Il Sole 24 ore del 3 dicembre in un trafiletto scriveva: “
Stellantis
si avvia a chiudere il 2023 con quotazioni da record in borsa, più
50% da inizio dell'anno, per una capitalizzazione che supera i 60
miliardi di euro e con utili in forte aumento che
permetteranno di remunerare gli azionisti, oltre che con un rialzo
dei dividendi, anche con un buy back da un da un miliardo e mezzo”.
I padroni cioè
dichiarano profitti, utili, e soprattutto i padroni delle grandi
multinazionali, le multinazionali dell'auto come la Stellantis. Sono
questi profitti a livello internazionale che hanno permesso di
fronteggiare, ad esempio negli Stati Uniti d'America, il più grande
sciopero degli operai dell'auto degli ultimi anni, uno sciopero che
ha portato a dei risultati concreti tra i lavoratori, anche se
inferiori a quelli che i lavoratori avevano richiesto con la loro
piattaforma molto avanzata centrata sul salario - il 45% in più era
la richiesta -centrata sul ripristino sulla scala mobile per
fronteggiare il crescente aumento del costo della vita e centrata
sulla riduzione della precarietà, un'arma nelle mani dei padroni per
ricattare l'insieme dei lavoratori. Questa piattaforma
degli operai dell'auto era - ed è - indicativa per tutto il
movimento operaio e lo sarebbe ancor più per la Stellantis in
Italia.
Quindi i padroni
dichiarano profitti ma intanto continuano nello scaricare sui
lavoratori la crisi generale e lo scontro generale che vi è nel
mercato mondiale e nello stesso tempo intensificare lo sfruttamento e
l'estorsione del plusvalore di tutti gli operai. E’ la condizione
attuale nelle fabbriche Fiat, da Mirafiori a Melfi, sta lì a
dimostrarlo.
C'è da aggiungere
che Stellantis in particolare considera l'Italia una sorta di anello
debole del sistema multinazionale che la mantiene. Infatti,
nonostante queste avanzate generale del gruppo Stellantis la
produzione di auto nel nostro paese è scesa nel 2022 sotto le
500.000 unità. L'ottava posizione in Europa, dietro anche Romania,
Slovacchia e Repubblica Ceca. Da mesi, sia la Stellantis che il
governo dicono che vogliono approntare un piano per raddoppiare la
produzione in Italia a 1 milione di
autovetture. Però il centro è
ancora una volta lo Stato: Stellantis chiede che sia lo Stato, con
adeguati incentivi, a permettere questa operazione, ma lo
stesso Sole 24 Ore dice che questo piano è solo un proposito.
lo
stesso Sole 24 Ore dice che questo piano è solo un proposito. Naturalmente questo
fa sì che le prospettive occupazionali, in particolare nell'appalto
negli stabilimenti della Stellantis, siano molto gravi.
Si tiene l' ennesimo tavolo presso il Mimit dove
governo, Stellantis, sindacati e Regioni si incontreranno ma, riteniamo che le speranze dei lavoratori di trovare in
questi tavoli una soluzione sia del tutto infondata come finora si è
dimostrata.
Per noi nel gruppo
Stellantis la linea è quella che stiamo portando a Melfi come a
Mirafiori ogni qualvolta ci andiamo. Lo Slai Cobas propone
innanzitutto di difendere i salari, di difendere l'occupazione, di
contrastare i peggioramenti delle condizioni di lavoro, di
contrastare i trasferimenti da stabilimento a stabilimento. Questo
è possibile innanzitutto con l'unità
dei lavoratori, i lavoratori devono costruire la loro unità alla
base e su questo la loro lotta può cambiare le cose.
I sindacati
confederali, che pure a parole si oppongono agli effetti più gravi
del piano della Stellantis, per ora, con i loro scioperi, non sono
stati in grado di cambiare le cose.
Servirà in tutto l'anno a venire un duro lavoro di
organizzazione di classe, degli operai, delle grandi fabbriche,
un lavoro che faccia riferimento alla grande lotta dell'auto di
questi mesi in America, perché solo da una Piattaforma operaia è
possibile ripartire. Lavorare di rimessa rispetto agli attacchi
padronali e ai piani padronali sostenuti a piene mani dal governo,
finora non ha pagato per i lavoratori.
Per i lavoratori dell’ex ILVA. L'ennesimo consiglio
d'amministrazione dovrebbe decidere le sorti dello stabilimento.
Questo consiglio d'amministrazione è centrato,
sul problema, se ArcelorMittal metterà la sua parte in investimenti
per rilanciare la produzione e gli stabilimenti stessi, in un quadro
in cui lo Stato si dovrebbe occupare in generale dei processi di
transizione ecologica e di ambientalizzazione.
Finora quello che si
è visto è che il governo, lo Stato, sono disponibili a mettere
soldi in un pozzo senza fondo: dopo 680 milioni di euro dati poco fa,
ora si parla di cifre astronomiche, sull'immediato 350 milioni, in
prospettiva oltre 4 miliardi che lo Stato da versare nel gruppo
Acciaierie d'Italia affinché ne venga garantita la sopravvivenza e
la ripresa.
Siamo
all'interno della logica di sempre, quella di socializzazione delle
perdite e di privatizzazione dei profitti. In questa situazione la
posizione dei sindacati tutti - tranne lo slai cobas insiste perché lo Stato e questo governo in
particolare si facciano carico della crisi che attraversano gli
stabilimenti e in particolare il più grande di essi, situato a
Taranto.
Lo sciopero generale
degli stabilimenti con la manifestazione a Roma non ha avuto finora
alcuna risposta dal governo né lo sono state le trattative aziendali
che si limitano a gestire l'esistente. ArcelorMittal, attraverso la sua amministratrice delegata, la
Morselli, conduce il gioco e ogni giorno questo si riflette contro i
lavoratori perfino non pagando gli straordinari e con gli annosi e
permanenti problemi di sicurezza
Acciaierie d'Italia ha
stabilito un premio di 150 € per gli operai,
legato alla sicurezza. Chiaramente si tratta di una mancia
discrezionale, per di più con criteri corrispondenti esclusivamente
ad "algoritmi" piuttosto che alle condizioni effettive di
salute e sicurezza che vi sono negli stabilimenti. L'effetto può essere
di scoraggiare i lavoratori dal denunciare gli infortuni per non perdere
il premio, dividere i lavoratori e far passare la logica che gli
infortuni dipendono dai lavoratori.
Ma per noi il punto chiave è
se attualmente gli operai saranno in grado di rovesciare il tavolo
attraverso la loro lotta e imporre una Piattaforma
operaia incentrata sulla difesa di tutti i posti di lavoro degli
stabilimenti, in particolare a Taranto e dell'appalto - e si tratta
di una platea che arriva a 15.000 lavoratori - e se a partire da
questo sarà possibile imporre la difesa salariale, anche attraverso
l'integrazione alla cassa integrazione.Sul fronte
sicurezza, è chiaro che se si lotta si è in grado di
difendere la sicurezza in fabbrica, cercando anche misure nuove di
organizzazione e di gestione delle condizioni quotidiane di
insicurezza, se non si lotta le richieste non hanno alcun seguito e
la situazione della sicurezza continua ad essere a rischio nella
fabbrica.
Sono giorni in cui
gli operai e alcune parti sindacali hanno innanzitutto la
preoccupazione che l'annunciata chiusura della fabbrica, che in
qualche maniera viene anticipata dal fermo dell'altoforno 2, cosa che
comporterebbe evidentemente il funzionamento della fabbrica a Taranto
intorno a un solo altoforno, possa essere una chiusura pilotata dello
stabilimento come un'arma di ricatto nelle mani della
Morselli/ArcelorMittal e per imporre in condizioni di emergenza il
finanziamento
che richiede al governo senza alcuna contropartita.
L'USB ha
annunciato una manifestazione nazionale per il 20
gennaio. Una manifestazione nazionale a Taranto che richiami
l'attenzione sulla situazione esistente in quella che resta la più
grande fabbrica di questo paese, è giusta e necessaria e in un certo
senso tardiva - da tempo era una delle proposte dello Slai Cobas che
però non ha la forza materiale per organizzarla -il problema che essa è
centrata essenzialmente sukl discorso ' solo lo stato' può risolvere la
situazione. Noi diciamo quale Stato? Lo stato del capitale? Lo stato
gestito attualmente dal 'comitato d'affari' costituito dal governo
Meloni e i suoi ministri? Ora l'importante è che questa manifestazione
sia effettivamente partecipata dagli operai di Taranto, perché da
questo dipende anche il peso nazionale che la manifestazione potrà
avere.
Noi da tempo
proponiamo una lotta ad oltranza che preveda il blocco della
produzione per più giorni e il blocco della città, la creazione
di un'emergenza reale che costringa padroni e governo a rispondere
non alle esigenze di ArcelorMittal ma alle esigenze salariali, di
lavoro, di sicurezza e di tutela dell'ambiente, di operai e masse
popolari della città di Taranto in particolare di quelle nei
quartieri a più alto intensità inquinante.
Rispetto alla
situazione effettivamente esistente nelle fabbriche, all'emergenza
che c'è di lavoro e salario, appaiono del tutto insufficienti obiettivamente le manifestazioni
indette, in un quadro di uno sciopero a tappe, da Cgil
e Uil.
Certo, siamo per lo
sciopero generale, per un vero sciopero generale contro il governocontro la linea antioperaia,
antipopolare che esso segue e che contrapponga il fronte unito dei
lavoratori al fronte unito dei padroni che oggi ha questo puntello
importante che è il governo Meloni.
Ma il percorso di
queste manifestazioni se non parte dalla acutizzazione dello scontro
sui posti di lavoro, se non chiama in prima fila le grandi fabbriche,
il cuore centrale della classe operaia, sembra più servire a una
campagna di stampo politico-elettorale piuttosto che alla conquista
di risultati concreti per i lavoratori.
Per noi lo
sciopero generale è un percorso che nasce dall'acutizzazione dello
scontro di classe in tutti i posti di lavoro, nelle fabbriche e
in tutti i luoghi dello sfruttamento come sono la logistica e i
settori precari e che abbia la capacità di unire le masse precarie e
disoccupate, le masse povere che vengono attaccate dal governo anche
attraverso la negazione del salario minimo, la sostanziale
eliminazione di fatto del reddito di cittadinanza. Masse popolari che
sono colpite dal carosanità, dal caroscuola e dalla permanenza
continuità della precarietà e disoccupazione e che non trovano
tutt'ora la possibilità di una battaglia generale che possa portare
risultati concreti e invertire la rotta che finora permette ai
padroni di continuare a dichiarare profitti, sia quelli industriali
che quelli della finanza, profitti fondati sullo sfruttamento, sulla
precarietà, ma anche sulla evasione fiscale; sul fatto che lo Stato
borghese e il suo governo mentre diventano sempre più vessatori nei
confronti delle masse proletarie, dei settori più poveri del
commercio e dell'artigianato e della piccola industria, favorisce
invece l'evasione fiscale dei grandi padroni mentre porta avanti un
grande drenaggio finanziario dalle tasche dei cittadini in generale
alle tasche dei padroni.
Il fronte della
chiusura delle fabbriche resta grave. Alcune fabbriche stanno
opponendo una resistenza come alla Lear di Torino, con forme di
lotta, occupazione, presidi permanenti. Altrove, invece, i lavoratori
non sembrano in grado di opporre la stessa resistenza ai piani dei
padroni che uniscono delocalizzazione, chiusura mirate, che lasciano
i lavoratori in mezzo alla strada o alla mercè di banditi
industriali che usano i soldi pubblici con l'obiettivo esclusivo
della crescita dei loro profitti, non garantendo nè occupazione né
condizioni di conservazione dei diritti dei lavoratori-
E' il caso della
Tessitura Albini di Mottola, con
gli operai e operaie in presidio permanente soft da alcune
settimane, un presidio che ha l'obiettivo di impedire che lo
stabilimento venga svuotato dal gruppo Albini per essere poi
consegnato a un'altra attività industriale, in questo caso il gruppo
Ekasa, che non ha garantito finora alcunché ai lavoratori sul fronte
dell'occupazione - propone l'assunzione dalla naspi di una parte di
essi a tempo determinato - mentre giustamente i lavoratori
rivendicano l'assunzione di tutti con contratti a tempo
indeterminato.Questo scontro
attualmente vive una fase cruciale da cui i prossimi giorni
decideranno l’effettiva realtà. Lo Slai Cobas - oltre che
partecipando attivamente alla lotta - comunque impugnerà i
licenziamenti e continuerà nelle forme necessarie la lotta.
Le lotte operaie,
lo sviluppo della lotta sociale sono il brodo di cultura necessario
dell'opposizione politica al governo fascio-padronale
della Meloni.
È chiaro che esiste
un intreccio tra lo sviluppo delle lotte che producono anche una
dinamizzazione della coscienza dei lavoratori, l’uscita dalla
passività, dalla divisione e dall'accettazione delle condizioni
esistenti imposte da padroni e governo e la lotta contro il governo
Meloni. La ripresa della lotta operaia permette di sviluppare
l'agitazione e la propaganda politica per la costruzione di una vera
opposizione politica al governo, che certamente non può fare
affidamento sui partiti parlamentari che provengono dai
precedenti governi dei padroni e oggi non sono in grado
di opporsi al governo Meloni, un governo che unisce l'elemento di continuità
con l'elemento di discontinuità rappresentata dalla natura fascista,
imperialista, sessista, razzista, esplicita dei suoi partiti e dei
suoi rappresentnti principali.
Questo tipo di
intreccio tra le lotte sociali e l'opposizione politica domanda, nel nostro paese, la ricostruzione del
Partito dei lavoratori, la costruzione di un Fronte unito per opporre
una lotta reale all'altezza dei tempi al governo reazionario della
Meloni, allo Stato del capitale, al sistema capitalista/ imperialista