sabato 25 maggio 2013

pc 25 maggio - Ilva - si dimettono gli amministratori delegati - la crisi si approfondisce - serve analisi e linea di classe per fronteggiarla !

piena conferma dell'analisi e proposte di proletari comunisti e slai cobas per il sindacato di classe !
info slaicobasta@gmail.com tele. 347-5301704
Il cda dell'Ilva si è dimesso. La decisione dopo circa tre ore di riunione convocata nella sede di Milano di viale Certosa dopo il maxi sequestro da 8,1 miliardi disposto ieri dalla procura di Taranto. Intorno alle 13.15 è uscita dalla sede una vettura con a bordo gli avvocati De Luca e Lombardi che hanno confermato la fine della riunione.
"È gente intelligente e capace che cerca di mantenere la serenità anche in questi momenti difficili", ha dichiarato De Luca che ha rimandato a un comunicato le decisioni assunte dal board.
Poco prima delle 13 si è allontanata anche la vettura con a bordo il medico che era stato chiamato in mattinata e che non ha voluto rilasciare alcuna dichiarazione. 
Ecco il testo del comunicato stampa diffuso dopo la riunione: "Il Consiglio di amministrazione di ILVA ha esaminato oggi il provvedimento del GIP di Taranto del 22 maggio corrente e ha dato mandato ai propri legali di impugnarlo nelle sedi competenti
L'ordinanza dell'Autorità giudiziaria colpisce i beni di pertinenza di RIVA FIRE e in via residuale gli immobili di ILVA che non siano strettamente indispensabili all'esercizio dell'attività produttiva nello stabilimento di negativi per ILVA, i cui beni sono tutti strettamente indispensabili all'attività industriale e per questo tutelati dalla legge n.231 del 2012, dichiarata legittima dalla Corte Costituzionale". "

Vista la gravità della situazione - prosegue la nota - e incidendo il provvedimento di sequestro anche sulla partecipazione di controllo di Ilva detenuta da Riva Fire, i Consiglieri, Bruno Ferrante, Enrico Bondi e Giuseppe De Iure hanno presentato le dimissioni dalle rispettive cariche con effetto dalla data dell'Assemblea dei Soci, che il Consiglio ha convocato per il giorno 5 giugno ore 9, ponendo all'ordine del giorno la nomina del nuovo Consiglio di Amministrazione".

pc 25 maggio - non si ferma la rivolta di Stoccolma .. nei paesi imperialisti la rivolta è brodo di cultura della guerra popolare !



Sesta notte consecutiva di proteste violente a Stoccolma nella rivolta contro la polizia, con protagonisti soprattutto gli immigrati. Stavolta sono state bruciate solo un paio di auto e alcuni cassonetti e la situazione nella capitale svedese sembra tornare gradualmente sotto controllo dopo l'arrivo di agenti di rinforzo da Malmoe e Goteborg.
Intanto si registrano però i primi incidenti  nel resto del Paese. A Orebro, nella Svezia centrale, 25 giovani incappucciati hanno dato fuoco a tre auto e a una scuola e hanno tentato di dare alle fiamme un commissariato di polizia. Un vecchio edificio è stato dato ale fiamme a Sodertalje, una cittadina non lontana da Stoccolma.

pc 25 maggio - ILVA, POSIZIONE DI PROLETARI COMUNISTI E SLAI COBAS PER IL SINDACATO DI CLASSE

Nè delega alla magistratura, nè andare dietro agli ipocriti/complici dirigenti di Fim, Fiom, Uilm, nè farsi usare dall'aziendalismo. 

Gli operai devono lottare autonomamente e autorganizzati contro Riva, il governo, lo Stato dei padroni, perchè solo con questa lotta si deve difendere lavoro e salute. 

Ma occorre anche di più.

Da tempo lo Slai cobas per il sindacato di classe Ilva aveva posto la necessità del sequestro-requisizione dei fondi di Riva per avviare una vera messa a norma dello stabilimento che salvaguardi salute, sicurezza e lavoro; questo era diventato ancora più urgente a fronte delle ultime operazioni per scorporare l'Ilva dal resto del gruppo Riva e quindi per mettere al riparo le "casse" della famiglia Riva.

 

Questo provvedimento della Procura è quindi un atto dovuto, a cui deve però seguire un altro provvedimento che destini immediatamente questi miliardi al risanamento dell'Ilva e alla tutela dei posti di lavoro e del salario di tutti gli operai dell'Ilva e dell'indotto, facendo degli stessi operai i protagonisti del risanamento, con la cessazione dei contratti di solidarietà e il rientro di tutti in fabbrica ad orario pieno.

 

Su questo gli operai non devono e non possono delegare. Solo la loro lotta dura, prolungata, in unità con quella che deve riprendere della popolazione di Taranto, può farli tornare nel senso giusto sulla scena locale e nazionale e pesare realmente sui passi successivi. 

 

Non possiamo fidarci di ciò che dice il Proc. Sebastio sul fatto che questo sequestro non toccherà il siderurgico di Taranto e non ha effetti sulla continuità della produzione. Non perchè Sebastio sia falso, ma perchè nel sistema capitalista - e anche le stesse operazioni truffe dei Riva lo stanno ampiamente dimostrando - non sono così separabili le varie società di un gruppo, nè l'attività industriale dall'attività finanziaria dei padroni; anzi nella fase attuale di colpi di coda del sistema capitalista, che ha fatto già il suo tempo storico ma resiste con ferocia, e di crisi del capitalismo, sono più che mai le operazioni finanziarie che dirigono e condizionano l'attività produttiva.

 

Ma su questo è inutile farsi prendere dall'allarmismo, dalla paura - questo fa solo il gioco dei capi e sindacati aziendalisti - o fare furia francese e ritirata spagnola. Occorre capire e non andare dietro ai sindacati confederali o a chi spara di più.

 

Sicuramente non possiamo fidarci delle fesserie che stanno dicendo i vari Stefanelli, Talò, Panarelli. Questi prima di tutto sono sporchi ipocriti che dovrebbero, insieme ai segretari che li hanno preceduti, stare anche loro sul banco degli imputati: per complicità nella politica di Riva in tutti questi anni, per "associazione a delinquere con Riva", come complici ora attivi, ora silenti, dei disastri ambientali, dell'attacco alla salute degli operai, degli infortuni e morti in fabbrica, dei profitti nascosti mentre accettavano cassintegrazione, fino all'ultimo contratto di solidarietà.

Ora fanno gli ipocriti, i "sorpresi", quando non potevano non sapere (e se qualcuno veramente non sapeva vuol dire che non può chiamarsi neanche sindacato).

E lo stupido Donato Stefanelli arriva - proprio ora che vengono scoperti i miliardi nascosti di Riva! - addirittura a chiedere che il governo, lo Stato devono fare un prestito ai Riva..." (!); e a dire che il contratto di solidarietà è "la garanzia per i lavoratori, una stampella per uno, due anni (come dire: poi si chiude...), l'unica luce in questo buio tunnel occupazionale..." - Ma Stefanelli ci fa o è veramente...?

Mentre Talò non sa dire altro che "rimane solo di affidarci al governo" (come affidarci a Gesù Cristo), quel governo che ha fatto il decreto "salva-Riva" e che ora sta permettendo all'azienda anche di disattendere bellamente la stessa legge Aia.

 

L'unica garanzia sta nella lotta di classe degli operai, nel fatto che essa diventi, per tutte le controparti, un'emergenza sociale reale e un problema di "ordine pubblico", a cui non si può non rispondere. Occorre una lotta prolungata ma determinata, che vada a fondo per strappare dei reali risultati sul fronte della salute e del lavoro.

Ma occorre anche che questa lotta si trasformi in lotta politica contro l'intero sistema dei padroni, per cambiare realmente questo sistema sociale in cui ti negano sia il lavoro che la salute, in cui al massimo puoi strappare dei piccoli risultati che possono poi sempre toglierti, perchè solo il potere in mano agli operai che producono tutta la ricchezza sociale e non hanno niente, può realmente porre fine allo sfruttamento e al profitto dei padroni sulla pelle degli operai e delle masse popolari.

 


LA POSIZIONE E LE PROPOSTE DELLO SLAI COBAS ILVA

A fronte degli ultimi provvedimenti della Magistratura che mettono obiettivamente fuori gioco la famiglia Riva da potere legittimamente continuare a gestire lo Stabilimento Ilva;
a fronte dell'esistenza del punto 6 dell'art. 3 del decreto n. 207/12 – da noi considerato comunque un decreto volto alla salvezza di Riva e tuttora inadeguato a mettere a norma lo stabilimento – e che recita: “Il Garante... (segnala) al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro dell'ambiente e
della tutela del territorio e del mare e al Ministro della salute eventuali criticita' riscontrate nell'attuazione della predetta autorizzazione e proponendo le idonee misure, ivi compresa
l'eventuale adozione di provvedimenti di amministrazione straordinaria anche in considerazione degli articoli 41 e 43 della Costituzione”,

lo Slai cobas Ilva ritiene che questo punto possa essere immediatamente attuato.

Ma chiediamo al governo e allo Stato:

- Come e con chi assumete la gestione diretta del piano Aia e del conseguente piano industriale?
- Quali fondi, in entità e durata, siete disposti a mettere per il raggiungimento dell'obiettivo di messa a norma e salvaguardia dello stabilimento?
- Siete disposti a garantire da subito la tutela del salario e di tutti i posti di lavoro dell'Ilva e dell'indotto?

Lo Slai cobas Ilva non ne fa un problema di “forma della proprietà” quanto di effettiva tutela del lavoro e del reddito dei lavoratori, di reale messa a norma dello stabilimento, di piano di bonifica e di risarcimento dei cittadini a partire dai quartieri più colpiti.
Tenendo conto che a nostro giudizio va assolutamente scongiurata la soluzione “Bagnoli” e che senza effettivi investimenti di riconversione industriale non sarà possibile evitare desertificazione, disoccupazione di massa, continuità del degrado territoriale, sanitario e ambientale della città.

Data la situazione dei padroni dell'azienda, anche il suo management attuale non può essere considerato un interlocutore riconosciuto.

Data la messa sotto inchiesta di parte consistente del sistema politico degli Enti locali, che perseguito fino in fondo; dato che i sindacati confederali sono corresponsabili del passato e del punto a cui si è arrivati,
lo Slai cobas pretende:
- un azzeramento dell'attuale Tavolo istituzionale;
- l'immediato decadimento delle attuali rappresentanze aziendali, sia Rsu che Rls;
- l'affermazione netta e chiara che solo le assemblee dei lavoratori hanno potere decisionale e che la rappresentanza sindacale deve essere espressa dalle assemblee e deve avere un rigido vincolo di mandato nel rispettare interessi e volontà dei lavoratori.

Lo Slai cobas, di conseguenza, è perchè si arrivi per il sostegno della salute e del lavoro allo sciopero generale della fabbrica, estendibile a tutta la città, fino al raggiungimento degli obiettivi.

TA. 25.5.2013

SLAI COBAS per il sindacato di classe ILVA
slaicobasta@gmail.com – 3475301704

Rappresentanti Ilva:
Andrea Bianco 3397144555 - Piero Fricelli 3921497896 – Lorenzo Semeraro 3282182791

 


pc 25 maggio - Palermo - contro le "nuove" politiche lacrime e sangue sulla pelle di lavoratori e masse popolari... anche gli ex pip riscendono in piazza contro Crocetta e la regione


Salta l'incontro con Crocetta
guerriglia degli ex Pip in centro




pc 25 maggio - Giappone .. gli operai netturbini condannati a morire di Fukushima

Sono costretti a lavorare – come denunciano sul Guardian – in condizioni estreme,  soffocando tra le maschere di protezione, stressati e con basse retribuzioni (800 yen all’ora -sei euro circa), molto meno rispetto ai 1.500 guadagnati in un’ora dai braccianti giapponesi. Con la minaccia delle radiazioni invisibili: ”Non hanno colore né odore, se si lavora in questo ambiente per un po’ ci si abitua e non hai più paura”, ha ammesso Hiroshige Kobayashi, un capo ufficio di 45 anni. “Per questo ricordiamo sempre che esiste una seria minaccia per la salute”. Secondo quanto ha spiegato il ministero della Sanità, almeno 63 lavoratori del Fukushima Daiichi hanno lavorato, nell’ultimo mese, sottoposti a livelli di radiazione sopra la media consentita. Così come 146 lavoratori della Tepco e 21 lavoratori a contratto, secondo i dati registrati fino a dicembre: anche loro avevano superato i livelli massimi d’esposizione consentita.

Gli eroi netturbini condannati a morte di Fukushima
di Maghdi Abo Abia - La Tepco pesca tra gli strati più poveri lavoratori che puliscono l'impianto assorbendo radiazioni

Le Monde ci racconta la storia di tremila “netturbini” addetti alla pulizia delle rovine della centrale nucleare di Fukushima ma, a due anni dal violento terremoto che ha spazzato al costa est del Giappone, non si esauriscono le critiche relative all’impiego di questi uomini.

LA DENUNCIA - Lo scorso 22 aprile il giornale Asia-Pacific ha pubblicato un pezzo firmato da Sumi Hasegawa, ricercatore all’università McGill di Montreal, in Canada, che ha messo in evidenza i rischi nucleari a cui vanno incontro i lavoratori. La lettera aperta è stata indirizzata anche al primo ministro ed ai dirigenti Tepco, proprietaria dell’impianto. Durante le ultime analisi sono stati rilevati livelli di radioattività molto alti. Gli operai possono assorbire in tre mesi qualcosa come 50 mSv -millisievert-. Qualcuno di loro è riuscito ad accumulare anche 100 mSv, un valore che in Francia può essere raggiunto solo sommando per cinque anni consecutivi la massima esposizione radioattiva prevista per legge.

GLI STIPENDI RIDOTTI - Il mensile locale Sekai ha aggiunto che alcuni di questi lavoratori hanno subito delle pressioni che hanno costretto loro a non parlare di cose diverse dagli argomenti standard. Nonostante i tentativi di mascherare la situazione, questa appare decisamente allarmante. La metà dei dipendenti non è regolare visto che lo stipendio viene pagato loro da un’altra azienda e quindi non dalla Tepco, la quale così non è responsabile delle eventuali conseguenze sanitarie e di eventuali problemi nel tenore degli emolumenti. E se il lavoro è aumentato, il salario è diminuito. Per cercare di ammortizzare le conseguenze del disastro l’azienda ha ridotto del 20 per cento lo stipendio dei lavoratori cancellando i premi. Ad oggi il 5 per cento degli impiegati guadagna poco meno di 6 euro l’ora -837 yen-.
LAVORATORI INVISIBILI - Il punto è che dal 2011 in poi sono aumentate le truffe ai danni dei lavoratori. Una piccola azienda subappaltante di General Electric ed Hitachi ha usato un timbro falso necessario per falsificare i libretti medici dei dipendenti. Tepco invece va a pescare tra lo strato di popolazione più basso sia per cultura sia per conoscenza dei propri diritti, sopratutto grazie ad agenzie interinali. Costoro sono dei precari dall’età compresa tra i 15 ed i 34 anni pagati per lavori che necessitano di poche competenze e che generalmente sono mal pagati. Alcuni di loro lavorano a giornata, altri direttamente a cottimo. Gli annunci sono generalmente fumosi e non spiegano che la mansione è quella di “pulire” l’impianto. Si parla solo del luogo di lavoro, dell’orario, della paga e stop. E quel che è peggio è che queste persone sono “dimenticate” sia dal governo sia dal principale sindacato del Paese, Rengo. (Photocredit Lapresse)

venerdì 24 maggio 2013

pc 24 maggio - Bertinotti, anticomunista in servizio permanente effettivo, elogia Grillo




Giovedì, 23 Maggio 2013



ROMA - Fausto Bertinotti dopo una prolungata assenza torna sui temi della politica: "La Sinistra è scomparsa, si è suicidata in un sistema politico istituzionale che è da buttare. Ha ragione il Movimento cinque stelle". Cos l'ex leader di Rifondazione Comunista in un'intervista rilasciata all'agenzia Dire.

"La crisi della sinistra è drammatica", precisa Bertinotti. "Vanno usati i termini propri. Si potrebbe parlare di una scomparsa della sinistra in Italia e di una crisi devastante in Europa. La sinistra per come l'abbiamo conosciuta e riconosciuta è arrivata alla fine di un ciclo. Tanto che oggi quella che c'è nelle istituzioni è parte di questa costruzione oligarchica della nuova Europa, cioè priva di qualsiasi connotato che la qualifichi come una forza di trasformazione e di cambiamento, di critica al capitalismo finanziario globalizzato e alla nuova costituente che il capitalismo finanziario globale sta realizzando in Europa. Lo si vede dall'accettazione del fiscal compact, piuttosto che dalla parità di bilancio, che sono i grandi dogmi liberali. In sintesi la sinistra è diventata liberale e quindi si è suicidata. Il problema allora non è quello della sua riforma ma della sua rinascita".
Parole che lasciano riflettere, visto che Bertinotti  nel 2006, all'epoca della vittoria del governo Prodi, guidava un partito che aveva raggiunto un consenso elettorale considerevole. Verrebbe da dire, chi è senza peccato scagli la prima pietra.


"La rinascita - ancora Bertinotti -  non può avvenire da dentro le forze organizzate. Quelle sono ormai improduttive. È finita la spinta propulsiva delle forze organizzate della sinistra. Le forze nascenti sono invece quelle che vivono nella società, le forze del conflitto, della rivolta, della lotta, della protesta, della resistenza. Queste forze, dalla manifestazione della Fiom, alla No Tav alla costituente per i beni comuni, alle mille forme di occupazione di case, questa costituente informale, è ciò da cui può rinascere la sinistra".

Infine Bertinotti alla domanda se il M5S è interno alla sinistra, risponde che  "per sua definizione non lo è. Io sto a ciò che ognuno dice di sè. E il Movimento dice ragionevolmente di non essere nè di destra, nè di sinistra. Certo ha guadagnato un consenso, perchè ha visto ciò che la sinistra classica non ha visto. Cioè che questo sistema politico istituzionale è da buttare".
Ma forse non lo era da buttare anche prima? Ad esempio durante l'epoca della Sinistra Europea, da lui stesso capitanata? E successivamente con la sinistra Arcobaleno? Insomma, troppo facile ora lanciare la colpa sugli altri, considerando che Bertinotti è stato uno dei protagonisti centrali della cosiddetta sinistra antagonista. Chissà, forse il volgere lo sguardo verso Grillo è l'anticipazione di una nuova discesa in campo? Nessuno può dirlo. Di certo il Bertinotti di oggi sembra preferire i sontuosi matrimoni che le piazze della gente.



pc 24 maggio - la nuova rivolta giovanile a Stoccolma ripropone alle forze comuniste e rivoluzionarie il dibattito di quale linea e quale progetto per la rivoluzione nei paesi imperialisti

breve in spagnolo facilmente comprensibile

SUECIA: Discriminación y racismo detras de la revuelta juvenil.




correovermello-noticias
Stockholm, 23.05.13
Continuan por tercer dia consecutivo enfrentamientos entre jovenes manifestantes y fuerzas represivas. Se reportan graves incidentes e varios distritos perifericos de la capital sueca.
Los manifestantes también atacaron la comisaría del distrito de Jakobsberg, que quedó prácticamente destrozada, y un centro comercial. 
Los incidentes comenzaron la noche del domingo en el distrito de Husby, al oeste de Estocolmo, donde tres días antes un inmigrante afectado de sus capacidades mentales murió por disparos de la policía en su departamento.
De acuerdo el reporte de la policía, el hombre habría encerrado contra su voluntad a su compañera, a quien amenazó de muerte con una hacha, por lo que los vecinos pidieron ayuda a unos agentes de la policía, quienes aseguraron haber disparado en defensa propia.
Pese que las autoridades se comprometieron a investigar a profundidad el incidente, jóvenes inmigrantes llamaron a su comunidad a manifestarse en contra del "asesinato" y en defensa de sus garantías individuales, desatándose los enfrentamientos y disturbios posteriores.
Al menos 160 automóviles fueron incendiados en Husby.
El reporte de The Local destaca que las manifestaciones están relacionadas con los malos tratos de la policía contra los inmigrantes, ya que al dirigirse a ellos suelen insultarlos y llamarlos como "negros", "ratas" o "monos", incluidos niños, mujeres y ancianos.
"Hay frustración en Husby y corre el riesgo de que la espiral de violencia se salga control. La gente quiere soluciones a largo plazo para los problemas sociales en lugar de una presencia mayor de la policía", subrayó.

Documento relazione del PCm Italia al meeting di parigi dopo la rivolta nelle banlieu parigine del 2005

Dalla rivolta delle banlieue alla rivoluzione proletaria

25 mila poliziotti schierati nelle banlieue la notte del 31 dicembre 05 a difesa dell’ordine e della sicurezza contro la possibile ripresa della rivolta, hanno offerto l’immagine eloquente di quello che la rivolta ha costituito per la Francia e per i paesi imperialisti in generale. L’ostentata dimostrazione di forza dello Stato francese è risultata paradossalmente una smaccata dimostrazione di debolezza, la borghesia francese e il suo Stato non erano in grado di garantire più un capodanno normale ai 500mila che affollavano gli Champ Elisees se non al prezzo di uno Stato di militarizzazione simile ad uno Stato di guerra.
In tutti i paesi imperialisti, anche quelli solo sfiorati dal contagio francese in questa occasione – Belgio, Germania, Olanda, Danimarca, Spagna, Grecia, Inghilterra, Svizzera, Svezia – la paura della borghesia è stata tanta che le misure prese dai governi, dal punto di vista del dispiegamento di forze dello Stato, sono state come se la rivolta ci fosse stata effettivamente.
Anche la contabilità delle macchine bruciate è suonata abbastanza grottesca: prima si è detto che erano la testimonianza di semplice vandalismo e teppismo che caratterizzerebbe la ‘feccia’ delle banlieue, senza coscienza politica, senza obiettivi, in ultima analisi senza ragione, poi però si è dispiegata l’intera forza della polizia, se ne è valutata l’efficacia militare, politica e si è valutato il grado di tenuta del sistema politico istituzionale contando le macchine bruciate, dando ad esse una sorta di vittoria postuma (i commenti del giorno dopo capodanno hanno, infatti parlato di “pericolo scampato” contando il numero relativamente basso di macchine bruciate, anche se erano 100 in più del precedente capodanno).
Parafrasando Marx si potrebbe dire che quando ogni fruscio e fermento sociale, ogni manifestazione anomala, ogni singolo episodio viene percepito dalla borghesia come un pericolo, allora effettivamente ogni singolo episodio diventa un pericolo.
Alla paura della borghesia ha corrisposto l’orgoglio e la forza della gioventù proletaria ribelle. Dichiarava Muhittin, il giovane sopravvissuto alla tragica notte del 27 ottobre, dove hanno perso la vita, fulminati, Bouna e Zyaed “Adesso i miei amici pensano che io sia un eroe, che sia diventato un capo. Ma io sono solo un ragazzo”, mentre parlava della ‘notte di S. Silvestro’ in questi termini “Certo, conosco gente che si prepara a far la festa ai poliziotti”.
Come si può pensare che 25mila sbirri possono cancellare e soffocare tutto questo ODIO? Negli infami tribunali della borghesia, quello di Bobigny in particolare, si sono subito processati e condannati decine e decine di giovani protagonisti della rivolta – sono stati migliaia i condannati degli oltre 5mila arrestati e oltre il doppio incriminati e perseguitati.
La logica di questi tribunali è stata da “tribunali di guerra” in cui non si sono neanche cercate ‘prove certe’, ma si sono assunti i rapporti di polizia come ‘prova’.
Ma anche qui lo Stato benché ha fatto la faccia feroce si è trovato davanti non certo la paura, non certo i pentimenti dei giovani. I processi sono somigliati a tutti i processi che seguono le rivolte e le ribellioni di massa, impregnati di terrore e di vendetta, con riti che vorrebbero essere della legge ma che risultano essere una sorta di “esorcismo”.
Dalla Comune di Parigi alla Francia di oggi queste pagine tendono sempre a rinverdire la memoria storica, La borghesia vorrebbe la ‘pace dei cimiteri’ per seppellire le istanze di ribellione e trasformazione sociale. Ma Parigi non è adatta a questo, perfino il Cimitero di Pere Lachaise, con i suoi morti della Comune, con le tante tombe di comunisti e di combattenti/partigiani della liberazione, è memoria di rivoluzione che alimenta la rivoluzione.
La verità è che a Parigi e in Francia è comparso un nuovo spettro che comincia ad aggirarsi in tutte le metropoli europee e a turbare i sonni e la sicurezza dei borghesi: la gioventù proletaria. La nuova gioventù proletaria, figlia di proletari, in quartieri proletari, si è ribellata. Non era la prima volta, e la rabbia e l’odio erano e sono permanenti e latenti, ma questa volta si è ribellata ovunque, in tutte le banlieue parigine e in tutte le città francesi ove vi sono le medesime condizioni e perfino dove non si è ribellata si è riconosciuta nella rivolta, e ha reso la ribellione più forte ed incisiva, mettendo a nudo di fronte agli occhi di tutta la Francia e di tutti i paesi imperialisti europei, la natura di classe di essa. Ogni argomento usato per spiegare e a volte giustificare la rivolta da governanti, politici, intellettuali, non ha fatto che illuminarne il suo carattere globale; e più giornalisti impegnati, sociologi da strapazzo, esponenti della ‘sinistra di palazzo’ si sono arrampicati scioccati sugli specchi per darsi la “vera spiegazione” e più ogni spiegazione è servita a dare una ragione in più e a far venir fuori più evidente che mai il carattere generale della società di classe contro cui si è sviluppata la rivolta che in ciascuna delle “vere spiegazioni” si voleva occultare.
La rivolta è della gioventù proletaria francese, dei suoi settori più precari nei quartieri operai, di tradizione operaia, di composizione operaia, in cui le fabbriche in alcuni casi sono fuse col quartiere. Ad Aulnay Sous-Bois, cuore della rivolta, c’è la Citroen con 7 mila operai. Insomma, pensando a questo quartiere, si potrebbe dire che non sono le macchine bruciate il problema della borghesia, ma i proletari che le costruiscono e i loro figli.
Giustamente si è parlato dei figli del proletariato. Se ne è parlato molto a sproposito per segnalare che il proletariato adulto sarebbe contrario alla rivolta, sarebbe dalla parte del sistema, integrato in esso, ma si è trattato di una falsificazione e mistificazione. I giovani proletari hanno espresso in forma radicale gli interessi della loro classe e si sono ribellati allo stato di passività imposto dal dominio della classe dominante, di tutte le sue articolazioni, di tutti i suoi alleati – l’aristocrazia operaia rappresentata da partiti e sindacati, la piccola borghesia intellettuale benestante o ‘bottegaia’ e proprietaria.
Si è cercato poi di presentare la ribellione dei giovani delle banlieue come fenomeno particolare e non lo si vede legata al più generale ingresso della nuova generazione nella scena politica mondiale all’interno dei paesi imperialisti, come ha evidenziato pochi mesi dopo il movimento degli studenti contro il CPE, ma come aveva già evidenziato il movimento contro la globalizzazione imperialista, da Seattle a Genova. E’ proprio la natura dello scontro con i poliziotti a dar ragione e a rendere visibile che si tratta delle stesse istanze approfondite e rese più radicali dal carattere di classe di questa gioventù.
E’ come se i poliziotti di Genova fossero in servizio permanente nelle banlieue e qui la gioventù proletaria gli ha reso ‘pan per focaccia’, gli ha reso difficile la vita, li ha posti in scacco, gli ha bruciato i commissariati, li ha sconvolti, deviati, bruciando ora una macchina ora un edificio scolastico, li ha messi in fuga, ha smantellato un andamento da scontro tradizionale che li avrebbe visti massacrati.
Le stesse istanze antirazziste, anticolonialiste e antimperialiste – qui sì che ha pesato la matrice “algerina” – che erano oggetto già di contesa nelle banlieue, sono state raccolte dalla gioventù proletaria; solo che se queste vivono nei discorsi alati di sacerdoti no-global, SOS racisme, ecc. vanno bene, se invece queste diventano scontro violento nei quartieri ghetto delle metropoli imperialiste sono tutti pronti a definirle immotivate, senza ragione, inaccettabili. In questa maniera tutte le genie di riformisti si mostrano come forme nobili delle espressioni volgari di Sarkozy.
I giovani delle banlieue nella rivolta hanno agitato le istanze di libertà, trasformazione, socialità, riappropriazione, rifiuto del modo ordinario di vivere, vestire, pensare, che anima la gioventù di Francia, come la gioventù dei paesi imperialisti, qualunque sia il colore della pelle, il paese d’origine. La gioventù proletaria ha posto in forme radicali, ultimative, perfino simbolicamente, l’attualità della legge scientifica che senza distruzione non c’è costruzione. Fa ancora più paura alla borghesia la ribellione proletaria se è la gioventù a prendere il posto in prima fila perché mostra che non con un fuoco di paglia si deve misurare ma con una nuova possibile ondata della lotta rivoluzionaria del proletariato.
Sempre la gioventù ha anticipato il più generale movimento rivoluzionario del proletariato e delle masse.
La rivolta della gioventù proletaria nelle banlieue ha mostrato come tutti gli aspetti, tutti i fermenti che animano il movimento giovanile possono rivolgersi contro lo Stato.
La colonna sonora rap, l’organizzazione delle tifoserie, i fermenti di costume, che nelle forme abitudinarie si presentano pur sempre ambigue tra adeguamento alla società esistente e trasgressione da essa, quando si fondono con le condizioni economiche e sociali, sciolgono la loro ambiguità e i giovani le rivoltano contro il sistema del capitale, le sue leggi, la sua faccia concentrata dello Stato di polizia che vuole imporre questo sistema e queste leggi come intoccabili.
La gioventù proletaria protagonista della rivolta è senz’altro fatta di giovani immigrati e figli di immigrati e subisce sulla sua pelle questa doppia oppressione di essere nello stesso tempo proletaria e immigrata, di subire quindi la discriminazione, di essere considerata cittadino di serie B, straniera in casa propria, straniera nei luoghi in cui è nata, di “razza non bianca”, emarginata ed emarginabile in qualsiasi momento della propria esistenza.
Ma questo è il frutto del carattere imperialista del paese in cui vive, del fatto di nascere, vivere o essere giunta nei paesi in cui è concentrata la ricchezza di pochi basata sulla rapina dei molti. Le leggi del sistema imperialista e dell’attuale divisione del mondo producono giganteschi flussi di immigrati che sfuggono dalla miseria, dalla fame, dalle malattie, dalle guerre, ecc., e producono, come sempre finché imperialismo, la trasformazione di questi immigrati e dei loro figli nati nei paesi imperialisti in proletariato più sfruttato. Questo incide nella composizione e nella coscienza del proletariato che porta nella sua lotta le istanze di trasformazione delle due facce del pianeta del sistema imperialista attuale: del paese d’origine oppresso dall’imperialismo e del paese imperialista.
Nella coscienza di questo nuovo proletariato si fondono, come ricchezze e limiti, retaggi feudali dei paesi oppressi e rifiuto della putrefazione dei paesi imperialisti. Questo è un carattere di moderna diversità dei paesi imperialisti, e questa diversità può e deve trasformarsi in ricchezza perché concentra nella lotta del proletariato le aspirazioni trasformative delle due facce del pianeta.
Il proletariato giovane immigrato e figlio di immigrati con la sua rivolta “esclusiva” dà voce agli “esclusi”, agli sfruttati di tutto il sistema imperialista.
La gioventù proletaria è oggi composta essenzialmente di giovani disoccupati, di senza- lavoro, di lavoratori precari, di figli di operai, di lavoratori divenuti anch’essi disoccupati e precari. E’ chiaro quindi che non ha spesso gli stessi luoghi di aggregazione, la fabbrica, il posto di lavoro, gli stessi strumenti sindacali e politici su cui cresce la lotta e la coscienza di classe di operai e lavoratori. In Francia e in molte delle metropoli imperialiste essa è multinazionale, multirazziale, riempita com’è di giovani figli di immigrati o immigrati essi stessi, ed è concentrata in quartieri ghetto, espulsa dal centro città, dai quartieri residenziali. La rivolta ha concentrato tutti questi aspetti ed è anch’essa figlia della concentrazione di tutti questi aspetti.
Questi aspetti certo non si presentano nelle stesse forme in tutti paesi imperialisti – ad esempio in Italia dove la presenza nei quartieri dell’immigrazione è ancora bassa e gli immigrati stessi sono appena o poco più che alla prima generazione, e la seconda generazione è presente solo a ‘macchia di leopardo’ - ma i fattori di differenza vengono utilizzati dagli analisti borghesi e riformisti per isolare la rivolta della Francia, esorcizzarne il contagio e per far leva sulle differenze rispetto alla condizione delle banlieue, per considerarlo un evento episodico, “francese”, irripetibile.
Ma questo tipo di rivolta non si è presentata solo in Francia ma anche in altri paesi imperialisti, da Los Angeles a Brixton, ecc. Ma anche se fosse vero tutto ciò che viene detto, con le lenti dialettiche dell’analisi di classe, e non quelle meccaniche, scolastiche e metafisiche di tanti presunti analisti o sedicenti marxisti, è possibile guardare non a ciò che vi è di particolare ma a ciò che è generale nella rivolta della gioventù proletaria francese.
E’ o no la gioventù proletaria in tutti i paesi imperialisti, anche se non concentrata in banlieue, nella sua grandissima maggioranza, precaria, sottopagata, senza voce, ghettizzata? In Italia, non sono la gran parte delle città del sud, grandi, piccole, medie, ad essere caratterizzate da un simile tipo di gioventù? E chi l’ha detto poi che la mancanza di concentrazione non possa diventare un fattore espansivo in ogni ambito delle metropoli imperialiste delle ragioni e opportunità di ribellione della gioventù proletaria? Pur non essendo basata sul colore della pelle, sull’origine e sulla lingua, si riproducono in forme assimilabili a quelle delle banlieue francesi tutte le forme di discriminazione, emarginazione, rese acute dal contrasto sociale, tra i ricchi, al cui centro sono i padroni che hanno i loro quartieri, i loro ristoranti, i loro ambienti, i loro negozi, i loro modi di vivere, e l’universo della gioventù proletaria con gigantesche masse di irretiti ma esclusi.
Verso questa gioventù proletaria si vanno concentrando le forme di repressione, controllo, persecuzione dei moderni Stati di polizia. E in tutte le forme di aggregazione di questa gioventù, nei quartieri, sul territorio, nella fabbrica diffusa del lavoro precario, si sviluppa un universo a parte di legami, comunanza per gruppi, bande, comitive, in cui cresce, insieme alla noia e all’esclusione, la rabbia e la ribellione.
Nello stesso tempo, cosa sono e cosa stanno diventando le fabbriche di giovani operai, che certo hanno un lavoro, più soldi in tasca, che influenza il loro modo di vivere e di pensare fuori dalla fabbrica, ma che dentro la fabbrica vivono un senso di emarginazione, esclusione, repressione, controllo, sfruttamento, negazione della vita, una schiavitù salariata, una flessibilità e precarizzazione che fa maturare l’inaccettabilità di una vita eterna da sfruttati? Albergano nella gioventù operaia gli stessi sentimenti di rivolta. In fabbrica la faccia del poliziotto è quella del ‘capo’ che asfissia, insulta, minaccia, controlla, perché vuole costringere a fare tutto sull’altare del plusvalore, del profitto.
Riformisti e opportunisti, falsi comunisti non vedono la comunanza del fuoco sotto la cenere, perché sono parte del sistema del nemico oppressore e mangiano alla sua greppia, fossero anche travestiti da sindacalista o da “gente di sinistra”. Il filisteismo piccolo borghese e la sinistra di palazzo o “normativa” sono contro la ribellione della gioventù proletaria e sono dentro il sistema politico, culturale, ideologico della società dominante.
I comunisti marxisti-leninisti-maoisti, i giovani che essi organizzano sono e devono essere avanguardie coscienti e osservatori e agenti della faccia nascosta ma vera dello scontro di classe nelle metropoli imperialiste; si alimentano dello stesso odio, si fanno prima linea e attivi organizzatori, imparano con l’arma del marxismo-leninismo-maoismo e costruendo l’organizzazione proletaria d’avanguardia, la lingua del proletariato ribelle, sono con la mente e il piano, quando ancora non riescono ad esserlo con il radicamento, dentro la dinamica della rivolta che analizzano come guerra di classe, essi guardano alla spontaneità come embrione di coscienza, e con la linea di massa - che non è né può essere quella dello sviluppo di un movimento pacifico di massa, di cui si fa un’apologia disarmante - concentrano il loro lavoro nel trasformare le istanze delle masse da scontro con il potere borghese a scontro per il potere, nel fuoco della lotta di classe.
I comunisti non mitizzano le rivolte delle banlieue, ma hanno chiaro che ovunque vive, lavora la gioventù proletaria, il proletariato, oggi ci sono le condizioni della ribellione e della sua trasformazione attraverso la guerra rivoluzionaria di lunga durata in rivoluzione proletaria.
Per coloro che vogliono fare la rivoluzione nei paesi imperialisti, per i comunisti che ne dovrebbero costituire il reparto d’avanguardia la rivolta è ricca di insegnamenti e da questo bisogna partire.
Mao dice: “Essere attaccati dal nemico è un bene non un male. Dobbiamo sostenere tutto ciò che il nemico combatte e combattere tutto ciò che il nemico sostiene”. Quindi, essere dalla parte della rivolta è stata una discriminate fondamentale. Le forme con cui lo Stato e il sistema l’ha combattuta sono più che sufficienti per scegliere da che parte stare. Ma definire da che parte stare è condizione necessaria ma non sufficiente.
Mao sostiene: “Chiunque stia dalla parte del popolo rivoluzionario non solo a parole ma anche con le azioni è un autentico rivoluzionario”. Non tutto nella rivolta della gioventù proletaria va considerato giusto e corretto, non tutte le azioni militanti che si sono sviluppate negli scontri erano quelle necessarie, ma questo è stato preso a pretesto non solo da borghesi e riformisti, ma anche da gruppi di opportunisti e falsi rivoluzionari per prendere le distanze dalla rivolta. Mao dice: “I difetti del popolo vanno criticati, ma nel farlo bisogna essere sulle posizioni del popolo e la nostra critica deve partire dal desiderio ardente di proteggere ed educare”.
Opportunisti e falsi rivoluzionari non vogliono comprendere che le masse attraverso l’esperienza apprendono e sono in grado di superare difetti e limiti delle loro precedenti iniziative. Ma questo avviene con l’arma della guerra non al posto della guerra. Mao dice: “La guerra rivoluzionaria è un antitossico che non solo elimina il veleno del nemico ma libera anche noi da ogni impurità”.
Ciò che la rivolta ha riproposto nel cuore dei paesi imperialisti è appunto la necessità e attualità della violenza rivoluzionaria, la necessità e attualità della guerra rivoluzionaria.
Come dice Mao: “la rivoluzione è un’insurrezione, un atto di violenza con cui una classe ne rovescia un’altra”.
Chi prende le distanze dalla rivolta, chi lo fa attraverso mille distinguo, è a questa verità che si afferma e al suo movimento reale che si oppone.
La guerra rivoluzionaria del proletariato nasce dalla considerazione di fondo che la rivolta ha messo bene in luce che, come dice Mao, “Le loro persecuzioni contro il popolo rivoluzionario non possono che spingere ad estendere ed intensificare le rivoluzioni”.
La gioventù ribelle ha messo chiaramente in campo le affermazioni maoiste che “è giusto ribellarsi” e che “non dobbiamo per nessuna ragione farci intimorire dall’aspetto terribile dei reazionari”. Né, tantomeno, la conclusione della rivolta può essere motivo di pessimismo. “Tutti i punti di vista – dice ancora Mao - che sopravvalutano la forza del nemico e sottovalutano la forza del popolo sono errati”.
Per questo, la rivolta della gioventù proletaria pone sul tappeto migliori condizioni per la questione della costruzione del partito per la rivoluzione. E’, infatti, la questione del partito l’anello chiave che il nostro Rencontre pone nell’affermare “Dalla rivolta delle banlieue alla rivoluzione proletaria”.
Mao sostiene: “Se si vuol fare la rivoluzione ci deve essere un partito rivoluzionario.
Perché la rivolta ci pone il compito - sempre come dice Mao – di “dare a questo movimento (rivoluzionario, socialista) una guida attiva, entusiastica e sistematica”.
La scelta della costruzione del partito in funzione della guerra rivoluzionaria definisce il compito, ma anche la forma del partito necessario oggi in Francia e nei paesi imperialisti. La scelta di integrarsi nella rivolta, di legarsi alla gioventù proletaria che si è ribellata, è basata sulla piena comprensione che “la guerra rivoluzionaria è la guerra delle masse, è possibile condurla soltanto mobilitando le masse e facendo affidamento su di esse”, e che “un gruppo dirigente veramente unito e legato alle masse può formarsi gradualmente solo nel processo delle lotte di massa e non separatamente da esso”.
I comunisti e le forze rivoluzionarie in Francia, a fronte della rivolta si sono dimostrate manifestatamene inadeguate. Anche coloro che l’hanno appoggiata e condivisa hanno agito come coloro che descrive Mao: “coloro che in periodo rivoluzionario sanno solo seguire le vecchie abitudini sono assolutamente incapaci di vedere questo entusiasmo (delle masse) sono dei ciechi e tutto è nero davanti a loro. A volte arrivano a confondere il giusto con l’errato, il nero col bianco. Di persone di questo tipo non ne abbiamo forse incontrate abbastanza?... Basta che appaia qualcosa di nuovo essi subito lo disapprovano o si affrettano ad avversarlo. Più tardi devono ammettere la loro sconfitta e fanno una piccola autocritica. Ma in seguito quando appare una cosa nuova, ripercorrono l’intero processo. Questo è il loro tipico comportamento verso qualunque cosa nuova. Tali persone sono sempre passive e non avanzano mai nel momento critico. Hanno sempre bisogno di una violenta spinta prima di muovere un passo”.
La rivolta della gioventù proletaria chiama i comunisti mlm a un nuovo inizio, nell’applicazione del marxismo-leninismo-maoismo alla realtà concreta, nell’integrazione con le masse proletarie, nell’avviare la guerra rivoluzionaria. Mao insegna: “il nostro metodo principale è imparare a fare la guerra, facendola”, “una guerra rivoluzionaria è un’impresa di massa. Spesso non si tratta di imparare prima e di agire poi, ma al contrario, di agire e poi imparare, perché agire è imparare”, “Dobbiamo bandire dalle nostre fila ogni ideologia fiacca e sterile”.
La costruzione del partito e la trasformazione della rivolta in rivoluzione richiede un’integrazione e uno spirito di dura lotta nelle fila della gioventù proletaria. Occorre aiutare a fare un’analisi giusta e corretta della rivolta, a partire dall’analisi corretta della natura del nemico. Sempre Mao sostiene: “L’imperialismo e tutti i reazionari hanno una duplice natura, sono al tempo stesso tigri vere e tigri di carta. Le tigri vere divorano gli uomini, li divorano a milioni, a decine di milioni, ma alla fine si sono trasformate in tigri di carta. Valutate nella loro essenza con criterio lungimirante e da un punto di vista strategico, devono essere visti per ciò che sono, tigri di carta. Su questo si basa il nostro pensiero strategico. D’altra parte essi sono anche tigri vive, tigri di ferro, vere tigri che possono divorare gli uomini. Su questo si basa il nostro pensiero tattico”, “Disprezzare i nostri nemici dal punto di vista strategico, ma dal punto di vista tattico li dobbiamo considerare seriamente” .
Il bilancio proletario della rivolta deve legare dialetticamente due elementi segnalati da Mao: “Lottare, fallire, lottare ancora, fallire ancora, lottare ancora... fino alla vittoria.
Questa è la logica del popolo... questa è una legge marxista”, “ogni guerra giusta rivoluzionaria è dotata di una forza enorme, può trasformare molte cose o aprire la strada alla loro trasformazione”.
Occorre fare insieme alla gioventù proletaria un bilancio della rivolta che tenga conto di questo insegnamento di Mao: “nei ranghi della rivoluzione è necessario fare una chiara distinzione tra giusto ed errato, tra successi e deficienze e inoltre stabilire quale dei due sia al primo posto, quale al secondo. Nell’esaminare i problemi non dobbiamo mai dimenticare di tracciare queste due linee di demarcazione, tra rivoluzione e controrivoluzione, tra successi e deficienze. Per fare bene queste distinzioni sono necessari uno studio e un’analisi accurata”. Nella convinzione che – lo abbiamo affermato in questo Rencontre - in Francia e nei paesi imperialisti per noi comunisti è l’ora, come dice Mao di “ affrontare il mondo e sfidare la tempesta, il grande mondo e la violenta tempesta delle lotte di massa”

Replica

Quando diciamo “è giusto ribellarsi” non facciamo altro che compiere uno dei nostri compiti e lo facciamo con entusiasmo. Noi pensiamo che il partito comunista maoista si costruisca nel fuoco della lotta di classe, in stretto legame con le masse. Il maoismo non è un simbolo, una parola d’ordine vuota, ma una realtà incarnata.
Noi pensiamo che la rivolta delle banlieue dimostra che è possibile uno sviluppo rivoluzionario nei paesi imperialisti.
Questo problema non è ancora chiaro tra i comunisti marxisti-leninisti e tra i maoisti. Si pensa che diffondere le idee del comunismo sia costruire il partito comunista; si pensa che basti fare lavoro sindacale di massa per costruire il partito comunista; si pensa che mettersi alla coda dei movimenti di massa e sventolare bandiere sia costruire il partito comunista; si pensa che presentare alle elezioni ‘Liste comuniste’ sia costruire il partito comunista.
Noi pensiamo che così non si costruirà mai un partito comunista e mai un’organizzazione rivoluzionaria.
Pensano che dire ‘avanti verso la guerra popolare, sosteniamo la guerra popolare in Nepal, Perù, ecc., viva la guerra popolare’ sia il centro del problema e che il compito di sostenere la guerra popolare sia il cuore del problema.
Tutti quelli che pensano così non possono costruire il partito comunista.
Il partito comunista è il reparto d’avanguardia della classe operaia, del proletariato. Sono gli operai, i proletari che si fanno partito armandosi del marxismo-leninismo, del maoismo, terza tappa della nostra teoria rivoluzionaria e trasformano queste armi teoriche in armi pratiche.
Quando i giovani di Red Block vanno nelle banlieue vanno ad apprendere dalla rivolta ma per dire anche che ‘noi siamo la rivolta’, noi siamo dei giovani rivoluzionari che sono già organizzati per trasformare la rivolta in rivoluzione. Perché pensare di organizzare la rivoluzione nelle banlieue senza un’organizzazione giovanile rivoluzionaria, guidata dai giovani maoisti, non è possibile.
Perché la nostra organizzazione giovanile, noi che siamo maoisti, si chiama Red Block, e non, ad esempio, gioventù comunista marxista-leninista-maoista? Perché siamo eclettici? Per niente! Ma perché noi, PCm, abbiamo alzato la bandiera dell’organizzazione dei giovani dopo Genova 2001, quando la polizia, l’esercito dell’imperialismo organizzato dal governo di moderno fascismo di Berlusconi ha colpito, attaccato i giovani, ha ucciso Carlo Giuliani; ma molti giovani hanno usato la violenza per rispondere a questa violenza e sono stati tacciati di essere black block, o altro tipo di casseurs. I maoisti del nostro paese hanno detto “sì, la risposta alla violenza della polizia é giusta”; ma non sono sufficienti i black block, sono necessari i Red Block, i giovani che combattono sotto la bandiera del comunismo, ma che sono combattenti, che vogliano vendicare la morte di Carlo Giuliani. Noi vogliamo che tutti i poliziotti e quelli che hanno mandato la polizia contro i giovani paghino della stessa moneta, come devono pagare i fascisti che hanno colpito giovani compagni a Milano e in altre occasioni. Si tratta di giovani del 2001, di giovani storicamente considerati che non possono diventare maoisti attraverso la semplice diffusione delle idee del maoismo, ma giovani che scoprono il maoismo quando vedono, attraverso l’azione e l’indicazione del PCm, che il maoismo è l’altra via, l’altra faccia della possibilità della ribellione. E lì che i maoisti alzano la bandiera della guerra di classe.
Qualcuno dei compagni dice: ma la rivolta non è la guerra popolare. E chi lo ha detto che la rivolta è la guerra popolare? Che cos’é la guerra popolare è ben chiaro dai i testi del M-L-M; ma come si fa e quando comincia la guerra popolare? Il partito un giorno alza la sua bandiera e dice oggi io comincio la guerra popolare? O, invece, analizza le condizioni, analizza i settori che sono quelli più importanti per farla, analizza le classi in una società imperialista, e va a scoprire i punti deboli e i punti forti di classe; e lì traccia il proprio cammino? Una via da tracciare e da percorrere, da scoprire perché in un paese imperialista la rivoluzione non è già avvenuta. Un cammino non tracciato, che deve essere tracciato. Questa è la questione posta della rivolta.
La rivolta è la guerra di classe; dentro la guerra di classe, il lavoro nella guerra di classe, l’organizzazione della guerra di classe è la prima tappa della guerra popolare. La prima fase, la difensiva strategica, che, è chiaro, nasce come reazione ad un’azione della borghesia, ma in tutto il mondo sempre la classe reagisce all’azione, ma bisogna capire quando questa reazione è difensiva o offensiva. Mao dice: “nella guerra il ruolo principale è sostenuto in molti casi dalla difesa e per il resto dall’attacco. Tuttavia nella guerra presa nel suo insieme l’attacco ha un’importanza primaria”. E per voi, cari compagni, la rivolta delle banlieue è difensiva? Allora che cos’è questo spettro che è apparso nei paesi imperialisti europei? Perché il governo Berlusconi il giorno dopo la rivolta delle banlieue ha deciso ulteriori misure legislative repressive verso i quartieri visti come potenziali banlieue? Eppure in Italia non c’era la rivolta. Essi si sono spaventati e si sono organizzati perché hanno visto ciò che molti compagni non hanno visto, che non vogliono vedere, perché non vogliono portare avanti i propri compiti. Come dice Mao: “… I nostri compagni non devono credere che tutto ciò che essi capiscono è capito dalle larghe masse, ma soprattutto i nostri compagni non devono credere che tutto ciò che essi ancora non capiscono non sia capito dalle larghe masse”.
E questi compiti non possono limitarsi a dire: “Viva la rivolta! Viva la rivolta!”, “Adesso tocca a noi bruciare qualche macchina’. Ma bisogna studiare, analizzare le situazioni concrete, apprendere le lezioni. Avete letto i testi di Lenin sulla guerra partigiana? Bisogna leggerli! Il problema non è esaltare la rivolta ma trovare il modo per organizzarla.
Ma organizzare la rivolta non significa soltanto organizzare l’azione, ma bisogna “occuparsi del riso e del sale”, come ha detto Mao, nelle fila delle masse e della gioventù proletaria in particolare. Mao dice: “In guerra le armi sono un fattore importante ma non decisivo. Gli uomini sono il fattore decisivo, non le cose. Il rapporto di forza non è solo un rapporto di potenza militare ma anche un rapporto di potenziale umano e morale”.
Andare nelle banlieue per legarsi alle masse, dove si trova chi vive nelle banlieue, organizzare le masse perché la guerra popolare sia una guerra di massa non un’episodica azione combattente di un gruppo. L’azione combattente di un gruppo è la strutturazione dell’organizzazione della rivolta di massa, della guerra di massa, che – come dice Mao: “deve sfruttare appieno il nostro stile di combattimento”.
E che partito comunista pensiamo di costruire se non è un partito comunista combattente, legato alle masse? A chi ci rivolgiamo quando vogliamo costruire questo partito? Il partito maoista, il partito comunista di nuovo tipo è e deve diventare il partito delle nuove generazioni che con la loro ribellione aprono questo cammino. I compagni che vogliono costruire questo partito devono legarsi e legare a sé le nuove generazioni che hanno preso posto nella lotta politica.
Anche sulla questione del movimento contro il CPE, i compagni si lamentano che la CGT e l’UNEF utilizzano questo movimento per le prossime elezioni. Ma, cari compagni, bisogna certamente dare un indirizzo classista e rivoluzionario al movimento degli studenti, ma questa cosa non può avvenire senza una trasformazione della composizione di classe di questo movimento. La direzione classista rivoluzionaria comporta la partecipazione dei reparti avanzati della classe, della gioventù proletaria, per una trasformazione all’interno del movimento. Non si può combattere la Cgt senza costruire l’organizzazione classista e combattiva di base dei proletari.
Il Partito Comunista maoista è i cobas in Italia, il PCm è Red Block, la gioventù rivoluzionaria organizzata, il PCm é il Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario.
Senza questi fatti non è possibile costruire il partito comunista maoista.
Le condizioni delle masse nei paesi imperialisti sono a questo punto per la responsabilità dei revisionisti, ma non è solo questa la causa. I paesi imperialisti sono anche pieni di falso maoisti, di compagni che si definiscono “comunisti, rivoluzionari”, ma che non hanno mai organizzato uno sciopero nella loro vita, che non sanno dove si trova la Renault per dare un volantino o che hanno conosciuto le banlieue solo attraverso le cartine che sono apparse sulla stampa francese.
Noi combattiamo l’opportunismo, ma anche i sinistrismi, il rivoluzionarismo piccolo borghese, i rivoluzionari virtuali che scrivono dei buoni testi su internet ma che nessuno ha visto nemmeno una volta in una lotta. Allora, guerra popolare non è una frase, né una bandiera, è una ideologia e un programma, una capacità di trasformare la politica del partito in azione delle masse. Naturalmente quando noi parliamo di guerra popolare, parliamo di guerra popolare nei paesi imperialisti. I paesi imperialisti non sono il Nepal, il Perù. Bisogna studiare, analizzare, approfondire i paesi imperialisti nel loro insieme e i singoli paesi in cui i comunisti operano, appropriarsi della storia del paese che ha prodotto la situazione attuale, sia dal lato dell’imperialismo sia dal lato del proletariato.
Noi abbiamo due vantaggi. Noi non dobbiamo partire da zero. Primo, contiamo sul patrimonio ideologico, politico e pratico delle guerre popolari in Perù, in Nepal, ecc. , ma verso di queste occorre avere l’atteggiamento che dice Mao: “nell’imparare dagli altri si possono assumere due atteggiamenti diversi: l’uno dogmatico, consiste nel prendere ogni cosa convenga o no alle nostre condizioni, quest’atteggiamento non è buono.
L’altro consiste nell’usare il cervello e imparare ciò che conviene alle nostre condizioni, cioè assimilare ogni esperienza che possa esserci utile. Questo è l’atteggiamento che dobbiamo assumere”.
Secondo, noi siamo i figli del partito comunista più forte dei paesi imperialisti che c’è stato negli anni che sono andati da Lenin ad oggi. Siamo i figli di Antonio Gramsci che dalle prigioni del fascismo disse che non è possibile rifare la stessa strada dell’Ottobre, non perché egli non voleva l’insurrezione, ma perché ricercava la strada giusta analizzando la realtà concreta dei paesi imperialisti europei.
Noi siamo i figli della Resistenza antifascista, grande esperienza ed esempio di guerra di popolo in un paese imperialista. Prendiamo lezioni, perché è un’esperienza di tutto un popolo e non di uno scritto di un intellettuale.
Siamo nel paese in cui è emersa e vissuta in anni prolungati l’esperienza delle Brigate rosse, a cui negli anni ’70 aderirono 4000 operai, mentre nello stesso periodo, gruppi e partiti che si definivano ml, e in certi casi mlm, non sono riusciti a conquistare che poche decine di operai – Questi grandi sostenitori delle teorie sulla “lotta di massa”, la “linea di massa”, non sono riusciti a conquistare settori significativi di avanguardie della classe operaia, perché non hanno compreso che l’avanguardia operaia voleva un autentico partito della rivoluzione capace di condurre la forma più elevata della lotta di classe. Oggi il problema è come si organizza un simile partito e come inizia una lotta rivoluzionaria autentica. Ma tutto questo non può essere programmato e stabilito sulla base di libri e a tavolino. Come abbiamo già detto nella relazione introduttiva, il metodo principale che dobbiamo assumere è “imparare a fare la guerra facendola…”, “spesso non si tratta di imparare prima e agire poi ma, al contrario, di agire e poi imparare perché agire è imparare”.
Il proletariato scrive con il suo sangue la sua lotta, il suo cammino, le sue tesi, il suo programma.
Le Br hanno perso perché, come dice Mao, “...il nostro principio è che il partito comanda il fucile e mai dobbiamo permettere che il fucile comanda il partito”, e perché “una guerra rivoluzionaria è un’impresa di massa”.
Ma dov’era il partito? Il partito non è un’altra cosa che il fucile. Il partito deve guidare il fucile, bisogna leggere tutta la frase. E questo è il cammino del PCm in Italia. Questa è la ragione per cui il PCm ha deciso di organizzare - con i compagni di Drapeau Rouge - questo Rencontre, per ‘mettere i piedi nel piatto’, qui a Parigi dove il fuoco della lotta di classe si è acceso.
Lo sappiamo bene che la rivolta francese riguarda tutti i paesi imperialisti, così come il movimento contro il Cpe. Nel nostro paese c’è una legge che è uguale, la Legge 30, che si chiama ‘Legge Biagi’. A Roma come in Francia si lotta contro la precarietà, contro l’attacco alle condizioni di vita dei proletari, dei giovani. Questo è accaduto anche tra i giovani nelle banlieue, perché le banlieue non sono solo un luogo dello “spirito”, ma un luogo concreto, reale. Voi conoscete il sud d’Italia, compagni? Voi sapete cosa significa il 60% di disoccupati? Una vita di giovani che si consuma nella precarietà, una vita senza futuro, senza la possibilità di fare nemmeno un viaggio.
Noi questi viaggi li facciamo per dire e continuare a dire meglio di come lo diciamo in questo momento: “Giovani, la via esiste!”, “facciamo come nelle banlieue di Francia!”, “Ribelliamoci, rispondiamo allo Stato di polizia e al moderno fascismo!”. Sviluppiamo dalle banlieue del mondo, dalle banlieue delle metropoli imperialiste l’accerchiamento delle cittadelle della borghesia imperialista e della sua corte, attacchiamo la loro vita, costruiamo la nostra guerra. La nostra guerra non è senza futuro e senza obiettivi, e la nostra guerra non deve limitarsi a resistere al potere della borghesia, la nostra guerra è per conquistare il nostro potere, perché senza potere tutto è illusione.
Dopo la rivolta delle banlieue noi queste cose le possiamo dire in maniera più forte, con l’orgoglio, con la verità che noi cerchiamo nei fatti. Mao dice “cercate la verità nei fatti”. La verità non è il fatto in sé, ma l’analisi del fatto, sono i rapporti, le relazioni, il perché questi fatti si sono realizzati, come si influenzano l’un l’altro. E’ in questo modo che noi dobbiamo analizzare la rivolta. E se noi lo facciamo, allora questo Rencontre sarà servito a qualcosa. Grazie, compagni.

Conclusioni

Per concludere, la realizzazione degli Atti di questo Rencontre sarà una tappa importante del nostro lavoro e va visto come “lavoro sul terreno”. La realizzazione degli opuscoli con gli Atti sarà utilizzata in un lavoro simile a quello che ha preparato il meeting, per permettere a tutti i compagni e alle avanguardie di leggere con spirito militante ciò che vi è di utile in questo lavoro.
Questo meeting è stata un’esperienza entusiasmante che ci dà forza e in particolare gli ultimi interventi ci danno allegria, legata, però, alla preoccupazione di mantenere le promesse. La storia dei maoisti nei paesi imperialisti è piena di promesse tradite. Quindi, un compito molto impegnativo, ma la verità e la validità di questo lavoro bisognerà vederlo sul terreno, nei passi in avanti che si dovranno fare nella pratica.
Pensiamo di concludere questi lavori del meeting, esprimendo un saluto e una dichiarazione di sostegno alla guerra popolare in Nepal che si trova in una fase cruciale, gli occhi dei comunisti guardano a Katmandu.
Ma noi diciamo che bisogna guardare a Katmandu come a Parigi, così abbiamo intitolato il nostro messaggio del 1° Maggio e questo è quello che porteremo domani alle manifestazioni del 1° Maggio.
Ma domani 1° Maggio prevediamo anche un’altra iniziativa. Saremo a Pere Lachaise al muro della ‘Comune di Parigi’. La Comune è memoria e prospettiva anche di questa rivolta. Saremo, poi, anche alla tomba di Pier Overnay. Noi che pensiamo di costruire il partito comunista maoista nelle fila della classe operaia, non possiamo che onorare e valorizzare la figura di un giovane operaio maoista militante della Gauche Proletarienne, caduto sotto il fuoco di uno sbirro aziendale.
Vogliamo alzare la bandiera del diritto e della dignità dei maoisti a costruire il partito.