7
Conflitto di interessi
In Italia la frazione borghese
antiberlusconiana, durante il governo di Brelusconi, ha costantemente
portato a modello della regolazione del conflitto di interessi i
governi Usa; e ora in questo paese viene eletto uno come Trump.
Questi possiede almeno 111
compagnie che operano in 18 paesi, dall'Arabia Saudita all'Indonesia,
da Panama all'Azerbagian. Un'inchiesta del Washington Post dice che
siamo di fronte al “più grave conflitto di interessi mai avuto da
un presidente Usa”. E occorre dire che Trump durante la campagna
elettorale non ha mai mostrato la sua dichiarazione di redditi e,
quindi, le sue attività saranno molto più vaste.
A questo ci aggiunge che
l'impero Trump è piuttosto oscuro, dato che, nella maggior parte dei
casi, si tratta di proprietà edili che non sarebbero direttamente di
proprietà di Trump ma di soci stranieri, altrettanto occulti, a cui
è consentito “di usare il suo nome per identificare gli edifici
che hanno realizzato loro e quindi attirare più clienti a prezzi più
alti, grazie alla reputazione di lusso associata al marchio Trump”.
In cambio, sempre secondo questa informazione, Trump, senza fornire
capitali e lavoro, riceve commissioni, per esempio, nel caso di un
grande complesso a Istanbul, ha ricevuto 10 milioni di dollari in due
anni.
Pure durante la campagna elettorale ha registrato 8 compagnie
per lo sviluppo di hotel in Arabia.
Dopo le elezioni, mentre
faceva il casting dei candidati ai posti dell'amministrazione, ha
incontrato i soci palazzinari dell'India.
Si può, quindi, capire
come gli intrecci tra gli interessi di Trump e le decisioni che deve
prendere il governo Usa siano molto “intrecciati”.
Per esempio,
Trump ed Erdogan sono legati da un filo di affari; ma questi
interessi si estendono anche a partner più consistenti. La Deutsche
Bank ha prestato una montagna di soldi a Trump, tanto da diventare il
primo creditore del presidente degli Stati Uniti.
Trump è la descrizione
vivente degli intrecci tra capitale finanziario, parassitario e
governo nella fase imperialista, descritti magistralmente da Lenin.
Un'inchiesta del New York Time, basata sull'analisi dei bilanci della società red vision
systems ha fatto emergere dati e debiti su 19 diverse entità legate
a Trump.
Al numero civico 1290 dell'Avenue of Americas di New York,
il presidente è comproprietario di un palazzo nel quale vi sono
capitali, oltre che della Deutsche Bank, già detta, di due
controllate della Goldman Sachs, della banca svizzera Ubs, della Bank
of China. Siamo sicuri che se si analizzano altre parti
dell'impero Trump si trovano altre parti del capitale finanziario
internazionale.
Il sistema imperialista è,
appunto, tutto questo e Trump ne rappresenta una personificazione, ed
è quasi giusto che dagli Usa, il più grande paese imperialista del
mondo, venga la santificazione di questo modello.
Le elezioni negli Usa sono
sempre state un esempio classico di una scelta del 'comitato d'affari',
una scelta tra affaristi, alla fin fine.
La democrazia americana è
costruita per questo risultato.
Come si può pensare,
quindi, che il problema sarebbe “chi ha votato Trump”?
Negli Stati Uniti sempre
il voto delle masse, compreso quelle proletarie, tiene fuori una gran
parte di esse nelle elezioni generali, e la parte che ne è coinvolta
esprime votando la subordinazione, ideologica, culturale, al sistema
imperialista.
Gli Usa sono un esempio classico della frase di Marx
“....le idee dominanti sono quelle della classe dominante”.
I votanti in Usa sono 'predisposti', quindi, a rispondere agli stimoli che la classe
dominante degli Usa, anche con le sue divisioni interne, domanda per
affermare che il suo potere è basato sul consenso democratico delle masse.
Anche nel nostro
paese, abbiamo assistito prima,durante e dopo la campagna elettorale, alla fiera
delle stupidità travestite da analisi, da una parte anche di quella parte della 'estrema
sinistra' che ha tifato Sanders, presentandolo come finalmente un
candidato socialista alternativo. Poi, quando Sanders si è
accucciato sotto la Clinton, il giornale principale che riflette gli
orientamenti della sinistra italiana, Il manifesto, ha spudoratamente
condotto una campagna per la Clinton, presentandola o come
“alternativa” sociale e politica a Trump o, almeno, come il male
minore.
Nessun commento:
Posta un commento