giovedì 8 novembre 2018

pc 8 novembre - IL GOVERNO GIALLOVERDE NON ABOLISCE LA FORNERO - di GIORGIO CREMASCHI


Ne pubblichiamo stralci

Come tanti sanno un provvedimento dettagliato del governo sulle pensioni non c’è, sul documento di Bilancio la voce pensioni è vuota, c’è solo lo stanziamento di circa 6,7 miliardi di euro. Il governo dovrebbe uscire con il dettaglio del suo intervento sul sistema pensionistico...
Tuttavia – annuncio dopo annuncio, indiscrezione dopo indiscrezione – il quadro fondamentale delle misure si delinea e chiarisce che il governo, al di là delle opposte propagande di chi esalta l’abolizione della legge Fornero e di chi si straccia  le vesti per questo, non supera affatto la controriforma delle pensioni del governo Monti, ma solo la ammorbidisce e la rallenta per alcuni ben precisi gruppi di lavoratrici e lavoratori...
Per capirci, un operaio che abbia cominciato a lavorare a 16 anni e abbia avuto sempre un rapporto di lavoro, oggi con le legge Fornero può andare in pensione cosiddetta di anzianità a 59 anni di età e per lui non cambierà nulla. Una lavoratrice che tra pause familiari e disoccupazione abbia maturato complessivamente 30 anni di contributi sarà costretta ad andare in pensione a 67 anni di età. Anche per lei non cambierà niente. Così come non cambia niente per chi, soprattutto donne e ora anche migranti, non abbia raccolto
almeno 20 anni di contributi. Tutte e tutti costoro lasceranno integralmente il versato nelle casse dell’INPS e potranno solo chiedere la pensione sociale, 448 euro al mese, a 67 anni se poveri ai sensi dell’Isee.
...il meccanismo di innalzamento automatico dell’età della pensione in proporzione all’incremento della cosiddetta aspettativa di vita: più speri di vivere, più devi lavorare... (una) norma stupida e feroce che cancella la fatica del lavoro e trasforma i successi della medicina e della società, di cui usufruiscono prima di tutto i più ricchi, in condanna per i poveri. Naturalmente la Lega di Bossi, Maroni e Salvini, votò a favore. Anche questo meccanismo non viene abolito, ma solo bloccato per alcuni anni, poi riprenderà a fare danni, innalzando sia l’età della pensione di vecchiaia sia i contributi necessari per quella di anzianità. Intanto però saranno passate le elezioni. 
Il governo dichiara inoltre di voler mantenere la cosiddetta opzione donna. Anche questa è una misura già decisa dai governi precedenti, per stemperare gli eccessi di ferocia della legge Fornero. Le lavoratrici con 58 anni di età se dipendenti, 59 se autonome, potranno andare in pensione a circa 60 anni se avranno maturato 35 anni di contributi. Naturalmente con un pesante taglio alla rendita. Anche questo provvedimento micragnoso e sessista viene confermato, presentandolo come un grande cambiamento.
Ma allora cosa cambia davvero? Come si sa il governo chiama “abolizione della legge Fornero” l’istituzione della cosiddetta quota 100. Chi ha 62 anni di età e 38 anni di contributi potrà andare in pensione, ma con alcune avvertenze. 
La prima è che non c’e in realtà alcuna quota 100: chi ha 60 anni di età e 40 di contributi non andrà in pensione prima, così pure chi ha 63 anni e 37 di contributi. I due requisiti sono entrambi necessari, se uno dei due manca non si va in pensione. Inoltre tornano le famigerate “finestre”, cioè non si va in pensione quando si maturano i requisiti ma un po’ dopo. Da un minimo di 4-5 mesi per chi lavora nel privato, a oltre un anno per gli/le insegnanti. 
Ora sulla base di tutti questi e di altri piccoli trucchi che si stanno elaborando, il governo prevede di far andare in pensione, prima di quando avrebbero dovuto andarci con la Fornero, circa 350000 persone, che già sono molte meno di coloro interessate a una vera quota 100...
La realtà è molto diversa. Per andare in pensione nel 2019 a 62 anni di età con 38 anni di contributi bisogna essere nati attorno alla metà degli anni 50, essere andati a lavorare attorno ai 24-25 anni e aver mantenuto un impiego stabile fino al 2018. Chi sono costoro? In grandissima parte impiegati delle grandi aziende private e del settore pubblico. Che effettivamente potranno andare prima via dal lavoro… o dovranno? Sì perché stranamente questo provvedimento coincide largamente con i bisogni delle grandi aziende e della pubblica amministrazione di procedere allo svecchiamento del personale. Via impiegati anziani e costosi, dentro giovani pagati molto meno e – ricordiamolo sempre – nel privato senza articolo 18. Del resto quando fu varata la legge Fornero fu proprio Boeri a lamentare che essa avrebbe “ingessato” il mercato del lavoro. Per questo la Confindustria è concorde, al di là di qualche ipocrisia di facciata. 
Quello che il governo sta varando non è l’abolizione della legge Fornero, che resta in tutti i suoi meccanismi più feroci e ingiusti, ma un prepensionamento per alcune categorie di impiegati del sistema pubblico e privato...
Tutto l’impianto della legge Fornero rimane, come quello di tutte la controriforme precedenti, a partire da quel sistema contributivo introdotto dalla legge Dini, che, nell’epoca della precarizzazione del lavoro, ha distrutto la solidarietà fra generazioni nel sistema pubblico. 
Il governo gialloverde in realtà copia ciò che fece l’ultimo governo Prodi nel 2007. Allora era in vigore il cosiddetto “scalone Maroni”. Un innalzamento dell’età della pensione attuato dal governo di destra precedente a cui il ministro leghista del lavoro  di allora aveva dato il suo nome. Prodi aveva preso in campagna elettorale il solenne impegno di abolire lo scalone Maroni; e alla fine lo mantenne, mandando in pensione prima alcune classi di età, allora si parlava di quota 95. Ma senza toccare nulla della struttura del sistema pensionistico, anzi facendo pagare alla maggioranza dei lavoratori il miglioramento per alcuni. 
Salvini e Di Maio fanno oggi come Prodi allora: mandano in pensione prima una piccola minoranza di lavoratori mentre accettano e mantengono che la grande maggioranza di essi vada in quiescenza sempre più tardi...

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