Sul
“nuovo” Papa abbiamo già scritto, vedi
http://proletaricomunisti.blogspot.it/2013/03/pc-17-marzo-francesco-i-un-populista.html,
ma riportiamo adesso anche questo articolo dell'Espresso perché tra
coloro che hanno “arruolato il papa tra i progressisti”, c'è
anche il segretario della Fiom, se tra i progressisti possiamo
includerlo, Maurizio Landini, che durante il corteo della Fiom ha
detto, sapendo che in quel momento stava incontrando la Merkel:
“Spero che la Cancelliera Merkel ascolti le parole di Papa
Francesco, che sta lanciando messaggi contro la precarietà e
l’austerità”.
Le
“uscite” in piazza e tra il “popolo” del Papa in questi mesi,
accompagnate dalla grande propaganda mediatica, confermano
l'atteggiamento populista analizzato nel precedente articolo.
In
queste righe che riproduciamo viene ancora evidenziato il suo “populismo
reazionario”. L'insistenza sui poveri e sul popolo chiarisce uno
spregiudicato modo di provare a fare presa sui settori più deboli e
indifesi della popolazione per affermare questa ideologia
reazionaria, che comprende l'attacco ai diritti delle donne e degli
omosessuali, tesa a scongiurare tutto ciò che c'è di progressista
nelle società.
E
tutto questo è chiaro per chi vuol vedere e sentire per cui delle
due l'una, o Landini non conosce la storia e la posizione ideologica
di questo Papa o, se la conosce, ne condivide le concezioni! E quindi
smascherano ulteriormente tutte le sue chiacchiere perfino sulla
bontà della democrazia borghese.
È
di oggi la notizia che il Papa, noto per la sua grande ossessione e
avversione al diavolo, avrebbe fatto un esorcismo in piazza. Alla
luce della sua biografia e delle sue concezioni potremmo dire che qui
l'unico vero indemoniato sia proprio lui!
Mettiamo
in grassetto le parti che più ci interessa sottolineare.
***
I
teologi della liberazione lo elogiano, ma tra lui e loro c'è un
abisso. I progressisti lo arruolano, ma lui se ne tiene lontano. Il
vero Francesco è molto diverso da quello che tanti immaginanodi
Sandro Magister
ROMA, 16 maggio 2013 – In perdurante luna di miele con la pubblica opinione, papa Francesco s'è guadagnato anche l'elogio del più barricadiero dei teologi francescani, il brasiliano Leonardo Boff: "Francesco darà una lezione alla Chiesa. Usciamo da un inverno rigido e tenebroso. Con lui viene la primavera".
Veramente, Boff ha lasciato da tempo il saio, si è sposato, e all'amore per Marx ha sostituito quello ecologista per madre terra e fratello sole. Ma è pur sempre il più famoso e citato dei teologi della liberazione.
Quando, appena tre giorni dopo la sua elezione a papa, Jorge Mario Bergoglio ha invocato "una Chiesa povera e per i poveri", la sua annessione nelle file dei rivoluzionari sembrava cosa fatta.
In realtà c'è un abisso tra la visione dei teologi latinoamericani della liberazione e la visione di questo papa argentino.
Bergoglio non è un prolifico autore di libri, ma quel che ha lasciato di scritto basta e avanza per capire che cosa ha in mente con quel suo insistito mescolarsi col "popolo".
La teologia della liberazione la conosce bene, la vide nascere e crescere anche tra i suoi confratelli gesuiti, ma con essa marcò sempre il suo disaccordo anche a costo di ritrovarsi isolato.
Suoi teologi di riferimento non erano Boff, né Gutierrez, né Sobrino, ma l'argentino Juan Carlos Scannone, anche lui gesuita inviso ai più, che era stato suo professore di greco e che aveva elaborato una teologia non della liberazione ma "del popolo", centrata sulla cultura e la religiosità della gente comune, dei poveri in primo luogo, con la loro spiritualità tradizionale e la loro sensibilità per la giustizia.
Oggi Scannone, 81 anni, è ritenuto il massimo teologo argentino vivente, mentre su quel che resta della teologia della liberazione già nel 2005 Bergoglio chiuse il discorso così: "Dopo il crollo del 'socialismo reale' queste correnti di pensiero sono sprofondate nello sconcerto. Incapaci sia di una riformulazione radicale che di una nuova creatività, sono sopravvissute per inerzia, anche se non manca ancora oggi chi le voglia anacronisticamente riproporre".
Questa sentenza liquidatoria contro la teologia della liberazione Bergoglio l'ha infilata in uno dei suoi scritti più rivelatori: la prefazione a un libro sul futuro dell'America Latina che ha per autore il suo amico più stretto nella curia vaticana, l'uruguaiano Guzmán Carriquiry Lecour, segretario generale della pontificia commissione per l'America Latina, sposato con figli e nipoti, il laico di più alto grado in curia.
A giudizio di Bergoglio, il continente latinoamericano ha già conquistato un posto di "classe media" nell'ordine mondiale ed è destinato ad imporsi ancor più nei futuri scenari, ma è insidiato in ciò che ha di più proprio, la fede e la "saggezza cattolica" del suo popolo.
L'insidia più temibile egli la vede in ciò che chiama "progressismo adolescenziale", un entusiasmo per il progresso che in realtà si ritorce – dice – contro i popoli e le nazioni, contro la loro identità cattolica, "in stretto rapporto con una concezione dello Stato che è in larga misura un laicismo militante".
Domenica scorsa ha spezzato una lancia per la protezione giuridica dell'embrione, in Europa. A Buenos Aires non si dimentica la sua tenace opposizione contro le leggi per l'aborto libero e i matrimoni "gay". Nel dilagare in tutto il mondo di simili leggi egli vede l'offensiva di "una concezione imperialista della globalizzazione", che "costituisce il totalitarismo più pericoloso della postmodernità".
È un'offensiva che per Bergoglio porta il segno dell'Anticristo, come in un romanzo che egli ama citare: "Il signore del mondo" di Robert H. Benson, un sacerdote anglicano, figlio di un arcivescovo di Canterbury, che si convertì al cattolicesimo un secolo fa.
Nelle sue omelie da papa, il frequentissimo rimando al diavolo non è un artificio retorico. Per papa Francesco il diavolo è più reale che mai, è "il principe di questo mondo" che Gesù ha sconfitto per sempre ma che ancora è libero di fare del male.
Ha ammonito in un'omelia di qualche giorno fa: "Il dialogo è necessario tra noi, per la pace. Ma con il principe di questo mondo non si può dialogare. Mai".
__________
Questa nota, col titolo "Non è tutt'oro quel che Francesco", è uscita su "L'Espresso" n. 20 del 2013, in edicola dal 17 maggio, nella pagina d'opinione "Settimo cielo" affidata a Sandro Magister.
ROMA, 16 maggio 2013 – In perdurante luna di miele con la pubblica opinione, papa Francesco s'è guadagnato anche l'elogio del più barricadiero dei teologi francescani, il brasiliano Leonardo Boff: "Francesco darà una lezione alla Chiesa. Usciamo da un inverno rigido e tenebroso. Con lui viene la primavera".
Veramente, Boff ha lasciato da tempo il saio, si è sposato, e all'amore per Marx ha sostituito quello ecologista per madre terra e fratello sole. Ma è pur sempre il più famoso e citato dei teologi della liberazione.
Quando, appena tre giorni dopo la sua elezione a papa, Jorge Mario Bergoglio ha invocato "una Chiesa povera e per i poveri", la sua annessione nelle file dei rivoluzionari sembrava cosa fatta.
In realtà c'è un abisso tra la visione dei teologi latinoamericani della liberazione e la visione di questo papa argentino.
Bergoglio non è un prolifico autore di libri, ma quel che ha lasciato di scritto basta e avanza per capire che cosa ha in mente con quel suo insistito mescolarsi col "popolo".
La teologia della liberazione la conosce bene, la vide nascere e crescere anche tra i suoi confratelli gesuiti, ma con essa marcò sempre il suo disaccordo anche a costo di ritrovarsi isolato.
Suoi teologi di riferimento non erano Boff, né Gutierrez, né Sobrino, ma l'argentino Juan Carlos Scannone, anche lui gesuita inviso ai più, che era stato suo professore di greco e che aveva elaborato una teologia non della liberazione ma "del popolo", centrata sulla cultura e la religiosità della gente comune, dei poveri in primo luogo, con la loro spiritualità tradizionale e la loro sensibilità per la giustizia.
Oggi Scannone, 81 anni, è ritenuto il massimo teologo argentino vivente, mentre su quel che resta della teologia della liberazione già nel 2005 Bergoglio chiuse il discorso così: "Dopo il crollo del 'socialismo reale' queste correnti di pensiero sono sprofondate nello sconcerto. Incapaci sia di una riformulazione radicale che di una nuova creatività, sono sopravvissute per inerzia, anche se non manca ancora oggi chi le voglia anacronisticamente riproporre".
Questa sentenza liquidatoria contro la teologia della liberazione Bergoglio l'ha infilata in uno dei suoi scritti più rivelatori: la prefazione a un libro sul futuro dell'America Latina che ha per autore il suo amico più stretto nella curia vaticana, l'uruguaiano Guzmán Carriquiry Lecour, segretario generale della pontificia commissione per l'America Latina, sposato con figli e nipoti, il laico di più alto grado in curia.
A giudizio di Bergoglio, il continente latinoamericano ha già conquistato un posto di "classe media" nell'ordine mondiale ed è destinato ad imporsi ancor più nei futuri scenari, ma è insidiato in ciò che ha di più proprio, la fede e la "saggezza cattolica" del suo popolo.
L'insidia più temibile egli la vede in ciò che chiama "progressismo adolescenziale", un entusiasmo per il progresso che in realtà si ritorce – dice – contro i popoli e le nazioni, contro la loro identità cattolica, "in stretto rapporto con una concezione dello Stato che è in larga misura un laicismo militante".
Domenica scorsa ha spezzato una lancia per la protezione giuridica dell'embrione, in Europa. A Buenos Aires non si dimentica la sua tenace opposizione contro le leggi per l'aborto libero e i matrimoni "gay". Nel dilagare in tutto il mondo di simili leggi egli vede l'offensiva di "una concezione imperialista della globalizzazione", che "costituisce il totalitarismo più pericoloso della postmodernità".
È un'offensiva che per Bergoglio porta il segno dell'Anticristo, come in un romanzo che egli ama citare: "Il signore del mondo" di Robert H. Benson, un sacerdote anglicano, figlio di un arcivescovo di Canterbury, che si convertì al cattolicesimo un secolo fa.
Nelle sue omelie da papa, il frequentissimo rimando al diavolo non è un artificio retorico. Per papa Francesco il diavolo è più reale che mai, è "il principe di questo mondo" che Gesù ha sconfitto per sempre ma che ancora è libero di fare del male.
Ha ammonito in un'omelia di qualche giorno fa: "Il dialogo è necessario tra noi, per la pace. Ma con il principe di questo mondo non si può dialogare. Mai".
__________
Questa nota, col titolo "Non è tutt'oro quel che Francesco", è uscita su "L'Espresso" n. 20 del 2013, in edicola dal 17 maggio, nella pagina d'opinione "Settimo cielo" affidata a Sandro Magister.
Nessun commento:
Posta un commento