Ne pubblichiamo stralci
Come tanti
sanno un provvedimento dettagliato del governo sulle pensioni non
c’è, sul documento di Bilancio la voce pensioni è vuota, c’è
solo lo stanziamento di circa 6,7 miliardi di euro. Il governo
dovrebbe uscire con il dettaglio del suo intervento sul sistema
pensionistico...
Tuttavia –
annuncio dopo annuncio, indiscrezione dopo indiscrezione – il
quadro fondamentale delle misure si delinea e chiarisce che il
governo, al di là delle opposte propagande di chi esalta
l’abolizione della legge Fornero e di chi si straccia le
vesti per questo, non supera affatto la controriforma delle pensioni
del governo Monti, ma solo la ammorbidisce e la rallenta per alcuni
ben precisi gruppi di lavoratrici e lavoratori...
Per capirci, un
operaio che abbia cominciato a lavorare a 16 anni e abbia avuto
sempre un rapporto di lavoro, oggi con le legge Fornero può andare
in pensione cosiddetta di anzianità a 59 anni di età e per lui non
cambierà nulla. Una lavoratrice che tra pause familiari e
disoccupazione abbia maturato complessivamente 30 anni di contributi
sarà costretta ad andare in pensione a 67 anni di età. Anche per
lei non cambierà niente. Così come non cambia niente per chi,
soprattutto donne e ora anche migranti, non abbia raccolto
almeno 20
anni di contributi. Tutte e tutti costoro lasceranno integralmente il
versato nelle casse dell’INPS e potranno solo chiedere la pensione
sociale, 448 euro al mese, a 67 anni se poveri ai sensi dell’Isee.
...il meccanismo di innalzamento automatico
dell’età della pensione in proporzione all’incremento della
cosiddetta aspettativa di vita: più speri di vivere, più devi
lavorare... (una) norma stupida e feroce che cancella la
fatica del lavoro e trasforma i successi della medicina e della
società, di cui usufruiscono prima di tutto i più ricchi, in
condanna per i poveri. Naturalmente la Lega di Bossi, Maroni e
Salvini, votò a favore. Anche
questo meccanismo non viene abolito, ma solo bloccato per alcuni
anni, poi riprenderà a fare danni, innalzando sia l’età della
pensione di vecchiaia sia i contributi necessari per quella di
anzianità. Intanto però saranno passate le elezioni.
Il governo
dichiara inoltre di voler mantenere la cosiddetta opzione donna.
Anche questa è una misura già decisa dai governi precedenti, per
stemperare gli eccessi di ferocia della legge Fornero. Le lavoratrici
con 58 anni di età se dipendenti, 59 se autonome, potranno andare in
pensione a circa 60 anni se avranno maturato 35 anni di contributi.
Naturalmente con un pesante taglio alla rendita. Anche questo
provvedimento micragnoso e sessista viene confermato, presentandolo
come un grande cambiamento.
Ma allora
cosa cambia davvero? Come si sa il governo chiama “abolizione della
legge Fornero” l’istituzione della cosiddetta quota 100. Chi ha
62 anni di età e 38 anni di contributi potrà andare in pensione, ma
con alcune avvertenze.
La prima è
che non c’e in realtà alcuna quota 100: chi ha 60 anni di età e
40 di contributi non andrà in pensione prima, così pure chi ha 63
anni e 37 di contributi. I due requisiti sono entrambi necessari, se
uno dei due manca non si va in pensione. Inoltre tornano le
famigerate “finestre”, cioè non si va in pensione quando si
maturano i requisiti ma un po’ dopo. Da un minimo di 4-5 mesi per
chi lavora nel privato, a oltre un anno per gli/le insegnanti.
Ora sulla
base di tutti questi e di altri piccoli trucchi che si stanno
elaborando, il governo prevede di far andare in pensione, prima di
quando avrebbero dovuto andarci con la Fornero, circa 350000 persone,
che già sono molte meno di coloro interessate a una vera quota 100...
La realtà è molto diversa. Per andare in
pensione nel 2019 a 62 anni di età con 38 anni di contributi bisogna
essere nati attorno alla metà degli anni 50, essere andati a
lavorare attorno ai 24-25 anni e aver mantenuto un impiego stabile
fino al 2018. Chi sono costoro? In grandissima parte impiegati delle
grandi aziende private e del settore pubblico. Che effettivamente
potranno andare prima via dal lavoro… o dovranno? Sì perché
stranamente questo provvedimento coincide largamente con i bisogni
delle grandi aziende e della pubblica amministrazione di procedere
allo svecchiamento del personale. Via impiegati anziani e costosi,
dentro giovani pagati molto meno e – ricordiamolo sempre – nel
privato senza articolo 18. Del resto quando fu varata la legge
Fornero fu proprio Boeri a lamentare che essa avrebbe “ingessato”
il mercato del lavoro. Per questo la Confindustria è concorde, al di
là di qualche ipocrisia di facciata.
Quello che
il governo sta varando non è l’abolizione della legge Fornero, che
resta in tutti i suoi meccanismi più feroci e ingiusti, ma un
prepensionamento per alcune categorie di impiegati del sistema
pubblico e privato...
Tutto
l’impianto della legge Fornero rimane, come quello di tutte la
controriforme precedenti, a partire da quel sistema contributivo
introdotto dalla legge Dini, che, nell’epoca della precarizzazione
del lavoro, ha distrutto la solidarietà fra generazioni nel sistema
pubblico.
Il governo
gialloverde in realtà copia ciò che fece l’ultimo governo Prodi
nel 2007. Allora era in vigore il cosiddetto “scalone Maroni”. Un
innalzamento dell’età della pensione attuato dal governo di destra
precedente a cui il ministro leghista del lavoro di allora
aveva dato il suo nome. Prodi aveva preso in campagna elettorale il
solenne impegno di abolire lo scalone Maroni; e alla fine lo
mantenne, mandando in pensione prima alcune classi di età, allora si
parlava di quota 95. Ma senza toccare nulla della struttura del
sistema pensionistico, anzi facendo pagare alla maggioranza dei
lavoratori il miglioramento per alcuni.
Salvini e
Di Maio fanno oggi come Prodi allora: mandano in pensione prima una
piccola minoranza di lavoratori mentre accettano e mantengono che la
grande maggioranza di essi vada in quiescenza sempre più tardi...
Nessun commento:
Posta un commento