giovedì 26 marzo 2020

pc 26 marzo - Speciale proletari comunisti 1 - TONI NEGRI E CORONAVIRUS - Un intervento

Lo Speciale raccoglie testi e interventi scritti dai compagni di proletari comunisti, alcuni collettivi e altri firmati.
L'obiettivo è una critica militante agente e un approfondimento dell'analisi che armi l'azione urgente e attuale nella situazione generale e nella battaglia politica e sociale necessaria - come sempre, per quanto ci riguarda, nel fuoco della lotta di classe in stretto legame con le masse.
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Pochi giorni fa Radio Onda d’Urto ha intervistato Toni Negri, storico militante di Potere Operaio e Autonomia Operaia, attualmente membro del collettivo Uninomade.
L’argomento principale dell’intervista è stato il legame tra la crisi scaturita dalla pandemia del COVID-19 e il sistema capitalista.
Per chi non ne conoscesse la storia, è bene sottolineare che il collettivo Uninomade, nato il decennio scorso in seguito alla crisi del 2008 e raccogliendo proprio intorno a Toni Negri alcuni intellettuali provenienti dall’area post-autonoma e post-marxista, ruota(va) intorno al perno della teoria eclettica del “capitalismo cognitivo”. 
Ci limitiamo a dire sinteticamente che tale teoria enuncia il passaggio dalla “centralità operaia” come soggetto sociale producente plusvalore per il capitalismo alla centralità del “precario intellettuale” che dovrebbe produrre per l’appunto un “plusvalore cognitivo” derivante cioè dalla propria “produzione intellettuale” che il sistema del capitale mette a profitto, tutto ciò in una cornice teorica
in cui alcuni dei suoi esponenti nel 2008 arrivavano a dichiarare candidamente l’inesistenza sostanziale della classe operaia nei paesi imperialisti, non occupandosi sostanzialmente neanche della classe operaia a livello internazionale.
Questa premessa è necessaria e propedeutica alla nostra critica a quanto espresso nell’intervista da Toni Negri.

In apertura di intervista, alla domanda circa il legame tra epidemia e sistema capitalista, Negri esordisce con questo concetto: la produzione all’interno della cornice uomo-natura “è saltata” e continua:
“In questa crisi i meccanismi di socialità di produzione di ricchezza e di vita vengono ostruiti”.
Ciò che sarebbe necessario per Negri attualmente è uno “spazio per la costruzione degli spazi del ‘comune’”, con quest’ultimo termine Negri si riferisce esplicitamente più avanti alla scuola e alla sanità pubblica, quello che molti chiamano infatti “beni comuni”.
Quindi in questa fase assistiamo, continua Negri, ad un attacco alla “sfera della riproduzione” sia biologica (con la crisi ecologica e adesso la pandemia) che materiale del “comune”.
Rispondendo ad un’altra domanda (se è lecito in questa fase rivendicare più sanità e welfare e una più equa redistribuzione) Negri risponde che effettivamente essendo questa crisi una “crisi reale” della produzione (a differenza della crisi del 2008 che fu una “crisi della finanza”) rilancia ancora una volta il concetto che effettivamente ciò che è necessario è una “riappropriazione sociale del comune, della riproduzione” tramite, e qui si vergogna quasi a dirlo (testualmente “permettetemi di usare una parola antichissima”) di una lotta mossa dalle avanguardie (sic!).

Innanzitutto ci preme sottolineare che anche la crisi del 2008 seppur materializzatasi inizialmente come bolla finanziaria aveva anch’essa una radice in una crisi di sovrapproduzione cosi poi dispiegatasi apertamente.
Secondariamente non ci stupiamo che uno dei teorici che ha seguito la parabola partita dall’operaismo, che prevedeva quindi una centralità nella classe operaia seppur con tutte le contraddizioni, e giunto in seguito alla centralità del “precariato intellettuale” con tutte le sue assurdità, si vergogni a utilizzare una categoria di cui chiunque organizzi le lotte quotidianamente ha conferma; a Negri al contrario risultano “antichissime”, ma alla fine è costretto a usarla seppur inserita nella sua analisi a capocchia.
 Del resto per tutta la durata dell’intervista Negri ripete come un mantra alcune categorie fumose quali quella del “comune” e si guarda bene dal parlare di un cambiamento radicale e rivoluzionario della società come unica e sola soluzione per spazzare via il sistema sociale di produzione che provoca le crisi cicliche economiche e, come stiamo imparando in questi giorni, anche pandemico-virali.

Questo approccio idealistico/intellettuale slegato dall’analisi materiale ha come oggetto di culto il “comune”/pubblico astraendolo dal contesto sociale che è quello del capitale.
Il capitalismo stesso prevede l’esistenza del settore pubblico che in regime capitalistico è governato per l’appunto dalle leggi del capitale.
Nell’intervista Negri elogia il “sistema sanitario europeo” (inteso come continentale di Italia, Francia e Germania, riferendosi anche alla Cina) nell’efficacia relativa di risposta alla crisi pandemica attuale contrapponendolo ad un approccio “darwinista/malthusiano” anglosassone in USA e UK.
Ciò che Negri non vede è la dinamicità del capitale: proprio la crisi di questi giorni mostra come sia sfumato in pochi giorni l’approccio nazista da “selezione naturale” di Johnson e Trump (che rimane comunque come tendenza delle loro politiche interne), ma che in entrambi i paesi adesso ci si rivolga proprio alle misure di rafforzamento dell’intervento dello Stato borghese nella gestione della pandemia annunciando “misure straordinarie” sia economiche che sanitarie.
Il punto è proprio questo, tutti i paesi elencati, dalla Cina agli USA, dall’Italia all’Inghilterra ecc. pur presentando diverse declinazioni, sono tutti paesi capitalisti (e imperialisti), in questo senso il “comune” in questi paesi è funzionale al capitale (cosi come in Svezia e nelle cosiddette socialdemocrazie scandinave), per la sua ripresa produttiva di merci e di plusvalore.
L’approccio di ergere tale senso del “comune” a feticcio dei movimenti di lotta è quindi un approccio riformista in quanto funzionale al capitale.
Nella società alternativa al capitale, che noi senza vergogna chiamiamo con il proprio nome: il socialismo e infine il comunismo, il “bene comune” socialista, come ci insegnano le esperienze storiche, ha un ruolo totalmente diverso dall’attuale bene comune, seppur negrianamente “ripensato”, ma sempre racchiuso negli angusti spazi di manovra della società capitalista ed alle sue fase cicliche di crisi, ripresa, accelerazione, nuova crisi.
D’altronde le tante isole felici sorte da alcune aree di lotte mosse dall’assunto “il movimento è tutto, il fine è niente” che considerano un centro sociale come una zona liberata dal capitale (piuttosto che una base d’appoggio da cui organizzarsi) sono risultati storicamente fallimentari quando hanno abbandonato la prospettiva della lotta per il potere politico e hanno rimodulato la propria strategia per la lotta per il “comune”; alcuni di questi compagni di strada smarriti hanno fatto il salto della barricata ritrovandosi a braccetto con i partiti della sinistra istituzionale arrivando anche ultimamente a sostenere il populismo di destra del M5S di cui tutti conosciamo le conseguenze politiche.

L’attuale crisi pandemica nelle sue ricadute sulla produzione e sull’economia in generale ha sciolto nuovamente come neve al sole l’eclettica teoria del “capitalismo cognitivo”: i primi decreti di contenimento del contagio non hanno esitato a chiudere i posti di lavoro in cui opera il cosiddetto “precariato cognitivo” (università e scuole, ma anche uffici ecc.) al contrario fino a oggi i padroni di Confindustria in Italia e negli altri paesi puntano i piedi per non far continuare l’attività nelle fabbriche dove la classe operaia produce il  plusvalore reale e non quello fantasticato da Negri & Co., nonché nel settore della logistica contro i cui lavoratori in sciopero si fa un uso pretestuoso delle ordinanze anti-contagio/assembramento.
In Italia è proprio lo sciopero operaio a far fermare le fabbriche ostinatamente tenute aperte dai capitalisti coerentemente con il proprio interesse di classe: accaparrarsi il profitto.
Sulla questione degli scioperi in ogni caso Negri ammette che non vede forme di lotte alternative a esso per bloccare la produzione pur ai tempi del Coronavirus salvo poi “correggere il tiro” specificando: “quando dico produzione non dico solo fabbrica ma soprattutto riproduzione”.
Fermiamoci un attimo su quest’altra categoria che viene ripetuta più volte nell’intervista. Negri, seppur in un altro passaggio dica giustamente che non bisogna essere catastrofisti ma al contrario “bisogna intervenire su questa crisi interna al capitale”, quando parla di attacco alla riproduzione in questa fase della pandemia, sembra dare molta enfasi su questo aspetto risultando quasi catastrofista anche lui.
In un’altra intervista uscita in questi giorni, Rob Wallace autore di “Big Farms make big flu” spiega in maniera chiara e “scientifica”, con un approccio meno sensazionalista, come l’attuale sistema del capitale producente le pandemie: “è talmente concentrato sui profitti che l’essere colpiti da un virus che potrebbe uccidere un miliardo di persone è considerato come un rischio che val la pena di correre”.
L’approccio materialistico dialettico spiega chiaramente come la riproduzione della forza lavoro è funzionale alla produzione di plusvalore.
Se il capitale ha garantito questa forza lavoro ed il suo funzionale esercito di riserva, non si pone il problema di sacrificare sull’altare del profitto un miliardo di persone.
Da parte nostra è richiesto affrontare la questione in questi termini, gli sfruttati, i subalterni, il proletariato con al cuore la classe operaia hanno come unica alternativa all’”olocausto” capitalista il rovesciamento del capitalismo stesso, senza tanto girarci intorno e senza tanti fronzoli come quelli proposti da Negri&co.

EM

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