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(Su 2° parte) - Il centro della esposizione del saggio è il rapporto tra la produzione e diffusione di epidemia e
produzione/accumulazione capitalista ed estensione di essa.
Sotto le quattro fornaci, tra cui
Wuhan, c'è la "fornace" più importante dei centri industriali di
tutto il mondo e la pressione evolutiva costituita dalla
distruzione/occupazione dell'agricoltura e i grandi processi di
urbanizzazione connessi allo sviluppo del capitalismo.
E' qui che si cela il balzo, il
trasferimento zoonotico, cioè il passaggio delle infezioni dagli
animali agli umani.
La distruzione degli eco-sistemi locali produce questo passaggio e il panorama, fortemente industrializzato e urbanizzato ne sviluppa la diffusione.
La distruzione degli eco-sistemi locali produce questo passaggio e il panorama, fortemente industrializzato e urbanizzato ne sviluppa la diffusione.
Lo studio del biologo di sinistra Wallace e il suo libro del 2016 citato aiuta moltissimo a comprendere quello che è avvenuto per la SARS ed Ebola e quello che sta avvenendo per Covid-19. https://proletaricomunisti.blogspot.com/2020/03/pc-17-marzo-un-contributo-e-un.html
La globalizzazione dello sviluppo
capitalista, la produzione, l'estensione della produzione mondiale
comporta la circolazione dei nuovi virus che causano l'epidemia.
E' fondamentale che i comunisti e le
avanguardie operaie si approprino saldamente di questi nodi,
dell'analisi generale e particolare del modo di produzione
capitalistico e della sua fase suprema, l'imperialismo, perchè
trasmettano, come scienziati della lotta di classe, dato che tali sono
i comunisti, alle masse operaie e proletarie questa
conoscenza-coscienza che ne armi la volontà inderogabile di
combatterlo ed eliminarlo. Perchè c'è un nesso tra sfruttamento e
messa in discussione della vita non solo dei lavoratori ma
dell'umanità.
(dal Saggio) La
produzione di epidemie
Il
virus che è all'origine dell'attuale epidemia (SARS-CoV-2), così
come il suo predecessore SARS-CoV del 2003, l'influenza aviaria e
ancora prima l'influenza suina, è germogliato dall’incrocio tra
economia ed epidemiologia. Non è un certo caso che così tanti di
questi virus abbiano preso il nome di animali: la diffusione di nuove
malattie tra la popolazione umana è quasi sempre il prodotto di
quello che viene chiamato trasferimento zoonotico, che è un modo
tecnico per dire che queste infezioni passano dagli animali agli
umani. Questo salto da una specie all'altra è condizionato da
fattori come la vicinanza e la regolarità del contatto, che
costruiscono l'ambiente in cui la malattia è costretta ad evolversi.
Quando questa interfaccia tra uomo e animale cambia, si modificano
anche le condizioni in cui si evolvono queste malattie. Sotto le
quattro “fornaci” [le quattro città cinesi, tra cui Wuhan, di
cui si è detto all'inizio], quindi, si trova una fornace ancora più
importante, che sta alla base degli hub industriali di tutto il
mondo: la pentola a pressione evolutiva costituita dall'agricoltura e
dall'urbanizzazione proprie del capitalismo. È questo il substrato
ideale nel quale le epidemie nascono, si trasformano, compiono dei
balzi zoonotici sempre più devastanti, e poi sono veicolate in modo
aggressivo attraverso la popolazione umana. A ciò si aggiungono dei
processi altrettanto intensi che si verificano ai margini
dell'economia, in cui ceppi "selvaggi" vengono più di
recente in contatto con persone spinte a incursioni agro-economiche
sempre più estese negli ecosistemi locali. Il coronavirus, nelle sue
origini "selvagge" e nella sua improvvisa diffusione
attraverso un nucleo fortemente industrializzato e urbanizzato
dell'economia globale, rappresenta le due dimensioni della nostra
nuova era di epidemie politico-economiche.
L'idea
di base qui esposta è sviluppata in modo molto approfondito da
alcuni biologi di sinistra come Robert G. Wallace, il cui libro Big
Farms Make Big Flu,
pubblicato nel 2016, spiega in maniera esauriente la connessione tra
il settore agroalimentare capitalistico e l'eziologia delle recenti
epidemie, che vanno dalla SARS all'Ebola [i].
Queste epidemie possono essere raggruppate in due categorie: la prima
trova la sua origine nel cuore della produzione agro-economica, la
seconda nel suo entroterra. Nel tracciare la diffusione di H5N1, noto
anche come influenza aviaria, Wallace riassume diversi fattori chiave
della geografia per quelle epidemie che hanno origine nel cuore della
produzione:
“I
paesaggi rurali di molti dei paesi più poveri sono ora
caratterizzati da attività produttive agroalimentari non
regolamentate che premono contro le bidonvilles periurbane. La
trasmissione non controllata nelle aree vulnerabili aumenta la
variazione genetica con cui l'H5N1 può sviluppare delle
caratteristiche specifiche per l'uomo. Diffondendosi su tre
continenti ed evolvendosi rapidamente, l'H5N1 entra anche in contatto
con una crescente varietà di ambienti socio-ecologici, che includono
specifiche combinazioni locali di tipologie prevalenti di host, di
modalità di allevamento del pollame e di misure per la salute degli
animali” [ii].
Ovviamente,
questa diffusione è guidata dai circuiti globali delle merci e dalle
migrazioni regolari di manodopera che sono propri della geografia
economica capitalista. Il risultato è "una sorta di selezione
endemica sempre più intensificata", attraverso cui il virus si
insedia con un maggior numero di percorsi evolutivi in un tempo più
breve, consentendo alle varianti più adatte di superare le altre.
Ma questo è un
punto facile da chiarire, ed è già presentato comunemente nella
stampa tradizionale: il fatto che la "globalizzazione"
consente la diffusione di queste malattie in modo più rapido, anche
se con un'aggiunta importante, e cioè che lo stesso processo di
circolazione stimola anche una mutazione più rapida del virus. La
vera questione, tuttavia, viene prima: prima che la circolazione
migliori la resilienza di queste malattie, la logica di base del
capitale permette di prendere ceppi virali precedentemente isolati o
innocui, e posizionarli in ambienti ipercompetitivi, che favoriscono
l’emergere dei fattori specifici che causano le epidemie, come la
rapidità dei cicli di vita dei virus, la capacità di compiere salti
zoonotici tra le specie portatrici e la capacità di far evolvere
rapidamente dei nuovi vettori di trasmissione. Questi ceppi tendono a
distinguersi proprio per la loro virulenza. In termini assoluti,
sembra che lo sviluppo di ceppi più virulenti avrebbe l'effetto
opposto, poiché il fatto di uccidere l'ospite prima fornisce meno
tempo al virus per diffondersi. Il comune raffreddore è un buon
esempio di questo principio, poiché generalmente mantiene dei
livelli di intensità deboli, che ne facilitano una larga
propagazione nella popolazione. Ma in alcuni ambienti, funziona molto
di più la logica inversa: quando un virus ha numerosi ospiti della
stessa specie nelle immediate vicinanze, e specialmente quando questi
ospiti possono già avere dei cicli di vita abbreviati, l'aumento
della virulenza diventa un vantaggio per la sua evoluzione.
Ancora una volta, il
caso dell'influenza aviaria è un esempio saliente. Wallace
sottolinea che gli studi hanno dimostrato "l’assenza di ceppi
endemici altamente patogeni [dell'influenza] nelle popolazioni di
uccelli selvatici, fonte ultima di quasi tutti i sottotipi di
influenza". [iii]
All'opposto, le popolazioni domestiche raggruppate insieme in
allevamenti industriali sembrano avere una relazione evidente con
tali focolai, per ovvi motivi:
“Le monocolture
genetiche di animali domestici rimuovono qualsiasi forma di difesa
immunitaria in grado di rallentare la trasmissione. Popolazioni più
numerose e più dense favoriscono tassi di trasmissione più elevati.
Queste condizioni di affollamento deprimono la risposta immunitaria.
L'alto rendimento, che è lo scopo di qualsiasi produzione
industriale, procura un rinnovo continuo dell’approvvigionamento di
soggetti vulnerabili, il carburante per l'evoluzione della
virulenza.” [iv]
E, naturalmente,
ognuna di queste caratteristiche è una conseguenza della logica
della concorrenza industriale. In particolare, il rapido tasso di
"throughput" in tali contesti ha una dimensione
eminentemente biologica: "Non appena gli animali industriali
raggiungono la giusta massa vengono uccisi. Le infezioni da influenza
residente devono raggiungere rapidamente la loro soglia di
trasmissione in un dato animale […] Più rapidamente vengono
prodotti i virus, maggiore è il danno per l'animale”[v].
Ironia della sorte,
il tentativo di sopprimere questi focolai attraverso l'abbattimento
di massa degli animali - come nei recenti casi di peste suina
africana, che
ha provocato la perdita di quasi un quarto dell'offerta mondiale di
carne di maiale -
può avere l'effetto non intenzionale di aumentare ulteriormente
questa pressione selettiva, inducendo l'evoluzione di ceppi
iper-virulenti. Sebbene storicamente questi focolai si siano
verificati nelle specie domestiche, spesso in seguito a periodi di
guerra o a catastrofi ambientali che accrescono la pressione sulle
popolazioni di bestiame, l’aumento dell'intensità e della
virulenza di tali malattie ha innegabilmente seguito la diffusione
della produzione capitalistica.
(Su 3° parte) - Il paragrafo che riguarda la storia delle epidemie è utile perchè ci restituisce alcuni concetti di fondo che ne spiegano il legame, anch'esso storico, con lo sviluppo del capitalismo, l'età dell'imperialismo, il rapporto tra imperialismo e paesi colonizzati oppressi dall'imperialismo, che sono al fondo del diffondersi delle diverse epidemie che hanno attraversato il mondo.
Tra le righe noi possiamo cogliere anche l'elemento di prospettiva che possiamo prevedere circa l'evoluzione e la fine di questa epidemia del coronavirus “collassi sempre più intensi che sembrano spingere l'intero sistema verso il precipizio ma che alla fine vengono superati attraverso una combinazione tra il sacrificio di massa che ripulisce il mercato, la popolazione e l'intensificazione dei progressi tecnologici. In questo caso le moderne pratiche mediche combinate con i nuovi vaccini che spesso arrivano troppo tardi e in misura non sufficiente che aiutano comunque a spazzare via i danni causati dalla devastazione”-
E' oggettivo, ma nello stesso tempo tremendo, il modo, che si delinea da queste frasi, con cui usciremo da questa situazione attuale del coronavirus. E preme ribadire che se i proletari e le masse popolari non sapranno cogliere da un'esperienza come questa – simile ad una guerra – la lezione che ne viene, alla fine del ciclo di questa epidemia, dopo la ripresa si ripresenterà una nuova e più devastante pandemia.
Nel rapporto tra imperialismo e paesi oppressi va messo in rilievo che queste epidemie, in alcuni casi principali, non vengono dai paesi oppressi, bensì vengono esportate nei paesi oppressi dalle dinamiche che le hanno prodotte nel cuore stesso dei paesi imperialisti. Il saggio cita giustamente il caso della peste bovina che "fu portata dall'Europa in Africa orientale, dagli italiani che cercavano di raggiungere le altre potenze imperialiste colonizzando il Corno d'Africa attraverso una serie di campagne militari”. Questo significò il suo dilagare successivo in tutta l'Africa, le carestie, ecc. ecc.
Guardando al coronavirus si può capire benissimo questo processo. Oggi come oggi si parla giustamente di potenziale impatto devastante dell'espansione del coronavirus in Africa, ma questa espansione è un'esportazione.
Un altro elemento sottolineato da questo sintetico affresco storico è appunto il dilagare dell'epidemia nel cuore dei paesi imperialisti, e perfino di alcune delle sue cittadelle. In questo dilagare ci sono le condizioni di vita generalmente insalubri nelle aree colpite. Cioè l'ambiente di lavoro, l'ambiente di vita costituiscono un fattore moltiplicante del diffondersi del virus.
Infine, è fuorviante centrare la questione sulla sanità privatizzata a fini di profitto, Essa certamente mostra oltre che un altro tassello dell'economia capitalistica odierna, le difficoltà che si trovano nel curare dalla malattia del virus, ma nascondono cosa lo produce e lo riproduce. E' solo se capiamo questo, capiamo cosa dobbiamo realmente combattere, nei giorni odierni ma soprattutto nel futuro prossimo venturo.
(dal Saggio) Storia ed
eziologia
Le epidemie sono in
gran parte l'ombra dell'industrializzazione capitalista, e allo
stesso tempo ne fungono da precursore. Il caso del vaiolo e di altre
pandemie introdotte in Nord America è un esempio fin troppo semplice
da citare, poiché la loro intensità è stata rafforzata dalla
separazione delle popolazioni per un lungo lasso di tempo dovuta alla
geografia fisica - e queste malattie, nonostante tutto, avevano già
acquisito la propria virulenza grazie alle reti mercantili
pre-capitalistiche e all’urbanizzazione precoce in Asia e in
Europa. Se, invece, guardiamo all'Inghilterra - il paese che ha visto
sorgere il capitalismo prima nelle campagne, attraverso la cacciata
dalle terre della massa dei contadini, sostituiti da monocolture di
bestiame - vediamo
i primi esempi di queste epidemie chiaramente capitalistiche. Tre
diverse pandemie si sono verificate nell'Inghilterra del XVIII
secolo, dal 1709 al 1720, dal 1742 al 1760, e dal 1768 al 1786.
All'origine di ciascuna di queste epidemie c'è stato il bestiame
importato dall'Europa, infettato dalle normali pandemie
pre-capitaliste che seguivano i periodi di guerra. Ma in Inghilterra
la concentrazione del bestiame aveva iniziato ad avvenire in modi
nuovi, e l'introduzione di bestiame infetto andava quindi a dilaniare
la popolazione in modo molto più aggressivo di quanto avvenisse in
Europa. Non è un caso, quindi, che il centro dei focolai di epidemie
fossero i grandi caseifici di Londra, che rappresentarono l’ambiente
ideale per l'intensificazione del virus.
Alla fine, i focolai
sono stati contenuti attraverso l'abbattimento selettivo precoce su
piccola scala combinato con l'applicazione di moderne pratiche
mediche e scientifiche, in un modo sostanzialmente simile a quello
utilizzato oggi per reprimere queste epidemie. Questo è il primo
esempio di quello che diventerebbe un modello che imita quello della
crisi economica stessa: collassi
sempre più intensi che sembrano spingere l'intero sistema verso un
precipizio, ma che alla fine vengono superati attraverso una
combinazione tra il sacrificio di massa che ripulisce il mercato/la
popolazione e l'intensificazione dei progressi tecnologici: in
questo caso le moderne pratiche mediche combinate con i nuovi
vaccini, che spesso arrivano troppo tardi e in misura non
sufficiente, ma che aiutano comunque a spazzare via i danni causati
dalla devastazione.
Ma questo esempio
proveniente dalla patria del capitalismo deve essere abbinato a una
spiegazione degli effetti che le pratiche agricole capitaliste hanno
avuto alla sua periferia. Mentre le pandemie di bestiame della prima
Inghilterra capitalista erano contenute, altrove i risultati sono
stati molto più devastanti. L'esempio che ha avuto il maggiore
impatto storico è probabilmente quello dello
scoppio della peste bovina in Africa negli
anni 1890. La data in sé non è una coincidenza: la peste bovina
aveva colpito l'Europa con un'intensità che seguiva da vicino la
crescita dell'agricoltura su larga scala ed era tenuta sotto
controllo solo dall'avanzata della scienza moderna. Ma la fine del
XIX secolo ha visto anche l'apice dell'imperialismo europeo,
incarnato dalla colonizzazione dell'Africa. La peste bovina fu
portata dall'Europa in Africa orientale dagli italiani, che cercavano
di raggiungere le altre potenze imperialiste colonizzando il Corno
d'Africa attraverso una serie di campagne militari. Queste campagne
si sono concluse per lo più con un insuccesso, ma la malattia si
diffuse in seguito tra la popolazione indigena di bestiame e finì
per aprirsi un varco per il Sudafrica, dove devastò la prima
economia agricola capitalista delle colonie, uccidendo persino le
mandrie nelle proprietà del famigerato Cecil Rhodes,
auto-proclamatosi suprematista bianco. Non si può negare che,
uccidendo fino all'80-90% di tutti i bovini, il più importante
effetto storico della peste fu quello di provocare una carestia senza
precedenti nelle società prevalentemente pastorali dell'Africa
sub-sahariana. Questo spopolamento è stato poi seguito dalla
colonizzazione invasiva della savana da parte dei rovi, che hanno
creato un habitat per la mosca tse-tse, che porta la malattia del
sonno e impedisce il pascolo del bestiame. Questo ha permesso di
limitare il ripopolamento della regione dopo la carestia e ha aperto
la strada all'ulteriore diffusione delle potenze coloniali europee in
tutto il continente.
Queste epidemie,
oltre a indurre periodicamente crisi agricole e a produrre le
condizioni catastrofiche che hanno permesso al capitalismo di
oltrepassare i suoi primi confini, sono state una persecuzione anche
per il proletariato nel centro stesso dell’industrializzazione.
Prima di venire a numerosi esempi più recenti, vale la pena
sottolineare di nuovo che l'epidemia di coronavirus non ha niente di
specificatamente cinese. Le ragioni per cui così tante epidemie
sembrano avere origine in Cina non sono culturali, sono legate a dei
fattori di geografia economica. Questo risulta perfettamente chiaro
se confrontiamo la Cina con gli Stati Uniti o con l'Europa dell’epoca
in cui Stati Uniti ed Europa rappresentavano il centro nevralgico
della produzione globale e dell'occupazione industriale di massa
[vi].
E il risultato è sostanzialmente identico, presenta le stesse
identiche caratteristiche. Le ecatombi di bestiame che avvenivano
nelle campagne, si combinavano nelle città con pratiche sanitarie di
pessima qualità e una contaminazione generalizzata. È questo che è
stato al centro dei primi sforzi per riformare in senso
liberal-progressista le zone abitate dalla classe operaia, come
testimonia l'accoglienza del romanzo The Jungle, di Upton Sinclair,
scritto originariamente per documentare la sofferenza dei lavoratori
immigrati nel settore della lavorazione della carne, ma ripreso dai
liberali più ricchi, preoccupati dalle violazioni delle norme sulla
salute e dalle condizioni generalmente poco igieniche in cui veniva
preparato il loro cibo.
Questa indignazione
liberale rispetto alla "sporcizia", con tutto il razzismo
che implica, definisce ancora oggi quella che potremmo considerare
come la lettura ideologica adottata automaticamente dalla maggior
parte delle persone di fronte agli aspetti politici di qualcosa come
le epidemie di coronavirus o di SARS. Ma i lavoratori hanno poco
controllo sulle condizioni in cui lavorano. Fatto ancora più
importante, se è vero che le condizioni insalubri e scarsamente
igieniche escono dalla fabbrica attraverso la contaminazione delle
forniture alimentari, questa contaminazione è in realtà solo la
punta dell'iceberg. Queste condizioni sono l’ambiente in cui
normalmente si lavora o si vive negli insediamenti proletari vicini,
e, a livello di popolazione, queste condizioni portano a un declino
della salute offrendo condizioni ancora più favorevoli alla
diffusione delle molte epidemie del capitalismo. Prendiamo ad esempio
il caso dell'influenza spagnola, una delle epidemie più letali della
storia. Si tratta di uno dei primi focolai di influenza H1N1
(correlato a focolai più recenti di influenza suina e aviaria) e per
lungo tempo si è pensato che in qualche modo questa epidemia fosse
qualitativamente differente dalle altre varianti dell'influenza, dato
l’elevato bilancio di vittime. Ciò nonostante, questa lettura
sembra essere vera solo in parte (a causa della capacità
dell'influenza di indurre una reazione eccessiva del sistema
immunitario), poiché successive analisi della letteratura
scientifica e la ricerca sulla storia dell'epidemiologia hanno fatto
scoprire che l’influenza spagnola potrebbe essere stata poco più
virulenta di altri ceppi. Al contrario, con ogni probabilità il suo
alto tasso di mortalità è stato causato principalmente dalla
malnutrizione generalizzata, dal sovraffollamento delle città e
dalle condizioni di vita generalmente insalubri nelle aree colpite,
che hanno incoraggiato non solo la diffusione dell'influenza stessa,
ma anche la coltura di superinfezioni batteriche oltre alla
super-infezione virale di fondo. [vii]
In altre parole, il
bilancio delle vittime dell'influenza spagnola, sebbene venga
rappresentato come un'anomalia imprevedibile per il carattere del
virus, ha avuto un “aiuto” altrettanto importante dalle
condizioni sociali. L'influenza si diffuse rapidamente grazie al
commercio e alla guerra mondiale, a quel tempo legati ai rapidi
cambiamenti degli imperialismi che sono sopravvissuti alla prima
guerra mondiale. E anche qui ritroviamo ancora una volta una storia
ormai familiare sul luogo e sul modo in cui è stato prodotto un
ceppo di influenza così mortale: sebbene l'origine esatta sia ancora
poco chiara, oggi si presume che il virus abbia avuto origine tra i
maiali o il pollame allevati a livello domestico, probabilmente in
Kansas. Il tempo e il luogo sono particolarmente degni di nota,
poiché gli anni successivi alla guerra furono una sorta di punto di
svolta per l'agricoltura americana, che ha visto l'applicazione
generalizzata di metodi di produzione di tipo industriale sempre più
meccanizzati. Queste tendenze si intensificarono solo negli anni '20
e l'applicazione massiccia di tecnologie come la mietitrebbia portò
sia ad una graduale monopolizzazione [della produzione agricola], che
al disastro ecologico, che, combinati insieme, causarono la crisi del
“Dust Bowl” [la crisi delle tempeste di sabbia che colpirono gli
Stati Uniti centrali e il Canada tra il 1931 e il 1939] e
l'emigrazione di massa che ne seguì. L'intensa concentrazione di
bestiame che in seguito avrebbe caratterizzato l’allevamento
industriale non era ancora apparsa, ma le forme più elementari di
concentrazione e produzione intensiva, che avevano già creato
epidemie di bestiame in Europa, erano ormai diventate la norma. Se le
epidemie che colpirono il bestiame nell’Inghilterra del XVIII
secolo possono essere considerate il primo caso di peste bovina
propriamente capitalista, e l'epidemia di peste bovina in Africa nel
1890 il più grande degli olocausti epidemiologici causati
dall'imperialismo, l'influenza spagnola può essere considerata la
prima delle epidemie del capitalismo che ha colpito il proletariato.
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