Parliamo di una lotta esplosa a Forlì, organizzata dal sindacato di base Sudd Cobas, che come Slai Cobas per il sindacato di classe di Ravenna appoggiamo e sosteniamo.
Questi operai hanno scoperchiato quello che c'è sotto lo sfruttamento della filiera dei grandi brand del cosiddetto Made in Italy della produzione di marchi di lusso, in questo caso di divani imbottiti.
Quindi questi operai in sostanza lavorano in nero, con paghe da fame, operai che devono dormire negli stessi capannoni dove fanno la produzione. Tutta un'intera giornata legati a produrre e a dormire nello stesso luogo di produzione.
Questa filiera ha permesso così di fare profitti vertiginosi ai padroni, padroni che a volte prendono tantissimi soldi e poi scappano via portandosi anche i macchinari.
Ma da tempo questi operai stanno presidiando due realtà produttive a Forlì e a Cesena per impedire che
i macchinari se li portano via i padroni.Operai che creano tanta ricchezza per i padroni ma contemporaneamente tanta miseria per se stessi. Dietro una borsa firmata che costa l'ira di dio, dietro gli abiti firmati, c'è tutta questa realtà di sfruttamento, di super sfruttamento.
Questa è la logica del capitale, logica che solo la lotta, la ribellione, può mettere in discussione e arrivare a mettere in discussione tutto il sistema dei padroni.
Il sindacato Sudd Cobas aveva già portato avanti la lotta a Prato e a Campi Bisenzio con la parola d'ordine “8 x 5”, con l'obiettivo di non fare più 12-14 ore ma 8 ore per 5 giorni.
Quella lotta ha fatto uscire dall'invisibilità questi operai
Questi operai con la lotta si stanno riprendendo la propria dignità e conquistano risultati, come è successo a Prato. La maggior parte sono operai asiatici che stanno portando avanti questa vertenza. Nel caso di Forlì e Cesena sono operai pakistani che hanno cominciato a lottare dopo la morte infame e straziante dell'operaio indiano Satnam Singh, buttato per strada dopo aver avuto un incidente sul lavoro e lasciato morire così da padrone.
Nella campagna India che abbiamo sviluppato abbiamo parlato e denunciato questa condizione degli operai indiani o asiatici in generale. Nel loro paese non possono più vivere, i governi, le multinazionali, il capitalismo/imperialismo li schiacciano, arrivano da noi con la grande speranza di avere un futuro migliore, riescono a sopravvivere ai respingimenti, ma dopo si trovano davanti il calvario per ottenere un permesso di soggiorno e uno straccio di lavoro nelle campagne come nei capannoni della logistica, come nelle fabbriche e fabbrichette dove si producono abiti, borse e mobili di lusso.
Forse i padroni italiani pensavano di poterli sfruttare nel silenzio, rendendoli invisibili all'interno dei loro capannoni dormitori, invece questi operai ora hanno alzato la testa e lottano per i propri diritti e mostrano quello che c'è dietro la produzione per il cosiddetto Made in Italy.
Questa produzione è fatta come “scatole cinesi”, perché gli operai sono assunti formalmente da un'azienda, in questo a Cesena si tratta di Sofa Legname, che in realtà è una scatola vuota a conduzione cinese che prende le commesse da Gruppo 8, che è il ramo italiano della multinazionale HTL che ha sede a Singapore e che è leader del mercato del divano di lusso. Quindi questa Sofa Legname è il punto più basso della filiera. Si tratta di aziende fasulle con capitali sociali ridicoli, anche mille euro e non hanno neanche un dipendente. Si tratta degli appalti a catena che vuole il governo Meloni.
Queste aziende spesso chiudono e riaprono con un altro nome. Il Gruppo 8, che dice di non entrarci per nulla in questa vicenda, in realtà paga le bollette, e tutte le utenze arrivano a Gruppo 8, non a Sofa Legname. Quindi Gruppo 8 prende in affitto un capannone, lo concede ad una FEC company a conduzione cinese, in comodato ad uso, che fa per loro il lavoro sporco.
I primi scioperi sono partiti a dicembre con sette giorni di presidio, scioperi che continuano anche a luglio ed agosto. Questi scioperi vengono accompagnati da due presidi permanenti che sono il momento più alto di questa lotta.
In un’occasione hanno bloccato i container diretti al porto di Ravenna in direzione Cina. E’ arrivata la polizia che fa un tentativo di sgombero, parte qualche manganellata, i sindacalisti e gli operai vengono picchiati. I padroni scalpitano, non vedono l'ora che venga applicato il decreto sicurezza nel nome della libertà d'impresa, e lo chiedono con forza, lo dicono attraverso la stampa.
La “libertà d'impresa” è quell'orrore che gli operai del Pakistan subiscono. Il 20 luglio si firma un accordo in prefettura dove sono coinvolti non solo il Comune ma anche la Regione, e dove il gruppo 8 continua a sostenere che non c'entra nulla. Nel frattempo Sofa Legname non paga né salari né contributi e in questo accordo si prevede l'assunzione diretta degli operai a gruppo 8, il pagamento di salari e stipendi e di far ripartire la produzione. E vengono anche stipulati contratti di solidarietà.
Ma la strategia del gruppo 8, non da adesso, non perché c'è la lotta, lo avevano già deciso, è quella della delocalizzazione dove gli conviene, dove può tranquillamente calpestare i diritti degli operai. Quindi vuole chiudere, licenziare perché, dice, che il sito di Forlì non è più sicuro né commercialmente sostenibile.
Notizia di ieri (28 agosto) è che Sofa Legname chiude e manda a casa 40 operai. E’ stata annunciata una manifestazione a Forlì, una manifestazione che credo avrà eco anche nazionale. A Forlì ha avuto un'adesione molto ampia di realtà associative, politiche, di sindacati di base, e chiaramente dello Slai cobas sc.
Tornando al discorso dei presidi ai cancelli, si tratta di presidi vivi, si fanno assemblee aperte, si mangia assieme, gli operai nel Pakistan stanno imparando l'italiano da compagni che sono lì a insegnare. Quindi si sviluppano discussioni, dibattiti, musica, proiezioni di film, per esempio una sera è stato proiettato un bellissimo film, Farming the Revolution, che parla della lotta dei contadini in India, dei milioni di contadini scesi in sciopero per un anno.
Questo bel clima si vive tra operai pakistani in lotta, operai che vengono molto spesso dalle campagne del Pakistan dove non si può più vivere quando i costi dei fertilizzanti arrivano a cifre altissime che non possono sostenere e quindi non hanno più la possibilità di mandare avanti quei pochi ettari di terra.
Ora in risposta a tutto questo padroni grandi, medi e piccoli stanno invocando l'applicazione del decreto di sicurezza, ma intanto rispondono con la chiusura. Dal 28 agosto l'azienda ha deciso di chiudere e licenziare gli operai. Ma il 6 settembre sta diventando una data a livello nazionale che riunisce tante altre lotte.
Un'ultima cosa, questa lotta ha costretto anche la CGL a dire qualcosa e l'ha detto in questi giorni. Finalmente la Fillea, che è un po' radicata in questo settore di lavoro, con 4000 operai che ci lavorano, e che conosce questa realtà produttiva, ha preso posizione.
Fino a tutto questo tempo di lotta era stata zitta, adesso si sono espressi per dare un appoggio a questa lotta.

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