sabato 28 marzo 2020

pc 28 marzo - Speciale proletari comunisti 4 - Commento al saggio "Contagio sociale - Chuang - 2° e 3° parte

Commentiamo la seconda e terza parte dell'articolo-saggio: “Contagio sociale - guerra di classe micro-biologica in Cina” del blog Chuang: - riportando sempre, in coda ad ogni commento, i testi di questi capitoli.
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(Su 2° parte) - Il centro della esposizione del saggio è il rapporto tra la produzione e diffusione di epidemia e produzione/accumulazione capitalista ed estensione di essa.
Sotto le quattro fornaci, tra cui Wuhan, c'è la "fornace" più importante dei centri industriali di tutto il mondo e la pressione evolutiva costituita dalla distruzione/occupazione dell'agricoltura e i grandi processi di urbanizzazione connessi allo sviluppo del capitalismo.
E' qui che si cela il balzo, il trasferimento zoonotico, cioè il passaggio delle infezioni dagli animali agli umani.
La distruzione degli eco-sistemi locali produce questo passaggio e il panorama, fortemente industrializzato e urbanizzato ne sviluppa la diffusione.

Lo studio del biologo di sinistra Wallace e il suo libro del 2016 citato aiuta moltissimo a comprendere quello che è avvenuto per la SARS ed Ebola e quello che sta avvenendo per Covid-19. https://proletaricomunisti.blogspot.com/2020/03/pc-17-marzo-un-contributo-e-un.html
La globalizzazione dello sviluppo capitalista, la produzione, l'estensione della produzione mondiale comporta la circolazione dei nuovi virus che causano l'epidemia.
E' fondamentale che i comunisti e le avanguardie operaie si approprino saldamente di questi nodi, dell'analisi generale e particolare del modo di produzione capitalistico e della sua fase suprema, l'imperialismo, perchè trasmettano, come scienziati della lotta di classe, dato che tali sono i comunisti, alle masse operaie e proletarie questa conoscenza-coscienza che ne armi la volontà inderogabile di combatterlo ed eliminarlo. Perchè c'è un nesso tra sfruttamento e messa in discussione della vita non solo dei lavoratori ma dell'umanità.

(dal Saggio) La produzione di epidemie
Il virus che è all'origine dell'attuale epidemia (SARS-CoV-2), così come il suo predecessore SARS-CoV del 2003, l'influenza aviaria e ancora prima l'influenza suina, è germogliato dall’incrocio tra economia ed epidemiologia. Non è un certo caso che così tanti di questi virus abbiano preso il nome di animali: la diffusione di nuove malattie tra la popolazione umana è quasi sempre il prodotto di quello che viene chiamato trasferimento zoonotico, che è un modo tecnico per dire che queste infezioni passano dagli animali agli umani. Questo salto da una specie all'altra è condizionato da fattori come la vicinanza e la regolarità del contatto, che costruiscono l'ambiente in cui la malattia è costretta ad evolversi. Quando questa interfaccia tra uomo e animale cambia, si modificano anche le condizioni in cui si evolvono queste malattie. Sotto le quattro “fornaci” [le quattro città cinesi, tra cui Wuhan, di cui si è detto all'inizio], quindi, si trova una fornace ancora più importante, che sta alla base degli hub industriali di tutto il mondo: la pentola a pressione evolutiva costituita dall'agricoltura e dall'urbanizzazione proprie del capitalismo. È questo il substrato ideale nel quale le epidemie nascono, si trasformano, compiono dei balzi zoonotici sempre più devastanti, e poi sono veicolate in modo aggressivo attraverso la popolazione umana. A ciò si aggiungono dei processi altrettanto intensi che si verificano ai margini dell'economia, in cui ceppi "selvaggi" vengono più di recente in contatto con persone spinte a incursioni agro-economiche sempre più estese negli ecosistemi locali. Il coronavirus, nelle sue origini "selvagge" e nella sua improvvisa diffusione attraverso un nucleo fortemente industrializzato e urbanizzato dell'economia globale, rappresenta le due dimensioni della nostra nuova era di epidemie politico-economiche.
L'idea di base qui esposta è sviluppata in modo molto approfondito da alcuni biologi di sinistra come Robert G. Wallace, il cui libro Big Farms Make Big Flu, pubblicato nel 2016, spiega in maniera esauriente la connessione tra il settore agroalimentare capitalistico e l'eziologia delle recenti epidemie, che vanno dalla SARS all'Ebola [i]. Queste epidemie possono essere raggruppate in due categorie: la prima trova la sua origine nel cuore della produzione agro-economica, la seconda nel suo entroterra. Nel tracciare la diffusione di H5N1, noto anche come influenza aviaria, Wallace riassume diversi fattori chiave della geografia per quelle epidemie che hanno origine nel cuore della produzione:
I paesaggi rurali di molti dei paesi più poveri sono ora caratterizzati da attività produttive agroalimentari non regolamentate che premono contro le bidonvilles periurbane. La trasmissione non controllata nelle aree vulnerabili aumenta la variazione genetica con cui l'H5N1 può sviluppare delle caratteristiche specifiche per l'uomo. Diffondendosi su tre continenti ed evolvendosi rapidamente, l'H5N1 entra anche in contatto con una crescente varietà di ambienti socio-ecologici, che includono specifiche combinazioni locali di tipologie prevalenti di host, di modalità di allevamento del pollame e di misure per la salute degli animali” [ii].
Ovviamente, questa diffusione è guidata dai circuiti globali delle merci e dalle migrazioni regolari di manodopera che sono propri della geografia economica capitalista. Il risultato è "una sorta di selezione endemica sempre più intensificata", attraverso cui il virus si insedia con un maggior numero di percorsi evolutivi in un tempo più breve, consentendo alle varianti più adatte di superare le altre.
Ma questo è un punto facile da chiarire, ed è già presentato comunemente nella stampa tradizionale: il fatto che la "globalizzazione" consente la diffusione di queste malattie in modo più rapido, anche se con un'aggiunta importante, e cioè che lo stesso processo di circolazione stimola anche una mutazione più rapida del virus. La vera questione, tuttavia, viene prima: prima che la circolazione migliori la resilienza di queste malattie, la logica di base del capitale permette di prendere ceppi virali precedentemente isolati o innocui, e posizionarli in ambienti ipercompetitivi, che favoriscono l’emergere dei fattori specifici che causano le epidemie, come la rapidità dei cicli di vita dei virus, la capacità di compiere salti zoonotici tra le specie portatrici e la capacità di far evolvere rapidamente dei nuovi vettori di trasmissione. Questi ceppi tendono a distinguersi proprio per la loro virulenza. In termini assoluti, sembra che lo sviluppo di ceppi più virulenti avrebbe l'effetto opposto, poiché il fatto di uccidere l'ospite prima fornisce meno tempo al virus per diffondersi. Il comune raffreddore è un buon esempio di questo principio, poiché generalmente mantiene dei livelli di intensità deboli, che ne facilitano una larga propagazione nella popolazione. Ma in alcuni ambienti, funziona molto di più la logica inversa: quando un virus ha numerosi ospiti della stessa specie nelle immediate vicinanze, e specialmente quando questi ospiti possono già avere dei cicli di vita abbreviati, l'aumento della virulenza diventa un vantaggio per la sua evoluzione.
Ancora una volta, il caso dell'influenza aviaria è un esempio saliente. Wallace sottolinea che gli studi hanno dimostrato "l’assenza di ceppi endemici altamente patogeni [dell'influenza] nelle popolazioni di uccelli selvatici, fonte ultima di quasi tutti i sottotipi di influenza". [iii] All'opposto, le popolazioni domestiche raggruppate insieme in allevamenti industriali sembrano avere una relazione evidente con tali focolai, per ovvi motivi:
Le monocolture genetiche di animali domestici rimuovono qualsiasi forma di difesa immunitaria in grado di rallentare la trasmissione. Popolazioni più numerose e più dense favoriscono tassi di trasmissione più elevati. Queste condizioni di affollamento deprimono la risposta immunitaria. L'alto rendimento, che è lo scopo di qualsiasi produzione industriale, procura un rinnovo continuo dell’approvvigionamento di soggetti vulnerabili, il carburante per l'evoluzione della virulenza.” [iv]
E, naturalmente, ognuna di queste caratteristiche è una conseguenza della logica della concorrenza industriale. In particolare, il rapido tasso di "throughput" in tali contesti ha una dimensione eminentemente biologica: "Non appena gli animali industriali raggiungono la giusta massa vengono uccisi. Le infezioni da influenza residente devono raggiungere rapidamente la loro soglia di trasmissione in un dato animale […] Più rapidamente vengono prodotti i virus, maggiore è il danno per l'animale”[v].
Ironia della sorte, il tentativo di sopprimere questi focolai attraverso l'abbattimento di massa degli animali - come nei recenti casi di peste suina africana, che ha provocato la perdita di quasi un quarto dell'offerta mondiale di carne di maiale - può avere l'effetto non intenzionale di aumentare ulteriormente questa pressione selettiva, inducendo l'evoluzione di ceppi iper-virulenti. Sebbene storicamente questi focolai si siano verificati nelle specie domestiche, spesso in seguito a periodi di guerra o a catastrofi ambientali che accrescono la pressione sulle popolazioni di bestiame, l’aumento dell'intensità e della virulenza di tali malattie ha innegabilmente seguito la diffusione della produzione capitalistica.

(Su 3° parte)Il paragrafo che riguarda la storia delle epidemie è utile perchè ci restituisce alcuni concetti di fondo che ne spiegano il legame, anch'esso storico, con lo sviluppo del capitalismo, l'età dell'imperialismo, il rapporto tra imperialismo e paesi colonizzati oppressi dall'imperialismo, che sono al fondo del diffondersi delle diverse epidemie che hanno attraversato il mondo.
Tra le righe noi possiamo cogliere anche l'elemento di prospettiva che possiamo prevedere circa l'evoluzione e la fine di questa epidemia del coronavirus “collassi sempre più intensi che sembrano spingere l'intero sistema verso il precipizio ma che alla fine vengono superati attraverso una combinazione tra il sacrificio di massa che ripulisce il mercato, la popolazione e l'intensificazione dei progressi tecnologici. In questo caso le moderne pratiche mediche combinate con i nuovi vaccini che spesso arrivano troppo tardi e in misura non sufficiente che aiutano comunque a spazzare via i danni causati dalla devastazione”-

E' oggettivo, ma nello stesso tempo tremendo, il modo, che si delinea da queste frasi, con cui usciremo da questa situazione attuale del coronavirus. E preme ribadire che se i proletari e le masse popolari non sapranno cogliere da un'esperienza come questa – simile ad una guerra – la lezione che ne viene, alla fine del ciclo di questa epidemia, dopo la ripresa si ripresenterà una nuova e più devastante pandemia.

Nel rapporto tra imperialismo e paesi oppressi va messo in rilievo che queste epidemie, in alcuni casi principali, non vengono dai paesi oppressi, bensì vengono esportate nei paesi oppressi dalle dinamiche che le hanno prodotte nel cuore stesso dei paesi imperialisti. Il saggio cita giustamente il caso della peste bovina che "fu portata dall'Europa in Africa orientale, dagli italiani che cercavano di raggiungere le altre potenze imperialiste colonizzando il Corno d'Africa attraverso una serie di campagne militari”. Questo significò il suo dilagare successivo in tutta l'Africa, le carestie, ecc. ecc.
Guardando al coronavirus si può capire benissimo questo processo. Oggi come oggi si parla giustamente di potenziale impatto devastante dell'espansione del coronavirus in Africa, ma questa espansione è un'esportazione.
Un altro elemento sottolineato da questo sintetico affresco storico è appunto il dilagare dell'epidemia nel cuore dei paesi imperialisti, e perfino di alcune delle sue cittadelle. In questo dilagare ci sono le condizioni di vita generalmente insalubri nelle aree colpite. Cioè l'ambiente di lavoro, l'ambiente di vita costituiscono un fattore moltiplicante del diffondersi del virus.
Infine, è fuorviante centrare la questione sulla sanità privatizzata a fini di profitto, Essa certamente mostra oltre che un altro tassello dell'economia capitalistica odierna, le difficoltà che si trovano nel curare dalla malattia del virus, ma nascondono cosa lo produce e lo riproduce. E' solo se capiamo questo, capiamo cosa dobbiamo realmente combattere, nei giorni odierni ma soprattutto nel futuro prossimo venturo.

(dal Saggio) Storia ed eziologia
Le epidemie sono in gran parte l'ombra dell'industrializzazione capitalista, e allo stesso tempo ne fungono da precursore. Il caso del vaiolo e di altre pandemie introdotte in Nord America è un esempio fin troppo semplice da citare, poiché la loro intensità è stata rafforzata dalla separazione delle popolazioni per un lungo lasso di tempo dovuta alla geografia fisica - e queste malattie, nonostante tutto, avevano già acquisito la propria virulenza grazie alle reti mercantili pre-capitalistiche e all’urbanizzazione precoce in Asia e in Europa. Se, invece, guardiamo all'Inghilterra - il paese che ha visto sorgere il capitalismo prima nelle campagne, attraverso la cacciata dalle terre della massa dei contadini, sostituiti da monocolture di bestiame - vediamo i primi esempi di queste epidemie chiaramente capitalistiche. Tre diverse pandemie si sono verificate nell'Inghilterra del XVIII secolo, dal 1709 al 1720, dal 1742 al 1760, e dal 1768 al 1786. All'origine di ciascuna di queste epidemie c'è stato il bestiame importato dall'Europa, infettato dalle normali pandemie pre-capitaliste che seguivano i periodi di guerra. Ma in Inghilterra la concentrazione del bestiame aveva iniziato ad avvenire in modi nuovi, e l'introduzione di bestiame infetto andava quindi a dilaniare la popolazione in modo molto più aggressivo di quanto avvenisse in Europa. Non è un caso, quindi, che il centro dei focolai di epidemie fossero i grandi caseifici di Londra, che rappresentarono l’ambiente ideale per l'intensificazione del virus.
Alla fine, i focolai sono stati contenuti attraverso l'abbattimento selettivo precoce su piccola scala combinato con l'applicazione di moderne pratiche mediche e scientifiche, in un modo sostanzialmente simile a quello utilizzato oggi per reprimere queste epidemie. Questo è il primo esempio di quello che diventerebbe un modello che imita quello della crisi economica stessa: collassi sempre più intensi che sembrano spingere l'intero sistema verso un precipizio, ma che alla fine vengono superati attraverso una combinazione tra il sacrificio di massa che ripulisce il mercato/la popolazione e l'intensificazione dei progressi tecnologici: in questo caso le moderne pratiche mediche combinate con i nuovi vaccini, che spesso arrivano troppo tardi e in misura non sufficiente, ma che aiutano comunque a spazzare via i danni causati dalla devastazione.
Ma questo esempio proveniente dalla patria del capitalismo deve essere abbinato a una spiegazione degli effetti che le pratiche agricole capitaliste hanno avuto alla sua periferia. Mentre le pandemie di bestiame della prima Inghilterra capitalista erano contenute, altrove i risultati sono stati molto più devastanti. L'esempio che ha avuto il maggiore impatto storico è probabilmente quello dello scoppio della peste bovina in Africa negli anni 1890. La data in sé non è una coincidenza: la peste bovina aveva colpito l'Europa con un'intensità che seguiva da vicino la crescita dell'agricoltura su larga scala ed era tenuta sotto controllo solo dall'avanzata della scienza moderna. Ma la fine del XIX secolo ha visto anche l'apice dell'imperialismo europeo, incarnato dalla colonizzazione dell'Africa. La peste bovina fu portata dall'Europa in Africa orientale dagli italiani, che cercavano di raggiungere le altre potenze imperialiste colonizzando il Corno d'Africa attraverso una serie di campagne militari. Queste campagne si sono concluse per lo più con un insuccesso, ma la malattia si diffuse in seguito tra la popolazione indigena di bestiame e finì per aprirsi un varco per il Sudafrica, dove devastò la prima economia agricola capitalista delle colonie, uccidendo persino le mandrie nelle proprietà del famigerato Cecil Rhodes, auto-proclamatosi suprematista bianco. Non si può negare che, uccidendo fino all'80-90% di tutti i bovini, il più importante effetto storico della peste fu quello di provocare una carestia senza precedenti nelle società prevalentemente pastorali dell'Africa sub-sahariana. Questo spopolamento è stato poi seguito dalla colonizzazione invasiva della savana da parte dei rovi, che hanno creato un habitat per la mosca tse-tse, che porta la malattia del sonno e impedisce il pascolo del bestiame. Questo ha permesso di limitare il ripopolamento della regione dopo la carestia e ha aperto la strada all'ulteriore diffusione delle potenze coloniali europee in tutto il continente.
Queste epidemie, oltre a indurre periodicamente crisi agricole e a produrre le condizioni catastrofiche che hanno permesso al capitalismo di oltrepassare i suoi primi confini, sono state una persecuzione anche per il proletariato nel centro stesso dell’industrializzazione. Prima di venire a numerosi esempi più recenti, vale la pena sottolineare di nuovo che l'epidemia di coronavirus non ha niente di specificatamente cinese. Le ragioni per cui così tante epidemie sembrano avere origine in Cina non sono culturali, sono legate a dei fattori di geografia economica. Questo risulta perfettamente chiaro se confrontiamo la Cina con gli Stati Uniti o con l'Europa dell’epoca in cui Stati Uniti ed Europa rappresentavano il centro nevralgico della produzione globale e dell'occupazione industriale di massa [vi]. E il risultato è sostanzialmente identico, presenta le stesse identiche caratteristiche. Le ecatombi di bestiame che avvenivano nelle campagne, si combinavano nelle città con pratiche sanitarie di pessima qualità e una contaminazione generalizzata. È questo che è stato al centro dei primi sforzi per riformare in senso liberal-progressista le zone abitate dalla classe operaia, come testimonia l'accoglienza del romanzo The Jungle, di Upton Sinclair, scritto originariamente per documentare la sofferenza dei lavoratori immigrati nel settore della lavorazione della carne, ma ripreso dai liberali più ricchi, preoccupati dalle violazioni delle norme sulla salute e dalle condizioni generalmente poco igieniche in cui veniva preparato il loro cibo.
Questa indignazione liberale rispetto alla "sporcizia", con tutto il razzismo che implica, definisce ancora oggi quella che potremmo considerare come la lettura ideologica adottata automaticamente dalla maggior parte delle persone di fronte agli aspetti politici di qualcosa come le epidemie di coronavirus o di SARS. Ma i lavoratori hanno poco controllo sulle condizioni in cui lavorano. Fatto ancora più importante, se è vero che le condizioni insalubri e scarsamente igieniche escono dalla fabbrica attraverso la contaminazione delle forniture alimentari, questa contaminazione è in realtà solo la punta dell'iceberg. Queste condizioni sono l’ambiente in cui normalmente si lavora o si vive negli insediamenti proletari vicini, e, a livello di popolazione, queste condizioni portano a un declino della salute offrendo condizioni ancora più favorevoli alla diffusione delle molte epidemie del capitalismo. Prendiamo ad esempio il caso dell'influenza spagnola, una delle epidemie più letali della storia. Si tratta di uno dei primi focolai di influenza H1N1 (correlato a focolai più recenti di influenza suina e aviaria) e per lungo tempo si è pensato che in qualche modo questa epidemia fosse qualitativamente differente dalle altre varianti dell'influenza, dato l’elevato bilancio di vittime. Ciò nonostante, questa lettura sembra essere vera solo in parte (a causa della capacità dell'influenza di indurre una reazione eccessiva del sistema immunitario), poiché successive analisi della letteratura scientifica e la ricerca sulla storia dell'epidemiologia hanno fatto scoprire che l’influenza spagnola potrebbe essere stata poco più virulenta di altri ceppi. Al contrario, con ogni probabilità il suo alto tasso di mortalità è stato causato principalmente dalla malnutrizione generalizzata, dal sovraffollamento delle città e dalle condizioni di vita generalmente insalubri nelle aree colpite, che hanno incoraggiato non solo la diffusione dell'influenza stessa, ma anche la coltura di superinfezioni batteriche oltre alla super-infezione virale di fondo. [vii]
In altre parole, il bilancio delle vittime dell'influenza spagnola, sebbene venga rappresentato come un'anomalia imprevedibile per il carattere del virus, ha avuto un “aiuto” altrettanto importante dalle condizioni sociali. L'influenza si diffuse rapidamente grazie al commercio e alla guerra mondiale, a quel tempo legati ai rapidi cambiamenti degli imperialismi che sono sopravvissuti alla prima guerra mondiale. E anche qui ritroviamo ancora una volta una storia ormai familiare sul luogo e sul modo in cui è stato prodotto un ceppo di influenza così mortale: sebbene l'origine esatta sia ancora poco chiara, oggi si presume che il virus abbia avuto origine tra i maiali o il pollame allevati a livello domestico, probabilmente in Kansas. Il tempo e il luogo sono particolarmente degni di nota, poiché gli anni successivi alla guerra furono una sorta di punto di svolta per l'agricoltura americana, che ha visto l'applicazione generalizzata di metodi di produzione di tipo industriale sempre più meccanizzati. Queste tendenze si intensificarono solo negli anni '20 e l'applicazione massiccia di tecnologie come la mietitrebbia portò sia ad una graduale monopolizzazione [della produzione agricola], che al disastro ecologico, che, combinati insieme, causarono la crisi del “Dust Bowl” [la crisi delle tempeste di sabbia che colpirono gli Stati Uniti centrali e il Canada tra il 1931 e il 1939] e l'emigrazione di massa che ne seguì. L'intensa concentrazione di bestiame che in seguito avrebbe caratterizzato l’allevamento industriale non era ancora apparsa, ma le forme più elementari di concentrazione e produzione intensiva, che avevano già creato epidemie di bestiame in Europa, erano ormai diventate la norma. Se le epidemie che colpirono il bestiame nell’Inghilterra del XVIII secolo possono essere considerate il primo caso di peste bovina propriamente capitalista, e l'epidemia di peste bovina in Africa nel 1890 il più grande degli olocausti epidemiologici causati dall'imperialismo, l'influenza spagnola può essere considerata la prima delle epidemie del capitalismo che ha colpito il proletariato.

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