Quello che sta accadendo all’Ilva e alla città di Taranto è una dimostrazione della stridente e irrisolvibile contraddizione tra capitale e lavoratori, tra modo di produzione capitalista che ha come unico scopo il profitto privato e i bisogni delle masse popolari, della società.
Il capitalismo va avanti schiacciando tutto ciò che ostacola il suo cammino; in nome del profitto aumenta i livelli dello sfruttamento degli operai e insieme si fa beffe di ogni tutela delle condizioni di vita, si fa beffe della salute, del rispetto dell’ambiente, anzi non ha alcun scrupolo a distruggerlo, a lasciare morti, malati nel suo cammino. Gli interessi dei lavoratori e delle masse popolari sono inconciliabili con gli interessi capitalistici e di tutto lo Stato dei padroni. Ciò che ha diritto di vita è solo il capitale e il suo sistema. L’Ilva per Marx sarebbe da manuale di come non è possibile lottare per l’abolizione dello sfruttamento, del lavoro salariato, contro la distruzione dell’ambiente, per unire realmente lavoro e salute, senza distruggere il sistema capitalista.
Il proletariato, la classe operaia, può e deve essere il “becchino” del capitale. Questa verità storica si conferma anche nella vicenda odierna.
Per questo, chi oggi nella battaglia contro padron Riva non vede prioritariamente negli operai Ilva il cuore dell’organizzazione delle forze per combattere il suo sistema, si arrende di fronte alla potenza del capitale e sposta su un terreno non di classe lo scontro, in cui la prospettiva, al di là delle parole, può essere apparentemente “rivoluzionaria” ma nella sostanza è inconcludente, al massimo riformista.
Oggi, nella vicenda Ilva sembra che alcuni, sia a Taranto che a livello nazionale (un esempio è il testo fatto da Villa Roth Bari, Comitato di quartiere Taranto, Area Antagonista: Lab. Okk. Ska, C.S.O.A. Officina 99 Napoli, C.S.O.A. Asilo 45 Terzigno, C.S.O.A. Rialzo – Cosenza, LOA Acrobax Roma) scoprano ora le brutture del capitalismo, e dicono: basta con il lavoro, la retorica lavorista, l’ossessione salariale, la paranoia dell’occupazione, rivendichiamo reddito per tutti, un diritto all’esistenza fuori dai rapporti sociali di produzione capitalistici. E si preparano a scendere a Taranto come un esercito bonificatore – di fatto verso gli operai che continuano a voler lavorare e a voler difendere il loro posto di lavoro.
Queste posizioni esprimono oggettivamente un humus antioperaio. Rappresentano l’ideologia, le aspirazioni, la vita della classe che le esprime, la piccola borghesia, il cui sogno è una città senza fabbrica e quindi – per coerenza inevitabile - senza operai. Le fabbriche tout court vengono viste come un orrore da cui liberarsi (e, allora perché non chiudiamo anche tutte le altre fabbriche, gli stabilimenti Fiat, facendo un favore a Marchionne, dove viene attaccata eccome quotidianamente la salute, insieme alla dignità, degli operai). Vogliono far diventare gli operai disoccupati, che vadano ad alimentare il grande esercito dei senza lavoro questo sì ricattabile da padroni, istituzioni, politici, criminalità (come la stessa realtà di Taranto dimostra, e in cui l’unica controtendenza negli ultimi tempi sono i Disoccupati Organizzati dello Slai cobas per il sindacato di classe che sottraendosi a questo ricatto uniscono lotta per il lavoro, lotta per il reddito e lotta per la dignità).
“No ai ricatti”, dicono – come anche è scritto nello striscione del ‘Comitato lavoratori liberi e pensanti” di Taranto - ma di fatto individuano il ricatto nel lavoro. La rivendicazione del reddito, che chiaramente e non a caso è diversa dal “salario garantito”, è sempre stata una rivendicazione dei movimenti dei disoccupati ma come parte della lotta per il lavoro: “lavoro o salario garantito”, essa si lega alla lotta degli operai ma per impedire che il padronato usi la questione dei disoccupati per abbassare il salario operaio, non certo come la rivendicazione trovata che fa vivere il proletariato senza lavorare e finalmente liberato dal ricatto del lavoro salariato.
Gli operai non vogliono vivere di “reddito” – qualcuno oggi vuole, per favore, ricordarsi i più di 200 operai Fiat che negli anni 80 buttati fuori dalla fabbrica, si suicidarono, pur essendo assistiti da un “reddito”? Non ci dimentichiamo poi che Riva, per suo interesse, ha già inventato i lavoratori pagati per non lavorare: prima i lavoratori della Palazzina Laf, oggi un ex delegato Fiom, Battista – ma questo si chiama “mobbing”, e gli operai che potevano starsene in pace a casa con lo stesso salario, dissero e dicono No e lottano per lavorare.
Vi sono altri che dicono riconvertiamo in senso ecologico la produzione, o lottiamo per alternative produttive ad una fabbrica siderurgica. Come se queste altre attività non fossero regolate e interne al modo di produzione capitalista e non avessero, quindi, per scopo sempre e solo il profitto e non la tutela dei diritti delle persone e delle popolazioni. Il capitale, in qualunque settore produttivo, non ha alcun motivo per occuparsi principalmente di mettere suoi soldi per rendere la produzione compatibile con la difesa della salute e dell’ambiente, perché è costoso, e ogni soldo impegnato in questo al capitalista sembra uno spreco.
Pensiamo per esempio alla produzione di energie alternative, l’anno scorso emerse lo “scandalo” del fotovoltaico nella provincia di Lecce, con appalti e subappalti in cui vigeva uno sfruttamento schiavistico verso operai immigrati, che non metteva forse a rischio la salute della popolazione ma quella degli operai sì, costretti a 14 ore di lavoro in condizioni bestiali; pensiamo alla devastazione ambientale e all’inquinamento dell’industria del turismo, che spesso distrugge terreni, deturpa l’ambiente, inquina i mari, ecc.
Ogni discorso di “riconversione” industriale effettivamente ecocompatibile è impotente, o della serie “mettersi la coscienza a posto” se non parte da un’analisi materialista del sistema capitalista.
Per non parlare di coloro che auspicano il ritorno ad una Taranto prima del siderurgico – ma dovremmo dire anche prima dell’Eni, della Cementir, della Marcegaglia, ecc., cioè un ritorno ad una città fatta solo di agricoltura e pesca, che come altre tra le città più povere del Sud, era preda essenzialmente di emigrazione e disoccupazione.
Ma la storia va avanti e non indietro, e la stessa agricoltura è regolata dalle leggi del profitto delle grandi aziende che hanno reso i prodotti agricoli anch’essi inquinati e nocivi per la salute della popolazione, in cui per il massimo sfruttamento si uniscono vecchi sistemi, il caporalato, a moderni, il massiccio impiego di lavoratori stranieri. Parlare della Taranto di prima, poi, nasconde l’altra faccia della medaglia di quegli anni, la miseria dilagante che provocava altrettanti morti e malattie – e qui, se mai, il “ritorno” lo stanno facendo padroni e governo facendo arrivare il tasso di disoccupazione a Taranto al 40%.
Nello stesso tempo proprio coloro che parlano di riconversione produttiva, segano le gambe all’unica forza che può fare questa battaglia, gli operai. Se gli operai non sono più una classe e arretrano a condizione di disoccupati, di “assistiti dallo Stato” come possono fare questa lotta?
Per coloro – come il “Comitato di lavoratori e cittadini liberi e pensanti” - che si stanno battendo a gran voce per la chiusura dell’Ilva e la difesa dell’ambiente, ma con operai fuori dalla fabbrica (con reddito garantito), gli operai o sono tutti succubi di Riva e della logica aziendalista o finora sono stati ciechi e sono “colpevoli” anch’essi dei morti dei bambini dei Tamburi.
Costoro, anche alcune figure di operai ex delegati Fiom molto intervistati dai massa media, in questi giorni non parlano più della condizione degli operai in questo “inferno dell’Ilva”, e l'essere “cittadini” è la condizione che unisce tutti, dai lavoratori fino ai medio borghesi. Tra le cifre snocciolate sono sparite le cifre degli operai morti all’Ilva (una media di 3,4 all’anno), quelle di centinaia di operai morti per tumore, non contabilizzati; nessuno dice che la vera devastazione è ciò che succede ogni giorno in fabbrica.
Gli operai non sono “colpevoli” perché non sono loro che potevano e possono decidere all’Ilva, loro potevano e possono solo lottare contro Riva – su quanto poco hanno lottato questa sì è una responsabilità della classe che spesso anche all’Ilva si lamenta ma ancora non “prende il bastone e tira fuori i denti”, e non si libera realmente dei sindacati confederali.
Come ha giustamente scritto Rossana Rossanda “… Come se fossero loro (gli operai) a decidere se aprire o chiudere una fabbrica e a determinarne le linee e l’organizzazione della produzione…” e non la proprietà del capitale. “l’operaio è meno di un uomo libero, lo è meno di un altro cittadino”. La sua “libertà” è solo quella di lottare e organizzare sia il proprio sindacato di classe per difendersi oggi, sia il proprio partito per rovesciare questo sistema capitalista di sfruttamento e morte.
Poi vi sono le posizioni che vedono nell’esproprio dell’Ilva e nell’affidarla ai lavoratori - vedi Marco Ferrando del Pcl su Il Manifesto dell’11 agosto) – la soluzione.
E’ ben strano. Queste da un lato sostengono che il governo e lo Stato sono amici di Riva e quindi non farebbero mai qualcosa contro l’azienda, dall’altro sostengono che questo stesso governo, questo stesso Stato dovrebbero espropriare Riva senza indennizzo, requisendone gli utili per metterli al servizio della riorganizzazione della produzione, del cambiamento degli impianti, della bonifica dei territori, e sempre questo governo e questo Stato dovrebbe mettere la fabbrica nazionalizzata sotto il controllo degli operai, dando ai lavoratori e ai comitati di quartiere della città appunto il potere di controllo. Questa sarebbe la “soluzione” per difendere insieme lavoro e salute…
Perfetto. Ma chi dice questo dimentica un “piccolo” passaggio fondamentale: perché la produzione sia nelle mani e sotto il controllo operaio è necessario che il proletariato rovesci questo sistema capitalista, rovesci il potere di questo Stato borghese, e costruisca il potere proletario. Questo richiede lo sviluppo della via rivoluzionaria, organizzare le forze proletarie e popolari per farla, costruire lo strumento per questo, il partito rivoluzionario del proletariato.
Non si possono ingannare i lavoratori dicendo che realizzare l’esproprio di un capitalista, primo polo nel paese, secondo produttore di acciaio a livello europeo e tra i 20 padroni nel mondo, per una produzione al servizio della società, quindi non capitalista, sarebbe una “rivendicazione elementare”, e che “conciliare lavoro e salute significa mettere in discussione i fondamenti su cui il capitalismo regge”.
Così, sulla costruzione della forza e degli strumenti per il potere proletario, Ferrando è dirigente di un partito che la domenica fa propaganda rivoluzionaria e il lunedì, martedì, mercoledì… parla e pratica una politica che ha come principale scopo l’elettoralismo.
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La questione Ilva che dovrebbe essere chiara, emblematica della guerra di classe che c’è e che gli operai devono fronteggiare attrezzandosi per la loro guerra di classe, sta diventando invece il “mercato” delle idee, in cui ognuno porta “la sua analisi e soluzione”. E questa importante battaglia in corso, sia sindacale che politica, oggi ha il problema di contrastare anche queste posizioni.
Oggi operai e popolazione devono portare avanti una lotta per strappare il massimo possibile a Riva e allo Stato in tema di sicurezza, ambiente, impedendo che si perda anche un solo posto di lavoro: dalla copertura integrale dei parchi minerali, alla messa a norma dei filtri, ecc., all’attuazione di tutte le prescrizione vecchie e nuove, al rinnovamento di impianti vecchissimi, fino alla riconversione tecnologica del ciclo produttivo dell’acciaio, alla riduzione del carico produttivo. Questa lotta si deve fare! E’ una lotta sindacale di classe, necessaria e possibile. Chi dice: non è possibile, l’Ilva deve andarsene punto e basta, Riva non farà mai gli interventi necessari per il risanamento degli impianti, rinuncia a priori alla lotta in fabbrica non solo contro padron Riva ma contro governo, Istituzioni. Certo Riva piuttosto che mettere a norma, potrebbe andare in altre zone più convenienti, ma è costruendo nuovi rapporti di forza che glielo si può impedire.
Ma nessuno può illudere o illudersi che questa lotta di difesa può in questo sistema rendere effettivamente compatibili lavoro salariato e difesa della salute e dell'ambiente. Ilva o non Ilva, senza rovesciare il sistema del capitale non è possibile eliminare l'inquinamento, l'attacco alla salute (anche in una Ilva nazionalizzata vigerebbero le stesse leggi di questo sistema sociale – proprio l’Italsider, prima di Riva, lo insegna); sarebbe come dire che ci può essere il lavoro ma senza sfruttamento, senza licenziamenti, senza bassi salari.
Quando comunisti, come noi, dicono e lavorano per la rivoluzione, per il potere proletario, per la società socialista, non è per parlare solo di belli ideali, ma perchè la rivoluzione è la soluzione più concreta e possibile perchè non ci siano morti di operai, di bambini per una fabbrica come l'Ilva. Ogni altra soluzione, questa sì è illusione, mentre la realtà possibile e da perseguire è la rivoluzione.
Proletari comunisti - 16.8.12
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