venerdì 9 settembre 2011

9 settembre - sciopero del 6 settembre - crisi - lotta

Anticipazione del nuovo numero del foglio 'Proletari comunisti' in uscita dal 15 settembre
ro.red@libero.it

Sciopero del 6 dicembre, crisi e lotta dei lavoratori

Nelle manifestazioni del 6 settembre, in particolare anche in quelle indette dai sindacati di base, gli slogan e striscioni principali, ma soprattutto le iniziative sono state indirizzate contro le Banche o la Borsa, a Milano, come le responsabili della crisi, con le parole d'ordini: non paghiamo il debito o paghi il debito chi lo ha fatto.
Noi pensiamo che queste iniziative e queste parole d'ordini, pur se mosse da buone intenzioni, sono nei contenuti devianti.
Esse fanno oggettivamente da pendant ai discorsi presenti anche nella Confindustria, nel governo, nei mass media, per cui la colpa della crisi sarebbe principalmente delle banche, delle operazioni finanziarie speculative. Così,ripetiamo nonostante le buone intenzioni si nascondono le vere cause della crisi, che, se si manifesta come principalmente crisi finanziaria, ha la sua origine nel processo di produzione del capitale; e si finisce oggettivamente per far apparire una differenza tra un capitale
finanziario cattivo e un capitale industriale buono.
Le parola d'ordini sul “debito” poi coprono oggettivamente la natura dell'Italia.
Il nostro è un paese imperialista come Francia, Germania, sia pur in un gradino più basso nella scala gerarchica; l'Italia quindi è pienamente responsabile del proprio debito accumulato. Se si resta nelle soluzioni interne al sistema capitalista, se non si dice che i proletari e le masse popolari devono rovesciare questo sistema, e devono costruire uno Stato nelle loro mani, uno Stato di dittatura proletaria - il solo Stato che dal punto di vista delle leggi del proletariato può azzerare i debiti fatti dal proprio paese imperialista - perchè mai l'Italia non dovrebbe “pagare il
debito”? Non è certo un paese del 3° mondo! Il cui debito è essenzialmente provocato dai paesi imperialisti, frutto del rapporto di dipendenza, oppressione economica, politica.
L'abnorme sviluppo delle attività finanziarie, dell'espansione del credito non è altra cosa dal capitale industriale, dal capitale produttivo, ma è frutto delle leggi stesse del capitale e dei tentativi del capitale di frenare la caduta del saggio di profitto – anche se la finanza poi si muove anche di “vita propria” e in alcuni casi può come una potenza mostruosa rivoltarsi contro singoli esponenti del sistema che l'hanno generata.
Quindi tutti coloro che a fronte della crisi che ha visto il suo manifestarsi come crisi finanziaria, gridano essenzialmente contro i finanzieri, i banchieri sono o miopi o in malafede.

Oggi le posizioni della maggior parte dei sindacati di base, dei settori più radicali della cgil su questo sono sbagliate e in alcuni casi vere sciocchezze e deviano le lotte dei proletari e delle masse lavoratrici dai necessari bersagli; queste posizioni esprimono più o meno coerentemente la concezione, i desideri della piccola borghesia che tiene un piede in due staffe: fare proposte e richieste impossibili in questo sistema capitalista ma tenersi questo sistema senza colpirlo nella sua sostanza

Occorre chiarezza, analisi seria, per trovare la semplicità di parole d'ordini, indicazioni che facciano fare passi avanti reali alla coscienza, organizzazzione, lotta del movimento dei lavoratori.

Per questo, riportiamo dei brevissimi pezzi da un scritto di un anno fa: “Appunti di studio su Marx e la crisi”, apparso sul numero 5 della rivista marxista-leninista-maoista 'La Nuova Bandiera' che riprende stralci da “il capitalismo e la crisi”. Scritti scelti di Marx- a cura di Vladimiro Giacchè”.
Lo scritto integrale in Pdf si può richiedere a ro.red@libero.it

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“... Marx individua nella ricerca moralistica del colpevole della crisi (lo speculatore) l'altra faccia della medaglia della fede ingenua nell'evitabilità della crisi. Tale fede riposa sulla convinzione che la crisi sia qualcosa di estraneo al normale funzionamento dell'economia capitalistica. Secondo questa illusione ideologica, la crisi viene sempre da fuori, è una patologia esterna al sistema. Quindi è dovuta ad errori o colpe specifiche di qualcuno.
Marx: “la speculazione di regola si presenta nei periodi in cui la sovrapproduzione è in pieno corso. Essa offre alla sovrapproduzione momentanei canali di sbocco, e proprio per questo accelera lo scoppio della crisi e ne aumenta la virulenza. La crisi stessa scoppia dapprima nel campo della speculazione e solo successivamente passa a quello della produzione.
Non la sovrapproduzione, ma la sovraspeculazione che a sua volta è solo un sintomo della sovrapproduzione, appare perciò agli occhi dell'osservatore superficiale come causa della crisi...”.

(Quindi) “...per Marx... grazie al credito i “limiti del consumo vengono allargati dalla intensificazione del processo di riproduzione, che da un lato accresce il consumo di reddito da parte degli operai e dei capitalisti, dall'altro lato si identifica con l'intensificazione del consumo produttivo”.
Inoltre il credito “spinge la produzione capitalistica al di là dei suoi limiti” anche nel senso di porre a disposizione della produzione “tutto il capitale disponibile e anche potenziale della società”... E' precisamente per questi motivi, osserva Marx, che il credito appare come la causa della sovrapproduzione:”se il credito appare come la leva principale della sovrapproduzione e dell'iperattività e della sovraspeculazione nel commercio, ciò accade soltanto perchè il processo di riproduzione, che per sua natura è elastico, viene qui forzato fino al suo estremo limite, e vi viene forzato proprio perchè una gran parte del capitale sociale viene
impiegata da coloro che non ne sono proprietari, che quindi rischiano in misura ben diversa dal proprietario...”.
“...Grazie al credito si può ben spingere la produzione oltre i limiti del consumo (ossia dell'effettiva domanda pagante), ma alla fine il processo si inceppa e la crisi si incarica di dimostrarci che quel limite e invalicabile...”.

“...Nella crisi, puntualmente, si è interrotto il ciclo di trasformazione della merce in denaro e si è prodotta quella caratteristica “carestia di denaro” che trasforma il denaro stesso, da semplice mezzo di circolazione del capitale, in “merce assoluta”, in “forma autonoma del valore” superiore e contrapposta alle singole merci: “in periodi di depressione, quando il credito si restringe oppure cessa del tutto, il denaro improvvisamente si contrappone in assoluto a tutte le merci quale unico mezzo di pagamento e autentica forma di esistenza del valore” (Marx)...”.

“...Sia Marx che Engels ritenevano che la crisi non potesse essere risolta da interventi di politica monetaria né da leggi ad hoc o interventi pubblici a garanzia e copertura del debito privato. Anzi in una lettera ad Engels riferita agli sviluppi della crisi che allora imperversava in Francia, Marx accennò al fatto che questi ultimi interventi, lungi dal risolvere la crisi, potevano portare alla bancarotta anche lo Stato: “quando scoppia la vera e propria crisi francese, il mercato finanziario e la garanzia di questo mercato, cioè lo Stato, se ne vanno al diavolo”...
La gigantesca trasformazione di debito privato in debito pubblico in atto, se non è riuscita né a ridurre l'entità complessiva del debito né a rianimare l'economia, può porre le premesse di un ulteriore crisi del debito: quella, appunto, del debito pubblico... A questo punto il risultato che si avrebbe sarebbe una pesantissima crisi fiscale, un'ulteriore drastica riduzione del suo ruolo nell'economia e il campo libero lasciato alle grandi aziende multinazionali private.

“...Per Marx: “nelle contraddizioni, crisi e convulsioni acute si manifesta la crescente inadeguatezza dello sviluppo produttivo della società rispetto ai rapporti di produzione che ha avuto finora. La distruzione violenta del capitale, non in seguito a circostanze esterne ad esso, ma come condizione della sua autoconservazione, è la forma più evidente in cui gli si rende noto che ha fatto il proprio tempo e che deve far posto ad un livello superiore di produzione sociale”...”.

“... la sola vera soluzione della crisi può venire dall'intendere che il capitalismo è il problema e dall'operare di conseguenza: ossia per il superamento di questa “ultima configurazione servile assunta dall'attività umana” (Marx), con l'obiettivo di far sì che i produttori assoggettino la produzione – che oggi li sovrasta come una “legge cieca” al “loro controllo comune come intelletto associato” (Marx)...”.

mercoledì 7 settembre 2011

pc 7 settembre - SCIOPERO DEL 6: RESOCONTO DA NAPOLI

Corteo da piazza Cavour dei sindacati di base e del movimento napoletano.
In occasione dello sciopero generale del 6 settembre a Napoli sono sfilati due cortei, uno della CGIL e uno del sindacalismo di base. Quest'ultimo è partito da piazza Cavour e ha visto sfilare, insieme ai lavoratori dell'Usb, dello Slai Cobas e dell'Orsa e di altre sigle scese in sciopero, disoccupati, studenti, collettivi, singoli militanti ecc.
Durante il percorso sono stati distribuiti volantini e affissi manifesti con i dati sulle spese militari e i tagli ai servizi sociali o che denunciavano gli ennesimi attacchi ai diritti dei lavoratori e le conseguenze sulla loro vita dei provvedimenti previsti della manovra finanziaria.
Il corteo decide di terminare davanti alla sede locale della Banca d'Italia, individuata come uno degli agenti responsabili del tentativo di scaricare la crisi e le sue conseguenze sulle condizioni dei proletari e dei settori più popolari. Lì studenti e lavoratori hanno mostrato la loro rabbia scandendo slogan e lanciando uova contro il portone. Il cordone di forze dell'ordine schierato a presidiare l'ingresso della Banca decide di svolgere il suo solito ruolo di difensori dei grandi interessi dei capitalisti, caricando indiscriminatamente chi si trova d'avanti in quel momento. I manifestanti non sono indietreggiati ma hanno urlato ancora più forte la loro rabbia contro chi era lì a difendere con scudi e manganelli, gli oramai “indifendibili” sciacalli di BankItalia.
La carica finirà con diversi manifestanti acciaccati e colpiti dalle manganellate e un compagno arrestato; per questo la giornata di lotta è continuata sotto la questura, davanti alla quale si è prima bloccata la strada, e poi si è formato un presidio per dare un'immediata risposta a questo attacco repressivo. La lotta non si arresta.

Saimir

pc 7 settembre - SCIOPERO DEL 6: RESOCONTO DA PALERMO

Questa mattina, 6 settembre, nel contesto dello sciopero generale indetto dalla Cgil e dai sindacati di base i lavoratori e i precari dello Slai Cobas per il sindacato di classe hanno manifestato contro la manovra del governo (che tra l'altro prevede pesanti tagli per 6 miliardi di euro alle risorse per il sociale destinate agli Enti Locali) prima davanti al palazzo della Provincia in Via Roma, "assediandolo" e minacciando apertamente con il megafono di occuparlo quanto prima; la polizia presente a difesa del palazzo ha immediatamente chiuso i cancelli nel tentativo di impedire l'accesso, ma la forte protesta e la minaccia di invasione hanno fatto sì che i dirigenti della provincia invitassero i precari, subito dopo il passaggio del corteo dei sindacati di base, al tavolo di discussione.
Sono stati esposti durante tutta la manifestazione diversi striscioni tra cui uno con su scritto "Contro la manovra lacrime e sangue, rivolta operaia e sociale"; lanciati diversi slogan tra lo sventolio delle bandiere "Manovra del governo, manovra dei padroni, governo Berlusconi ti cacceremo fuori", "Vogliamo diritti, vogliamo lavorare, qui ci vuole la rivolta popolare" , "L'art.18 non si tocca lo difenderemo con la lotta"…
Durante tutta la protesta è stata fatta una assemblea aperta con la denuncia delle malefatte del governo più delinquente della storia d'Italia, denuncia del cuore della manovra, che nella sostanza è fatta di tagli ai salari e ai diritti dei lavoratori e delle masse popolari in generale con l'aggiunta, all'ultimo minuto del tentativo di cancellare l'articolo 18 dello statuto dei lavoratori, contro il presidente della Repubblica Napolitano che nei prossimi giorni sarà a Palermo per una "visita istituzionale" dicendo che invece che pressare il governo per una manovra più urgente fregandosene di chi realmente ne pagherà le conseguenze, dovrebbe "spendere il suo prestigio" per cacciare via un presidente del consiglio che dice che l'Italia è un paese di m., ecc.
Forte appello alla necessità di una lotta generale che sia come si leggeva dal volantino diffuso "…autonoma dalle strumentalizzazioni di sindacati confederali e della falsa opposizione parlamentare, una lotta prolungata che non si fermi fino a risultati concreti con forme incisive e inaspettate, che diano effettivi colpi a governo e amministrazioni, che assedino le sedi istituzionali, i partiti e i parlamentari, a livello locale come a Roma…". Spikeraggio che si è ulteriormente intensificato al passaggio del corteo dei sindacati di base e centri sociali; c'è stato un lancio di slogan comuni e solidarietà reciproca alle diverse lotte rappresentate dai vari striscioni.
Dopo l'incontro con i dirigenti della Provincia la manifestazione è proseguita davanti la Prefettura sia per continuare in questa giornata il presidio dei palazzi istituzionali, sia dare forza e solidarietà ai precari già presenti (precari della scuola che quest'anno hanno subito tagli pesantissimi ai posti di lavoro e sono di fatto disoccupati), sia per tenere sotto pressione la Prefettura anche in questa giornata di sciopero generale per i tavoli aperti sulle nostre varie vertenze in corso.
Anche lì è stata denunciata la manovra e soprattutto il fatto che in Prefettura era in corso una lunga riunione per organizzare la "visita" di Napolitano. Questo punto è stato attaccato fortemente denunciando ancora una volta la funzione (scellerata) del Presidente.
Durante la giornata sono stati fatti volantinaggi anche al concentramento finale del corteo, indetto dalla Cgil , a piazza Massimo durante il comizio di Landini/Fiom che ha fatto un appello alla partecipazione al presidio davanti al Senato a Roma.
Spiegazione ai lavoratori presenti della nostra posizione, mettendo in luce, soprattutto la diversa impostazione sui mezzi della lotta!

Slai cobas per il sindacato di classe - Palermo

pc 7 settembre - SCIOPERO DEL 6: RESOCONTO DA MARGHERA

Buona presenza militante oggi (ieri) degli operai del cobas appalti Fincantieri allo sciopero del 6.
La nostra iniziativa, posto che la questura aveva vietato il sit-in in centro, era prevista come volantinaggio militante, che si è svolto dalle 8,30 alle 10,30 davanti alla stazione FS quando, in notevole ritardo, uno stuolo di gipponi dei carabinieri e ai lati, digos che dirigevano celerini, accompagnava il corteo dei lavoratori del settore privato della Usb.
Oramai intorno alla stazione eravamo 2-300, e una metà di questi si sono inseriti nel corteo dietro gli striscioni di Slai cobas per il sindacato di classe e del Picchetto. Dopo poco il settore dello "snater" si è posto davanti a noi. Questo però ha messo in allarme la polizia che verso la fine di via Piave ha aumentato lo schieramento in prossimità della sede cisl, che è stata oggetto di 10 minuti caldi di "venduti", "vergogna", ed altri slogan. Sul posto sembrava esserci un preavvertimento di qualcosa, perché vi erano oltre ai poliziotti, il caposervizio della Nuova Venezia, ed era accorso anche il dirigente Usb, Antonini.
Falso allarme, il corteo (il 3° rispetto agli altri 2 Cgil), si è concluso in prossimità del vecchio ospedale. Quindi lo spezzone di movimento e Slai Cobas per il sindacato di classe si sono portati senza più striscioni in piazza Ferretto dove è continuato il nostro volantinaggio.
Complessivamente sono stati distribuiti 3500-4000 volantini. Gli slogan oltre che contro i padroni ed i sindacati concertativi, contro la guerra e sulle corresponsabilità tra Berlusconi e il PD.

Slai cobas per il sindacato di classe - Marghera

pc 7 settembre - SCIOPERO DEL 6: ALCUNI RESOCONTI

ALCUNI FLASH

Tante le specificità e diverse le composizioni nelle varie città, uguali le ragioni. Dal senso di indignazione che unisce gli operai ai lavoratori del Pubblico impiego, dai giovani precari ai pensionati, ai comitati per la difesa dei propri territori; allo schifo per l’arroganza del governo e dei poteri forti, all’incazzatura per la “politica” della cosiddetta opposizione.
Vediamo alcuni dati, città per città.

Milano:
due cortei, della Cgil e del sindacalismo di base. Il primo costituito da una grossa presenza di lavoratori del PI e metalmeccanici Fiom, dove emerge dalle interviste la contraddizione interna alla Cgil: i lavoratori del PI pienamente nel solco della linea Camusso (ovvero uno sciopero per incalzare l’opposizione a prendere le redini e rendere “più umana” la manovra); gli operai Fiom che senza giri di parole sottolineano la distanza tra loro e la Cgil. Questo corteo vede la presenza di rappresentanti politici dell’opposizione, caratteristica comune alle altre città, che però non vede presentarsi il Sindaco Pisapia, così come a Napoli non si è presentato De Magistris - (le cifre da parte della Cgil parlano di 50mila, la questura di 15mila, un cronista riferisce che quando a Piazza del Duomo arriva la testa del corteo la coda si trova ancora in Porta Venezia).
Il corteo del sindacalismo di base evidenzia una composizione più variegata: principalmente lavoratori del PI, scarsissima presenza operaia, spezzoni del movimento (dai centri sociali al NoExpo; dagli occupanti di case ai precari), associazioni per la salute e sicurezza sui posti di lavoro. In questo corteo sembra aleggiare una “maggiore” radicalità e rabbia, dove si confrontano due percorsi di lotta: assedio ai palazzi stile indignados o stile 14 dicembre/ Val Susa. Ma tutte e due le tendenze hanno la tara della coerenza e della costruzione che questo richiede. Come andrà lo si comincerà a vedere dalle intenzioni degli organizzatori di fare il presidio permanente in Piazza Borsa e la volontà della Questura di impedirlo.


Torino:

su questa città evidenziamo due dati. Il primo è la scelta del movimento NoTav di fare lo spezzone nel corteo della Cgil, rivendicando il fatto di una critica aperta ai vertici del sindacato della Camusso che sono contrari alla loro lotta - tanto da respingere con il suo “servizio d'ordine”, insieme alla polizia manifestanti No Tav solo perchè al termine manifestazione volevano salire sul palco - ma nell’ottica di una unità coi lavoratori, che di fatto li hanno accolti con grossi applausi e hanno gridato insieme gli stessi slogan. L’obiettivo è, anche, quello di occupare una piazza in maniera permanente, per portare in città la voce della Valle. L’altro dato è quello sulla partecipazione/adesione allo sciopero degli operai Fiat, Airaudo dal palco parla di un 80% a Mirafiori, a fronte del 25% nel gruppo, che se fosse vero in una realtà che vede una fabbrica in cassa integrazione continua sarebbe un grosso risultato, ma anche se non fosse vero questo dato (ipotesi più vicina alla realtà) mette in risalto che solo in un movimento di lotta non si disperde il sapere e il protagonismo operaio.

Genova:
la cosa che più colpisce nei resoconti è stato il taglio antifascista che alcuni spezzoni hanno dato, dando una lettura dell’attacco all’art.18 più politico che sindacale; ma anche intonando più Contessa che Bella Ciao, che alla lunga mostra che la Resistenza, con la maiuscola, è stata un lotta di popolo, per meglio dire una guerra di popolo, con gli operai in testa.

Brescia:
qui una consistente presenza operaia, ma con la specificità della presenza dei lavoratori immigrati, che in questa occasione sono stati maggioritari come Profughi, che citando il cronista “sembravano uno spezzone del Blak Phanter Party”.

Venezia:
qui più che altrove si sono viste bandiere della Fim e Uilm, che ci dicono, in piccolo, che Bonanni e Angeletti hanno dei problemi in casa loro.

Roma:
fischi assordanti quando la Camusso in un passaggio del comizio ha chiamato “cugini” Cisl e Uil; spezzone della Fiom nel corteo del sindacalismo di base e che nelle intenzioni degli organizzatori dovrebbe “occupare” Piazza Navona, cercando di “avvicinarsi” il più possibile al Senato, in una sorta di assedio permanente.

martedì 6 settembre 2011

pc 6 dicembre - a giorni la ripresa del quotidiano comunista sul web

nel corso della prossima settimana , riprende il funzionamento quotidiano on line di proletari comunisti
intanto si può inviare articoli, corrispondenze, che vengono comunque pubblicate

lunedì 5 settembre 2011

pc 5 settembre - LA VERA PARTITA IN GIOCO

La seconda fase della crisi economica del capitale spinge oggettivamente e soggettivamente il capitale ha imporre le misure di scaricamento della crisi attraverso forme sempre più esplicite di dittatura aperta, dentro una tendenza moderno fascista che data già prima della crisi stessa. Quindi, la controffensiva non è figlia della destra, ma caso mai “madre”, e il consociativismo sindacale è dentro il percorso neo corporativo che il moderno fascismo comporta.
Moderno fascismo significa molto di più che “svolta autoritaria”, “spinte neo conservative”, ecc. E' l'edificazione di un sistema, di un regime che abbraccia tutti i campi della società, con al centro uno Stato, delle leggi, che cancella le vestigia della democrazia borghese e che comporta uno Stato di polizia, ecc.
La crisi rende più necessario che mai per il capitale questo tipo di soluzione e l'accentua. E tutti i partiti, non solo di destra ma anche di falsa sinistra che convergono con gli interessi del capitale nell'uscire dalla crisi, convergono anche negli assetti istituzionali,politici, neo corporativi, ecc, che ne conseguono.
Abbiamo già scritto in altre occasioni che con l'emergere del piano Marchionne, la gerarchia della marcia della reazione si è rovesciato, è il fascismo padronale che impone tempi, modi della trasformazione. Berlusconi da punta di lancio diviene punta di supporto. Questa manovra economica mostra in forme evidenti questa logica, la manovra è per così dire “oggettiva” imposta dal direttorio franco-tedesco, dentro questa manovra però il governo inserisce il piano Marchionne, l'elemento del fascismo padronale, per stare al passo e ottenere il “consenso” a continuare a governare - “consenso” fortemente messo in crisi in questi ultimi anni. Cioè, Berlusconi, e il suo ideologo sul campo, Sacconi, tenta di rimanere a galla ma il fascismo padronale per bocca di Marchionne, da un lato accetta il regalo, perchè di questo si tratta, la manovra non richiedeva affatto l'inserimento di tutto il “pacchetto lavoro”; ma dall'altro alza il tiro per dire che il governo deve essere altro. Il fascismo padronale richiede più solido il blocco da esso costruito e in costruzione, che comprende sindacati e PD, con l'eccezione della Fiom, di quello che offre l'attuale governo.
Va distinta l'opposizione alla manovra incerta e congiunturale del governo, aperta tuttora a tutte le soluzioni, sia pur dentro lo stesso vincolo, che ne fa una manovra niente affatto strategica, niente affatto solida, niente affatto inaudita, dato che è comune a tutti i paesi più in crisi in Europa – una manovra fragile e dentro un quadro politico governativo estremamente frammentato e fragile, un piccolo palliativo a cui dovrà seguire un grande palliativo se effettivamente i capitalisti italiani vogliono rimanere nel concerto e nelle contraddizioni di imperialismi e governi attuali; dalla lotta al nucleo strategico ad essa contenuto, quello del fascismo padronale, appunto, verso il quale invece la solidità della borghesia è grande e la debolezza della resistenza opposizione del movimento operaio è seria, come tutta la vicenda Fiat ha dimostrato.
In questo quadro rispetto alla manovra, la risposta dello sciopero generale per modificarla che è la linea che guida la Cgil, consiste nella sostanza nel cercare di privilegiare alcune misure rispetto ad altre, all'interno di una presunta “equità” che come al solito è una foglia di fico per ottenere consenso alla discarica della crisi sulla pelle delle masse popolari. La battaglia contro la manovra non è decisiva, non è epocale, non è strategica. In questo senso la posizione del sindacalismo di classe deve essere autonoma dall'alternativismo e dalle proposte alternative” in questa manovra; dato che la vera alternativa è uscire dalla crisi con la rivoluzione, rovesciare i governi dei padroni.
Diverso è invece il problema di contrastare il fascismo padronale, nucleo forte dell'azione del capitale. Qui non basta lo sciopero generale, qui sì effettivamente bisogna passare attraverso una fase di ricostruzione dell'autonomia di classe, del partito di classe, del sindacato di classe nelle fabbriche e di conduzione aggiornata di una guerra di classe che parte dalla resistenza per diventare nuova Resistenza.

pc 5 settembre - NO ALLA CGIL, NO AL "COSTRUTTIVISMO" DEI SINDACATI DI BASE

La nuova stagione politica si apre in questo mese nella nuova fase acuta della crisi che ha il suo epicentro in Europa e all'interno dell'Europa nei paesi di seconda schiera, tra cui l'Italia.
Germania e Francia o impongono la loro alleanza e il loro piano all'intera Europa, Gran Bretagna esclusa dato che questo paese è tuttora più legato agli Usa che all'Europa, o si ritrovano ad essere essi stessi al centro della crisi.
L'Italia, quindi, vive una fase in cui alle contraddizioni interne della borghesia, che già vedevano una frazione di essa, quella industriale in primis, in sofferenza ed esigente un cambio di governo, si unisce la contraddizione sui tempi e sui modi imposta dal diktat franco-tedesco.
Questa situazione rende ulteriormente instabile la coalizione governativa ma non necessariamente la tenuta del governo del paese, inteso in senso generale. Anzi, questa sorta di pressione franco-tedesca alimenta un clima da 'unità nazionale' che sfocia in uno spirito di collaborazione nel definire le misure che permettano all'Italia di rimanere nel contesto dell'alleanza franco-tedesca.

Mentre appare uno scontro di “tutti contro tutti” dentro la coalizione governativa, tra la coalizione governativa e l'opposizione, e dentro l'opposizione, la verità e che tutto questo agitarsi è ispirato da un sola linea che vede nella sostanza padroni, finanza, governo, opposizione da un lato, classe operaia, masse popolari e ampi settori della piccola e media borghesia penalizzati dalle misure del governo, dall'altro.
Quindi, l'aspetto principale su cui mantenere la rotta è considerare padroni, governo, opposizioni tutti da un lato. Per cui la nostra posizione è di opposizione a tutte le misure che governo e parlamento prendono, sia quelle che sono apertamente antioperaie, antipopolari, sia a quelle che appaiono come “alternative e progressiste”, compreso quelle definite come 'Robin tax', tassa patrimoniale, ecc.
C'è solo un aspetto in questa contrapposizione generale a cui prestiamo attenzione ed è quello della crisi di legittimità politica di Stato, governo e parlamento, per gli elementi della corruzione, di privilegio che hanno il loro centro nella compagine governativa ma che naturalmente si irradiano in tutto il sistema politico, istituzionale.
Questo è un elemento non dipendente dalla crisi economica, ma che questa accentua d fronte alla contraddizione semplice di proletari, masse popolari, giovani che si impoveriscono, e sistema politico che si ingrassa e difende strenuamente i suoi privilegi e le sue ricchezze. Questo elemento è importante perchè è il vero elemento che può alimentare l'indignazione, la protesta e la ribellione popolare e può far precipitare, perfino senza la protesta popolare, la crisi economica in crisi politica-istituzionale, ed essere quel fattore scatenante di trasformazione della situazione politica stessa.
Quindi, per dirla in sintesi. Mentre in economia dobbiamo sviluppare una contrapposizione classista nei confronti dei piani e azione dei padroni e del governo, sul piano politico prendiamo in considerazione e diamo valore a tutti gli elementi anche personali, morali che accentuino la delegittimazione dei rappresentanti politici delle classi dominanti, perchè consideriamo questo l'elemento qualitativo che può trasformare la stessa lotta dei proletari e delle masse popolari contro la manovra economica e i piani padronali, in lotta politica contro la classe dominante, lo Stato.
Sul piano dell'opposizione alla manovra del governo e ai piani padronali, la nostra linea classista si manifesta soprattutto nel 'contro', nel 'No', e non nelle “proposte alternative” che consideriamo anzi devianti, oltre che illusorie e riformiste.
Questo ci distingue chiaramente, come piattaforma, sia dall'opposizione sindacale dentro il sindacalismo confederale, la Cgil, sia dalla tendenza al costruttivismo, proposte alternative, fortemente presenti nel sindacalismo di base.
La Cgil fa il suo discorso tutto interno a una logica parlamentare, non avendo neanche il "buon gusto" di fare il gesto di ritirare la firma dall'accordo del 28 giugno, il sindacato di base avanza una contropiattaforma ridicola, che anch'essa si misura col problema di uscire dalla crisi (nel primo punto della sua piattaforma vi è una oggettiva copertura del capitale italiano puntando il dito sui diktat dell'Unione Europea, e poi... cancellazione del debito, nazionalizzazione delle banche, ecc. ecc.) in cui non si parla la lingua di classe dei lavoratori.

pc 5 settembre - Sacconi maledetto fascista!



Non ha mai perso un'occasione per esternare tutto il suo livore antioperaio, anticomunista, apertamente fascista, l'anima nera di questo governo, il ministro del lavoro Sacconi. In ultimo, lo ha fatto al convegno acli il 2 settembre a Castel Gandolfo (Rm), in preda al furore ideologico contro i ''bastardi anni '70'' e i ''cattivi maestri'', beccandosi del ''fascista'' da parte di qualche delegato.
L'enfasi ridicola con cui esorcizzava nella platea lo spettro dello scontro di classe degli anni '70 riguardava il presente, la paura del padronato di fronte, oggi, alla possibilità di un nuovo autunno caldo che possa mettere in discussione tutto il suo sistema di potere, il suo stato, i sindacati di regime, i partiti parlamentari e la falsa opposizione.
Dietro Sacconi c'è tutto l'odio di classe dei padroni, c'è la loro voglia di fascismo nelle fabbriche, nei luoghi di lavoro, rappresentata dalla Fiat di Marchionne, c'è il neocorporativismo dell'accordo sindacati/confindustria del 28 giugno sulla contrattazione e rappresentanza sindacale (sottoscritto anche dalla CGIL) per schiacciare l'opposizione operaia, c'è l'attacco al contratto nazionale, alla costituzione, allo statuto dei lavoratori, ai diritti, da quello di sciopero all'art. 18 in difesa dei licenziamenti, al salario, contenuti in questa manovra economica ferocemente classista.
Sacconi è solo l'ultimo rappresentante di una lunga serie di sacconi di merda con cui la borghesia italiana ha formato i suoi comitati d'affari.
E, se i proletari e le masse popolari riusciranno finalmente con la lotta a cacciare dalle proprie fila bonzi sindacali, politicanti della conciliazione e falsi comunisti, e costruire la propria forza, cioè sindacato di classe e Partito comunista maoista, allora quello spettro diventerà paura vera nel prossimo, imminente periodo, per i padroni.


pc 5 settembre - NEPAL: Combattere apertamente la tendenza alla controrivoluzione

Mentre il nuovo capo del governo del Nepal, membro del comitato centrale del Partito Comunista Unificato del Nepal (Maoista) Baburam Bhattarai, cerca nelle sue prime dichiarazioni di rasserenare i rappresentanti dell'espansionismo indiano, e Dahal rimanda indietro i capi militari, che erano arrivati a Kathmandu per una riunione urgente, agli acquartieramenti per tenere buoni i soldati dell'Esercito Popolare preoccupati della loro probabile imminente svendita, alcuni rappresentanti del Comitato centrale come il compagno Basanta dicono che siamo alla controrivoluzione e cominciano a fare un bilancio di questi ultimi anni che dia gli strumenti per la comprensione dell'attuale situazione e trovare una via d'uscita per riprenda il cammino della rivoluzione nepalese.

Riportiamo lo scritto di Basanta

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Basanta sulla lotta di linea in Nepal: Siamo "sulla soglia della contro-rivoluzione"

Basanta è membro del Comitato Centrale del PCNU (M), così come uno dei teorici più importanti del partito. Ha rilasciato questa dichiarazione dopo che Baburum Bhattarai, leader dell'ala più conservatrice del partito, è diventato primo ministro del Nepal. Esso descrive la storia recente della lotta di linea all'interno del partito, e sostiene che questa lotta ha raggiunto un momento cruciale e precario.

"Solo sconfiggendo questo tipo di pensiero contro-rivoluzionario e questa tendenza, che si nota in alcuni dei compagni del nostro partito, può essere difesa la rivoluzione, instaurata la repubblica popolare federale in Nepal e può essere aperta la porta della rivoluzione di nuova democrazia. Lottare per questo è il compito dei rivoluzionari in questo momento. "

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Dibattito all'interno dei maoisti - una lotta ideologica o di contrattazione di posti?

di Indra Mohan Sigdel 'Basanta'

Una seria lotta ideologica si sta verificando adesso nel nostro partito. Nel dire questo non si vuole dire che prima non c'è stata lotta ideologica nel nostro partito. C'è sempre in un partito; a volte è ampia e forte, a volte no. Inoltre, la lotta non sempre si centra su un solo tema, ma su temi diversi a seconda del tempo e del contesto. La lotta ideologica nel nostro partito si è manifestata adesso tra due linee, marxismo o riformismo, ed è incentrata sulle linee ideologiche, politiche e organizzative. È molto acuta e anche seria.

La lotta tra le due linee è la vita di un partito. È anche conosciuta per essere la forza motrice di un partito. La lotta è alla base dell'unità. Mao ha messo l'accento sulla trasformazione per una nuova unità che si pone su una nuova base. L'unità non si ottiene attraverso il compromesso, un più alto livello di unità non si realizza senza la trasformazione e non c'è trasformazione in mancanza di lotta. Per questo motivo, la lotta tra le due linee si dice che sia la forza motrice di un partito.

Dopo che siamo entrati nel processo di pace, la lotta tra le due linee che era emersa dalla riunione allargata del nostro partito a Balaju è andata avanti fino ad oggi. In sostanza, la lotta in corso è focalizzata su questioni ideologiche e politiche. Ma la sua espressione centrale si è manifestata in forme diverse a seconda del tempo e del contesto. Dall'incontro ampliato di Balaju e fino ad ora, la lotta tra le due linee nel nostro partito si è sviluppata attraverso diverse fasi, che possono essere menzionate in breve come segue.

In primo luogo, la fase della lotta contro lo stile di lavoro borghese. Una volta che il nostro partito è entrato in città dopo la firma del Comprehensive Peace Agreement [Accordo di Pace Comprensivo] lo stile di lavoro borghese ha iniziato a dominare nel partito. La maggior parte dei dirigenti e dei quadri ha dimenticato le proprie basi precedenti, la campagna povera, ma ha iniziato a godere di grandi alberghi, in nome della costruzione delle città come base dei rivoluzionari. La lotta, che è stata combattuta nel meeting allargato di Balaju contro il pericolo che il problema dello stile di lavoro di questo tipo potesse diventare causa di liquidazione della linea rivoluzionaria del partito e, infine della rivoluzione, meritano di essere menzionati qui. Ma, il documento adottato dalla riunione allargata di Balaju non è mai stato distribuito nel partito per essere studiato e messo in pratica. Come mai questo sia successo è un problema serio per un bilancio nei giorni a venire.

In secondo luogo, la fase della lotta interna per determinare la nuova tattica del partito. Conseguentemente alla prima riunione dell'Assemblea Costituente, che ha dichiarato il Nepal una Repubblica federale democratica, la tattica del partito adottata dalla riunione del comitato centrale a Chunwang era terminata. In tale situazione, il partito doveva adottare subito un'altra tattica, ma ciò non è accaduto. Il partito non ha avuto alcuna tattica per quasi tutto un periodo di un anno dopo la dichiarazione della repubblica democratica del Nepal. In una situazione in cui la vecchia tattica era finita e la nuova non era stata decisa era evidente che il Partito non avesse alcun piano per andare avanti se non trastullarsi nell'esercizio parlamentare. Era necessario in questa situazione portare la lotta ideologica in primo piano incentrandola su quella che doveva essere la tattica successiva. C'è stata una forte ed estesa lotta tra le due linee durante la Riunione di Kharipati tenutasi a novembre 2008. Infine, chiarendo che il Nepal era ancora un paese semi-feudale e semi-coloniale e la Repubblica federale democratica era un sistema politico reazionario, il Partito ha adottato una nuova tattica, quella della Repubblica Federale Popolare, per realizzare la rivoluzione di nuova democrazia. Questa tattica è ancora valida ed è in attesa della sua esecuzione.

In terzo luogo, la fase dello sviluppo dei piani per attuare la tattica di cui sopra. La Riunione di Kharipati è riuscita a costruire la nuova tattica del Partito, ma non è riuscita ancora una volta a presentare un piano concreto per attuarla. Il Partito non ha apportato alcun piano concreto fino a circa nove mesi dopo che il convegno si era concluso. Più tardi, nei tre lunghi mesi di riunione del comitato centrale nell'agosto 2009 si presero alcune decisioni importanti. Di queste decisioni quelle importanti erano, in primo luogo, l'insurrezione popolare è un must [dovere] per instaurare la Repubblica federale Popolare e secondo, i quattro preparativi e le quattro basi sono le premesse necessarie per fare dell'insurrezione popolare un successo. Queste decisioni, che sono state adottate attraverso un processo di intensa lotta ideologica e politica svolto lungo tutto il percorso dei tre mesi, sono molto importanti nella storia del nostro partito.

Quarto, la fase di attuazione del piano. Il Partito ha deciso di lanciare questo progetto in tre fasi, prima la protesta di massa il 6 aprile 2010, secondo la manifestazione del Primo Maggio e terzo lo sciopero a tempo indeterminato. Il 1° maggio 2010, il Partito dichiarava dallo stadio di Tundikhel, Kathmandu, che lo sciopero a tempo indeterminato sarebbe continuato fino all'insurrezione popolare attraverso cui il popolo nepalese diventava padrone del potere statale. Ciò ha diffuso un entusiasmo senza precedenti tra le masse. Ma è successa una cosa strana, prima che passassero due settimane dalla sua dichiarazione lo sciopero è stato improvvisamente fermato, ciò che non ha fatto altro che portare ad una completa demoralizzazione il popolo. Era stato deciso che fosse l'ultima ribellione prima che l'instaurazione della Repubblica federale Popolare venisse fondata nel Nepal. Ma è stato bloccato improvvisamente proprio nel bel mezzo. Il Partito deve ancora valutare a fondo i fattori oggettivi e soggettivi che hanno causato la fermata dello sciopero a tempo indeterminato.

Quinto, la fase della lotta ideologica a Palungtar. La lotta ideologica che aveva avuto inizio a Kharipati ha raggiunto il suo apice dopo che lo sciopero a tempo indeterminato è stato fermato nel maggio 2010. Tutti, dai nostri dirigenti ai quadri e alle masse nepalesi sono consapevoli dell'altezza del dibattito di Palungtar tenutosi nel novembre 2010. Ma, anche quella riunione non è riuscita a portare avanti un piano concreto e a sviluppare un metodo per affrontare i dissensi sulla base del centralismo democratico. Quello che ha fatto è stato di concludere l'incontro con una sintesi che non c'era alternativa alla trasformazione, all'unità e all'insurrezione popolare. L'incontro successivo doveva preparare l'agenda per i piani futuri. La gestione del dissenso all'interno del partito sulla base della procedura in cinque punti, ulteriori chiarimenti sulle quattro basi e i quattro preparativi e la formazione dell'ufficio per la mobilitazione dei volontari del popolo sono stati i temi importanti sui quali l'assemblea ha preso decisioni. Ciò ha diffuso entusiasmo tra le file del partito e le masse pure. Ma cosa strana, la leadership principale non metteva tanta enfasi sulla loro attuazione nella pratica.

In sesto luogo, la fase attuale, dopo l'inversione di marcia della leadership a Sukute. La lotta tra le due linee che è stata condotta a Kharipati ha preso una piega diversa dopo il suo arrivo alla riunione della commissione permanente a Sukute. Parlando esplicitamente, la contraddizione tra la riforma nell'essenza, e la rivoluzione nella forma, che esisteva nella nostra direzione del partito è stata risolta arrivando a Sukute. Perché la nostra leadership, che non vedeva altro che la possibilità dell'insurrezione fino a quattro giorni prima, ha iniziato a vedere contro-insurrezione dappertutto, laddove non c'era alcun cambiamento convincente della situazione oggettiva e soggettiva, dopo essere tornato dal suo tour a Singapore. È una domanda seria da riconsiderare.

I punti di cui sopra danno un assaggio generale di come si è sviluppata la lotta interna nel nostro partito e come sta avanzando. Nel lungo corso della lotta interna da Balaju e fino a prima di Sukute possiamo vedere un particolare tipo di situazione nel nostro partito. In questo lungo percorso, la leadership, in primo luogo, non ha in genere optato per fare riunioni, in secondo luogo, anche se la riunione veniva convocata sembrava riluttante a discutere o agire in modo rivoluzionario, ma a trattare delle cose da fare giorno per giorno, in terzo luogo, se venivano introdotti per qualche motivo discorsi rivoluzionari egli tendeva a prendere decisioni eclettiche su di essi, in quarto luogo, anche se venivano prese le decisioni rivoluzionarie non metteva l'accento sulla loro attuazione in pratica, ecc. Tutto questo processo portato avanti per anni ha creato una base oggettiva adatta al riformismo. E finalmente si è arrivati a una situazione tale che la rivoluzione era in fase di liquidazione, mentre la si esaltava. Non è che la leadership deliberatamente ha fatto tutte queste cose in modo pianificato. Ciò che è vero è che il problema ideologico della nostra leadership è la ragione principale che sta dietro al fatto che ciò è accaduto. È solo un caso dimostrato a Sukute che il risultato evidente dell'eclettismo in filosofia e del centrismo in politica è il riformismo.

Oltre alla lotta interna al partito centrata sulle questioni ideologiche e politiche di cui sopra, la lotta sta andando avanti anche sulla linea organizzativa nel nostro partito. Problemi organizzativi come il modo di gestire la libertà di espressione e di unità nell'azione, come sistematizzare la divisione del lavoro, come istituzionalizzare la decisione collettiva e la responsabilità individuale ovvero come rendere efficace il sistema del centralismo democratico nel partito sono i temi che si dibattono oggi. In particolare, nel contesto attuale in cui il centralismo sta andando verso la burocratizzazione e il totalitarismo, il dibattito ideologico che sta avvenendo nel nostro partito ora è quello di portare la leadership principale, da cima a fondo, in un sistema di comitato come espressione centralizzata delle collettività.

La lotta tra le due linee in corso si basa sull'obiettivo di ricomporre l'unità del marxismo-leninismo-maoismo nel nostro partito, sviluppando una corretta linea ideologica, politica e organizzativa, costruendo un partito disciplinato e raggiungere, dopo, la trasformazione e l'unità. Quanto più sana, paziente e ben gestita è la lotta di linea quanto più la possibilità di trasformazione rivoluzionaria dai capi ai quadri, e tanto più si apre la porta all'unità sui principi nel partito. Quanto più profonda e più ampia la lotta di linea che intraprendiamo tanto più possiamo mobilitare il popolo a favore della rivoluzione. È anche la lezione della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria per noi. La pratica di confinare la lotta ideologica e politica all'interno di una piccola periferia della leadership centrale non è e non può essere in accordo con il marxismo.

Ma, ciò che sorprende è che alcuni dei compagni del nostro partito, che sostengono di essere vicini alla direzione, sembrano essere molto attivi ora a minimizzare l'importanza ideologica della lotta tra le due linee, confondono quadri onesti facendo progetti in un modo distorto per soddisfare la loro ambizione di destra in questo processo. Il modo di ragionare di quei compagni che concepiscono la lotta ideologica condotta dai rivoluzionari come un litigioso battibecco per arrivare alla poltrona mostra il loro fallimento ideologico. In cima a tutto questo ci sta da capire il fatto - non tenendo conto dei battibecchi da parte di quei compagni che lanciano messaggi affinché vengano riservati posti ministeriali ai loro parenti quando essi hanno terminato il mandato - al contrario, del perché quei compagni che hanno lottato per l'inclusione e la rappresentanza proporzionale nel governo, come previsto dalla costituzione provvisoria, hanno trasformato in lite per la poltrona tutto questo. Anche un profano lo capisce.

È chiaro che la rivoluzione di nuova democrazia in Nepal è ormai alle soglie della contro-rivoluzione. E si sta manifestando nel pericolo della resa dell'Esercito Popolare-PLA in nome dell'integrazione nell'esercito e nella elaborazione di un documento di compromesso con i capitalisti compradori, burocratici e la classe feudale in nome della costruzione del consenso. Ma ciò non significa non integrare l'esercito e non scrivere la costituzione. Integrazione dell'esercito e scrittura della costituzione fanno parte di una politica dichiarata dal nostro partito. Nessuno nel nostro partito si è in alcun modo opposto alla modalità di integrazione dell'esercito in linea con la politica di sicurezza nazionale, attribuzione dello status di combattente per mezzo di una integrazione a gruppo dell'Esercito Popolare ed elaborazione della costituzione popolare con un contenuto anti-feudale e anti-imperialista. Ma senza che siano soddisfatte queste condizioni, se l'integrazione dell'esercito viene svolta in modo capitolazionista e se viene adottato un documento di compromesso in nome dell'elaborazione della costituzione, allora si tratterà di una vera e propria contro-rivoluzione.

Il punto cruciale della lotta tra le due linee da Balaju ad oggi è incentrato sull'opportunità di porre l'accento sulla lotta soprattutto contro la borghesia compradora, che guida il potere reazionario dello stato in Nepal ora, per garantire la costituzione popolare voluta dall'Assemblea Costituente e realizzare l'integrazione dell'esercito nel rispetto delle politica nazionale di sicurezza o mettere l'accento sul compromesso con i reazionari che porta alla resa dell'Esercito Popolare in nome della pace e scrivere un pezzo di costituzione da status quo in nome del consenso. È chiaro che il primo apre la porta alla rivoluzione di nuova democrazia, instaurando la Repubblica Federale Popolare del Nepal, mentre il secondo spinge la rivoluzione di nuova democrazia lontano, istituzionalizzando la repubblica democratica borghese.

In questo modo, la lotta tra le due linee nel nostro partito è incentrata sull'opportunità di aprire la porta della rivoluzione di nuova democrazia, instaurando la Repubblica Federale Popolare del Nepal o spingere la rivoluzione di nuova democrazia lontano, istituzionalizzando la Repubblica democratica borghese. Non credo sia necessario spiegare quanto pesante e importante sia questa lotta in corso nel nostro partito. Ma alcuni minimizzano questa lotta ideologica condotta per difendere la rivoluzione dicendo che si tratta di un litigioso battibecco per i posti e i privilegi. È la chiara espressione del revisionismo di destra e serve la contro-rivoluzione. Solo sconfiggendo questo tipo di modo di pensare contro-rivoluzionario e questa tendenza, che si nota in alcuni dei compagni del nostro partito, la rivoluzione può essere difesa, la repubblica federale popolare essere instaurata in Nepal e la porta della rivoluzione di nuova democrazia essere aperta. Lottare per questo è il compito dei rivoluzionari in questo momento.

30 Agosto 2011

dal blog The Next Front