sabato 15 febbraio 2020

pc 15 febbraio - Imperialisti, italiani compresi, come sciacalli sul corpo già straziato della Libia

Dall'ultimo numero di proletari comunisti

La polveriera mediorientale è pronta ad esplodere. le potenze imperialiste continuano non solo ad alimentare la guerra civile dopo la fine dei bombardamenti NATO del 2011 ma anche a acuire i contrasti tra esse stesse, nel conflitto più internazionalizzato del mondo, come lo chiamano gli analisti borghesi. Migliaia di mercenari sudanesi e ciadiani in questi giorni si sono aggiunti al caos.
Il 2 gennaio è stata approvato dal Parlamento turco l’invio di personale militare turco in Libia.
Una mossa osteggiata dalle principali potenze imperialiste europee tra cui Gran Bretagna e Francia e il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Questa decisione ha consentito al gen Haftar di proclamare la Jihad e giocare la carta del nazionalismo arabo e di denunciare l' occupazione turca, un secolo dopo che parti della Libia erano stati sotto l'impero ottomano.
La Turchia in cambio ha firmato un accordo con la Libia di Al-Sarraj sulla cooperazione militare e un memorandum d'intesa sulla delimitazione delle zone marittime tra i due paesi, un accordo d
i cooperazione marittimo sul rifornimento del gas del fondo marino per definire fasce Zee (Zone Economiche Esclusive) in modo da tagliare in mezzo l’EastMed, composto da Grecia, Cipro, Egitto (ed Israele) ostili alla Turchia.

L'intervento diretto/indiretto di Russia ed Europa rappresenta l'ulteriore benzina sul fuoco.
La conferenza di Berlino sulla Libia, sponsorizzata dalle Nazioni Unite, a cui parteciperanno paesi europei, nordafricani e mediorientali, nonché le Nazioni Unite, l'Unione europea, l'Africa e l'Unione africana, si terrà il 19 gennaio, una decisione che arriva dopo i recenti sviluppi della guerra sul campo che, dall'inizio dell'offensiva di aprile contro Tripoli, oltre 280 civili e circa 2.000 combattenti sono stati uccisi e 146.000 libici sfollati, secondo le Nazioni Unite.
Dal punto di vista militare, negli ultimi 15/20 giorni, le truppe guidate da Haftar hanno guadagnato terreno a nord fino a spingersi nell’immediata periferia meridionale di Tripoli, ha bersagliato a più riprese l’aeroporto di Mitiga con fuoco d’artiglieria ed ha colpito una scuola militare a Misurata.
E' controversa la notizia della conquista dell'importante città portuale di Sirte da parte dell’LNA che, se fosse così, è sicuramente un successo tattico per il generale Haftar, che gli permette di controllare caserme, basi aeree ed il porto dov’è attraccata la sua ”ammiraglia” della Marina, impedendo che Sirte potesse diventare un hub logistico per le truppe turche e interrompendo la continuità territoriale delle aree costiere sotto controllo del GNA tra Sirte e Misurata. Il signore della guerra della Cirenaica è sostenuto da Russia (che rappresenta gli interessi delle società e compagnie petrolifere russe che aspirano a rientrare in Libia dopo i bombardamenti NATO e che attualmente è sul campo di battaglia con i mercenari del gruppo Wagner), Francia, Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi.
Il 13 gennaio Al-Sarraj e Haftar erano a Mosca per firmare un accordo sul cessate il fuoco e hanno trascorso sette ore nel tentativo di mettere una firma per una tregua permanente in Libia a seguito di un cessate il fuoco che è entrato in vigore nel fine settimana.
Haftar non ha firmato il documento perchè conteneva il ritiro dei miliziani haftariani dalle postazioni in Tripolitania, e non c’è nemmeno la firma del presidente della Camera dei rappresentati (il parlamento libico), del capo dell’Alto consiglio di stato (organo consultivo del Consiglio presidenziale guidato da Serraj e creato dall’Onu quattro anni fa) e del Tripoli Group dell’HoR (il gruppo di parlamentari eletti nel 2014 che appoggia dichiaratamente il processo Onu).
Russa e Turchia intanto si fanno “i garanti” della tregua, a confermare chi sono attualmente i protagonisti di questa guerra, e cosa vogliono: dividersi la Libia in due parti rappresentate dalla Tripolitania del Gna (a ovest) sotto l’influenza turca e quella Cirenaica (a est) sotto quella russa. E' la contesa per le materie prime alla base di tutto: è il gasdotto TurkStream (lungo 930 km) che dal Mar Nero fino a Kikikoy (a ovest di Istanbul) pomperà un flusso potenziale annuale di gas russo pari a circa 30miliardi di metri cubi. Il Turkstream ribadisce gli ottimi rapporti tra Russia e Turchia sia dal punto di vista diplomatico (il recente caso siriano con l’intesa anti-curda) che economico (l’acquisto da parte turca lo scorso anno del sistema di difesa missilistico S-400). Quel gasdotto con il nome di South Stream doveva costruirlo l’italiana Saipem ma fu bloccato da Europa e Stati Uniti per sanzionare la Russia sull’Ucraina.
In questo quadro geopolitico in continuo cambiamento, cioè il quadro di uno scontro interimperialista che ha per contesa il gas, il petrolio e l'egemonia di alcuni predoni imperialisti a discapito degli altri, che l'imperialismo italiano prova a recuperare terreno sulla Libia, quella che un tempo veniva chiamata dal fascismo “Quarta Sponda” con cui si era ritagliato un "posto al sole" tra le potenze coloniali sulla pelle delle masse libiche, comunque sempre una “ priorità strategica” per gli interessi capitalistici.
In Libia infatti opera l'Eni, multinazionale italiana che nel 2018 è stata classificata come ottavo gruppo petrolifero mondiale per giro d'affari, e produce la maggior parte del suo gas in Egitto e Libia, con la pipeline Green Stream. La stessa Eni produce l’80% dell’energia elettrica libica.
E senza dimenticare il gasdotto Greenstream che dai giacimenti di Bahr Essalam e Wafa trasporta il gas in Sicilia.
Ma non solo petrolio. In quanto ex colonia, l'Italia ha anche dato via a moltissimi progetti infrastrutturali in Libia, in cui sono implicate diverse aziende italiane.
Il quotidiano il messaggero del 13 gennaio riporta: “il ministro degli Esteri Luigi Di Maio continua a spingere per dar vita a una missione di interposizione in Libia, simile all'operazione Unifil in Libano a comando italiano realizzata per garantire il rispetto del cessate il fuoco tra Israele e le milizie di Hezbollah. Un coinvolgimento dei caschi blu che dovrebbe avvenire dietro richiesta dei libici e che Al Serraj ha già fatto capire di essere favorevole. In attesa di questo possibile scenario, il ministero della Difesa sta approntando un nuovo decreto missioni che tenga conto della necessità di dover rafforzare la nostra presenza in Libia. Attualmente la missione italiana, composta di circa 250 uomini, lavora a protezione dell'ospedale da campo di Misurata e sostiene la guardia costiera libica impegnata a contrastare il traffico di armi ed esseri umani. Già qualche giorno fa il ministro della Difesa Lorenzo Guerini aveva parlato dell'esigenza di una «riconfigurazione» delle missioni che potrebbe alla fine portare in Libia un numero maggiore di uomini e mezzi distogliendoli da altri scenari di crisi. Con una spesa di un miliardo e mezzo l'Italia ha ad oggi circa 500 militari in Kosovo, un migliaio in Libano, 800 in Afghanistan e 900 in Iraq”.
I caschi blu sono solo nella testina di Di Maio, basta guardare il comportamento dei predoni imperialisti: il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si è riunito 14 volte sulla Libia da aprile senza approvare una risoluzione sul cessate il fuoco. Al Serraj e Haftar che si sparano addosso possono trovare un accordo nel richiedere l'intervento militare ONU?
L'Italia sta cercando di difendere in Libia la sua postazione. Ma viene snobbata e perde terreno.
L'azione dell'Italia viene affidata ai sorrisi ebeti e inconcludenti di Di Maio e alla tranquillità di Conte che si muovono come delle mosche in un bicchiere, celebrano tregue inesistenti e vengono esautorati sia dai capi del regime libico sia in Europa, dove Di Maio si schiera di fatto con la Turchia.
L'Italia affonda nel pantano libico e per tornare a galla non potrà che rafforzare l'aiuto militare. E non sarà un caso che il TG2 - sfacciatamente schierato a destra, con vari giornalisti di area leghista - riprendeva i "fasti" delle campagne militari italiane in Libia degli anni 20 che anticipò la spietata guerra del fascismo.
Noi comunisti in un paese imperialista gioiamo quando il nostro imperialismo perde terreno.
La "tregua" che cercano di proporre ha chiaramente solo un basso interesse economico e politico, non certo mettere fine ad una guerra che sta martoriando la popolazione libica.
Da un lato c'è la difesa dell'interesse delle multinazionali italiani nella zona, in primis i grandi profitti l'ENI, dall'altro c'è la preoccupazione di una ripresa massiccia delle migrazioni verso l'Italia, questa volta degli stessi libici.
Questa azione del governo italiano mentre per il momento è inconcludente all'estero, all'interno viene utilizzata da Salvini, per la sua propaganda elettorale fascio-populista, antimmigrati.
Ma è la borghesia vuole comunque maggior serietà e difesa dell'interesse generale e non del particolare
Per i proletari, per gli antimperialisti, antifascisti/antirazzisti, per i comunisti rivoluzionari il primo nemico è sempre il nostro imperialismo italiano.
Lo è stato nella battaglia contro l'azione dell'Italia in Libia, con gli accordi fatti con i regimi libici dai governi precedenti da Berlusconi a Gentiloni/Minniti, con il sostegno alla criminale guardia costiera, che ha portato a mantenere e rafforzare i lager, le torture, le morti nei campi e in mare di centinaia di uomini, donne, bambini migranti - intervento che ha accompagnato l'escalation della guerra in corso. Lo è a maggior ragione oggi in cui la popolazione libica non ha certo bisogno di chi penosamente tenta una "soluzione diplomatica" che metta insieme due banditi: Sarraj e Haftar, uno con alle spalle il sostegno della Turchia, e dell'Europa, l'altro dell'Egitto, Russia, Arabia Saudita, ma ha bisogno di liberarsi di ogni regime e di ogni imperialismo.

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