un contributoL'analisi. I militari per strada: il vero rischio è che poi ci restino
Lucia Capuzzi sabato 21 marzo 2020
A preoccupare è
l’impiego disinvolto della narrativa bellica da parte dei governi
per descrivere l’attuale emergenza. «Siamo in guerra contro un
nemico invisibile»
Istèresi. I fisici chiamano così il fenomeno
per cui un corpo, sottoposto a una pressione, mantiene una
deformazione anche quando la tensione si allenta o termina. Per
analogia, numerosi analisti hanno prospettato il rischio di una
“isteresi sociale e politica” alla fine della pandemia di
coronavirus. A preoccupare è l’impiego disinvolto della narrativa
bellica da parte dei governi per descrivere l’attuale emergenza.
«Siamo in guerra contro un nemico invisibile», hanno detto due
leader di temperamento e visione opposti come Donald Trump e Emmanuel
Macron. La questione non è meramente linguistica. Di fronte
all’estendersi rapido dei contagi, i vari esecutivi del mondo
stanno adottando misure proprie di una situazione di conflitto, dalla
chiusura allo schieramento dell’esercito. Il coronavirus,
oltretutto, arriva in un momento di infatuazione collettiva verso
l’autoritarismo populista, considerato più efficiente nella
risoluzione dei problemi. In questo senso, l’epidemia finirebbe con
il diventare un ulteriore fattore di crisi della democrazia. Certo,
impatto e conseguente istèresi variano enormemente da contesto a
contesto. In Paesi dalla solida tradizione democratica, i
provvedimenti eccezionali sono previsti dalle Costituzioni in caso di
situazioni gravi come quella attuale. Gli anticorpi sociali e
politici dovrebbero, dunque, essere in grado di superare senza troppi
traumi la parentesi. «Nessuno discute sulla forza maggiore. Il punto
è che quando un governo sviluppa nuove forme di controllo sociale,
non gli è sempre facile tornare indietro», afferma Scott Radnitz,
politologo della Washington University. Il Covid–19 rappresenta,
dunque, uno snodo anche in termini di riflessione, una sorta di nuovo
11 Settembre. L’ultima dimostrazione è arrivata da Israele, dove
l’opposizione è insorta contro la decisione del premier, Benjamin
Netanyahu, di
tracciare i cellulari per verificare violazioni alla
quarantena. Una commissione parlamentare di pronuncerà entro martedì
al riguardo e, in caso, la Corte suprema bloccherà la misura. Il
problema maggiore restano, comunque, quegli esecutivi che già prima
tendevano a stiracchiare a proprio piacimento istituzioni e garanzie
individuali. «Il coronavirus è un’ottima scusa per i leader
autoritari ansiosi di comprimere le libertà dei cittadini», afferma
efficacemente Barzou Daraghi, analista anglo– iraniano di The
Independent. Dalla Manila isolata da domenica e presidiata
dall’esercito, arrivano dunque denunce di abusi dei militari, già
responsabili di 27mila uccisioni nel corso della “guerra alla
droga” dichiarata dal presidente–sceriffo Rodrigo Duterte. Lo
stesso accade nell’Iran degli ayatollah. In America Latina, dati i
trascorsi, i cittadini osservano con preoccupazione il dispiegamento
delle forze armate, dal Perù a El Salvador. Nella Bolivia del
dopo–Morales, in particolare, coprifuoco e militari rischiano di
far il precario equilibrio raggiunto tra sostenitori e oppositori
dell’ex leader. La situazione potrebbe surriscaldarsi ulteriormente
se, come è probabile, il governo rinvierà le elezioni a causa
dell’epidemia. Una istèresi dagli effetti imprevedibili.
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