mercoledì 25 marzo 2020

pc 25 marzo - LO SCIOPERO DELLE DONNE E' STATO PIENAMENTE LEGITTIMO - LA CGS HA VOLUTO TUTELARE SOLO GLI INTERESSI DEI PADRONI - Un importante e chiarificatore articolo


L'articolo che riportiamo dà pienamente ragione alla decisione dello Slai cobas per il sindacato di classe sul mantenimento dello sciopero delle donne del 9 marzo scorso - così come dà ragione ai tanti scioperi che in questi giorni stanno facendo lavoratori, lavoratrici in vari posti di lavoro sia privati che pubblici. 
E' lo sciopero l'unica arma legittima e di tutela dei diritti delle lavoratrici e lavoratori, in primis oggi del diritto alla salute e alla vita! 
Il resto, l'assurdo divieto della CGS - CHE NEI GIORNI SCORSI HA AVVIATO LA PROCEDURA DI APPLICAZIONE DI PESANTISSIME SANZIONI NEI CONFRONTI DELLO SLAI COBAS PER IL SINDACATO DI CLASSE - è solo una bassa copertura dell'unico vero interesse che lo Stato vuole difendere, quello del profitto dei padroni (come è evidente anche dall'ultimo decreto "Cura Italia") e quello della "pace sociale" perchè tutto continui come prima e peggio di prima. 

Questo articolo sgombera anche il campo dagli altri piccoli interessi di "bottega", opportunisti dei sindacati di base che, senza neanche tentare un minimo di resistenza - solo l'Usi lo ha fatto contestando punto per punt le "ragioni" della CGS - peccato che poi non sia stata coerente fino alla fine -, hanno in men che non si dica revocato lo sciopero del 9 marzo. Questi sindacati di base si sono dimostrati forti con le grandi parole e le altisonanti denunce, ma deboli e senza coraggio a disobbedire/violare divieti illegittimi, di stampo fascista.

MFPR

LA PACE SOCIALE AI TEMPI DEL CORONAVIRUS 

di Giovanni Orlandini

Ben prima che il Governo adottasse le misure d’emergenza necessarie per contenere il contagio da Covid-19, la Commissione di garanzia (il Garante in tema di sciopero nei servizi essenziali) ha intimato a tutte le organizzazioni sindacali di astenersi dal proclamare scioperi dal 25 febbraio fino al 31 marzo.
Poche righe, contenute in un semplice comunicato stampa, per espropriare del diritto di sciopero milioni di lavoratori: dai dipendenti dei ministeri a quelli degli enti locali, dai lavoratori dei trasporti a quelli della ricerca, dai metalmeccanici ai dipendenti degli enti pubblici non economici.
Ne è seguita, a stretto giro, l’adozione “in via d’urgenza” di una delibera con cui si ingiunge ai sindacati autonomi di sospendere gli scioperi proclamati per il giorno 9 marzo, minacciando sanzioni
in caso di inottemperanza. La ragione di tali drastici provvedimenti, a detta della stessa Commissione, risiede nello “stato di emergenza sanitaria proclamato su tutto il territorio nazionale”, che impone di “evitare ulteriore aggravio alle Istituzioni coinvolte nell’attività di prevenzione e contenimento della diffusione del virus”.
Una simile decisione di sospendere per oltre un mese (salvo ulteriori proroghe) il diritto di sciopero su tutto il territorio nazionale, non ha precedenti nella storia repubblicana. Si dirà che anche l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo è una situazione di straordinaria ed inedita gravità. E tuttavia qui non si tratta di sminuire la gravità dei rischi epidemici in corso. Si tratta di interrogarsi sull’esistenza di una relazione tra tali rischi e il divieto di astenersi dal lavoro. Perché se una relazione del genere si configura in caso di scioperi nel settore sanitario, può non sussistere affatto quando a scioperare sono lavoratori di altri settori e le cui prestazioni non incidono sull’attività di “prevenzione e contenimento della diffusione del virus” invocata per giustificare il divieto generalizzato di scioperare. Una diversa valutazione va ovviamente fatta in relazione ad altre attività sindacali che ad uno sciopero di norma si associano; quali ad esempio assemblee e, ancor più, manifestazioni sindacali. Ma non è di queste che si interessa la Commissione di garanzia.
Il Garante trova il fondamento legale della propria iniziativa nel potere - riconosciutogli dalla legge - di invitare le organizzazioni sindacali che abbiano organizzato uno sciopero in violazione delle sue regole d’esercizio, a riformularne la proclamazione ed a rinviarne l’attuazione (art. 13, comma 1, lett. g, l. n.146/90). E la violazione di tali regole è colta nella clausola, presente in tutti i contratti collettivi, che dispone per l’immediata sospensione dello sciopero “in caso di avvenimenti eccezionali di particolare gravità e di calamità naturali”. La clausola in questione è però fondatamente invocabile solo quando uno sciopero è in grado, in qualsiasi modo, di influire sulla situazione emergenziale, e non per sospenderne l’esercizio prescindendo da qualsiasi valutazione nel merito dei suoi effetti concreti.
L’iniziativa del Garante è tanto più discutibile se si considera che l’arma dello sciopero costituisce un irrinunciabile strumento di autodifesa per gli stessi lavoratori, qualora siano esposti al rischio di contagio.
E’ la cronaca quotidiana di questi giorni a raccontarci di scioperi spontanei di protesta, proclamati in tutto il paese dai lavoratori per il timore che l’azienda non garantisca adeguate condizioni di sicurezza rispetto ai rischi di esposizione al virus. (Si sciopera proprio per salvaguardare la propria vita a fronte di un “avvenimento eccezionale di particolare gravità e di calamità naturali”;in tante aziende purtroppo se i lavoratori non scioperassero non opporrebbero alcun ostacolo agli effetti nefasti di quegli “avvenimenti” - ndr) Sono azioni collettive che smentiscono la mistificatoria lettura del diritto di sciopero come strumento di difesa di interessi corporativi lesivi dell’interesse generale, giacché è proprio la praticabilità del conflitto a rendere possibile la tutela del bene fondamentale della salute davanti alla pretesa di subordinarlo ad interessi economico- produttivi. L’emergenza allora, piuttosto che delegittimare l’arma dello sciopero, ne amplifica la funzione di risorsa ultima di autotutela collettiva, tanto più indispensabile quanto più si riducono gli ordinari spazi di confronto democratico.
D’altra parte, non si può non cogliere un tratto di involontaria e paradossale ironia nel giustificare il divieto generalizzato di scioperare (che implica un obbligo a non allontanarsi dal luogo di lavoro) con l’esigenza di contenere il contagio, nel mentre si adottano misure d’urgenza per rendere possibile ovunque il ricorso al c.d. lavoro agile, proprio per allontanare i lavoratori dagli stessi luoghi di lavoro onde evitare rischi di contagio.
La via per difendersi da eventuali sanzioni per sciopero illegittimo è costituita dall’art. 2, comma 7 della l. 146/90, che ammette la deroga agli obblighi di preavviso e di preventiva indicazione della durata dell’astensione in caso di “protesta per gravi eventi lesivi dell’incolumità e della sicurezza dei lavoratori”. Ma la norma è ambigua nel non richiamare anche la sospensione dell’obbligo di erogare le prestazioni indispensabili; un’ambiguità evidentemente aumentata dalla generalizzata ingiunzione a non scioperare della Commissione. E neppure aiuta a fare chiarezza il comunicato del 12 marzo con il quale la stessa Commissione ha richiamato le aziende al rigoroso rispetto delle misure di sicurezza previste dal governo per far fronte ai rischi epidemici, onde evitare appunto scioperi che compromettano l’erogazione dei servizi pubblici: nel comunicato si omette infatti di precisare che il blocco del servizio pubblico conseguente ad una astensione fondata sull’art. 2, comma 7 non espone in nessun caso i lavoratori alle sanzioni di legge...
Gli atti adottati in questi giorni hanno, certo, un carattere straordinario ed eccezionale per il contesto affatto inedito nel quale si collocano, ma si iscrivono in un processo, in atto da tempo, di disconoscimento del conflitto come leva di progresso ed emancipazione. La Commissione sembra infatti ispirare la propria azione alla sola logica della massima compressione possibile degli spazi di esercizio del conflitto sindacale, visto evidentemente come “male” sociale. Ma è una logica che la stessa legge 146/90 non giustifica. La Commissione di garanzia si chiama infatti così perché ad essa spetta garantire “il contemperamento dell’esercizio del diritto di sciopero con il godimento dei diritti della persona costituzionalmente garantiti”, alla cui tutela i servizi pubblici sono funzionali. “Contemperare” e non “vietare”, dal momento che qualsiasi regolazione dello sciopero dovrebbe tener conto della sua dimensione di diritto costituzionale, cioè di valore costitutivo dell’ordine democratico.

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