martedì 29 novembre 2016

pc 29 novembre - Speciale ANTI/TRUMP - 7

                                                                 7
Conflitto di interessi

In Italia la frazione borghese antiberlusconiana, durante il governo di Brelusconi, ha costantemente portato a modello della regolazione del conflitto di interessi i governi Usa; e ora in questo paese viene eletto uno come Trump.
Questi possiede almeno 111 compagnie che operano in 18 paesi, dall'Arabia Saudita all'Indonesia, da Panama all'Azerbagian. Un'inchiesta del Washington Post dice che siamo di fronte al “più grave conflitto di interessi mai avuto da un presidente Usa”. E occorre dire che Trump durante la campagna elettorale non ha mai mostrato la sua dichiarazione di redditi e, quindi, le sue attività saranno molto più vaste.
A questo ci aggiunge che l'impero Trump è piuttosto oscuro, dato che, nella maggior parte dei casi, si tratta di proprietà edili che non sarebbero direttamente di proprietà di Trump ma di soci stranieri, altrettanto occulti, a cui è consentito “di usare il suo nome per identificare gli edifici che hanno realizzato loro e quindi attirare più clienti a prezzi più alti, grazie alla reputazione di lusso associata al marchio Trump”. In cambio, sempre secondo questa informazione, Trump, senza fornire capitali e lavoro, riceve commissioni, per esempio, nel caso di un grande complesso a Istanbul, ha ricevuto 10 milioni di dollari in due anni.
 Pure durante la campagna elettorale ha registrato 8 compagnie per lo sviluppo di hotel in Arabia.
Dopo le elezioni, mentre faceva il casting dei candidati ai posti dell'amministrazione, ha incontrato i soci palazzinari dell'India.
Si può, quindi, capire come gli intrecci tra gli interessi di Trump e le decisioni che deve prendere il governo Usa siano molto “intrecciati”. 
Per esempio, Trump ed Erdogan sono legati da un filo di affari; ma questi interessi si estendono anche a partner più consistenti. La Deutsche Bank ha prestato una montagna di soldi a Trump, tanto da diventare il primo creditore del presidente degli Stati Uniti.
Trump è la descrizione vivente degli intrecci tra capitale finanziario, parassitario e governo nella fase imperialista, descritti magistralmente da Lenin.
Un'inchiesta del New York Time, basata sull'analisi dei bilanci della società red vision systems ha fatto emergere dati e debiti su 19 diverse entità legate a Trump. 
Al numero civico 1290 dell'Avenue of Americas di New York, il presidente è comproprietario di un palazzo nel quale vi sono capitali, oltre che della Deutsche Bank, già detta, di due controllate della Goldman Sachs, della banca svizzera Ubs, della Bank of China. Siamo sicuri che se si analizzano altre parti dell'impero Trump si trovano altre parti del capitale finanziario internazionale.

Il sistema imperialista è, appunto, tutto questo e Trump ne rappresenta una personificazione, ed è quasi giusto che dagli Usa, il più grande paese imperialista del mondo, venga la santificazione di questo modello.
Le elezioni negli Usa sono sempre state un esempio classico di una scelta del 'comitato d'affari', una scelta tra affaristi, alla fin fine. 
La democrazia americana è costruita per questo risultato.
Come si può pensare, quindi, che il problema sarebbe “chi ha votato Trump”?

Negli Stati Uniti sempre il voto delle masse, compreso quelle proletarie, tiene fuori una gran parte di esse nelle elezioni generali, e la parte che ne è coinvolta esprime votando la subordinazione, ideologica, culturale, al sistema imperialista. 
Gli Usa sono un esempio classico della frase di Marx “....le idee dominanti sono quelle della classe dominante”.
I votanti in Usa sono 'predisposti', quindi, a rispondere agli stimoli che la classe dominante degli Usa, anche con le sue divisioni interne, domanda per affermare che il suo potere è basato sul consenso democratico delle masse.
Anche nel nostro paese, abbiamo assistito prima,durante e dopo la campagna elettorale, alla fiera delle stupidità travestite da analisi, da una parte anche di quella parte della 'estrema sinistra' che ha tifato Sanders, presentandolo come finalmente un candidato socialista alternativo. Poi, quando Sanders si è accucciato sotto la Clinton, il giornale principale che riflette gli orientamenti della sinistra italiana, Il manifesto, ha spudoratamente condotto una campagna per la Clinton, presentandola o come “alternativa” sociale e politica a Trump o, almeno, come il male minore. 

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