“Andrò in ufficio anche oggi, in una stanza dove ogni giorno passano 100 persone. Perché il governo ha deciso che noi dei call center siamo essenziali: non pensavo di produrre un servizio essenziale, per 1200 euro al mese”. Nelle parole di Fabrizio (il nome è di fantasia, come richiesto dalla persona che ha affidato la sua denuncia al fattoquotidiano.it) c’è tutta la frustrazione di chi si sente ripetere da tutte le parti le restrittive misure antivirus e riceve inviti a rimanere in casa, ma poi ogni mattina è costretto ad andare in ufficio insieme a decine di colleghi, senza mascherina. “E spetta a noi disinfettare tastiere e tavoli: le postazioni non sono assegnate, quindi dove lavoro io, il turno dopo, lavorerà qualcun’altro. Per diversi giorni anche le cuffie erano condivise, con il microfono a due centimetri dalla bocca: non ci vuole molto a capire perché siamo spaventati”.Fabrizio è impiegato negli uffici di L’Aquila della Distribuzione Italia, che da inizio marzo ha ereditato la commessa di Poste Italiane e i lavoratori di OlisistemStart srl impiegati sulla commessa. Del gruppo fa parte anche il call center Youtility Center di Roma, quello per cui lavorava Emanuele Renzi, il 34enne morto nella notte tra sabato e domenica, l’autopsia dovrà solo stabilire se “per” o “con” il Coronavirus. E la preoccupazione, dal Lazio, viaggia verso l’Abruzzo: “Noi abbiamo iniziato il 2 marzo a lavorare con Distribuzione Italia, che ha un proprio staff che viene ogni settimana da Roma. Ci hanno garantito che nessuno di loro ha avuto contatti diretti con il ragazzo, ma chi può sapere di eventuali contatti indiretti?” La domanda che si fanno i lavoratori di tutti i call center italiani, però, è perché non sia stata presa una decisione drastica per il settore: “Noi qui, potenzialmente, siamo una bomba. Basterebbe una persona asintomatica per creare scompiglio tra 200 famiglie”.