenti separando e distruggendo il
gruppo industriale e lasciando la patata bollente a Taranto.
Per gli americani finora non si è capito
niente o quello che si è capito è fin troppo chiaro: Bedrock sin dall'inizio ha
detto: “datemi lo stabilimento, non vi do
una lira, lo rimetto in sesto, con i soldi con cui lo rimetto in sesto vi
paghiamo, ma intanto datecelo”. Bedrock è un gruppo, è un fondo di
investimento che già ha fatto operazioni di questo genere nel rapporto tra
Canada e Stati Uniti e quindi è interno a quell'insieme dei fondi di
investimento che hanno interesse agli affari finanziari e non certo allo
sviluppo industriale e sicuramente secondo un'ottica internazionale che non è
quella della siderurgia mondiale ma è quella della grande finanza mondiale.
Il giornale dice che “si lavora anche a un'alleanza tra indiani e americani” e in
interno a questo alcune società italiane si sarebbero proposte, peraltro non
del settore dell'acciaio, quindi sostanzialmente il core industriale di tutto
il gruppo viene sottratto allo sviluppo effettivo industriale delle aziende con
la ricaduta sugli operai.
Tutto questo ha il sapore di una farsa tenendo
conto che l'ingegneria finanziaria che richiede tutto questo affinché possa
venire a capo lascia intendere che i tempi ancora una volta saranno lunghi e in
questi tempi lunghi si accentuerà la crisi degli stabilimenti, in particolare quello
di Taranto, che viene scaricata sugli operai in cassa integrazione eterna - questa
volta sì anticamera di effettivi esuberi - e sulle fabbriche dell'appalto che, pur
continuando a lavorare per la manutenzione per tenere in piedi i due
stabilimenti in una soluzione di ridimensionamento industriale, saranno poi
colpiti sul piano dei licenziamenti e della riduzione dell’occupazione.
Questa è la notizia, l'approfondimento di essa
la faremo alla luce dei fatti effettivi che si produrranno e delle carte che
non siano un'anticipazione del stampa.
Torniamo però alle fabbriche. Noi in questi
giorni stiamo insistendo in particolare verso gli operai e le loro
organizzazioni sindacali che, come abbiamo detto, sono però una parte del
problema e non certo una parte della soluzione per i lavoratori.
Stiamo insistendo che gli operai scendano in
campo, non siano in eterna tese di chiari incontri romani inconcludenti, che
sappiano già che i sindacati sono d'accordo e che il rinvio continuo della
riunione sulla cassa integrazione ha il solo scopo di impedire che i lavoratori
prendano coscienza diretta della situazione che si produrrà con i risultati
della gara e con il piano del governo.
Gli operai devono scendere in campo con una
piattaforma operaia che abbiamo in parte discusso e diffuso tra i lavoratori e
che gode del loro consenso.
Seppure lo Slai Cobas è l'unica forma
classista e combattiva di sindacato presente in questa fabbrica rispetto ai
sindacati confederali e la loro ruota di scorta che è l'Usb, questa piattaforma
operaia richiede che i lavoratori facciano sentire la loro voce autonoma
attraverso lo sciopero, attraverso le manifestazioni, attraverso il blocco, perché
tutte iniziative, anche quando accennate o che si esprimono in fuochi di paglia,
non trovano né una prospettiva, un piano di lotta, né una piattaforma. Una
piattaforma che sposerà le rivendicazioni ambientali giuste, quelle compatibili
con il risanamento dell'Ilva e compatibili con la continuità della grande
fabbrica, che poi significa della concentrazione operaia che oltre che il vero
futuro di questa fabbrica è il vero futuro di questa città se si vuole rovesciare
il tavolo contro la logica del profitto e dello sfruttamento che si è
tramandata da Riva ad ArcelorMittal e che sicuramente sarà ereditata dai nuovi
padroni.
Esistono le possibilità per “unire lavoro e
salute” come si dice banalmente, vale a dire per unire a una piattaforma
operaia una piattaforma ambientale che attraverso uno scontro prolungato metta
i piedi sul piatto e imponga a padroni/governo/Stato che questa fabbrica
continua se i lavoratori sono salvaguardati nel salario, nel lavoro, nella
salute, nelle condizioni di lavoro e che la città abbia la possibilità di avere
una fabbrica meno inquinante e, soprattutto, che ci siano le condizioni perché
questo avvenga in un quadro in cui impazza la crisi siderurgica mondiale, la
guerra commerciale, la politica dei dazi, ecc ecc..
A fronte ad una situazione in cui è difficile
trovare gruppi industriali che facciano proprie le rivendicazioni operaie e
ambientaliste sarebbe ragionevole la nazionalizzazione, non perché pensiamo che
la nazionalizzazione in regime capitalista sia la soluzione, essa è una fase di
transizione che permette agli operai la continuità lavorativa e alle politiche
ambientaliste di avere una sponda e costruire un rapporto di forza differente
in fabbrica a livello nazionale, dentro il contesto mondiale.
Ma il governo dice un NO secco alla
nazionalizzazione, questo governo serve i padroni privati, serve il profitto
degli industriali e lo Stato deve contribuire soltanto con la solita logica di
aiutare i padroni a fare i padroni, aiutare i padroni a fare i profitti.
Per questo esiste il problema non solo della
gara ma esiste il problema del governo, i lavoratori si devono schierare
nettamente contro questo governo contro le sue soluzioni rivendicando con la
piattaforma operaia e la piattaforma ambientale un'altra soluzione. E questo se
richiede che sia lo Stato a prendere nelle mani lo stabilimento davvero anche
con la forma della nazionalizzazione sarebbe uno spazio entro cui sviluppare
questo tipo di conflitto.