Segnaliamo il libro di Pun Ngai "Cina, la società armoniosa - sfruttamento e resistenza degli operai migranti" - utile in un momento in cui da un lato arrivano da Shenzhen notizie su scioperi e lotte operaie, dall'altra tornano i suicidi alla più grande fabbrica del mondo la Foxconn.
Documento
esportato da www.sbilanciamoci.info
La
formazione della classe operaia in Cina
di Fabio
Bracci
Chi sono i
lavoratori del “miracolo” cinese? Un libro racconta queste vite proletarie,
fatte di migrazioni interne, speranze, sfruttamento e conflitti. E il formarsi
di una nuova classe operaia
I saggi
della sociologa cinese Pun Ngai raccolti in Cina. “La società armoniosa.
Sfruttamento e resistenza degli operai migranti” (a cura di Ferruccio Gambino e
Devi Sacchetto, traduzione di Stefano Visentin, edizioni Jaca Book) descrivono
la condizione dei lavoratori e delle lavoratrici migranti in Cina – descrizione
fatta da
prospettive ed angolazioni anche molto differenti: ora la campagna in via di
spopolamento, ora le grandi fabbriche-dormitorio, ora il sistema dei subappalti
in edilizia… Biografie e mutamenti strutturali, traiettorie individuali e
trasformazioni di classe trovano il loro punto di sintesi nella sottolineatura
delle sofferenze fisiche e mentali prodotte nei lavoratori e nelle lavoratrici
dal processo che negli ultimi venti anni è andato trasformando la Cina nella
“fabbrica del mondo”.
Pun Ngai
usa prevalentemente (ma non solo) strumenti di ricerca di tipo etnografico. Ciò
le consente di riportare in superficie il lato occulto del miracolo cinese: il
senso di auto-distruzione e la morte come atto corporeo di resistenza nel caso
dei suicidi (24 tra l'inizio del 2010 e la fine del 2011) avvenuti alla
Foxconn, l'impresa taiwanese con numerose sedi in Cina che produce il 50% dei
prodotti di elettronica del mondo attraverso un'organizzazione del lavoro
gerarchizzata ed una divisione del lavoro rigidissima (dalle sue fabbriche
escono più di 90 iPhones al minuto); i
corpi esausti degli operai e delle operaie sottoposti a ritmi di lavoro
insostenibili; le fratture nella vita sociale dei lavoratori e delle
lavoratrici migranti («non c’è futuro
come
lavoratore in città, ma non ha alcun senso ritornare al villaggio»).
E tuttavia
nulla è cristallizzato, nei testi presenti nel volume. I singoli capitoli riescono
a cogliere il carattere mobile ed ambivalente della frenetica transizione
innescata dall'apertura cinese al capitalismo. La mobilità è fenomeno
intrinseco al regime di produzione instaurato, dato che la velocissima
rotazione dei lavoratori migranti è funzionale alla massimizzazione dello
sfruttamento della manodopera proveniente dalle regioni interne…
Nell'analizzare
il processo di formazione della nuova classe operaia cinese
l'attenzione è focalizzata su uno dei fenomeni socio-demografici globali più
importanti degli ultimi due decenni, la migrazione interna di circa 200 milioni
di persone che a partire dagli anni '90 si sono spostate dalle campagne alle
città costiere della Cina per svolgervi attività di lavoro salariato. 16/17
milioni di questi migranti lavorano nelle imprese a capitale straniero, quelle
che realizzano i profitti più alti e che presentano le condizioni di lavoro più
dure. L'autrice sottolinea il carattere spurio del processo di proletarizzazione
in corso: un processo definito “incompiuto” sia per il ruolo esercitato dal
sistema di residenza dell' hukou (che
impedendo ai lavoratori migranti di conseguire la residenza legale in città li
priva della possibilità di acquisire lo
status proprio dei lavoratori urbani), sia per lo svuotamento e la
depoliticizzazione del concetto di classe attuato in modo sistematico
dalla leadership cinese (la Cina
armoniosa tratteggiata da Hu Jintao)…
Nel testo
non mancano i riferimenti alla diffusione di conflitti innescati da lotte per
interessi concreti ed insorgenze localizzate. In genere si tratta di esplosioni
improvvise di rabbia e di malcontento causate da condizioni di vita e di lavoro
insopportabili. Si citano forme embrionali di “micropolitica dal basso” e di
“attivismo cellulare”, alimentate dalla percezione che i migranti hanno della
propria identità divisa (né contadini, né lavoratori urbani). Lo stesso regime
segregante delle fabbriche-dormitorio, forma peculiare di “produzione dello
spazio della produzione”, di rimodellamento delle disposizione spaziali a
vantaggio dell'espansione capitalistica, se da un lato punta ad aumentare le
possibilità di sfruttamento da parte delle
imprese,
dall'altro crea le condizioni per la trasformazione degli stessi dormitori in
spazi conflittuali che permettono una rapida diffusione delle diverse forme di
resistenza messe in atto localmente.
Queste
forme di resistenza si confrontano però con un blocco di potere enorme.
L'alleanza tra amministrazioni locali e capitale non è mai stata così forte (si
leggano le pagine riguardanti il modo in cui le autorità locali competono tra
loro per offrire condizioni più vantaggiose alle imprese). Le riforme
economiche non hanno affatto istituzionalizzato, come pretendeva la lettura
irenica del processo di trasformazione in corso, la protezione legale dei
lavoratori (la recenti innovazioni legislative su arbitrati e contratti di
lavoro sono poco implementate e scarsamente applicate nei luoghi di lavoro). La
spesa per il welfare e per i consumi collettivi (casa, sanità, scuole) è
praticamente nulla. I sindacati sono collusi con le imprese….
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