La sentenza emessa dal Tribunale di Melfi è innanzitutto una vittoria degli operai della Fiat Sata, con tutto il rispetto per giudici, avvocati e la Fiom nazionale e locale che hanno presentato il ricorso. Gli operai alla Fiat Sata erano in lotta non tanto contro il piano di Pomigliano ma contro la Fiat tout court che aveva aumentato i ritmi a sorpresa, in una situazione di cassintegrazione, per ottenere più lavoro con meno operai, più sfruttamento, più fatica.
Questo sciopero nato spontaneo, era stato imposto a tutte le OO.SS.,con un ruolo attivo d'avanguardia riconosciuto dei delegati Fiom poi licenziati. La linea è stata bloccata, il carrello oggetto del licenziamento fermato dalla lotta di tutti gli operai. Legittima la lotta, legittimo il blocco della linea, pienamente responsabile l'azienda del blocco della stessa.
Per fermare questo sciopero si è scatenata una rappresaglia, questa sì dentro il clima nuovo imposto dal piano Marchionne e dal fascismo padronale.
Si è trattato, ha detto il giudice, di una rappresaglia antisindacale che colpiva la parte del sindacato e degli operai che questa lotta sindacale stava facendo.
Alla ragione della lotta e degli operai e delegati protagonisti di essi, si è unito il senso di solidarietà e indignazione della larga maggioranza degli operai della Fiat Sata, indipendentemente dalle iscrizioni sindacali, che questa lotta condivideva, e i due delegati erano rappresentativi di questa lotta, uno dei due delegati, Giovanni Barozzino, era stato il più votato alle recenti elezioni Rsu che la Fiom aveva vinto.
Su questa base la lotta è proseguita dopo i licenziamenti, su questa base vi è stata la riuscita manifestazione a Melfi, in cui si è visto sostanzialmente il calore, la solidarietà, la determinazione degli operai verso i 3 licenziati, intantosaliti sulle mura venusine per rendere visibile la lotta, per far diventare questa lotta una vera bandiera, nel contesto della lotta generale.
Il fattore di classe e umano della comunità operaia della Fiat Sata hanno per ora vinto.
La Fiat, l'uomo nero e i suoi scagnozzi in seno alla Sata hanno per ora perso.
Insomma, questi licenziamenti sono apparsi a tutti gli operai, alle loro famiglie, alla comunità, come una vigliaccata.
Questo clima,questo spirito non poteva non influire nelle grigie aule del Tribunale; peraltro nei giorni dell'udienza invase e presidiate da oltre un centinaia di compagni di lavoro dei 3 licenziati. Le udienze hanno visto le testimonianze di tanti operai, precise, a volte commoventi, che hanno messo sotto accusa questa violenza del padrone. Antonio Lamorte si sposava in quei giorni, lui e la moglie hanno atteso la sentenza, non sono partiti in viaggio di nozze, colpevoli di cosa?
Di essere operai, di fare i delegati, di fare lo sciopero.
Ma questa comunità operaia non è un caso che ha reagito così e ha vinto. E' quella dei “21 giorni”, è quello spirito che non è mai morto; è lo spettro per i padroni, quello spettro che non sono riusciti a cancellare, che riemerge quando il gioco si fa duro e i padroni pensano che sia morto e sepolto dalle divisioni sindacali, dalle contraddizione tra gli operai, dai personalismi, dalle piccinerie e meschinerie che pur ci sono nei “tempi di calma” tra gli operai della Sata; ma se padroni e capi sfidano gli operai, gli operai accettano la sfida e vincono. Certo parzialmente, come fu per i “21 giorni”, come è per questa sentenza in questa fase.
Padroni e stampa dei padroni, agenti dei padroni nelle fila operaie non hanno esitato a parlare di “sabotaggio”, a ricordare l'altra accusa di “terrorismo” che originò altri licenziamenti, poi rientrati. Ma così facendo, si sono dati la zappa sui piedi. Perchè non erano sabotatori e terroristi quelli licenziati l'altra volta e non lo sono Giovanni, Antonio e Marco.
Anche se su questo, però sarà bene che gli operai Fiat di Melfi e le loro avanguardie non si illudano e comprendano una volta per tutte: i padroni considerano “sabotaggio” chi contrasta i loro piani, e sabotare i loro piani è giusto, necessario, è inevitabile. Così come considerano “terrorismo” il sindacalismo di classe, la lotta contro il potere dei padroni per il potere operaio. Questo sindacalismo,questa lotta terrorizza in effetti i padroni, e deve terrorizzare, sopratutto se e quando diventa un fenomeno permanente, organizzato, pianificato, per mettere fine al terrore dei padroni, quello che oggi assume le sembianze del fascismo padronale di Marchionne e del governo che lo sostiene.
Ma chiaramente, quando una lotta operaia vince anche parzialmente, anche se solo in un'aula del Tribunale, non c'è da aspettarsi “rose e fiori”, i padroni e i loro uomini diventano lividi di rabbia, sminuiscono, denigrano e preparano la controffensiva.
La prima reazione della Fiat e di Marchionne che annuncia l'opposizione legale, conferma la denuncia penale a cui fara seguire la guerra di bassa intensità contro gli operai da riassumere, contro l'opposizione sindacale, contro tutti gli operai della Fiat Sata
I servi del padrone sono usciti subito allo scoperto. Innanzitutto i sindacalisti legati ormai mani e piedi alla Fiat.
La reazione più livida e vendicativa è quella del giorno dopo, apparsa sulla stampa dell'11 agosto di Palombella, segr. nazionale Uilm, che dice: “La Fiom doveva scegliere solo la via legale... non si doveva mettere a ferro e fuoco lo stabilimento... la decisione dell'amministratore delegato di Fiat Group, Marchionne, di trasferire la produzione della nuova monovolume LO in Serbia anzicchè a Mirafiori e poi a Melfi che era lo stabilimento più accreditato, parte da qui.
I 15/20 giorni di blocco dello stabilimento hanno dissuaso il Lingotto da un forte investimento in Italia...”.
Si cerca quindi far passare la lotta contro i licenziamenti, l'aumento dei ritmi, la solidarietà operaia, come causa dei piani dei padroni e non come lotta contro di essi.
Siamo davvero in un'altra fase del sindacalismo di regime, siamo nella fase del sindacalismo del fascismo padronale.
Bonanni assume una posizione più cauta, ma sostanzialmente dello stesso tipo: “la vicenda è il frutto del clima di esasperazione creato dalla Fiom. Avevamo avvertito la Fiat di non cadere nella trappola della esasperazione. Ma non lo ha fatto... è bene non dimenticare che i licenziamenti sono gli effetti di una situazione conflittuale non la causa... l'azienda deve invece giocare il suo ruolo sul piano politico e proseguire il confronto con tutti coloro che sono interessati a ridare solidità alla produzione dell'auto in Italia”.
Il consiglio di Bonanni è quindi compattamento del fronte padronal sindacale, come arma per raggiungere gli stessi scopi dei licenziamenti repressivi.
La grande stampa del padrone parla attraverso un articolo del'11 agosto su Corriere della Sera di Dario Di Vico: “I pretori non ci salveranno, se i pretori del lavoro tornano ad essere come in anni che pensavamo passati, i protagonisti delle relazioni industriali italiane, le ragioni dell'economia sono destinate inevitabilmente a soccombere”. E per dar forza ai suoi argomenti resuscita il cadavere di Romano Prodi per sostenere che “è necessario il completo sfruttamento degli impianti e la loro flessibilità di fronte ad un mercato sempre più difficile”.
Quindi, per cortesia, Fiom,operai, pretori non vi mettete di traverso...
Pietro Ichino non nasconde anch'egli il suo imbarazzo a fronte della sentenza ma cerca di razionalizzare. A parole dice che è una sentenza giusta, ma aggiunge: “....altrettanto sicuramente è vietato il comportamento del lavoratore, sindacalista o no, che nel corso di uno sciopero compia atti mirati a impedire il lavoro di altri dipendenti, o comunque il processo produttivo...”.
Ma il giudice ha smentito proprio questo punto. Ichino vuole fare il giudice al posto del giudice. Ichino aggiunge subito dopo, che il caso della Fiat Sata fa storia a sé e lo dice per segnalare che: “... eventuali ricorsi sull'accordo di Pomigliano, sarebbero di natura molto diversa”. Ovvero, non vi azzardate a fare ricorso contro questo accordo e soprattutto, giudici non pensate di dare nuove sentenze favorevoli su questo.
Poi torna sul suo cavallo di battaglia di fase, la legge che legittimi solo chi è d'accordo col padrone, diremmo noi, ad essere sindacato riconosciuto in fabbrica, con la legalizzazione degli accordi separati e l'accantonamento “governato” delle minoranze.
La sentenza viene accolta con un imbarazzo non molto nascosto e con una volontà di passare subito oltre dagli esponenti dell'opposizione parlamentare. LL'ex ministro del Lavoro Damiano dice: “la giustizia del lavoro ha fatto il suo corso, ora è importante tornare al confronto”. Su questo si attestano sostanzialmente tutti gli esponenti del PD che temono soprattutto che la vittoria operaia alimenti, come è giusto che sia, una nuova fase dello scontro.
Il segretario regionale del PD lucano Speranza rilancia: “... il tempo è maturo per aprire una discussione reale che metta al centro il tema della produttività del lavoro... solo questa comune consapevolezza potrà recare benefici contro fughe in avanti o impostazioni ideologiche che rischiano di spezzare il clima di collaborazione”.
Più imbarazzato appare il presidente della Regione Basilicata, Vito De Filippo, messo sotto accusa dagli operai della Fiat Sata per la sua posizione equidistante a parole ma filo Fiat nella sostanza e per la sua assenza di sostegno e partecipazione. La sentenza è una sconfitta anche per lui.
L'ex sottosegretario all'economia, Lettieri, aggiunge un argomento non presente negli altri commenti: “... la sentenza evidenzia anche inadeguatezza della dirigenza Fiat di Melfi la cui cecità portò anni fa ai “21 giorni” di protesta. Ignorano i diritti e le esigenze dei lavoratori dello stabilimento di Melfi che è il più produttivo del sistema Fiat. L'amministratore Marchionne... dovrebbe valutare bene il comportamento dei suoi dirigenti...”.
Insieme alla grande gioia mista a sollievo, a fronte della grave preoccupazione, dei tre operai reintegrati e della maggioranza degli operai Fiat, condivisa pensiamo da tutti gli operai italiani che hanno conosciuto la vicenda, va rilevata la posizione della Fiom che mette l'accento sullo Statuto dei Lavoratori, sulla legge e viene incoraggiata questa linea a fronte degli altri licenziamenti in corso e soprattutto del piano Pomigliano.
Ma nelle dichiarazioni di Landini questa soddisfazione e questa linea viene utilizzata principalmente per chiedere un ritorno al tavolo della trattativa, a “riaprire un vero negoziato su tutti i temi aperti con la Fiat che ricerchi le soluzioni nel rispetto del CCNL, delle leggi e della Costituzione... (nel quadro de – ndr) “la contrattazione collettiva è una risorsa per ricercare soluzioni innovative tra le parti se diventa una reale mediazione tra i diversi interessi del lavoro e dell'impresa...”.
Noi non pensiamo che la vittoria parziale a Melfi, così come il No al referendum di Pomigliano indichino questa strada. E' la lotta e l'opposizione intransigente che paga, che uniscono gli operai, ostacolano e mettono in crisi il piano Marchionne che non può essere negoziato e meno che mai “nel rispetto del contratto nazionale” che a suo tempo la Fiom non ha firmato.
E pensiamo che le cosiddette “soluzioni innovative tra le parti e reale mediazione tra i diversi interessi del lavoro e dell'impresa”, rappresentino oggi nel contesto del fascismo padronale una via sbagliata, illusoria e perdente.
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