sabato 19 ottobre 2013

pc 20 ottobre - a caldo sulla manifestazione del 19 ottobre

Un primo giudizio a caldo dopo la manifestazione nazionale dei movimenti a Roma del 19 ottobre non può che essere positivo, sia dal punto di vista della partecipazione che è andata oltre le aspettative degli stessi organizzatori che parlano di 70 mila persone, mentre la realtà è che sicuramente sono molti di più di quanto aveva preventivamente stimato la questura  che prevedeva 20 mila partecipanti.
Inoltre l'altro dato positivo è la composizione che ha visto una presenza popolare in particolare di immigrati in lotta contro gli sfratti il razzismo, tutto questo nonostante la campagna di governo e stato e mass media, che hanno tentato di criminalizzazione il corteo, attraverso anche la militarizzazione della città e la repressione.

segue una cronaca della giornata da radio onda rossa

venerdì 18 ottobre 2013

pc 17-18-19 ottobre - L'Aquila e dintorni, chi tace acconsente...

Fatima viveva a Pescina, in provincia dell’Aquila, aveva 45 anni, 6 figli, un lavoro da operaia e un porco assassino come marito, che le usava violenza e maltrattamenti.
Ma al porco assassino non bastava lei, il bastardo abusava sessualmente anche delle sue 2 figlie, sin da quando erano piccole, fino a quando si sono ribellate e lo hanno denunciato con la madre, che per questo aveva chiesto la separazione.
Alla denuncia per stupro non è seguito arresto, ma persecuzioni, minacce e pedinamenti verso ex-moglie e figlie, da parte dell’ex marito-padre-padrone, Veli Selmanaj, fino a quando costui non ha sparato a Fatima e a una delle 2 figlie stuprate, Semade Selmanaj di 21 anni, fuori di un discount, nei pressi dell’abitazione di Fatima e i suoi 6 figli.

I legali di Fatima e dei suoi figli erano riusciti ad ottenere una condanna per stupro e l’allontanamento del bastardo, ma solo sulla carta.

Fatima e la figlia Semade lavoravano come operaie alla Coltor, un’azienda del Fucino per il lavaggio degli ortaggi. Una loro connazionale del Kossovo, che lavorava nello stesso stabilimento, le ricorda così: “erano donne molto attive, sempre presenti ed impegnate. Una madre affettuosa che cercava di tutelare i propri figli ed una ragazza veramente bella splendida”

Ancora 2 donne sono state uccise dagli uomini che odiano le donne e ancora una volta è colpa delle donne. “La separazione in atto e le accuse di abusi sulle figlie potrebbero averlo indotto a compiere il duplice delitto in uno stato non cosciente” afferma Davide Baldassare, legale del porco.

Ancora una volta viene punita chi si ribella
Ancora una volta dobbiamo dire che non bastano i centri antiviolenza e che le leggi fatte sul corpo delle donne non sono per le donne.
Ancora una volta dobbiamo dire che sono le donne, parte offesa e colpita a morte da questa società, che devono sollevarsi collettivamente e ribellarsi contro questo sistema sociale che le vuole carne da macello, funzionali al mantenimento di sé stesso, anche quando queste donne si fanno “Stato”.

Se non si rovescia questo sistema, se non muta profondamente il clima sociale che circonda le donne invece di avvolgerle, che le opprime anziché liberarle, nessun governo, nessuno stato, nessun sindacato di stato fermerà la mattanza, perché non è nell’interesse delle classi dominanti che queste istituzioni rappresentano.

Questo é il secondo caso di femminicidio in Italia dopo la conversione in legge del nuovo pacchetto sicurezza camuffato da decreto antifemminicidio e stalking. Ne vogliamo parlare?
A Paestum e non solo, sembra sia vietato!

Vi aspettiamo a Roma il 18 e il 19, per parlare anche di questo.

Roma,  Piazza S. Giovanni: Assemblea nazionale delle donne verso lo sciopero delle donne del 25 novembre (giornata mondiale contro la violenza sulle donne).

18 ottobre ore 17:00
19 ottobre ore 10:30
 
Luigia

giovedì 17 ottobre 2013

pc 17-18-19 ottobre - L'imperialismo USA-Nato continua ad uccidere bambini

AFGHANISTAN
Sahebullah, Wasihullah e Amanullah non erano Talebani pericolosi, ma tre dei cinque giovani uccisi a Saracha, venerdì 4 ottobre, da un raid aereo delle forze Isaf-Nato


JALALABAD (BESHUD). Saracha è un villaggio di contadini del distretto di Beshud, alle porte di Jalalabad, la principale città della provincia orientale di Nangarhar, a due passi dal confine con il Pakistan. Per raggiungerlo si deve lasciare il congestionato centro della città, puntare verso sud-est e costeggiare le alte mura di cemento dell'aeroporto di Jalalabad, che ospita una base militare americana e include la Forward Operating Base Fenty, uno dei centri strategici della guerra: da qui partono molti dei silenziosi e micidiali droni diretti in Afghanistan e Pakistan; questa diventerà una delle basi principali degli americani, se la Loya Jirga afghana (il gran consiglio) accorderà l'immunità ai soldati a stelle e strisce per il post-2014, come chiesto dal segretario di Stato Kerry, pochi giorni fa a Kabul.
Superato l'aeroporto, continuando per un paio di chilometri, sulla sinistra si affaccia una stradina sterrata che porta a Saracha. Stretta tra due case, sembra una via chiusa, senza uscita, ma una volta imboccata si apre su campi rigogliosi, per poi passare accanto al cimitero del villaggio. Da qualche giorno, nel cimitero ci sono tre nuove tombe, tre cumuli di terra alti ricoperti di arbusti per evitare che i cani randagi scavino in cerca di carne non ancora decomposta. Lì sotto ci sono i corpi senza vita di Sahebullah, Wasihullah e Amanullah, tre dei cinque ragazzi uccisi a Saracha venerdì 4 ottobre da un attacco aereo dalle forze Isaf-Nato. Per i soldati stranieri erano "insurgents", Talebani, pericolosi terroristi. Per gli abitanti di Saracha sono dei martiri, uccisi senza ragione. Così recita lo stendardo bianco su cui sono impressi i loro nomi, la loro età, i versetti del Corano.
Il luogo del raid e le cinque vittime
Wasihullah ed Amanullah erano fratelli. Vivevano in una casa in mezzo ai campi, a un chilometro dal cimitero, insieme ad altri quattro fratelli e a quattro sorelle. É una famiglia contadina, numerosa, quella di Qasim Hazrat Khan, il padre di Wasihullah e Amanullah. Mi viene incontro sudato, con un camicione marrone sgualcito, appiccicato alla pelle a causa dell'umidità. Mi conduce subito sul luogo dell'attacco aereo, in uno spiazzale dietro casa. Mi indica i posti dove ognuno dei ragazzi era seduto quella sera. Mostra sul terreno i fori dei proiettili. Ne conto almeno una ventina, lunghi una decina di centimetri, profondi. Raccolgo i resti di alcuni dei proiettili usati, pezzi di metallo deformati dall'esplosione. I colpi sono arrivati fin quasi alla casa. Quello più vicino alle mura è ai piedi di una balla di fieno, davanti a una tettoia sotto la quale una mucca, due vitellini e qualche gallina spelacchiata si proteggono dal sole. «Questa è la nostra casa, la nostra vita. Siamo gente che lavora la terra. É un posto tranquillo, pacifico, questo», ripete Qasim Hazrat Khan, che ancora non si capacita di quel che è successo.
Ci sediamo dall'altro lato della casa, su tre letti con le corde intrecciate, addossati alle pareti esterne. Qasim Hazrat Khan racconta di quella sera, dei suoi figli. Amanullah aveva 21-22 anni (da queste parti l'anagrafe non esiste, nei villaggi molti non hanno carta d'identità). Aveva studiato fino all'ultima classe delle 'superiori', la dodicesima, poi si era messo a lavorare (il padre mostra un tesserino secondo il quale Amanullah lavorava per le forze governative afghane, dal 4 marzo 2013). Era sposato e aveva tre figlie. Suo fratello Wasihullah aveva 10 anni, frequentava il quinto anno in una scuola del villaggio di Samarkheel, poco distante. Quella sera era contento perché c'era anche un suo amichetto, Sahebullah, un ragazzino di 14 anni. Sahebullah era andato a scuola fino alla settima classe, ma da qualche mese «stava facendo un apprendistato in un'officina di Jalalabad per imparare il mestiere di fabbro». A raccontarmelo è Nader Shah, suo fratello. Ha 35 anni, indossa un abito marrone, in testa ha il tradizionale cappello pakul. Viene a sedersi insieme a noi, porta con sé la foto incorniciata del fratellino: «Prima che Sahebullah jan morisse, eravamo 9 fratelli e una sola sorella», spiega, senza riuscire a trattenere le lacrime.
Con i fratelli Wasihullah e Amanullah e l'amichetto Sahebullah, quella sera c'erano altri due ragazzini: Asadullah Delsos e Gul Nabi. Il primo, cugino dei due fratelli, «14 anni, aspettava che gli crescessero i baffetti sulle labbra», mi dicono; l'altro, racconta Qasim Hazrat Khan, «era un ragazzino di 15 anni, la cui famiglia si è trasferita qui da Pachir, nel distretto di Khogyani. Da un po' di tempo lui faceva il carpentiere a Kabul, ma tornava ogni volta che bisognava lavorare la terra».
L'attacco delle forze occidentali
La sera di venerdì 4 ottobre, sul piazzale aperto alle spalle della casa di Qasim Hazrat Khan c'erano tre ragazzini sui 15 anni, un ragazzo di 21 e un bambino di 10. Avevano passato la serata «a sparare agli uccelli con dei badì (fucili da caccia, ndr). Da queste parti è normale, lo abbiamo sempre fatto. Non erano mica degli yaghì (ribelli, ndr) i miei ragazzi».
Poi, improvvisamente, gli spari dall'alto, ricorda Qasim Hazrat Khan. «Erano le 21.40-22 quando ho sentito la prima di tre lunghe sequenze di spari. Stavo dormendo e mi sono alzato. Sono seguiti dei minuti di silenzio. Sono salito sul tetto per vedere meglio. Ho visto almeno due elicotteri e, più in lontananza, gli aerei senza pilota. Poi c'è stata una seconda sequenza di spari. I bambini hanno cominciato a piangere. Ho spinto dentro quelli che erano saliti sul tetto. Sono risalito. Vedevo solo le luci rosse sul terreno sotto casa».
Qasim Hazrat Khan racconta della terza raffica, della concitazione, delle telefonate fatte agli amici per capire come comportarsi, del sangue che inspiegabilmente gli colava sulla bocca, delle voci che si accavallavano e che non riusciva a decifrare. E poi di quella frase terribile, distinta tra le altre: «I tuoi figli sono morti». È uscito di casa, correndo verso i figli. Lo hanno trattenuto: «C'erano tantissimi soldati stranieri, con armi pesanti. Mi dicevano di non avvicinarmi, ché mi avrebbero sparato. I miei figli erano a 10 metri di distanza, gli americani scattavano fotografie, io non potevo neanche accertarmi che fossero proprio i loro, quei corpi insanguinati». «Sono rimasti lì a lungo», aggiunge Nader Shah, il fratello maggiore del piccolo Sahebullah. «L'attacco c'è stato verso le 10 di sera, i corpi sono stati portati all'ospedale di Jalalabad soltanto verso l'una e 40 del mattino, quando hanno ordinato ai funzionari afghani - chiamati da noi - di prelevarli. Siamo riusciti a riprendere i corpi dei nostri ragazzi solo verso le 2.30 del mattino», dice Nader Shah. «Io stesso mi sono occupato di lavarli e di pulirli con il cotone».
I familiari di Asadullah, 14 anni
È all'ospedale che i familiari del piccolo Asadullah hanno saputo che era morto. Lo avevano affidato al cugino Amanullah, lo credevano al sicuro, felice. Li incontro in un quartiere periferico di Jalalabad. Nel cortile interno di casa mi accolgono in 17. A parlare con me sono soprattutto il padre di Asadullah, Dagarwal Khan Agha, e suo fratello maggiore, 'Malim' Said Agha. Sono i due uomini più anziani della famiglia. Dagarwal Khan Agha è ancora confuso. Ha gli occhi stanchi, le occhiaie profonde, il volto segnato da notti insonni e tormentate. Si guarda intorno smarrito, come se cercasse suo figlio Asadullah tra tutti questi ragazzi dai capelli scuri. Parla poco, e poco volentieri, Dagarwal Khan Agha, logista nel carcere di Jalalabad. Lo fa solo per ricordare Asadullah: «Frequentava l'undicesima classe alla Nazrat High School, qui a Jalalabad, aveva 14-15 anni. Gli piaceva studiare, era bravo, seguiva anche dei corsi di inglese e computer perché voleva ottenere una buona posizione in futuro. Per aiutare il suo paese». Venerdì 4 ottobre, come molte altre volte, Asadullah era andato a dormire dai cugini, «succedeva spesso, specie nei giorni di festa, il giovedì e il venerdì». Quella notte suo padre ha ricevuto una telefonata dai parenti di Saracha, verso le 2.30 del mattino. «Mi dicevano che stava male, che sarei dovuto andare all'ospedale. Quando sono arrivato lì, mi hanno avvertito che avrei trovato il corpo di mio figlio nella camera mortuaria», racconta Dagarwal Khan Agha, che ancora non ha capito cosa sia successo quella sera. «Nessuno è riuscito a spiegarmelo. Sono andato a Saracha, per cercare di capire come e perché mio figlio è morto. Ma è stato inutile».
Le giustificazioni dei comandi
Inutili gli sono apparse anche le parole dei portavoce Isaf-Nato. Già il giorno successivo all'attacco aereo, sabato 5 ottobre, dall'ufficio del presidente Karzai è partita una dichiarazione di condanna dell'operazione condotta dalle forze Isaf-Nato. Le autorità locali di Nangarhar parlavano infatti di vittime civili, di ragazzi innocenti. Il tenente colonnello Will Griffin, uno dei portavoce Isaf-Nato, intervistato dall'agenzia France Press replicava dicendo che non gli risultavano vittime civili. I dispacci ufficiali recitavano il solito mantra: attacco aereo di precisione, chirurgico, a danno di «insurgents». «Erano bambini, non sapevano niente di come si fa una guerra, non volevano farla. Erano a due passi da casa. Non si nascondevano. Non avevano fatto niente di male. Sono stati uccisi dei ragazzini innocenti», risponde stizzito lo zio di Asadullah, 'Malim' Said Agha. Il quale ricorda anche l'inchiesta condotta dalle autorità afghane, «da cui risulta che erano del tutto innocenti». Raggiunto al telefono, Ahmad Zia Abdulzai, portavoce del governatore della provincia di Nangarhar, conferma che «il vice-governatore di Nangarhar, Mohammed Hanif Gardiwal, ha mandato un suo uomo nell'area dell'incidente, insieme a un rappresentante del ministero dell'Interno su richiesta del presidente Karzai». La loro inchiesta ha dimostrato che «i cinque ragazzi uccisi non erano legati agli insorti».
L'«errore» riconosciuto. In privato
Secondo quanto racconta Qasim Hazrat Khan - il padre di Amanullah e Wasihullah -, i rappresentanti delle forze Isaf-Nato avrebbero riconosciuto l'errore già martedì 8 ottobre, ma solo in privato. «Uno dei responsabili dell'aeroporto militare, un americano, mi ha invitato a raggiungerlo nel suo ufficio, insieme a un traduttore. Lì, ha ammesso che i nostri figli erano stati uccisi per un errore». Qasim Hazrat Khan dice di aver fatto molte domande al «comandante americano» (di cui non sa dire il nome): «Una volta George Bush ha sostenuto che gli americani sono capaci di trovare perfino lo spillo di un ago sulla faccia della terra. Ma allora perché non distinguono le armi dei Talebani dai badì dei nostri ragazzi? Questo gli ho chiesto. E poi gli ho domandato perché non hanno provato a prenderli vivi. Perché ucciderli così?». Quando il «comandante americano» gli ha chiesto che cosa si aspettasse da lui, ora che i suoi figli erano morti, Qasim Hazrat Khan è stato netto: «Consegnateci i due piloti degli elicotteri che hanno ucciso i miei figli, mio nipote e gli altri ragazzi, gli ho risposto. Li tratteremo come prevede la nostra cultura, come insegna il Corano e prescrivono gli Hadith. Ve li riconsegneremo chiedendo scusa, come fanno gli americani con noi». Il comandante ha risposto che era impossibile, ma ha aggiunto che avrebbe potuto parlarne con dei funzionari più importanti di lui, in un altro incontro.
L'offerta di «compensazione»
Quell'incontro si è svolto mercoledì 9 ottobre, nel palazzo del governatore di Nangarhar. A partecipare erano in molti: per qualche minuto il governatore uscente Gul Agha Sherzai (dimessosi pochi giorni fa per partecipare alle elezioni presidenziali); il vice-governatore, Mohammed Hanif Gardiwal; diversi rappresentanti delle forze di sicurezza afghane, tra cui Fazil Ahmad Sherzad, responsabile per la sicurezza nella provincia di Nangarhar, il colonnello Sahib Khan, a capo della sicurezza nel distretto di Beshud, il generale Abdul Rahman, rappresentante del ministero degli Interni, venuto da Kabul. Oltre a loro, c'erano cinque "elders" (gli anziani a capo delle Jirga tribali, i consigli locali); i parenti di tutte e cinque i ragazzi uccisi; due alti rappresentanti delle forze Isaf-Nato, i cui nomi non sono noti. «Per la nostra famiglia ho partecipato io, in quanto membro più anziano», ricorda 'Malim' Said Agha. «Gli americani si sono scusati, hanno ammesso di aver ucciso degli innocenti, ci hanno promesso che ci avrebbero aiutato». Anche Qasim Hazrat Khan sostiene che i rappresentanti Isaf-Nato abbiamo ammesso l'errore, nell'incontro di mercoledì 9 ottobre: «Ci hanno chiesto scusa, davanti a tutti», ricorda. Ahmad Zia Abdulzai, portavoce del governatore di Nangarhar, al telefono conferma anche questo: «Gli americani hanno presentato le loro scuse davanti ai familiari delle vittime e davanti alle autorità di Nangarhar». Ho chiesto conferma anche al tenente colonnello Will Griffin, portavoce Isaf-Nato, responsabile Press Desk al quartier generale di Isaf-Public Affairs. La sua risposta è questa: «l'incidente a cui si riferisce è ancora sotto esame. Sarebbe inappropriato commentarlo ora».
I parenti delle vittime chiedono...

I parenti delle vittime concordano nel dire di aver ricevuto delle offerte alla fine dell'incontro, come «compensazione» per le perdite subite. «Gli americani ci hanno detto che ci avrebbero aiutato, ci avevano portato delle cose utili e altre ce ne avrebbero portate. No, non ci hanno offerto del denaro. Ma all'uscita c'erano delle automobili cariche di sacchi. Siamo stati tutti d'accordo nel rifiutare: siamo poveri ma non vendiamo il nostro stesso sangue», sostiene 'Malim' Said Agha. «Al governatore e al suo vice, che insistevano perché accettassimo qualcosa, abbiamo detto che avrebbero fatto meglio a costruire una madrasa, una moschea, un ospedale, qualcosa di utile per la gente di qui, dedicato alla memoria dei nostri martiri». L'unica richiesta dei parenti delle vittime, sostiene 'Malim' Said Agha, «è vedere i soldati colpevoli sotto processo. Molte volte gli americani, qui e altrove, hanno ucciso donne e bambini, innocenti, e poi chiesto scusa. É tempo che tutto questo finisca. É tempo che paghino per le loro azioni». «La nostra richiesta l'abbiamo già fatta», ribadisce Qasim Hazrat Khan mentre ci avviamo verso le tombe dei suoi figli, a Saracha. «Che ci consegnino i piloti, o che li consegnino a qualche tribunale afghano. Devono rispondere di quel che hanno fatto di fronte alla nostra legge, non a quella degli americani», mi dice convinto. Arriviamo alle tombe. Ci fermiamo. Qasim Hazrat Khan e Nader Shah pregano, le braccia allargate, le palme delle mani rivolte verso l'alto. «É qui che sabato mattina abbiamo tenuto la cerimonia funebre. Ogni mattina si presentano i nostri parenti, gli amici, perfino persone sconosciute per pregare per i nostri ragazzi». Il villaggio è già stato ribattezzato, spiega Nader Shah: «Ora si chiama Saracha Deh Shaidano Qalae»: Saracha, il villaggio dei martiri.

il manifesto
17/10/13 

pc 17-18-19 ottobre - a Parigi studenti in piazza contro l'espulsione di studenti sans papiers - dal giornale 'la cause du peuple'

Paris : Des centaines de lycéens manifestent contre les expulsions d'élèves sans papiers

PARIS, 16 oct 2013 (AFP) - Plusieurs centaines de lycéens parisiens se sont rassemblées mercredi devant le rectorat de Paris (XXe) pour protester contre les expulsions d'élèves étrangers, après celle d'un jeune arménien scolarisé à Paris, a constaté un journaliste de l'AFP.

Réunis à l'appel notamment du syndicat lycéen FIDL, du Réseau éducation sans frontières (RESF) et de la CGT Educ'action, les élèves ont scandé "Valls démission" et "Libérer Katchik", bloquant entièrement l'avenue Gambetta, où se trouve le rectorat.

Agé de 19 ans, Khatchik Kachatryan, élève au lycée Camille-Jenatzy (18e), a été expulsé samedi vers l'Arménie, selon RESF.

"On se dit que ça aurait pu arriver à un de nos potes, on trouve ça dégueulasse", témoigne Alfred, 16 ans, élève au lycée Hélène-Boucher.

"Il a été séparé de sa famille, ses études sont stoppées, aujourd'hui il se demande s'il ne va pas aller en prison dans son pays, il va être enrôlé de force dans l'armée pendant deux ans et on sait que là-bas il y a parfois des opérations de guerre", a déclaré à l'AFP Dante Bassino, représentant du RESF et de CGT Educ'action.

Selon RESF, le lycéen a été incarcéré à son arrivée en Arménie avant d'être relâché hier et devrait être enrôlé pour effectuer son service militaire début novembre.

Évoquant aussi le cas de la collégienne kosovare Leonarda, expulsée du Doubs après avoir été remise à la police en pleine sortie scolaire, M. Bassino a dénoncé un "durcissement". Il s'agit pour le militant d'un retour de la "chasse à l'enfant et aux lycéens" qui prévalait selon lui quand Nicolas Sarkozy était ministre de l'Intérieur.

Les manifestants prévoyaient de bloquer plusieurs lycées parisiens jeudi.

Une délégation de lycéens devait être reçue au rectorat mercredi.

En droit, un mineur isolé ne peut pas être expulsé. Les élèves expulsés le sont soit après leur majorité ou quand leurs parents, en situation irrégulière, sont expulsés.

Dans les faits, ces expulsions, qui suscitent toujours une forte émotion et mobilisation, sont très rares.

En 2011, seuls deux jeunes majeurs scolarisés avaient été expulsés, dont un était revenu rapidement avec un visa en règle. Khatchik Kachatryan est le cinquième jeune majeur scolarisé à être expulsé depuis l'arrivée de la gauche au pouvoir, selon RESF.

pc 17-18-19 ottobre - Libertà per gli imputat* del 15 ottobre 2011

  • 17_ott_complici15ott
    Ribellarsi è giusto!
    In un paese che cade a pezzi, la magistratura sembra molto interessata a punire i “cattivi” del 15 Ottobre. Due anni fa migliaia di persone si sono riversate per le strade del Centro di Roma (come in altre città d’Europa e del mondo), per dire che così non si poteva più andare avanti: che non si arrivava alla fine del mese e che la crisi iniziava a colpire duro.
    Chi in quella giornata ha avuto il coraggio di guardare la realtà è diventato un criminale, chi ha trovato il coraggio di gridarlo per strada, un pericoloso terrorista.
    A 2 anni da quella giornata siamo in caduta libera verso il baratro, l’Italia non è neanche più un’entità politica e decisionale, visto che le scelte che contano vengono prese altrove in nome degli interessi delle banche, delle lobby finanziarie, dei signori del mattone.
    Mentre tutto cade a pezzi ci consigliano di guardare il nuovo programma in TV e i bravi democratici ci ricordano che alle manifestazioni si sfila soltanto e poi si torna a casa. Ma quale casa? Quella che dobbiamo pagare con 30 anni di mutuo, quella che è una stanza o un posto letto, quella che ci sta pignorando la Banca o quella che è sotto un ponte?
    “Andate a lavorare” dice chi non ha niente da dire… Ma quale lavoro? Quello in nero? Quello che ti depriva di tutto il tuo tempo e della tua energia per arrivare forse a fine mese? O quello dove oltre ad essere sfruttato pure “Si, signore!”? Quello che ti inventi tutto da solo e che rimane comunque invisibile o quello che ti licenzia in tronco per motivi aziendali? Quello che non troverai mai perché sei troppo vecchio da sfruttare o quello non pagato perché sei abbastanza giovane da essere sfruttato gratis?
    In un paese che sta cadendo a pezzi inesorabilmente, esprimere la propria rabbia ci appare un atto responsabile. Più responsabile dell’invocare la pacificazione a tutti costi, che equivale a far finta di niente, a subire.
    E’ vero giudice, siamo tutti e tutte “psichicamente compartecipi” agli imputati/e: desideriamo ardentemente un futuro ed un presente diverso dalla vostra miseria e non smetteremo mai di lottare contro chi DEVASTA e SACCHEGGIA le nostre vite ed i nostri territori.
    A tutti coloro che cercano di impaurire chi sta pensando di scendere in piazza, di creare un clima di tensione, di dipingere il dissenso come un atto criminale, rispondiamo che il 19 ottobre prossimo ci saremo, con tutta la nostra dignità, gioia e determinazione e saremo in tanti ed in tante.
    Mentre un paese cade a pezzi noi dormiremo sotto le stelle, resisteremo e ci organizzeremo insieme per determinare il nostro presente e il nostro futuro. Stiamo al fianco degli indagati di questo processo così ipocrita.
    17 Ottobre 2013 ore 9
    Il presidio più assordante possibile davanti a piazzale Clodio
    Facciamogli scoppiare le orecchie - portate quello che volete - poi da li si decide tutti insieme che fare
    Coordinamento cittadino lotta per la casa

    pc 17-18-19 ottobre - sciopero e manifestazione a Roma 18 ottobre - piattaforma, linea e azione dello slai cobas per il sindacato di classe

    volantino per Roma

    Padroni, Finanza, Banche e il loro governo - oggi Letta/Alfano/Berlusconi - negano a tanti disoccupati, precari, in particolare al sud, il lavoro per mantenere dignitosamente la famiglia, e tanti ormai sono senza alcun reddito; dilagano licenziamenti e cassaintegrazione nelle fabbriche, attaccano salari e stipendi dei lavoratori e condizioni delle masse popolari rendendo più cari sanità, scuola, casa, servizi sociali e il costo della vita; la salute e la vita è negata e sempre più a rischio, in fabbrica e in particolare in territori inquinati come Taranto, dove si fanno decreti solo a favore di Riva e nulla per il lavoro, la sicurezza, la salute; mentre trovano subito soldi per spese militari, navi da guerra, aerei F35 c mentre muoiono nelle nostre acque centinaia di immigrati in fuga da fame e guerra.
                Nella crisi i ricchi diventano sempre più ricchi  e i poveri sempre più poveri!
    Si può accettare tutto questo? Si può fare questa vita?
    Noi pensiamo che operai, disoccupati, precari, giovani, donne, masse popolari si debbano ribellare, organizzarsi per difendere le condizioni di vita e lottare per il lavoro e la salute con lo sciopero generale e la rivolta generale.
    Il 18 ottobre è una prima proposta di sciopero generale e manifestazione contro padroni, governo e sindacati confederali complici, per questo siamo qui. Ma noi non riteniamo che  l'attuale piattaforma e forma organizzata del sindacalismo sia sufficiente a raggiungere risultati effettivi.

                                                                        PIATTAFORMA

    Riduzione di orario di lavoro a parità di salario
    NO ai licenziamenti, NO a Cig senza fine, NO a contratti di solidarietà, per spartirsi la miseria e non intaccare i profitti dei padroni.
    Riduzione d'orario a partire dalle fabbriche in crisi, ma con estensione in tutte le fabbriche e posti di lavoro con processi di ristrutturazione in corso

    Decreto operaio” per l'Ilva e situazioni similari
    NO alla falsa e interessata alternativa tra lavoro e salute, basta coi decreti pro-padroni, vogliamo un decreto che stabilisca che nessun posto di lavoro si deve perdere, che gli operai devono essere impiegati nella messa a norma delle fabbriche, che 20 anni di lavoro bastano in una fabbrica a rischio salute e vita per il profitto

    Per la sicurezza, postazioni ispettive fisse
    nelle fabbriche e nei lavori a rischio infortuni

    Contratto nazionale per gli operai della logistica
    NO allo schiavismo verso i lavoratori immigrati delle cooperative legate ai partiti di governo e parlamentari, NO alle discriminazioni salariali e normative, all'attacco ai diritti sindacali

    Lavoro o salario garantito ai disoccupati e a chi ha perso il lavoro
    Vogliamo una legge per un piano immediato di lavoro di massa, e di formazione retribuita per l'occupazione, in particolare, nella raccolta differenziata, nelle bonifiche territoriali;
    esenzione dal pagamento di tasse, tariffe, ticket, ecc

    Clausola sociale negli appalti pubblici per assunzioni e contro la precarietà
    NO ad appalti al massimo ribasso, NO a contratti a termine con orari e salari da fame, anche in violazione di CCNL e principi della Costituzione

    Rappresentanza sindacale decisa dai lavoratori
    Tutte le organizzazioni sindacali, di base, decise dai lavoratori devono essere riconosciute e avere i diritti previsti dallo Statuto dei lavoratori, in proporzione ai numero di iscritti in ogni realtà lavorativa.

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    Una folta rappresentanza dello Slai cobas per il sindacato di classe porta a Roma i rappresentanti delle lotte e vertenze operaie Ilva, Dalmine, immigrati della Logistica, cooperative sociali di Palermo e Taranto, operai degli appalti, lavoratori della sanità, precari, pulizie statali, ecc.
    Lo Slai cobas per il sindacato di classe è la componente di classe, fondata sulla lotta di massa
    autorganizzata del sindacalismo di base e di classe, che contando sulle proprie forze come principio e linea d'azione, con una posizione autonoma di classe e chiara tra le masse lavora per
    una alternativa nazionale non solo al sindacato confederale ma agli stessi attuali sindacati di base.
    Ma non c'è ancora una forza nazionale sufficiente per rappresentare questa alternativa, per questo c'è bisogno di queste manifestazioni per portare a livello nazionale le lotte e la  piattaforma. Per questo a Roma la rappresentanza dello slai cobas per il sindacato di classe partecipa al corteo con uno spezzone e avrà un punto di assemblea e incontro a piazza S. Giovanni, mentre a fine manifestazione una delegazione andrà al Ministero del lavoro.

    La manifestazione nazionale non sarà molto grossa, nonostante i numeri sparati prima, durante e che dirà dopo l'USB che è l'organizzazione nettamente maggioritaria alla manifestazione, ma è la più grossa possibile oggi contro il governo da parte del sindacato di base per questo lo Slai cobas per il sindacato di classe non poteva mancare.
    Molti hanno preferito fare in questo caso manifestazioni regionali e locali, ma lo fanno in generale per mentalità di bandiera, opportunista e localista, perchè verso i lavoratori fanno solo vertenze legali e iniziative locali, per povertà di linea e di progetto e allora sanno bene che per portare lavoratori a Roma devono fare un lavoro doppio che non vogliono e non sanno fare seminando illusioni sul fatto che a livello locale sono forti e possono ottenere risultati ecc, quando questo è solo una parte della verità. Oggi se non si riesce a fare una battaglia nazionale seria e determinata, a livello locale si raccolgono le briciole ma non si contribuisce con una battaglia prolungata a cambiare realmente le cose e i rapporti di forza
    Lo sciopero nazionale del 18 lo fanno ancora in pochi a livello nazionale - tranne alcune realtà settoriali - e pochissimi in fabbrica, perchè esso non è ancora maturo, al di là di quello che dice l'USB, ma se non si lancia proclamandolo non lo si fa mai e non si contribuisce a svilupparne la necessità, gli obiettivi e le forme di lotta, non si ha autonomia dal sindacalismo confederale e si vive in funzione solo della sua dialettica.
    Questo sciopero di fatto è, quindi, al di là della riuscita, uno sciopero propaganda, necessario ma non sufficiente e su questo occorre essere chiari anche a Roma, per fare bene il lavoro dopo Rioma.

    slai cobas per il sindacato di classe
    coordinamento nazionale



      la piattaforma della delegazione di massa al Ministero del lavoro

    Su emergenza lavoro, nel Sud in particolare, che investe centinaia di migliaia di disoccupati, precari, lavoratori che hanno perso il lavoro, a cui si aggiungono lavoratori ultraprecari soprattutto negli appalti pubblici che hanno occupazioni ridotte a pochi mesi, addirittura settimane e con orari da vergogna anche di 45 minuti di lavoro al giorno (in contrasto con ogni CCNL e con i principi dell'art. 36 della Costituzione).
    .
    Sono tre i temi principali

    Primo, chiediamo che al problema sempre più vasto delle fabbriche in crisi (che spesso non sono affatto in crisi, ma chiudono per cercare lidi più convenienti) non si risponda solo con ammortizzatori sociali, ma con una RIDUZIONE DELL'ORARIO DI LAVORO A PARITA' DI SALARIO, alternativa ai Contratti di solidarietà; in questo caso l'intervento dell'Inps potrebbe coprire non le ore di "solidarietà" bensì la riduzione d'orario per mantenere il salario degli operai al 100%
     
    Secondo, per i disoccupati, in particolare al Sud, occorre un intervento legislativo che porti subito all'occupazione di centinaia di migliaia di disoccupati - un esempio che vogliamo ricordare è in questo senso la Legge n.285 del 1.6.1977. Ci sono settori di attività assolutamente necessari che devono creare occupazione. Parliamo di un PIANO DI RACCOLTA DIFFERENZIATA PORTA A PORTA' all'interno della questione più generale del ciclo dei rifiuti, che coniughi lavoro-ambiente; insieme ad un piano di SOSTEGNO ALLE BONIFICHE AMBIENTALI per farne una risorsa lavorativa, in città in cui essa assume anche un significato di risarcimento sociale, a fronte del pesante inquinamento che ha provocato e provoca tuttora tante vittime, malattie professionali, degrado territoriale (vedi Taranto).
    Nello stesso tempo chiediamo - come accade nella maggiorparte dei paesi europei - nelle more di attività lavorative, l'istituzione anche in Italia del SALARIO MINIMO GARANTITO per i disoccupati e coloro che hanno una difficile ricollocazione lavorativa. Questo potrebbe coniugarsi ad un piano di FORMAZIONE FINALIZZATA AL LAVORO.
     
    Terzo, chiediamo che negli appalti pubblici, da un lato sia posto un LIMITE AL "MASSIMO RIBASSO", dall'altro si ponga nei capitolati di appalto una CLAUSOLA SOCIALE che obblighi le ditte vincitrici ad assumere dal bacino dei disoccupati della realtà in cui si svolgono i lavori e il rispetto dei CCNL.

    Slai cobas per il sindacato di classe
    coordinamento nazionale

    mercoledì 16 ottobre 2013

    pc 16 ottobre - Verso il 25 novembre, Assemblea nazionale delle donne a Roma

    Il 18 e il 19 ottobre a Roma, in piazza S. Giovanni, in occasione di 2 importanti appuntamenti nazionali (sciopero generale dei sindacati di base e sollevazione generale/abitare nella crisi), vogliamo incontrare le lavoratrici, le compagne, le donne che con noi hanno partecipato alla manifestazione del 6 luglio a Roma, per un'assemblea nazionale delle donne in vista della giornata mondiale contro la violenza sulle donne

    Ci incontreremo in piazza S. Giovanni:
    • Il 18 ottobre alle ore 17,00
    • Il 19 ottobre alle ore 10,30

    APPELLO

    Sono oltre 100 le donne uccise in Italia dall’inizio dell’anno.

    Il 6 luglio a Roma, il presidio delle donne in rosso ha denunciato la natura sistemica di questa mattanza, il suo carattere non solo culturale, ma strutturale e sovrastrutturale, toccando i punti nevralgici attraverso i quali questa violenza, a livello sistemico, si snoda: i centri del potere.

    Come una scintilla che deve illuminare sempre più una realtà ancora in ombra, il presidio delle donne in rosso ha tracciato un sentiero, aperto una breccia nel muro del silenzio, che deve diventare un’autostrada per le donne che si autorganizzano contro“gli uomini che odiano le donne”, contro questa guerra subdola contro le donne di governo, padroni, stato, chiesa. Istituzioni che non sono la soluzione, ma il problema.
    Abbiamo detto: no a task force, la nostra sicurezza sono le donne del mondo che si autorganizzano!
    Nessun appello al governo, nessun governo può fare arretrare la guerra alle donne, senza la guerra delle donne…
    E i fatti purtroppo ci hanno dato ragione. A 2 mesi da quella importante manifestazione, mentre il movimento femminista era in vacanza, questa guerra si è intensificata:
    - altre decine di donne sono state uccise, tante stuprate (vedi gli stupri di gruppo nel Salento);
    - l’operazione di imbroglio, compiuta dal governo delle larghe intese sulla pelle delle donne con il cosiddetto “decreto contro femminicidio e stalking” per reprimere i movimenti contro le cosiddette “grandi opere” e in generale i movimenti di lotta, anche sulla questione femminicidi pone l’accento essenzialmente su aumento di repressione e controllo

    Per la nostra vita, la nostra libertà, i nostri diritti, il 6 luglio a Roma abbiamo presidiato i palazzi del potere e ci siamo date appuntamento in autunno per tornare a Roma per una grande manifestazione di donne, e per lavorare insieme per l’obiettivo decisivo e di rottura di uno sciopero delle donne, che partendo da femminicidi e stupri guardi a tutte le condizioni di vita delle donne.

    Sullo sciopero delle donne sta circolando la proposta, partita da alcune giornaliste, dello sciopero il 25 novembre.
    Noi riteniamo importante che anche altri settori di donne abbiano ripreso questa indicazione, ma riteniamo che la partecipazione debba essere fatta in forme autonome (come abbiamo spiegato nell'assemblea che queste giornaliste hanno fatto a Bologna e come scriviamo nella nota a loro, che vi mandiamo per conoscenza)

    Per tutto questo è necessario incontrarci e discutere.
    Invitiamo le compagne, tutti i collettivi femministi e lesbici, organismi, associazioni di donne, a partire da quelle che hanno aderito e sono venute a Roma il 6 luglio e facciamo appello a lavoratrici, precarie, disoccupate, ragazze, ecc., ad organizzare insieme quest'assemblea per discutere:
    - contenuti, parole d’ordine e forme dello sciopero delle donne del 25 novembre
    - manifestazione nazionale, quando e come

    pc 16 ottobre - LAMPEDUSA: ALTRO CHE FUNERALI DI STATO! AFFOSSAMENTO DEI MORTI IN FRETTA E FURIA

    Noi l'avevamo detto, ma certo passare in pochissimi giorni dalle ipocrite parole e lacrime da coccodrillo di Letta e Alfano agli ignobili fatti di questi giorni, queste ore, va oltre anche la denuncia.
    Non solo non sono stati fatti i funerali di Stato promessi per gli immigrati, le donne, i bambini morti, assassinati dalle leggi di questo Stato e dalla politica dell'imperialismo, ma a Lampedusa stiamo assistendo di fatto ad un sequestro di cadaveri, portati via anche contro la volontà delle Istituzioni locali, negando qualsiasi possibilità ai familiari di poter fare riconoscimenti e i funerali nei loro paesi.
    Le bare, ultime quelle bare bianche dei bambini vengono brutalmente affossate, neanche una sepoltura dignitosa che pur il sindaco di Lampedusa e altri sindaci avrebbero voluto e per cui si erano detti disponibili.
    Li hanno prima affogati in mare e ora li affossano nella terra, nel cemento..., uccidendoli due volte; uccidendo lo spirito dei parenti che, alcuni, hanno fatto centinaia di chilometri e speso migliaia di euro per arrivare a Lampedusa sperando di poter vedere per l'ultima volta il loro figlio, fratello, sorella, nipote...
    Hanno sequestrati i corpi dei morti per non permettere che i vivi venissero a reclamare i loro cari, a reclamare il diritto alla dignità dei popoli, all'umanità contro la disumanità di uno Stato imperialista che nega anche un tetto, un letto agli immigrati ai superstiti.
    Eppure non ci voleva molto a permettere ai parenti di poter identificare i loro cari prima che venissero seppelliti, dalle cose più semplici di mettere una foto su ogni bara, al Dna.
    ANCHE IL DIRITTO DI PIANGERE VIENE NEGATO!

    MALEDETTI! PAGHERETE CARO PAGHERETE TUTTO!

    pc 16 ottobre - Operai Fincantieri Palermo "a secco di lavoro"… e i sindacalisti che incitano alla "guerra tra poveri"

    "Siamo l'unico cantiere del gruppo rimasto senza costruzioni navali – dice Foti della Fiom…" Già per questa affermazione dovrebbe vergognarsi, ma questi sindacalisti di stato, che in questo caso si sono inventati pure la definizione di "razzismo industriale", hanno la faccia più dura del bronzo…

    Sono anni oramai che alla Fincantieri di Palermo non si vede una nave da costruire e si parla di piani di rilancio che rilanciano soltanto altri "ammortizzatori sociali", infatti la cassa integrazione è diventata l'unica cosa certa per gli operai, stabilmente la metà dei circa 400 tra operai e impiegati. Per non parlare degli operai dell'indotto costretti a cercarsi qualcosa nei cantieri di tutta Italia e non solo.
    Tra i tanti "piani" che prevedono prima riparazioni di bacini e oggi addirittura la costruzione di un nuovo bacino "off shore", e cioè al largo, da 100mila tonnellate che dovrebbe servire a costruire yacht di lusso, ci sono pure quelli che prevedono oggettivamente la chiusura: si tratta della vendita di tutte le aree che sono ai lati del cantiere e la possibile costruzione di un albergo di lusso accanto al Cantiere!
    Le chiacchiere sulla Concordia, e la relativa "guerra tra poveri" su quale cantiere dovesse fare lo smantellamento tra Piombino-Napoli-Palermo-Civitavecchia…, si sono chiuse con la notizia che la nave sarà portata in Turchia. Con buona pace delle chiacchiere di Crocetta, Orlando e delle mozioni dei grillini!
    E ad ogni notizia bisogna pure ascoltare i sindacalisti, in genere della Fiom, che sono "arrabbiati" e come al solito contano solo morti e feriti.
    La Fincantieri sta bene in salute e "da Marghera a Castellammare l'azienda ha distribuito lavoro" continua a lamentarsi il sindacalista seduto in poltrona. Tocca agli operai, che pure si lamentano della troppa cassa integrazione e di questa attesa senza fine, dare una svolta a questo andazzo.

    ***

    LAVORO. Per gli operai soltanto riparazioni di piccola entità, senza costruzioni si paventa una nuova cassa integrazione

    Cantiere navale senza commesse, scatta l'allerta

    Il Cantiere navale rimane a secco di lavoro. L'ultima nave, una Msc rimasta in riparazione per una ventina di giorni, lascerà i bacini il 22 ottobre. Poi il nulla fino al 5 novembre, quando ad entrare sarà una piccola nave da crociera per riparazioni. Anche in questo caso i lavori dureranno soltanto venti giorni. Da anni non si vedeva un cantiere così scarico. E l'allarme rosso è già scattato. La rabbia dei sindacati comincia a farsi sentire. Da qui a fine anno potrebbe scattare altra cassa integrazione. "Continuando di questo passo – dice Francesco Foti, segretario provinciale della Fiom – la prossima settimana potrebbero allargarsi le maglie della cassa integrazione per altre ottanta tute blu, che si aggiungerebbero ai 183 in cig".
    La sfida sta nel superare il 2013. Per l'anno prossimo, l'azienda non ne fa un mistero, dovrebbero concludersi le trattative per portare a Palermo una piattaforma petrolifera e quattro navi della Msc. Ad aprile dovrebbe essere anche il momento della costruzione delle paratoie del Mose, commessa da 27 milioni di euro aggiudicata in via provvisoria a Fincantieri. Ma è tutto ancora da metter su carta, almeno per le trattative. Il buco di lavorazioni rimane. Tra ottobre e dicembre la produzione sarà con il contagocce.
    "Siamo l'unico cantiere del gruppo rimasto senza costruzioni navali – dice Foti- da Marghera a Castellammare l'azienda ha distribuito lavoro. Va bene i cassoni della Concordia, va bene le paratoie del Mose, ma noi non siamo solo per i lavori di carpenteria pesante, siamo specializzati in costruzioni di navi – conclude Foti – lavorazioni che nel nostro Cantiere sembrano ormai un sogno".
    La vertenza, mai chiusa, sembra riaccendersi improvvisamente. L'incontro per il 21 ottobre al ministero dello Sviluppo economico per l'accordo di programma sul futuro dello stabilimento palermitano slitterà al 28. E in quella sede si parlerà di costruire un nuovo bacino da 100 mila tonnellate per ospitare gli offshore il segmento produttivo su cui vuole investire l'azienda.

    Giornale di Sicilia

    16/10/13
    ***

    Rottamare la Concordia? Sono cose da turchi

    13 ottobre 2013
    Per mesi si è assistito al balletto di nomi su quale avrebbe dovuto essere il porto italiano a occuparsi della rottamazione della Costa Concordia, la nave da crociera naufragata all'Isola del Giglio, in Toscana. Piombino è il più vicino e quindi ha un vantaggio logistico, Palermo si è candidata come soluzione ideale, Civitavecchia, Genova, Napoli e Porto Torres pure. Tutti con motivazioni rispettabili e comprensibili. Ma alla fine la Concordia finirà ad Aliaga. Che non è in Italia. Aliaga è in Turchia: è il porto dove la Costa sta già rottamando la Allegra. Come dire, mentre da noi si discute, altri agiscono. Il porto turco è attrezzato, Piombino, del quale la Regione Toscana conferma l'ambizione a diventare uno dei porti europei previsti dal regolamento Ue, non sarà pronto prima di maggio-giugno 2014. Così, a meno di colpi di scena – improbabili, visto l'investimento di Costa per affittare la super-chiatta Vanguard per rimuovere il relitto, giustificabile solo con la necessità di un lungo spostamento – l'Italia rischia di perdere l'ennesima occasione e soprattutto le ricadute economiche (100 milioni) e occupazionali (mille addetti) legate allo smaltimento.

    il sole 24 ore

    pc 16 ottobre - La "stabilità" del Governo Letta… pagata anche con i tagli ai lavoratori del pubblico impiego

    Oltre 11 miliardi di "risparmi" complessivi per lo Stato!
    Circa 500.000 lavoratori in meno 2006-2017

    -          blocco della contrattazione fino al 31 dicembre 2014
    -          taglio 10% straordinari
    -          dilazione da 6 a 12 mesi del pagamento del Tfr
    -          congelamento indennità vacanza contrattuale
    -          blocco assunzioni (non per polizia, forze armate ecc.)
    -          nessun futuro per i 122.000 precari della pubblica amministrazione

    ***

    Quel taglio pesante non si vede ma c'è

    Il nuovo blocco della contrattazione per un altro anno e la proroga dello stop al turn over, sia pure a "maglie allargate" fino al 2018, daranno un contributo decisivo all'azione di contenimento della spesa corrente. Un contributo in parte già iscritto nei tendenziali che il Governo ha diffuso con la Nota di aggiornamento del Def di fine settembre ma che vale la pena sottolineare al momento del varo della nuova legge di Stabilità. Il blocco dei contratti, secondo una prima stima dell'Ufficio studi di Aran realizzata per il Sole24Ore, garantirà nel biennio 2013-2014 risparmi cumulati per circa 5 miliardi. Il calcolo è stato effettuato prendendo in considerazione l'indice Ipca depurato dai prodotti energetici, la cui variazione dovrebbe essere del 2% quest'anno e dell'1,8% nel 2014. Un risparmio maggiore rispetto a quello del biennio 2012-2013 perché questa volta andrà perduta anche l'indennità di vacanza contrattuale. Da quando è iniziato lo stop totale al rinnovo dei contratti, vale a dire dal 2010, i risparmi cumulati salgono così a 11,5 miliardi di euro e nel 2014 i redditi da lavoro dipendente si fermeranno a 161,9 miliardi (10,1% del Pil). Si tratta di un taglio tanto importante quanto invisibile, perché già iscritto nella legislazione vigente, ove non si prevedono i rinnovi contrattuali se non a consuntivo.
    Ma il contributo del pubblico impiego non si ferma qui. Il turn over pieno arriverebbe solo nel 2018 stando al testo del Ddl entrato in consiglio dei ministri con un decalage che prevede, dopo il blocco dell'anno prossimo, il 40% di possibli nuove assunzioni rispetto ai ritiri per l'anno 2015, che sale al 60% nel 2016 e all'80% nel 2017. Come si tradurrà questo ulteriore filtro ai reclutamenti sulle dotazioni organiche complessive? Secondo gli ultimi dati Aran fermi al 2012 sappiamo che dal 2006 il blocco del turn over ha prodotto un calo in termini assoluti di 279.100 dipendenti, con riduzioni di organico medie dell'1,5% sul totale ogni anno. Da qui al 2018 il trend si dovrebbe un poco ridurre, sia perché le facoltà assunzionali sono un po' più estese sia per effetto della riforma delle pensioni, che impone una maggiore permanenza in organico del personale anziano. Ma simulando un calo tra l'1% e lo 0,5% l'anno, tra il 2013 e il 2017 possiamo immaginare che i dipendenti pubblici si ridurranno di ulteriori 180.763 unità; per un calo cumulato 2006-2017 pari a circa 459.860 addetti. In quell'anno i dipendenti pubblici complessivi dovrebbero aggirarsi attorno a 3 milioni e 176mila unità, contro i 3.635.900 del 2006. A funzioni, servizi e perimetro invariato, la cura dimagrante delle Pubbliche amministrazioni non è da poco. Messa a regime quella manovra bisognerà ora saper affrontare e risolvere il problema del precariato della Pa (122mila addetti, scuola esclusa; 10mila in più del 2007, l'anno della stabilizzazione targato Prodi-Padoa-Schioppa).

    Il sole24ore

    16 ott. 13

    pc 16 ottobre - VERTENZA NATUZZI, CONSIDERAZIONI DALL'INTERNO - SIA PUR TARDIVE

    CONSIDERAZIONI IN MERITO 
    A MISTIFICAZIONI SINDACALI

    Fillea-Cgil, Filca-Cisl e Feneal Uil hanno rilasciato dichiarazioni agli organi d’informazioni, riguardo agli accordi sottoscritti presso i Ministeri dello Sviluppo Economico e del Lavoro il 10 ottobre 2013 con la Natuzzi, che non si possono che definire fantasiosi o addirittura vaneggianti. E’ bastato che i rispettivi verbali fossero accessibili, infatti, per scoprire che la realtà è abbastanza difforme da come la si narra. Qualcuno, poi, si è anche inventato che nelle assemblee sindacali convocate in precedenza, i lavoratori si sarebbero espressi a favore della firma, con oltre il 90% dei consensi. Niente di più falso, negli stabilimenti non c’è stata nessuna votazione e pressoché tutti gli intervenuti durante le assemblee hanno espresso parere negativo.

    Prima di motivare le affermazioni sopra citate, però, è necessario premettere che i pessimi accordi raggiunti sono consequenziali all’atteggiamento di resa che le OO.SS. hanno assunto dopo la prima decade di Luglio, quando, le stesse si sono assunte la responsabilità di rifiutare ogni richiesta proveniente dai lavoratori di intensificare la lotta contro gli esuberi dichiarati. Mentre, viceversa, l’azienda ha mantenuto aperte le procedure di mobilità consapevole che il trascorrere del tempo giocava tutto a suo favore. Dunque, si è lasciato che la Natuzzi conducesse le trattative con, sul tavolo, puntata la pistola dei licenziamenti.

    Ma entrando più nel merito dei protocolli: ad essere estromessi dal ciclo produttivo saranno 1800 unità, quindi un numero maggiore delle 1726 per cui erano state avviate le procedure secondo la Legge 223/1991 e potranno aumentare sino ad un massimo di 2000. Questi verranno collocati in Cigs a zero ore, secondo una selezione sostanzialmente aziendalista. Su quest’ultimo punto, tuttavia, non c’è niente di nuovo, considerando che è dal 2004 che il sindacato firma accordi di Cassa integrazione con simili contenuti.

    I soli parametri che la Natuzzi si prefissa per ritornare a competere attengono soltanto all’aumento della produttività e la riduzione del costo del lavoro. Questa è nei fatti la conferma che l’industria santermana, ancora una volta, sceglie di puntare sull’offerta di un bene non di qualità fatto da artigiani dotati di professionalità e anni d’esperienza, ma appetibile solo per il prezzo contenuto. Si continua, dunque, a perseverare la strada che ha portato alla quasi estinzione del già fu Polo del mobile imbottito.

    Infine, sono stati parecchio enfatizzati gli effetti salvifici che la costituzione di una New Co. avrà sul versante occupazionale, arrivando ad anticipare l’organico che questa conterà sino al 2018, grazie al rientro di commesse attualmente prodotte in Romania. Ora, prima di spendersi in valutazioni sindacali o politiche, urge porsi una domanda esclusivamente logica: può un’impresa che ancora non esiste impegnarsi per l’avvenire? Se la risposta è affermativa, è evidente che l’autore di questa ha poteri paranormali.
    Se, invece, si vuole restare nell’ambito del razionale, si può solo asserire che, ci sono 101 milioni di euro messi a disposizione dalle istituzioni attraverso l’Accordo di programma del 8 febbraio 2013, per chi assume personale collocato in Cigs e nelle liste di mobilità o di disoccupazione, nell’ex bacino del mobile imbottito. Natuzzi è molto interessato a questi soldi, ma per usufruirne dovrebbe assumere, non dichiarare esuberi. Da qui, allora, si inizia a comprendere le motivazioni che spingono ad attivarsi in favore di una nuova società, a cui sarà sufficiente riprendere anche solo una parte dei cassintegrati per attingere al fondo sopra citato. Inoltre, a coloro che eventualmente fossero assunti dalla futura New Co. si potrà tranquillamente applicare un contratto di lavoro d’ingresso, senza riconoscere gli avanzamenti retributivi maturati in passato. D’altronde, le premesse sono che devono competere con i loro colleghi rumeni, si può allora provare ad immaginare quali saranno le prossime condizioni di vita per i lavoratori.
    A conclusione di queste considerazioni, pare proprio il caso di aggiungere che siamo arrivati al paradosso per cui i lavoratori hanno necessità di organizzarsi e tutelarsi dagli accordi che le OO.SS. stipulano per loro.
    La Rete 28 Aprile, pertanto, invita tutti i lavoratori a ricostituire, già a partire dal prossimo congresso della Cgil, un sindacato di classe, che faccia della democrazia e del conflitto la sua pratica quotidiana e non disposto a farsi rappresentare dai tanti esperti venditori di fumo che si spacciano per sindacalisti. Questa è l’unica soluzione per difendere e riscattare la dignità del lavoro.


    FELICE DILEO GIOVANNI RIVECCA
    RETE 28 APRILE-OPPOSIZIONE CGIL
    PUGLIA E BASILICATA

    pc 16 ottobre - i funerali del boia idiota non si sono fatti - gli antifascisti di Albano hanno vinto

    preticlericonazisti e banda neonazista difesi dallo stato  
    messi in fuga dalla popolazione di Albano

    ora e sempre resistenza !



    Scontri con lacrimogeni in serata tra militanti di estrema destra e manifestanti anti-Priebke. Gli incidenti, con lanci di lacrimogeni, pietre e bottiglie, sono avvenuti davanti alla chiesa lefebvriana dove, da metà pomeriggio, era il feretro dell'ufficiale Ss. Una ventina di neonazisti con caschi, cinghie e catene ha raggiunto da una via laterale la folla che si accalcava all'ingresso dell'istituto religioso e ha cominciato la sassaiola. I manifestanti anti-Priebke hanno risposto. Ma tutto è durato pochi minuti. E' intervenuta la polizia in assetto antisommossa. Quasi tutti gli estremisti di destra sono fuggiti, La salma del boia delle Fosse Ardeatine è rimasta nella sede dei lefebvriani fino a mezzanotte e mezza passata, quando è stata portata via a bordo di un furgone della polizia. E in quel momento la rabbia della folla è esplosa di nuovo, con lancio di fumogeni e di bottiglie, e nel caos è stata aggredita una giornalista del Tg3. Il furgone con il feretro ha raggiunto dopo meno di un'ora l'aeroporto militare di Pratica di Mare, a una trentina di chilometri dalla capitale.
    Sospese le esequie "Il rito non è mai iniziato - ha dichiarato in serata l'avvocato Giachini, - Non l'ho autorizzato io, visto che i parenti e gli amici più stretti di Priebke sono stati lasciati fuori. C'era anche uno dei figli ma non lo hanno fatto entrare, perché fuori c'erano persone che picchiavano chi provava a entrare". E Giachini ha concluso dicendo: "Non sarò più io a occuparmi dei funerali, perché il mio mandato era quello di far celebrare un rito cattolico con dignità e così non è stato".
    Il sindaco di Albano. Nel primo pomeriggio il sindaco di Albano, Nicola Marini, appena saputo dell'intenzione di far celebrare nel suo Comune i funerali, si è detto "sconcertato e allibito per la scelta" e ha immediatamente emesso un'ordinanza che vietava il passaggio del feretro. Il prefetto di Roma, però, l'ha revocata. E, mentre il feretro è stato accolto tra grida e proteste, la gente ha continuato ad accalcarsi fuori dai cancelli per contestare la presenza del corpo del nazista. Fino a tarda sera Marini è rimasto in mezzo alla folla in strada.

    I lefebvriani e la messa in latino. "Ad Albano è prevista una cerimonia religiosa con messa in latino a porte chiuse per amici intimi e familiari", aveva annunciato nel primo pomeriggio il legale di Erich Priebke, lasciando l'ospedale 'Gemelli', dove da venerdì era custodita la salma del capitano delle Ss poi caricata sul carro funebre. Il 'corteo', scortato da diverse auto delle forze dell'ordine, si è diretto verso il comune dei Castelli romani, dove intanto una folla si radunava davanti all'istituto San Pio X con un grande striscione di protesta: "Qui non ci deve venire". 

    A celebrare il rito funebre nella cappella del Sacro Cuore di Gesù ad Albano Laziale era previsto don Pierpaolo Petrucci, superiore dei lefebvriani di San Pio X. Che si aspettava polemiche per la decisione presa, ''ma per noi - ha detto - non c'è nessun risvolto. E' una celebrazione religiosa per un cristiano. Funerali, benedizione della salma tutto in forma privata. Basta". Nelle stesse ore, un altro lefebvriano, don Floriano Abrahamowicz dichiarava a una radio che "Priebke era un amico e lo considero un cristiano cattolico, un soldato fedele, unico caso di innocente dietro le sbarre. E non era nazista ma semplicemente un poliziotto della sua epoca". Abrahamowicz  ha anche annunciato che sabato terrà una messa in sua memoria a Treviso.



    pc 16 ottobre - 100 TASSE E OLTRE... SULLE SPALLE DI LAVORATORI E MASSE POPOLARI

    Mentre il governo Letta si prepara alle chiacchiere sulla nuova "manovrina" che significherà altri sacrifici da uno studio della Cgia di Mestre si vede chiaramente chi paga già davvero per tutto. Le tasse più "pesanti" sono Irpef e Iva

    La prima garantisce un gettito nelle casse dello Stato che sfiora i 164 miliardi di euro all’anno, la seconda poco più di 93 miliardi di euro. Messe assieme queste due imposte incidono per oltre il 54 per cento sul totale delle entrate tributarie. 

    A gravare maggiormente sui bilanci delle aziende, [che "pagano" le tasse con il sudore dei lavoratori, che evadono costantemente ecc. ecc.] invece, sono l’Irap (Imposta regionale sulle attività produttive), che assicura 33,2 miliardi di gettito all’anno, e l’Ires (Imposta sul reddito delle società), che consente all'erario di incassare 32,9 miliardi di euro. 

    "Quest'anno – sottolinea Giuseppe Bortolussi segretario della CGIA – ciascun italiano pagherà mediamente 11.800 euro di imposte, tasse e contributi previdenziali. E in questo conto sono compresi tutti i cittadini, anche i bambini e gli ultra centenari. Tuttavia, il dato disarmante è che gli italiani non usufruiscono di servizi adeguati. Molto spesso, nel momento del bisogno, il cittadino è costretto a rivolgersi al privato, anziché utilizzare il servizio pubblico".

    "Questa situazione - ha aggiunto Bortolussi - si traduce in un concetto molto semplice: spesso siamo costretti a pagare due volte lo stesso servizio. Gli esempi che si possono fare sono moltissimi: succede se dobbiamo inviare un pacco, se abbiamo bisogno di un esame medico o di una visita specialistica, di spostarci, ma anche nel momento in cui vogliamo che la giustizia faccia il suo corso in tempi ragionevoli con quelli richiesti da una società moderna".
    ECCO L'ELENCO COMPLETO DELLE CENTO TASSE

    1 Addizionale comunale sui diritti d'imbarco di passeggeri sulle aeromobili 
    2 Addizionale comunale sull'Irpef 
    3 Addizionale erariale tassa automobilistica per auto di potenza sup 185 kw 
    4 Addizionale IRES imprese settore energetico 
    5 Addizionale provinciale all'accisa su energia elettrica 
    6 Addizionale regionale all'accisa sul gas naturale 
    7 Addizionale regionale sull'Irpef 
    8 Bollo auto 
    9 Canoni su telecomunicazioni e Rai Tv 
    10 Cedolare secca sugli affitti 

    11 Concessioni governative 
    12 Contributi concessioni edilizie 
    13 Contributi consortili 
    14 Contributo al SSN sui premi RC auto 
    15 Contributo di perequazione pensioni elevate (1) 
    16 Contributo solidarietà sui redditi elevati (2) 
    17 Contributo unificato di iscrizione a ruolo (3) 
    18 Contributo unificato processo tributario 
    19 Diritti catastali 
    20 Diritti delle Camere di commercio 

    21 Diritti di magazzinaggio 
    22 Diritti erariali su pubblici spettacoli 
    23 Diritti per contrassegni apposti alle merci 
    24 Imposta catastale 
    25 Imposta di bollo 
    26 Imposta di bollo sui capitali all'estero 
    27 Imposta di bollo sulla secretazione dei capitali scudati 
    28 Imposta di registro e sostitutiva 
    29 Imposta di scopo 
    30 Imposta di soggiorno 

    31 Imposta erariale sui aeromobili privati 
    32 Imposta erariale sui voli passeggeri aerotaxi 
    33 Imposta ipotecaria 
    34 Imposta municipale propria (Imu) 
    35 Imposta per l'adeguamento dei principi contabili (Ias) 
    36 Imposta plusvalenze cessioni azioni (capital gain) 
    37 Imposta provinciale di trascrizione 
    38 Imposta regionale sulla benzina per autotrazione 
    39 Imposta regionale sulle attività produttive (Irap) 
    40 Imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili 

    41 Imposta sulla sigaretta elettronica (4) 
    42 Imposta sostitutiva contribuenti minimi e regime vantaggio 
    43 Imposta sostitutiva sui premi e vincite 
    44 Imposta su consumi carbone 
    45 Imposta su immobili all'estero 
    46 Imposta sugli oli minerali e derivati 
    47 Imposta sugli spiriti 
    48 Imposta sui gas incondensabili 
    49 Imposta sui giuochi, abilità e concorsi pronostici 
    50 Imposta sui tabacchi 

    51 Imposta sul gas metano 
    52 Imposta sul gioco del Totocalcio e dell' Enalotto 
    53 Imposta sul gioco Totip e sulle scommesse Unire 
    54 Imposta sul lotto e le lotterie 
    55 Imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef) 
    56 Imposta sul valore aggiunto (Iva) 
    57 Imposta sulla birra 
    58 Imposta sulle assicurazioni 
    59 Imposta sulle assicurazioni Rc auto 
    60 Imposta sulle concessioni statali dei beni del demanio e patrimonio indisponibile 

    61 Imposta sulle patenti 
    62 Imposta sulle riserve matematiche di assicurazione 
    63 Imposta sulle transazioni finanziarie (Tobin Tax) 
    64 Imposta sull'energia elettrica 
    65 Imposte giochi abilità e concorsi pronostici 
    66 Imposte comunali sulla pubblicità e sulle affissioni 
    67 Imposte sostitutive su risparmio gestito 
    68 Imposte su assicurazione vita e previdenza complementare 
    69 Imposte sul reddito delle società (Ires) 
    70 Imposte sulle successioni e donazioni 

    71 Maggiorazione IRES Società di comodo 
    72 Maggiorazione TARES 
    73 Nuova imposta sostitutiva rivalutazione beni aziendali 
    74 Proventi dei Casinò 
    75 Ritenuta acconto (Tfr) 
    76 Ritenute sugli interessi e su altri redditi da capitale 
    77 Ritenute sugli utili distribuiti dalle società 
    78 Sovraimposta di confine su gas incondensabili (5) 
    79 Sovraimposta di confine su gas metano (6) 
    80 Sovraimposta di confine sugli spiriti 

    81 Sovraimposta di confine sui fiammiferi 
    82 Sovraimposta di confine sui sacchetti di plastica non biodegradabili
    83 Sovraimposta di confine sulla birra 
    84 Sovrimposta di confine sugli oli minerali 
    85 Tassa annuale sulla numerazione e bollatura di libri e registri contabili 
    86 Tassa annuale unità da diporto 
    87 Tassa di ancoraggio nei porti, rade o spiagge dello Stato 
    88 Tassa emissione di anidride solforosa e di ossidi di azoto 
    89 Tassa occupazione di spazi e aree pubbliche TOSAP (comunale) 

    90 Tassa portuale sulle merci imbarcate e sbarcate nei porti, rade o spiagge dello Stato
    91 Tassa regionale di abilitazione all'esercizio professionale 
    92 Tassa regionale di occupazione di spazi e aree pubbliche regionali 
    93 Tassa regionale per il diritto allo studio universitario 
    94 Tassa smaltimento rifiuti (TIA, TARSU, TARES) 
    95 Tassa sulle concessioni regionali 
    96 Tassazione addizionale stock option settore finanziario 
    97 Tasse e contributi universitari 
    98 Tasse scolastiche (iscrizione, frequenza, tassa esame, tassa diploma) 
    99 Tributo provinciale per la tutela ambientale 
    100 Tributo speciale discarica 

    (Elaborazione Ufficio studi CGIA)