I dati negativi
elencati, infatti, sono: domanda interna, disoccupazione giovanile (solo
questa estate si sono laureati oltre 11 milioni di giovani che non trovano
lavoro), “sovra capacità”. La parola “sovra capacità” dovrebbe sostituire
nel linguaggio degli economisti borghesi la parola sovrapproduzione! perché
questa sa troppo di analisi marxista!
Insomma, la Cina
produce troppo e invade i mercati del mondo, come dice il Sole 24 Ore del 3
settembre scorso: “… secondo i dati della Banca mondiale, nel 2022 il 30%
dell’output manifatturiero mondiale originava dalla Cina [il grassetto è
nostro, ndr] … Ciò implica che le aziende cinesi riversano sui mercati
internazionali il 60% delle loro produzioni, spesso a prezzi di realizzo, destabilizzando
l’economia mondiale”.
Qui potrebbe valere
la frase che un battito d’ali della farfalla cinese produce un uragano in altre
parti del mondo, con buona pace di chi parla di de-globalizzazione, per usare
solo una delle parole che affermano che il sistema imperialista non è più tale.
Ma questa valanga
di merci, dallo spillo all’alta tecnologia, è impossibile da fermare
secondo le stesse leggi del capitalismo/imperialismo. Certo gli stati
imperialisti ci provano, come gli Stati Uniti e quelli europei, con i dazi, con
le sanzioni, insomma alzando barriere… ma qui vengono in mente le parole del
Manifesto di Marx ed Engels laddove parla della borghesia dicendo che “i bassi
prezzi delle sue merci sono l’artiglieria pesante con cui essa abbatte tutte le
muraglie cinesi…"!
Prima i bassi
prezzi sono serviti agli stessi paesi imperialisti che “delocalizzavano” le
produzioni per fare profitti senza fine grazie ai salari da fame del
proletariato industriale cinese e alle agevolazioni del governo cinese… adesso
i bassi prezzi servono direttamente al socialimperialismo cinese che grazie
allo sfruttamento di un’enorme classe operaia (oltre 120 milioni solo nel
settore industriale secondo i dati ufficiali) batte tutti in “competitività”: “Nei
fatti, la competitività del sistema manifatturiero è stata ottenuta a discapito
della domanda interna, grazie ad una politica di contenimento dei salari:
la domanda interna del Dragone incide per il 50% del Pil contro una media del
75% a livello mondiale.”
Per quanto riguarda
l’andamento generale dell’economia cinese i quotidiani mettono in risalto la
“crisi” che in questo momento attanaglia la Cina e che può aggravare le crisi
in atto delle altre economie imperialiste innanzi tutto, e i dati in questo
senso sono abbastanza chiari: il livello di “crescita” media del pil dei paesi
imperialisti è dello 0 virgola qualche cosa e cioè non c’è crescita! Solo
per citare alcuni paesi imperialisti: Italia 0,8%, Germania 0,9%, Francia 0,2%,
Spagna 0,7 solo quello degli Stati Uniti è un po’ più alto grazie alla
produzione bellica (e questo vale anche per gli altri paesi imperialisti) e ai
profitti fatti vendendo gas e petrolio ai paesi europei dopo aver fatto sì che
si interrompessero i rapporti con la Russia.
Il dato curioso
però in tutta questa faccenda del Pil lo riportano i quotidiani stessi quando
dicono che la Cina quest’anno crescerà “solo” del 5%! Con le parole del
Sole24Ore “… la Cina versa in una situazione di squilibrio quasi strutturale –
anche se con caratteristiche tutte sue visto che si manifesta con tassi
di crescita del Pil dell’ordine del 5%”. Il confronto con gli altri paesi è
impietoso, con questo tasso di crescita la Cina non dovrebbe avere nessun
problema e invece i portavoce dei paesi imperialisti innanzi tutto ci dicono
quanto questo “calo” sia un problema per tutti, perché la Cina è la fabbrica
del mondo e se la fabbrica del mondo rallenta o si ferma arriva la
stagnazione, i magazzini pieni di merci invendute, i cantieri fermi, le
chiusure delle fabbriche con i conseguenti licenziamenti e la possibilità della
mobilitazione operaia e le ripercussioni politiche…
Si capisce, quindi,
quanto questa analisi complessiva dell’economia cinese sia interessata, perché riguarda
l’attuale concorrenza mondiale tra paesi imperialisti, e infatti i
quotidiani della borghesia ricordano che quella cinese è la seconda economia
del mondo (quasi 18mila miliardi di pil – quello dell’Italia, per confronto, è
di 2mila miliardi e quello della potente Germania di 4mila miliardi) dopo gli
Stati Uniti, che a loro volta sono i primi come prodotto interno lordo con una economia
che quest’anno crescerà del 2,5% circa, ma solo perché spendono ufficialmente
ogni anno circa 1000 miliardi di dollari nel settore militare… anche se
il paese sta cadendo a pezzi!
Il
socialimperialismo cinese in quanto a spese militari non è da meno
(ufficialmente siamo a quasi 300 miliardi), ogni anno aumenta la cifra da
investire nel settore degli armamenti ad ogni livello, navi, aerei, portaerei,
sommergibili nucleari, missili di ogni tipo, e questo perché il contesto, tra
crisi economica e scontro per la conquista dei mercati sia delle materie prime
che come sbocco delle merci, diventa di guerra, non solo la “normale” guerra
commerciale, ma anche per la guerra guerreggiata minacciata già da Obama, con
la sua politica del “pivot to Asia” (cioè, focalizzazione sull’Asia, ulteriore
militarizzazione dell’area del pacifico in funzione anticinese) e da Trump e
Biden in maniera sempre più esplicita: la Cina è il vero nemico “economico” da
combattere.
Questa politica
guerrafondaia viene accompagnata da una intensa propaganda: il
socialimperialismo cinese viene accusato di ogni nefandezza, come dice il
Sole24Ore “L’accumulo di capacità produttiva, lo spionaggio industriale,
l’appropriazione indebita di proprietà intellettuale, il dumping compongono una
precisa strategia predatoria, una forma di guerra ibrida contro il resto del
mondo.” e ancora, continua il giornalista, “… le scelte di politica economica a
Pechino puntano esplicitamente alla conquista dei settori più avanzati o
strategici utilizzando sussidi, prestiti agevolati, restrizioni alle
importazioni, manipolazioni valutarie e pratiche illegali.”
Insomma, tutto
quello che hanno fatto da sempre e continuano a fare gli imperialisti con alla
loro testa gli Stati Uniti. Che però adesso fanno pure le vittime! Leggiamo
come argomenta questo giornalista del quotidiano dei padroni italiani (a cui
piace tanto chiamare la borghesia imperialista cinese “regime comunista”) la
crescita della Cina: “Il regime comunista sostiene col bilancio pubblico i
costi esorbitanti della sovracapacità e tollera le inefficienze pur di far
terra bruciata sui mercati esteri, prima che scatti la reazione di Paesi
sotto attacco. Anzi prima che si accorgano di essere sotto attacco. Se
i dazi vengono introdotti quando l’industria domestica è debilitata o spazzata
via, riattivare il potenziale industriale richiede anni di sforzi. È la
strategia perseguita per i pannelli solari, gli elettrodomestici, le turbine
eoliche, gli antibiotici eccetera. Troppi Paesi presi alla sprovvista hanno
imposto tardivamente dazi per tamponare l’aggressione.” E qua il
giornalista sta quasi per piangere: “Si tratta di reazioni tormentate
anche politicamente e diplomaticamente, per i tanti interessi in gioco con il
gigante asiatico, basti pensare alle divisioni interne alla Unione europea.” Gli
“interessi in gioco” sono per esempio quelli della Volkwagen che non intende
affatto applicare i dazi contro la Cina dove possiede fabbriche di auto e che rappresenta
circa il 30% delle vendite delle case automobilistiche tedesche.
Secondo questo
raccontino per bambini, quindi, i paesi imperialisti la potenza economica della
Cina “non l’hanno vista arrivare”! Non si sarebbero accorti che la Cina ha fatto
la “guerra” con le armi della borghesia imperialista, con un classico del Capitale:
la merce e il denaro! A cui aggiungono sempre la guerra naturalmente!
La merce con “un
eccesso di capacità produttiva che inonda il pianeta e genera squilibri ben
difficilmente tollerabili nel mondo occidentale”, e il denaro prestato a tanti
paesi africani e dell’America Latina! Gli investimenti diretti esteri della
Cina ammontano a centinaia di miliardi e coprono oltre l'80% dei Paesi e delle
regioni del mondo.
La Cina è una
minaccia per i paesi imperialisti dunque, ma il giornalista esprime anche
rabbia per il modo in cui è stato possibile alla Cina arrivare a tanto! Riassumendo:
la strategia sarebbe stata quella di fare da fabbrica del mondo per gli altri paesi
imperialisti che vi hanno trasferito le proprie fabbriche per il basso prezzo
della forza lavoro per una ventina di anni dal colpo di stato di Deng del 1976,
anni in cui la Cina ha assorbito la scienza e la capacità tecnologica che
veniva dagli altri paesi, ma poi ha cominciato la produzione in proprio di ogni
sorta di materiale di alta e altissima tecnologia anticipando e superando per
esempio gli altri paesi imperialisti nella produzione delle auto elettriche.
Una minaccia, sì,
ma anche una necessaria componente del capitalismo/imperialismo mondiale,
perché la Cina è la fabbrica del mondo, come abbiamo visto, ma rappresenta
anche un gigantesco mercato per le merci di tutti i paesi visto che, tra l’altro,
vi è la più numerosa classe media al mondo, oltre 400 milioni di persone.
Tant’è che adesso,
dice il quotidiano dei padroni, in Cina è tutto in “eccesso”: “Il Pil si è
sostenuto attraverso il ricorso ad eccessi: in primo luogo, inerenti gli
investimenti in infrastrutture e nel settore immobiliare, che sono arrivati ad
incidere per oltre un terzo del Pil cinese. Investimenti che sono stati resi
possibili attraverso il continuo ricorso alla leva finanziaria … La Cina,
avendo raggiunto un debito complessivo che è di tre volte superiore al valore
del proprio Pil, ha sempre meno gradi di libertà per sostenere un modello di
crescita confrontabile con quello del passato.”
E tra gli “eccessi”
ci sono pure quelli della scienza: “… oggi possiamo vedere il Dragone come una
superpotenza di natura scientifica: la Cina ha infatti superato Usa e l’intera
Ue per volume di pubblicazioni ad elevato impatto scientifico mentre la spesa
in R&S, ricerca e sviluppo, è cresciuta di 16 volte dal 2000 ad oggi.”
E la forza
espansiva dell’economia cinese non si è ancora fermata: sono in corso i lavori
iniziati dalla Nuova via della seta dalla Cina all’Africa del valore di 1000
miliardi di dollari, è in corso l’acquisto o il controllo dei porti di diversi
paesi a cominciare dalla Grecia ed è in corso l’apertura di fabbriche di auto
in Europa, dall’Ungheria all’Italia, Stellantis in testa.
L’attuale politica
di Xi Jinping al giornalista del Sole 24 Ore piace meno di quella del golpista
Deng, dice infatti che quella di Xi rappresenta una “…inversione a U rispetto
alla prospettiva Denghista: dalla quantità alla qualità della crescita,
dall’apertura verso il mondo occidentale all’autosufficienza tecnologica,
dall’incentivo ad arricchirsi a una più equilibrata distribuzione dei redditi,
dall’incentivo all’imprenditoria privata alla centralità del partito in
qualsiasi intrapresa economica.”
Nel descrivere solo
un’economia che gli economisti borghesi definiscono “matura”, il giornalista,
come si vede, sogna ancora una Cina con i suoi proletari industriali a milioni
a completa disposizione del profitto imperialista! Ma la Cina attuale è
socialimperialista, intenta a conquistare posizioni sui mercati mondiali per il
massimo dei profitti, mentre continua a strappare plusvalore alla propria immensa
classe operaia, con cui rifornisce uno dei più grandi “fondi sovrani”, impoverendola
e peggiorandone le condizioni di vita (“i consumi privati cinesi
rappresentavano solo il 13% di quelli globali”) con una forte repressione
interna e negazione dei diritti fondamentali.
Non contento della
sua analisi, il giornalista, con l’arroganza tipica di chi vive in un paese
imperialista, si permette di dare suggerimenti alla borghesia cinese su come
uscire da questo momento di particolare crisi: “In un contesto normale per
assorbire questo squilibrio il Paese dovrebbe stimolare i consumi interni o
rivalutare il cambio. Ma il Partito Comunista Cinese da oltre venti anni
rifiuta di applicare queste misure, di espandere i servizi pubblici
(specialmente la sanità) e estendere la sicurezza sociale per i cittadini. Un
Paese che ha costruito 45mila chilometri di linee ferroviarie ad alta velocità
spendendo l’equivalente di 750 miliardi di euro e che impegna cifre colossali
per il riarmo, mantiene ospedali pubblici di infimo livello”.
È questo, oppure no,
lo specchio di ciò che succede nei paesi imperialisti, a cominciare dagli Stati
Uniti?
Partendo appunto
dall’attuale “manovra economica” della Cina che non si discosta affatto da
quella adottata dai paesi imperialisti: è la più classica manovra di aiuto ai
padroni in caso di crisi. Anche la banca centrale degli Stati Uniti, la Fed, ha
abbassato i tassi di interesse perché in questi casi le banche centrali mettono
soldi freschi nel circuito economico bloccato nella speranza di fare ripartire
l’economia (ricordiamo i quasi 20mila miliardi degli Stati Uniti necessari per
“salvare” l’economia dopo la crisi del 2008, e i miliardi a fondo perduto
considerati normali che i governi versano nelle casse dei padroni), ma
l’economia negli ultimi decenni non riparte lo stesso… e la crisi si aggrava.
A questa crisi
bisogna dare una risposta e il socialimperialismo cinese come si vede da un
lato usa gli stessi metodi degli altri paesi imperialisti, e cioè aiuto ai
padroni e peggioramento della condizione del proletariato, e dall’altro si sta
preparando allo scontro innanzi tutto con Stati Uniti e i loro alleati, e sulla
scia dell’esempio dei paesi imperialisti la Cina non solo sviluppa tutto il
potenziale militare, ma continua ad investire miliardi di dollari, come in
Africa, e cerca alleati dall’Africa all’Asia.
Certo le guerre in
corso, quella per interposta persona in Ucraina e il genocidio in corso in
Palestina per mano del nazisionismo israeliano sostenuto dall’imperialismo
americano che si è allargato al Libano e allo Yemen, solo per citare le guerre
“visibili”, possono portare sull’orlo della terza guerra mondiale, ma è
altrettanto sicuro che la pressione esercitata dall’imperialismo degli Stati
Uniti e dai suoi alleati sul socialimperialismo della Cina può essere la
spallata finale che porta al precipizio.