Sono usciti dei dati sugli aborti in Italia, di fonte incerta ma sostanzialmente governativa, che forniscono degli elementi utili alla comprensione attuale del problema e a gettare un segnale su quella che prevedibilmente potrà essere una fase più intensa di attacco ai diritti delle donne da parte del moderno fascismo, qui clerico-fascismo.
Prima dei dati, però, è bene comprendere come si muove in questa fase l'avversario. I tempi delle cieche crociate sono finiti. La stessa Chiesa messa in difesa dall'emergere della questione pedofilia non ha la credibilità necessaria per questo nuovo tipo di crociate; così come l'etica cattolica di questo governo e dei suoi “scandalosi” personaggi davvero non sembra essere un vestito presentabile per essere “legittimati” a fare simili campagne.
Questo fa sì che la campagna attuale debba essere contrastata anche con altri mezzi.
Tornando ai dati, si dice che sarebbero diminuiti gli aborti. Fosse vero! Ma purtroppo le cose non stanno così. Mancano totalmente gli aborti clandestini che sono la maggioranza degli aborti tra le donne immigrate, dove riappare invece piuttosto estesamente il fenomeno delle “mammane”; poi è evidente che gli ostacoli posti dagli ospedali per praticare gli aborti svolgono una funzione forzosamente dissuasiva.
Sono, quindi, altri i dati più importanti, e in un certo senso anche nuovi rispetto al passato:
il 50% sono di donne lavoratrici, e questo ha a che fare obiettivamente con il peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita delle donne che lavorano, per cui la coniugazione del lavoro e maternità è ancora più difficile.
L'altro dato riguarda il fatto che il numero dei ginecologi obiettori e anche di anestesisti e personale non medico arriva – dati del 2008 – a 71,5% e al sud al 80%. Dati al ribasso rispetto alla situazione attuale; sappiamo per conoscenza diretta che in alcune città, in alcuni ospedali di città abbastanza grandi non ci sono medici che praticano gli aborti.
E non si tratta di un dato che si può far corrispondere ad una obiezione di coscienza eticamente intesa; ma un dato di clima, ricatto, gestione degli ospedali, perfino nomine e incarichi, dentro il quadro della privatizzazione della sanità e della logica di guardare soprattutto agli utili, che essa comporta.
Quindi se mettiamo a confronto i due dati, si può vedere come si vada rafforzando il carattere di classe della negazione dell'aborto.
In questo stato di cose, l'annuncio da parte della esponente di punta della campagna antiabortista, il sottosegretario alla salute, Eugenia Roccella, di un “piano federale per la vita, con l'obiettivo di “essere uno strumento in più nella prevenzione dell'aborto”, ci fa capire come questo venga ad essere un tassello del regime in formazione.
Questo richiede che la lotta a difesa del diritto d'aborto non possa essere considerata solo una lotta “femminista” ma parte generale della lotta delle donne, con ruolo di punta delle donne proletarie – la difesa del diritto d'aborto, la sua estensione è un punto che deve essere inserito e valorizzato nella piattaforma di un possibile e necessario sciopero delle donne – e una battaglia che l'intero movimento proletario e comunista deve fare.
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