Il 2 aprile di quest’anno, il “giorno della liberazione” come lo ha chiamato Trump, durante il quale ha mostrato il suo elenco di dazi da imporre unilateralmente a tutti i paesi del mondo, serve come data da segnare perché ha dato una mortale accelerata alla crisi attuale del sistema capitalista imperialista mettendo in luce in maniera più chiara i rapporti di forze esistenti tra i paesi imperialisti, innanzi tutto, e poi tra questi e i paesi capitalisti e i paesi oppressi e dipendenti dall’imperialismo.
In questo breve scritto possiamo, però, solo riassumere la situazione attuale dell’economia mondiale.
Sulla crisi profondissima non c’è dubbio alcuno, ed è crisi da sovrapproduzione di merci: per farla breve dalla crisi del 2008 (mutui subprime) e relativa recessione, aggravata in seguito con la crisi del 2011 (chiamata crisi del debito sovrano) - ricordiamo che ancora nel 2016 il Fondo Monetario Internazionale e la Banca mondiale dicevano che dalla recessione ancora non ci si riprendeva - e la crisi del 2020 con la pandemia da Covid con i suoi morti e la crescita della povertà, il Prodotto interno lordo mondiale è di fatto fermo, così come il commercio mondiale.
Sono gli stessi dati forniti dalla borghesia che certificano che nel 2020 il pil mondiale era sceso sotto il 3%, così come del 3% è sceso il commercio globale. In questi ultimi anni c’è stato un cosiddetto “rimbalzo” che ha portato il pil intorno all’1% annuo o poco più, sempre facendo una media tra quelli che sono sempre quasi a zero, e quelli che hanno crescita più alta come, per esempio, la Cina e l’India che sono intorno al 6%.
Il crollo generale dell’economia mondiale è stato così forte che i Paesi imperialisti, veri usurai, nel periodo del covid hanno sospeso “il servizio del debito”, cioè il pagamento degli interessi sui debiti per aiutare 73 paesi. Ma nemmeno questo fu sufficiente, per cui decisero di ragionare anche sulla ristrutturazione del debito, cioè di rivedere i tassi di interesse e le scadenze (non pensano mai di cancellare il debito!). Ma nemmeno questo è servito, anzi, come sempre anche questa crisi portò e porta con sé enormi quantità di licenziamenti, aumento dell’inflazione e della povertà, salari bassi e migrazioni. Queste ultime, cresciute notevolmente, servono all’imperialismo ad alimentare un enorme esercito industriale di riserva.
Se le crisi di cui sopra sono partite da lato “finanziario” del sistema capitalista imperialista, il dato di fondo riguarda in questi ultimi anni l’immane sovrapproduzione di merci: quella dell’acciaio, del litio
e delle automobili, pe fare solo alcuni esempi, che porta all’abbassamento dei prezzi e alla concorrenza spietata per trovare mercati per la vendita. La Cina, innanzi tutto, che è attualmente la fabbrica del mondo con il 35% di produzione globale, e che ha la maggiore produzione di acciaio e automobili, per non dire delle terre rare, è stata accusata dagli altri paesi imperialisti di invadere il mondo con le sue merci a basso prezzo, come se l’aspetto della concorrenza con la sua “guerra dei prezzi” non fosse l’anima del sistema.Per quanto riguarda l’acciaio (e l’alluminio), visto che è una componente essenziale della maggior parte dei prodotti industriali, soprattutto di autoveicoli, i dazi al 50%, voluti dalle multinazionali americane nel tentativo di rafforzare le loro industrie, approfondiranno ancor più la crisi. Esattamente come fanno i prestiti, un altro dato della crisi, cui hanno fatto ricorso governi e imprese, stiamo parlando della colossale cifra di 25.000 miliardi di dollari nel 2024, tre volte più del 2007! Da ripagare con tanto di interessi, altrimenti c’è il fallimento, come è successo al colosso multinazionale dell’acciaio Gupta o alla storica multinazionale Kodak!
Ma gli effetti dei dazi imposti da Trump hanno colpito tutti i Paesi! Dazi che diventano, soprattutto nelle mani di Trump, strumento di ricatto economico e politico, e che accentuano la crisi in tanti paesi come la Germania o la Gran Bretagna o il Giappone che ha perso il 10% dell’esportazione, per esempio. Negli anni passati questi paesi hanno spostato la produzione industriale nei paesi dove il costo della forza lavoro è più basso concentrandosi solo in alcuni settori per l’esportazione (oltre naturalmente alla grande esportazione di capitale), di fatto subendo alla lunga processi di “deindustrializzazione” che adesso è di fatto impossibile recuperare.
Altra conferma in questi ultimi giorni arriva dal crollo di Wall Street (21 agosto) con la perdita di 1000 miliardi di dollari; e con la possibile bolla pronta ad esplodere, ancora una volta nel settore dell’alta tecnologia (intelligenza artificiale), per i troppi miliardi investiti e che adesso vengono ritirati perché questa “incertezza” generale mette in dubbio i profitti.
Ma alla crisi da sovrapproduzione di merci bisogna aggiungere anche una crisi da sovrapproduzione di capitali, “eccedenza di capitali” come dice Lenin nel suo libro l’Imperialismo (e così potremmo dire, parafrasando Marx, che siamo passati dall’“immane raccolta di merci” all’immane raccolta di capitali (e profitti)!); tutta questa ricchezza si concentra nelle mani dell’oligarchia finanziaria e diventa “eccedenza di profitti” in cerca di impiego. E qui entriamo nel campo dei numeri folli dell’attuale capitalismo imperialismo, se è vero che nel mondo ci sono circa 200 mila miliardi di dollari in cerca di un investimento che non trovano e quindi “ristagnano”.
Crisi, “via d’uscita” e reazione
L’imperialismo quindi arranca malamente, e cerca una “via d’uscita”, ma come nelle sabbie mobili ogni movimento non fa altro che farlo sprofondare sempre di più: i governi dei paesi imperialisti, per esempio, stanno ancora una volta impegnando migliaia di miliardi in questo tentativo già fallito. Questo per gli Stati significa aumentare un debito pubblico che è già alle stelle, solo per fare alcuni esempi: gli USA di Trump, il cui debito è già di oltre 33 mila miliardi (129% del pil), nei prossimi dieci anni salirà di altri 1000 miliardi, secondo i calcoli della borghesia. Oppure l’Italia, a guida della fascista Meloni, che ha un debito di oltre 3 mila miliardi (135% del pil) lo vedrà salire di almeno altri 100 miliardi. Debito che a sua volta è per la maggior parte nelle mani di privati, nazionali ed esteri, che incassano i relativi interessi!
Il debito, quindi, diventa un capestro, non solo per le masse popolari dei paesi imperialisti, ma anche per i paesi africani, sudamericani o dell’est asiatico, non solo perché non riescono a pagare gli interessi, ma perché costretti a comprare merci da chi ha fatto il prestito… è questo uno dei meccanismi che rende i paesi dipendenti anche se sono “indipendenti”. In questo senso la sostanza dell’azione imperialista è sempre da “politica coloniale”.
In ogni caso, tutti questi miliardi pubblici servono solo a “drogare” la cosiddetta crescita, non certo a risolvere la crisi. E Trump, per fare un esempio, lo sa, tanto che ha deciso di non dare più soldi sotto forma di incentivi, sussidi ecc. a fondo perduto alle aziende e sta trasformando il prestito di 11 miliardi di dollari a fondo perduto alla multinazionale dell’elettronica Intel, in compartecipazione dello Stato, entrando nel capitale dell’azienda che produce i chip, i semiconduttori. Certo, in generale i “prestiti” per le multinazionali restano, ma adesso c’è il controllo diretto dello stato su un settore ritenuto strategico. Una novità, dicono gli esperti, una sorta di “nazionalizzazione”.
Ma Trump non si ferma a questo “cambio di paradigma” come ha addirittura detto qualche economista, vuole le mani libere su tutta la politica economica, tanto che si è scatenato all’interno del paese con attacco alla Fed (banca centrale), con i licenziamenti nel Dipartimento di statistica... e si è inventato perfino la pagella per le multinazionali più importanti per valutarne la vicinanza al suo governo, così come fa con i vari Stati del mondo.
In questa “guerra commerciale”, infatti, entrano con passo pesante, i governi: per quanto riguarda, per esempio, le produzioni che sono al centro di questa guerra ci sono i semiconduttori, i cosiddetti chip, per la quale si varano perfino leggi: il Chips and Science Act, degli USA con 50 miliardi di dollari; European chips Act che prevede un fondo di 43 miliardi di euro, la Cina, senza bisogno di leggi ad hoc, ha deciso di investire 48 miliardi di dollari. E tutte queste cifre sono in continuo aggiornamento…
Queste leggi sono le riforme con le quali i vari governi imperialisti da un lato cercano di “proteggere” i propri capitalisti imperialisti, con il cosiddetto “golden power” per esempio, e dall’altro provano a mobilitare tutte le ricchezze finanziarie del paese (i cosiddetti risparmi “fermi” nei conti correnti per migliaia di miliardi), agevolando l’acquisto di azioni dal taglio sempre più piccolo.
Un’altra “via d’uscita” (dalla crisi e dai dazi di Trump) è la ricerca di nuovi mercati come fa anche l’Unione europea che sta correndo per sviluppare nuove alleanze commerciali con altri paesi, soprattutto con quelli dell’Asia (India, Cina…), quelli dell’America latina (Mercosur) e dell’Africa, così come fa il Brasile da parte sua contando sull’appartenenza ai Brics. Anche Cina e India in questi giorni hanno fatto incontri per nuovi accordi commerciali per “sganciarsi”, sottrarsi al ricatto degli Stati Uniti.
Altro tentativo messo in campo da tanti paesi, dagli Usa all’Italia, è quello di creare le ZES-Zone economiche speciali, zone, cioè, nelle quali si cerca di “attrarre investimenti” dando enormi agevolazioni ai padroni che “investono” (molto spesso con soldi pubblici) e che possono portare via i profitti, dopo aver sfruttato la forza lavoro, senza pagare del tutto o quasi, tasse, imposte ecc.
L’insieme di queste iniziative prevede comunque per tutti i paesi la “ristrutturazione”, “transizione” “rilocalizzazione” della produzione (con impiego intensivo dell’intelligenza artificiale…), mentre sembrano falliti i tentativi di avvicinare quanto più possibile la produzione al proprio paese con il cosiddetto reshoring, friendshoring, nearshoring.
La crisi ha fatto pure superare tutti i vecchi “tabù” del passato come quello dell’indebitamento dello stato e del riarmo per la Germania, così come sono saltati i vecchi accordi internazionali come l’Organizzazione Mondiale del Commercio e altre istituzioni simili…
Davanti a questa situazione di crisi una parte della borghesia guarda sempre più alla Cina come “modello”. Il Sole 24 Ore, per esempio, in un suo articolo ne fa il panegirico: “mentre in Europa si discute ancora di tempi di sviluppo in Cina si corre.” La risposta cinese è “diversificazione dei mercati (Global South, Sud Est asiatico) e apertura di impianti in Messico per aggirare le barriere doganali”, la Cina “investe miliardi nei prestiti al consumo! 550 miliardi di yuan per l’assistenza agli anziani e i servizi”, usa la “rottamazione degli elettrodomestici (pratica che nei paesi imperialisti ricorre periodicamente!), telefonini ecc.”, una posizione, quella del quotidiano dei padroni italiani, che fino a un certo punto è contro la Meloni che vuole “meno Cina” nelle aziende partecipate come la Pirelli! Ma nell’ambito del sistema capitalista imperialista, cercare di fermare la penetrazione dell’imperialismo cinese nell’economia mondiale è uno sforzo assolutamente vano. Le ultime pratiche dei suoi monopoli sono quelli dell’integrazione verticale accelerata (per controllare tutta la filiera produttiva), l’utilizzo di piattaforme di produzione standardizzate e quindi massima concorrenza con i prezzi bassi e non ultimo la conquista dei “talenti” nel campo della forza lavoro. È questa concorrenza connaturata al capitalismo imperialismo - e lo dimostra tutta la sua storia - questo essere tutti contro tutti che impedisce la formazione di “blocchi” di paesi: se alleanze si formano attraverso accordi commerciali ecc., queste sono sempre precarie e temporanee!
Tutti i paesi imperialisti cercano di fare lo stesso: devono “aggredire”, “conquistare” e “difendere” i mercati… e, soprattutto nella crisi, il linguaggio di guerra usato in economia passa più esplicitamente nel campo della politica, e diventa realtà nella preparazione della guerra.
E infatti la “via d’uscita”, quella più praticata in questo momento, è il rilancio, oggi come ieri, della produzione nel settore militare: dagli Stati Uniti, alla Germania, alla Francia, all’Italia, alla Polonia, alla Cina, a Taiwan, all’India, alla Corea… le spese militari sono in grande aumento: “lo scorso anno, la sola spesa per gli armamenti (in senso ampio) ha raggiunto i 9 trilioni di dollari, mentre il costo complessivo delle violenze è stato pari a quasi 20 trilioni di dollari, cioè l’11,6% del pil mondiale … sempre più finanziate con nuovo debito pubblico.” (La Repubblica 30/6).
In questo articolo la situazione attuale viene definita “Guerra mondiale diffusa” perché: “Negli ultimi anni, il numero di Paesi coinvolti, direttamente o indirettamente, in una guerra è diventato numerosissimo. Tra quelli direttamente coinvolti ricordiamo: Russia, Ucraina, Pakistan, India, Israele, Gaza, Libano, Siria, Yemen, Iran, Myanmar, Sudan, Nigeria, Somalia, Repubblica del Congo e Sud Sudan. Tra quelli indirettamente coinvolti – ovvero che hanno fornito supporto materiale ai Paesi in guerra o si sono sentiti minacciati dalle crescenti tensioni internazionali – vanno annoverati tutti i Paesi occidentali, la Cina, Taiwan, le due Coree e persino il Giappone.” In questo contesto tutta l’economia diventa “Economia mondiale armata” come dice Foreign Affairs, mentre il Sole 24 Ore cita: “La svolta militare della Silicon Valley punta sulla cyber” e racconta di come “la Porsche passa alla Difesa”. E ancora una volta dobbiamo ricordare Lenin che dice che una delle particolarità dell’imperialismo è la “reazione politica su tutta la linea e intensificazione dell’oppressione…”, violenza reazionaria ad ogni livello contro le masse e contro i popoli e preparazione alla guerra!
Imperialismo e crisi: effetti sul proletariato
Questa breve analisi, con la risposta militare alla crisi, conferma che l’imperialismo è guerra. Tutti questi dati, le analisi di economisti, politici, esperti, centri studi ecc. ecc. oggi più che mai sono a disposizione di tutti. Quello che non vi si può trovare in queste analisi è la “via d’uscita” dalla crisi dal punto di vista del proletariato. Si può cambiare questo sistema sociale? NO! Servono le “riforme” per cambiarlo? No, perché l’imperialismo è l’attuale struttura sociale dalla quale non si può tornare indietro! La dipendenza dei vari paesi uno dall’altro è diventata estremamente generalizzata, altro che “libertà di commercio”, l’intreccio tra capitali dei monopoli e delle varie multinazionali è diventato ancor più inestricabile…Tutti cercano di “sganciarsi” l’uno dall’altro per risolvere la crisi come Trump con il suo protezionismo, ma il protezionismo non fa che aggiungere altri ostacoli a quelli già esistenti, l’imperialismo non permette di fare “un’altra politica” se non quella dell’imperialismo, e questo oggi come ieri, come diceva già Lenin.
Certo in tutto questo sconvolgimento i capitalisti imperialisti hanno perso la bussola! come dice uno studio della Commissione europea, perché non possono comprendere la natura dell’imperialismo che si rispecchia essenzialmente ancora oggi nelle 5 caratteristiche enunciate da Lenin. La concentrazione del capitale è immensa (si pensi solo che una sola azienda produttrice di chip, come Nvidia ha un capitale di circa 4.500 miliardi di dollari, quanto il pil della Germania!), così come la centralizzazione con le fusioni e acquisizioni tale da portare ai monopoli (basta pensare a quelli del petrolio e delle terre rare); la fusione del capitale industriale e quello finanziario, con la nascita della oligarchia finanziaria, così come la spartizione del mondo tra i paesi imperialisti… solo che tutto è diventato ancora più colossale e portato alle estreme conseguenze compreso la preparazione della guerra per una nuova spartizione del mondo… (i primi 10 fondi di investimento privati a livello mondiale gestiscono circa 45mila miliardi di dollari, quasi quanto il pil di Stati Uniti e Cina messi insieme; e spostando quantità enormi di soldi da un settore all’altro o da un paese all’altro possono mettere in pericolo o far cadere governi).
È sotto gli occhi di tutti che siamo davanti alla più colossale distruzione di forze produttive, e dell’ambiente, della storia dell’umanità, è sotto gli occhi di tutti che “L’imperialismo è guerra! L’imperialismo è guerra quotidiana in tutti gli ambiti della vita del proletariato e delle masse popolari! L’imperialismo è guerra contro donne, bambini, studenti, operai. L’imperialismo sta sprofondando sempre più nella sua crisi più lunga e profonda che significa maggiore povertà, guerra, miseria, morte, migranti per i popoli dei paesi oppressi dall'imperialismo e i proletari e le masse popolari nei paesi imperialisti, in un mondo sempre più tormentato. Ma questo sta portando più avanti la contraddizione principale della nostra epoca, quella tra imperialismo e popoli e nazioni oppresse e ha acutizzato tutte le altre contraddizioni, quella tra proletariato e borghesia nei paesi imperialisti, come la contraddizione interimperialistica.” (dalla Formazione operaia sull’Imperialismo di Lenin).
E non è certo la crisi, con buona pace dei riformisti di ogni tipo, che farà crollare l’imperialismo, anzi, insiste Lenin, le crisi lo rafforzano, i grandi mangiano i piccoli e tutto il potere e la ricchezza si concentrano ancora di più. Per agire contro l’imperialismo si deve comprendere la sua natura effettiva! diceva Lenin “la questione cioè della sostanza economica dell'imperialismo, perché senza l'analisi di essa non è possibile comprendere né la guerra odierna né la situazione politica odierna”.
Chi contribuisce alla “confusione” sulla politica odierna, sono gli “Odierni opportunisti … coloro che sostengono l'imperialismo russo e cinese, l'imperialismo europeo, l'imperialismo italiano nella forma di individuazione del nemico solo nell'imperialismo Usa, nella Nato, ecc. … L'altra corrente opportunista è quella del movimento autonomo che, pur lottando contro gli effetti della politica imperialista, non comprende ‘la questione della sostanza economica dell'imperialismo’; e quindi il carattere sistemico, ‘inevitabile’ delle sue guerre, dei suoi armamenti e postazioni militari, del suo legame organico con le politiche statali e industriali, ecc. Così questa corrente, pur sostenendo le lotte di liberazione nazionale, vedi Kurdistan, Palestina, ecc., non combatte l'imperialismo.”
E ancora a proposito di altre posizioni politiche, “Occorre spiegare tutta la falsità delle ideologie socialpacifiste e delle speranze nella democrazia mondiale, corrispondenti alle posizioni degli opportunisti e dei movimentisti di oggi.” (ibid.)
È chiaro, invece, che l'imperialismo che poggia sullo sfruttamento infinito e sull’infinito orrore, è un gigante dai piedi d’argilla che prepara ogni giorno le condizioni che rendono possibile, necessario e urgente il suo abbattimento. E in un paese imperialista come l’Italia, la lotta per porre fine all'imperialismo deve essere impugnata dalla classe operaia, dai giovani, dalle donne, da tutti i lavoratori, dai migranti. Per questo serve la pratica organizzata, e serve l'autonomia teorica, ideologica dei proletari e delle masse popolari avanzate.

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