venerdì 27 marzo 2020

pc 27 marzo - Coronavirus in Lombardia, i medici di famiglia dicono no alla mobilitazione di Gallera: "Noi mandati allo sbaraglio". Lo Slai Cobas sc Istituto Tumori condivide questo moto di "ribellione", perché...

perchè è in sintonia col sentire, non solo nostro, ma di tutti gli operatori sanitari, che in questa emergenza, vengono, subdolamente, definiti dalla narrazione tossica da Conte a Fontana/Gallera "i nostri eroi" - no grazie, diciamo - per poi mandarci al massacro e non fornendoci le necessarie protezioni e lasciandoci, come carne da macello, a contaminare e morire, con la paranoia di cercare di non contagiare i nostri cari, imponendoci turni "straordinari", come se non bastassero il super stress che già viviamo, che aumentano i rischi di sbagliare e quindi contagiarsi e contagiare altri. 
Per queste ragioni cercheremo di dare voce a tutti gli operatori sanitari e di base, e invitiamo a mandarci, segnalarci ogni iniziativa, (sfruttando i vari decreti di fatto stanno cercando di mettere il bavaglio a quanto viene denunciato dai tanti operatori, sindacati di base, sindaci).
Ma principalmente facciamo appello a costruire una comunicazione diretta e condivisa, da far circolare per dare forma ad una comunicazione/informazione/indicazioni, per i/le lavoratori/ci, tutti, della sanità, con l'obiettivo di costruire un'alternativa al presente, resistere, e costruire un futuro altro contro quello che ci prospettano. Quanto sia chiaro quale futuro ci vogliono "regalare", lo dice lo stesso Gallera, che tra una conferenza stampa e l'altra, dice che la sanità lombarda è allo stremo, continua a non fare nuove assunzioni, non fa screaning di massa tra i lavoratori per tracciare e circoscrivere il contagio, non vengono date le protezioni necessarie, non riaprono presidi ospedalieri e strutture, segnalati e presenti in tutta Milano e Lombardia, ecc. 
Ebbene mentre questa è la realtà che ci impongono oggi, l'assessore Gallera trova il tempo per rafforzare il suo "futuro" politico: “Vivo nel bunker non penso alla popolarità...” - non aggiungiamo nessun commento, la sua candidatura parla da sola.
Slai Cobas sc cobasint@tiscali.it ; 3387211377


L'assessore regionale chiede reperibilità telefonica dalle 8, alle 20, i medici rispondono con una lettera: "Così si rischia che chi ha davvero bisogno di assistenza si perda nel mucchio". E accusano: "Siamo entrati in contatto con pazienti infetti e non siamo stati sottoposti a tampone con l'ordine di continuare a lavorare"
di MATTEO PUCCIARELLI
L'idea di 'mobilitare' i medici di famiglia lanciata due giorni fa dall'assessore regionale al Welfare, Giulio Gallera, con anche una reperibilità telefonica dei dottori dalle 8 alle 20, non è esattamente quel che loro stessi si aspettavano. "Misure inutili che rischiano solo di fare ulteriore confusione", dice ad esempio Roberto Carlo Rossi, presidente dell'ordine dei medici milanesi. "Questo lavoro immane lo
facciamo già adesso, il problema è che non siamo messi in condizioni di sicurezza", aggiunge Giuseppina Borrini, che insieme ad un gruppo di colleghi ha scritto una lettera per lamentare la mancanza di dispositivi di protezione. Il rischio principale, spiegano i medici di base, è che la loro fondamentale funzione di filtro si riduca a infinite giornate di consulenza telefonica. Già oggi in media ogni medico di base sta ricevendo qualcosa come 60-80 chiamate di pazienti. "Aumentare l'orario e il carico alla fine rischia di essere fuorviante, nel senso che poi chi ha davvero bisogno di assistenza si perde nel mucchio", ragiona Rossi.
La forza dei medici di base è quella di conoscere la storia clinica dei propri pazienti, avendo una capacità di valutazione maggiore caso per caso. "A noi pare invece che l'idea della Regione rispetto al nostro coinvolgimento sia in realtà più figlia dell'emozione del momento, non a caso Gallera ha riconosciuto che il provvedimento va limato", aggiunge sempre Rossi. Oggi le parti dovrebbero incontrarsi per concordare le linee guida di questo filtro iniziale tutto centrato sul coronavirus da parte dei medici di famiglia. I quali potrebbero ad esempio comunicare attraverso una piattaforma informatica i dati principali di pazienti sospettati di essere positivi, come febbre, battito cardiaco, respirazione, attraverso l'uso domestico individuale degli strumenti necessari, tra i quali il saturimetro.

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