giovedì 26 marzo 2020

pc 26 marzo - DAL FRONTE POSTE - Un report da una lavoratrice di 'proletari comunisti' di Milano


Da quando è iniziata questa emergenza e con il passar del tempo, sempre più chiaro diventa lo scenario di guerra, dove i posti di lavoro sono le nuove trincee, e noi di poste, con la scusa di essere servizi essenziali siamo continuamente esposti. Sulla nostra pelle sperimentiamo come va via via attrezzandosi questa nostra azienda: da una parte trova i soldi per la pubblicità e per il profitto, dall’altra, tratta i suoi dipendenti con approssimazione. Certo ha costituito il comitato di crisi che deve monitorare l’evolversi degli eventi , ma non ci sono dispositivi per tutti e di conseguenza, diventiamo delle vere e proprie bombe ad orologeria in quanto il pericolo del contagio è elevato.

A BOTTA DI LETTERE, COMUNICATI DA PARTE DI TUTTI I SINDACATI, COMPRESO I COBAS, HANNO MAN MANO CERCATO DI AFFRONTARE LA CATASTROFE CHE SI ANDAVA DELINEANDO, CON LA RIDUZIONE DEGLI ORARI DEGLI UFFICI APERTI AL PUBBLICO, ma sempre in maniera insufficiente sia per il tipo di lavoro che per il personale impiegato nell’indotto.
Per quanto riguarda noi cobas, presenti in azienda, abbiamo scritto e sosteniamo che solo con la chiusura “quasi” totale la situazione di contagio può invertirsi, siamo già  a 6 morti e non sappiamo
bene quanti contagiati,  abbiamo creato dei moduli con delle indicazioni di comportamento da tenere e abbiamo aperto delle chat dedicate e uno sportello con tanto di numeri di telefono, è un’attività che porta via tempo ed energie, ma è quello che ci è venuto in mente per supportare i lavoratori in difficoltà.
La situazione è davvero difficile  man mano che vengono emanati decreti e protocolli, le cose si complicano, per es. siamo partiti con la necessità delle mascherine e siamo arrivati che, ora, secondo quanto hanno stabilito, non è più così necessario.
In Lombardia si registra il numero più alto di riduzione di orario e chiusure di sportelli, ma non sappiamo se vengono rispettati i protocolli per la riapertura di uffici dove si sono verificati casi di infezione.
La maggior parte del personale si è autoridotta da sola ricorrendo a tutto ciò che era possibile: malattia, 104, congedi parentali, vecchie ferie, cerchiamo anche di tutelare chi viene invitato a dare fondo alle nuove ferie, per il momento pochi casi.
Intanto per gli sportelli sono arrivati i divisori di plexiglas, questo se da una parte ci dà un pò di sollievo dall’altra sta provocando la riapertura di qualche sportello in più e quindi il richiamare in servizio qualche impiegato lasciato a casa con permessi retribuiti dall’azienda.
La situazione dei portalettere è sempre critica e comunque svuotati da malattia ed altro.


Sempre più chiaro è il ragionamento che dietro la definizione di "servizio essenziale" si vuole salvaguardare la produzione, non di tutte le commesse, ma certo di alcune molto strategiche, per es. Amazon. Anche su questo punto abbiamo chiesto di dare una definizione di cosa è “indispensabile” perché non ci basta sapere cos’è essenziale, lo sappiamo bene noi che lavoriamo da lungo tempo in Posta per sapere che non rispetta neppure l’elenco della 146.

Per quanto riguarda lo sciopero di ieri, da me pubblicizzato come una risposta netta e chiara sulla questione sicurezza, i più sono a casa da giorni, anche a costo di qualche contestazione; le assenze sono tantissime e per le loro dimensioni è di fatto una forma di protesta, di rifiuto di continuare a lavorare nelle condizioni di insicurezza.

Il fronte Poste è certamente caldo, ma tanto piccolo borghese, ma in un momento come questo non posso non buttarmi nella mischia e imparare facendo.

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