venerdì 13 marzo 2020

pc 13 marzo - Coronavirus e guerra strategica - una riflessione in 3 parti - prima parte

Contagio sociale – Guerra di classe micro-biologica in Cina

Davanti ai fatti delle ultime settimane legati al diffondersi in forma pandemica del virus COVID-19 ha destato da più parti interesse il contributo della rivista cinese Chuangrivista cinese Chuang del quale riportiamo la traduzione in italiano a cura del blog il Pungolo Rosso. Il testo, pubblicato a fine febbraio, ha il merito di considerare la diffusione del virus entro le dinamiche di sviluppo e crisi capitalistica tratteggiando, non solo in riferimento a COVID-19, una sorta di storia sociale dei cicli epidemiologici sotto l’espansione capitalistica. Come uno shock da crollo, l’epidemia, giustappunto come epidemia alle condizioni della produzione capitalistica e della sua riproduzione sociale, porta allo smottamento di più livelli della realtà sistemica, risalendoli minacciosamente. Sotto questo profilo altro punto di forza del testo è certamente quello di fornire una lettura delle strategie di
gestione della crisi da parte dell’apparato cinese al fine di governare il fenomeno comprendendo le implicazioni che dal contagio biologico del virus conducono al contagio sociale degli effetti dello stesso. Un “salto di specie” che coinvolge il medesimo ambiente: le catene del valore globale, dal loro livello di realtà microbiologico, passando per la vita umana proletaria e le connessioni macroeconomiche che la determinano a livello globale. Un laboratorio, quello cinese, da conoscere per cogliere le tendenze di sviluppo di questa crisi anche dalle nostre parti.

Come una rivoluzione tramata dall’ignoto – nel regno tra la vita e la non vita del virus -  dall’8 marzo il contagio sociale ha investito anche l’Italia. Il “paese bloccato” lamentano gli affezionati dell’interesse generale, una quotidianità sospesa per la generalità delle dimensioni proletarie. Senza certezze. Da un giorno all’altro la normale riproduzione sociale capitalistica sconvolta. Una crisi economica come precipitato di una pandemia. Oppure l’inverso? L’elaborazione di Chuang obbliga a interpretare congiuntamente questi elementi verso un materialismo dell’ultra-materia, microbiologico, ambientale, ecologico. Lo scontro di questi giorni in Italia, dalle rivolte nelle carceri agli scioperi, in significativa continuità, nelle fabbriche, descrive i caratteri e le proporzioni del contagio sociale in atto. Chi paga i costi del Coronavirus? Al netto dell’incapacità delle istituzioni statali di garantire la sicurezza sociale e le stesse condizioni dell’accumulazione quando l’umano rimane indispensabile per mandare avanti fabbriche e servizi essenziali bisogna “stare a casa” o “andarsene a casa”, voltando le spalle anche a ciò, che si dice, non va fermato ma che fa numero sul PIL? Mutare una traiettoria di governo di questa crisi e piegarla in rottura verso nuovi rapporti verso gli scenari che verranno. C’è questo spazio? Nonostante l’urgenza di pensare forme della politica che riaggreghino una domanda comune a partire dall’isolarsi per mettersi in salvo dal contagio? Per un comunismo della tecno-natura pienamente politicizzato, per fare il verso alle tesi di Chuang. Il contributo che segue aiuta insomma a fissare alcune urgenze analitiche dentro una crisi vorticosa che già avanza le prime risposte in difesa di un interesse macro-proletario sotto attacco e che vedrà il loro intensificarsi nelle prossime settimane anche solo come effetto del contagio sociale innescato dall’epidemia.

La fornace Wuhan
Wuhan è conosciuta volgarmente come una delle "quattro fornaci" (四大 火炉) della Cina per la sua opprimente estate calda e umida, che condivide con Chongqing, Nanchino e alternativamente Nanchang o Changsha, tutte città molto trafficate con una lunga storia, situate lungo o in prossimità
della valle del fiume Yangtze. Delle quattro, Wuhan è anche letteralmente ricoperta di fornaci: l’enorme agglomerato urbano costituisce una sorta di nucleo produttivo per l'acciaio, il cemento e altre industrie legate all'edilizia in Cina, il suo paesaggio è punteggiato dagli altiforni a raffreddamento lento delle ultime fonderie di ferro e acciaio di proprietà statale, ora prostrate dalla sovrapproduzione e costrette a un nuovo controverso ciclo di ridimensionamento, privatizzazione e generale ristrutturazione, che negli ultimi cinque anni ha provocato numerosi scioperi e proteste. La città è sostanzialmente la capitale cinese della produzione per l’edilizia, il che significa che ha avuto un ruolo particolarmente importante nel periodo successivo alla crisi economica mondiale, durante gli anni in cui la crescita cinese è stata stimolata dalla concentrazione dei fondi di investimento nella costruzione di infrastrutture e di immobili. Wuhan non solo ha alimentato questa bolla, con un’offerta eccessiva di materiali da costruzione e ingegneri civili, ma, in questo modo, ha avuto essa stessa una rapidissima espansione urbana. Secondo i nostri calcoli, nel 2018-2019 l'area totale dedicata ai cantieri di Wuhan era pari alla superficie dell'intera isola di Hong Kong.
Ma adesso questa fornace, che dopo la crisi [del 2008] è stata il motore dell'economia cinese, sembra che si stia raffreddando, proprio come le fornaci delle sue fonderie di ferro e acciaio. Anche se questo processo era già iniziato, non è più una semplice metafora economica, poiché la città, un tempo così movimentata, è stata isolata per oltre un mese, con le sue strade svuotate da un ordine del governo: “Il più grande contributo che potete dare è di non riunirvi e di non provocare caos ”, è questo che si legge sulla prima paginaprima pagina del Guangming Daily, un quotidiano gestito dal  Dipartimento di propaganda del Partito comunista cinese. Adesso, i nuovi ampi viali di Wuhan e gli scintillanti edifici in acciaio e vetro che li contornano sono tutti freddi e vuoti, mentre l'inverno volge al termine con il Capodanno lunare e la città vegeta a causa dell’imposizione di una vasta quarantena. Isolarsi è un buon consiglio per chiunque si trovi in Cina, dove lo scoppio del nuovo coronavirus (recentemente ribattezzato "SARS-CoV-2" e la sua malattia "COVID-19") ha ucciso più di duemila persone, più del suo predecessore, l’epidemia di SARS del 2003. L'intero paese è bloccato, come durante la SARS. Le scuole sono chiuse e le persone sono confinate nelle loro case in tutto il paese. Quasi tutte le attività economiche si sono fermate il 25 gennaio per le vacanze del Capodanno lunare, ma la pausa è stata prolungata per un mese per rallentare la diffusione dell'epidemia. Le fornaci cinesi sembrano aver smesso di bruciare, o almeno sono state ridotte a carboni ardenti. In un certo senso, però, la città è diventata un altro tipo di fornace, perché il coronavirus brucia attraverso la massa della sua popolazione ovviamente come una febbre.
A torto, l'epidemia è stata incolpata di tutto, dalla fuoriuscita di un ceppo di virus dall'Istituto di Virologia di Wuhan, a causa di una cospirazione o di un incidente - una affermazione discutibile diffusa dai social media, in particolare tramite messaggi paranoici postati su Facebook da Hong Kong e Taiwan, ma ora sostenuta da organi di stampa conservatori e dagli interessi militari in Occidente - alla propensione dei cinesi a mangiare cibi "sporchi" o "strani", poiché l'epidemia virale è collegata a pipistrelli o serpenti venduti in un "mercato umido" semi-illegale, specializzato in fauna selvatica e altri animali rari (sebbene questa non sia la fonte ultima dell’epidemiasebbene questa non sia la fonte ultima dell’epidemia). Entrambe queste spiegazioni sono una testimonianza dell'evidente atteggiamento bellicista e orientalista che caratterizza i rapporti sulla Cina [provenienti da Occidente], e numerosi articoli hanno sottolineato questo fatto fondamentale. Ma anche queste risposte tendono a concentrarsi unicamente sulla questione della percezione del virus in ambito culturale, dedicando molto meno tempo a scavare più a fondo nelle dinamiche di gran lunga più brutali che sottostanno all’accanimento dei media.
Una variante leggermente più complessa include almeno le conseguenze economiche, anche se ne ingigantisce  in modo retorico le potenziali ripercussioni sul piano politico. In questo caso, troviamo i soliti sospetti, che vanno dai classici politicanti che partono alla caccia del dragone cinese fino alla finta reazione scioccata dei piani alti del liberalismo: le agenzie di stampa, dalla National Review al New York Times, hanno già insinuato che l'epidemia potrebbe provocare una "crisi di legittimità” per il PCC, nonostante nell'aria ci sia a malapena un soffio di rivolta. Tuttavia in queste previsioni c’è un fondo di verità, che sta nel comprendere le dimensioni economiche della quarantena, qualcosa che difficilmente potrebbe non essere notato da giornalisti con portafogli azionari più grossi dei loro cervelli. Perché il fatto è che, nonostante l’appello del governo a isolarsi, le persone potrebbero presto essere costrette, invece, a "riunirsi" per far fronte alle necessità della produzione. Secondo le ultime stime, già nel corso di quest'anno l'epidemia causerà un rallentamento del tasso di crescita del PIL della Cina, portandolo al 5%, al di sotto del già stagnante 6% dell'anno scorso -il tasso più basso degli ultimi tre decenni. Alcuni analisti hanno affermato che la crescita del primo trimestre potrebbe scendere del 4 percento o anche oltre, e che ciò potrebbe innescare una specie di recessione globale. Da qui è sorta una domanda in precedenza inconcepibile: cosa succederà effettivamente all'economia globale quando la fornace cinese inizierà a raffreddarsi?
Nella stessa Cina, è difficile prevedere quale sarà la parabola finale di questa vicenda, ma quanto sta accadendo ha già prodotto a livello collettivo un processo piuttosto raro: interrogarsi sulle questioni e informarsi sui fatti della società. L'epidemia ha infettato direttamente quasi 80.000 persone (secondo le stime più prudenti), ma ha provocato uno shock nella vita quotidiana sotto il capitalismo per 1 miliardo e 400 milioni di persone, intrappolate in un momento di precaria auto-riflessione. Questo momento, anche se pieno di paura, ha indotto tutti a interrogarsi contemporaneamente su alcune questioni profonde: cosa mi succederà? I miei figli, la mia famiglia e i miei amici? Avremo abbastanza cibo? Verrò pagato? Pagherò l'affitto? Chi è responsabile di tutto questo? In un modo strano, l'esperienza soggettiva è in qualche maniera simile a quella di uno sciopero di massa - ma è un’esperienza che, nel suo carattere non spontaneo, imposto dall'alto verso il basso e, soprattutto, nella sua non volontaria iperatomizzazione, illustra i dilemmi fondamentali del nostro stesso presente politico asfissiato in maniera evidente, così come gli autentici scioperi di massa del secolo scorso hanno messo in luce le contraddizioni della loro epoca. La quarantena, quindi, è come uno sciopero ma svuotato dei suoi caratteri collettivi, e tuttavia in grado di provocare un profondo shock sia a livello psicologico, che economico. Questo fatto già di per sé la rende degna di riflessione.
Naturalmente, le speculazioni sull'imminente caduta del PCC sono delle prevedibili assurdità, uno dei passatempi preferiti di The New Yorker e The Economist. Nel frattempo, i media stanno ricorrendo alle usuali procedure di insabbiamento, in cui editoriali apertamente razzisti pubblicati nei siti degli organi di stampa tradizionali sono avversati da una marea di articoli sul web che polemizzano contro l'orientalismo e su altre questioni ideologiche. Ma quasi tutta questa discussione rimane a livello descrittivo - o, nella migliore delle ipotesi, affronta la politica di contenimento e le conseguenze economiche dell'epidemia - senza approfondire le questioni legate in primo luogo a come tali malattie vengono prodotte, e ancora meno a come si diffondono. Anche questo, tuttavia, non è abbastanza. Ora non è proprio il momento per esercizi stilistici da “marxisti alla Scooby-Doo”, togliendo la maschera ai cattivi per rivelare che, sì, in effetti, è stato il capitalismo che ha causato il coronavirus fin dall’inizio! Non sarebbe molto più acuto di quello che fanno i commentatori stranieri che in maniera altrettanto grossolana vanno alla ricerca di un cambio di regime. Certamente il capitalismo ne ha la colpa - ma in che modo, esattamente, la sfera socio-economica si interfaccia con quella biologica e quali lezioni più profonde si possono trarre da tutta questa esperienza?
In questo senso, l'epidemia offre due opportunità di riflessione. In primo luogo, ci dà la possibilità di riesaminare le questioni sostanziali sul modo in cui la produzione capitalistica si rapporta al mondo non umano a un livello più fondamentale: in breve, come il “mondo naturale”, compresi i suoi substrati microbiologici, non possa essere compreso senza fare riferimento al modo in cui la società organizza la produzione (perché, in effetti, i due ambiti non sono separati). Allo stesso tempo, questo ci ricorda che l'unico comunismo degno di questo nome è quello che include in sé il potenziale di un naturalismo pienamente politicizzato. In secondo luogo, possiamo usare ugualmente questo momento di isolamento per una sorta di nostra riflessione sullo stato presente della società cinese. Alcune cose diventano chiare solo quando tutto si interrompe in modo inaspettato, e un rallentamento di questo tipo può rendere visibili le tensioni fino a quel momento occultate. Andiamo quindi ad esplorare entrambe queste questioni, e a mostrare non solo come sia l'accumulazione capitalistica a produrre tali epidemie, ma anche come il momento della pandemia sia esso stesso un esempio contraddittorio di crisi politica, poiché rende visibili alle persone le potenzialità e le dipendenze invisibili del mondo che le circonda, offrendo allo stesso tempo una scusa ulteriore per estendere ancor più i sistemi di controllo nella vita di tutti i giorni.
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La produzione di epidemie
Il virus che è all'origine dell'attuale epidemia (SARS-CoV-2), così come il suo predecessore SARS-CoV del 2003, l'influenza aviaria e ancora prima l'influenza suina, è germogliato dall’incrocio tra economia ed epidemiologia. Non è un certo caso che così tanti di questi virus abbiano preso il nome di animali: la diffusione di nuove malattie tra la popolazione umana è quasi sempre il prodotto di quello che viene chiamato trasferimento zoonotico, che è un modo tecnico per dire che queste infezioni passano dagli animali agli umani. Questo salto da una specie all'altra è condizionato da fattori come la vicinanza e la regolarità del contatto, che costruiscono l'ambiente in cui la malattia è costretta ad evolversi. Quando questa interfaccia tra uomo e animale cambia, si modificano anche le condizioni in cui si evolvono queste malattie. Sotto le quattro “fornaci” [le quattro città cinesi, tra cui Wuhan, di cui si è detto all'inizio], quindi, si trova una fornace ancora più importante, che sta alla base degli hub industriali di tutto il mondo: la pentola a pressione evolutiva costituita dall'agricoltura e dall'urbanizzazione proprie del capitalismo. È questo il substrato ideale nel quale le epidemie nascono, si trasformano, compiono dei balzi zoonotici sempre più devastanti, e poi sono veicolate in modo aggressivo attraverso la popolazione umana. A ciò si aggiungono dei processi altrettanto intensi che si verificano ai margini dell'economia, in cui ceppi "selvaggi" vengono più di recente in contatto con persone spinte a incursioni agro-economiche sempre più estese negli ecosistemi locali. Il coronavirus, nelle sue origini "selvagge" e nella sua improvvisa diffusione attraverso un nucleo fortemente industrializzato e urbanizzato dell'economia globale, rappresenta le due dimensioni della nostra nuova era di epidemie politico-economiche.
L'idea di base qui esposta è sviluppata in modo molto approfondito da alcuni biologi di sinistra come Robert G. Wallace, il cui libro Big Farms Make Big Flu, pubblicato nel 2016, spiega in maniera esauriente la connessione tra il settore agroalimentare capitalistico e l'eziologia delle recenti epidemie, che vanno dalla SARS all'Ebola [i]. Queste epidemie possono essere raggruppate in due categorie: la prima trova la sua origine nel cuore della produzione agro-economica, la seconda nel suo entroterra. Nel tracciare la diffusione di H5N1, noto anche come influenza aviaria, Wallace riassume diversi fattori chiave della geografia per quelle epidemie che hanno origine nel cuore della produzione:
“I paesaggi rurali di molti dei paesi più poveri sono ora caratterizzati da attività produttive agroalimentari non regolamentate che premono contro le bidonvilles periubane. La trasmissione non controllata nelle aree vulnerabili aumenta la variazione genetica con cui l'H5N1 può sviluppare delle caratteristiche specifiche per l'uomo. Diffondendosi su tre continenti ed evolvendosi rapidamente, l'H5N1 entra anche in contatto con una crescente varietà di ambienti socio-ecologici, che includono specifiche combinazioni locali di tipologie prevalenti di host, di modalità di allevamento del pollame e di misure per la salute degli animali” [ii].
(continua)

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