Dichiarazione
di Davide Delogu letta in aula il 10 ottobre 2018
Processo per le lotte del 2013
al carcere di Buoncammino di Cagliari
Come si sa, inizialmente questo
processo è stato bloccato per un anno dal DAP, tentando (fallendo) di imporlo
in videoconferenza, abusando l'utilizzo di tale "misura di emergenza"
per incatenarmi nel ruolo di ostaggio inerme da una tecnologia insidiosa e
prevaricatrice, per fiaccare la volontà del detenuto come strumento per
depersonalizzarlo, per chi non resiste, prenderlo per sfinimento, isolarlo dal
proprio contesto affettivo e solidale, per far tacere nella rassegnazione la
tensione refrattaria e, in particolare, la lotta contro il carcere, realtà
invece che non ha mai cessato di esistere-resistere, nonostante tutto.
Sono le stesse "misure
emergenziali" con cui vengo ingabbiato nelle cloache penitenziarie della
Sicilia da anni (deportato come conseguenza repressiva alle lotte intraprese
nel carcere di Buoncammino) con l'applicazione di regimi differenziati, tra i
quali l'estremizzazione dell'isolamento 14 bis, attuate con arbitrarie, feroci,
perverse metodiche sioniste, per abbattere moralmente e fisicamente il
detenuto, e, con esso, quella lotta originaria, che non sono riusciti tuttavia
a fermare, essendo un'individualità viva, incorreggibile/indomabile e
non soggetto ad alienazione/annichilimento carcerario, alimentando invece più rabbia, disprezzo e determinazione nell'affrontare combattendo la tortura bianca degli isolamenti continui e totali in questione, ma anche del carcere in generale, quale strumento vendicativo dello stato, con cui pianifica e sperimenta sulla nostra pelle di dannati, l'evoluzione repressiva sull'ideologia della manipolazione dell'identità e sull'appiattimento delle menti e degli istinti, all'interno di un vivere subumano, da automa, per il mantenimento non solo del potere carcerario (che si più colpire quando si vuole) ma dell'intero dominio imperialistico-capitalista di civilizzazione del sistema di cose esistenti nella società e in tutto ciò che vi è attorno. Dunque la galera è evidente non è un argomento slegato dal contesto sociale che lo genera.
non soggetto ad alienazione/annichilimento carcerario, alimentando invece più rabbia, disprezzo e determinazione nell'affrontare combattendo la tortura bianca degli isolamenti continui e totali in questione, ma anche del carcere in generale, quale strumento vendicativo dello stato, con cui pianifica e sperimenta sulla nostra pelle di dannati, l'evoluzione repressiva sull'ideologia della manipolazione dell'identità e sull'appiattimento delle menti e degli istinti, all'interno di un vivere subumano, da automa, per il mantenimento non solo del potere carcerario (che si più colpire quando si vuole) ma dell'intero dominio imperialistico-capitalista di civilizzazione del sistema di cose esistenti nella società e in tutto ciò che vi è attorno. Dunque la galera è evidente non è un argomento slegato dal contesto sociale che lo genera.
Noi detenuti siamo quella parte
di sfruttati, brutalizzati e lasciati in cattività, a cui l'unica cosa che
viene garantita è la sottomissione ad un'esistenza miserabile! Lo scenario tra
dentro e fuori non cambia, giacché il mercato che subiscono oppressi e
sfruttati è indispensabile al sistema securitario dello stato colonialista,
affinché tutto si debba mantenere nell'ambito di compatibilità rispetto agli
interessi dei padroni, e quando si verificano delle rotture, delle
contrapposizioni ad essi, si intensifica l'attacco preventivato della macchina
repressiva, così dentro, così fuori. Fatto questo, che non ci ha comunque
impedito, a noi detenuti del carcere dell'ex Buoncammino, di mettere questo
meccanismo in discussione.
Tra maggio e giugno 2013 si
erano succeduti nella galera ottocentesca di Cagliari diversi scioperi
collettivi (slegati dai radicali di Pannella come è invece stato millantato in
quest'aula) del vitto e dell'aria in particolare, ma anche brevi scioperi della
spesa e di protesta contro l'oligarchia dell'aria educativa, tutto supportato
da continue battiture, le prime due sottoscritte anche da centinaia di
detenuti, contro le condizioni disumane e inaccettabili in cui versava la
galera, rivendicando migliorie detentive, l'abrogazione di leggi aberranti come
l'ergastolo e il 41bis, l'applicazione di una forte amnistia generalizzata, per
diffondere la coesione nella lotta con detenuti di altre galere e per sostenere
e divulgare la manifestazione nazionale che si svolse a Parma: contro il
carcere, la differenziazione, il 41 bis, l'isolamento, in appoggio alla lotta
di tutti i prigionieri, indetta dall' "assemblea di lotta
uniti contro la repressione" a cui abbiamo dato il nostro contributo.
Come spesso accade, quando si
arrivano a realizzare forme di lotta collettive in carcere, coi rapporti di
forza messi in campo, l'autorità carceraria (ma anche fuori), qualora non
vengano represse nell'immediato, cerca di amministrarle all'interno della
gabbia istituzionale, per cadere nella trappola del compromesso, delle
strumentalizzazioni, per evitare l'autodeterminazione del corpo detenuto in
agitazione, con la minaccia/ricatto sull'utilizzo dell'isolamento, dei
trasferimenti punitivi, della perdita dei benefici, della ricerca obbligata del
"promotore", per l'applicazione indegna del 14 bis etc. etc. …
Ma noi non abbiamo ceduto a
questa logica del premio/castigo, rifiutandoci di farci "gestire"
come fantocci, dando così vita ad un ciclo di lotte che non si vedeva da anni
all'interno della galera. Eravamo tutti carichi! Dopo 20 giorni di confronto
dallo sciopero del vitto intraprendemmo quello dell'aria, rifiutandoci di
recarci, ammassati come "bestiame umano" nei luoghi angusti adibiti a
"passeggi". La direzione del carcere non stette a guardare inerme e
attuò lo stesso giorno una repressione anti sciopero, devastando le celle
occupate dai detenuti che firmarono il documento di adesione con una
perquisizione straordinaria. è in quell'occasione che presero degli oggetti che
mi appartenevano (1 coltello, 1 fune, capelli d'angelo) con cui è stata formulata l'accusa
deviazionista (tentata evasione) per cui sono stato chiamato a processo, che
vuole oscurare e mascherare quella che è stata una realtà di lotta che stava
lanciando semi di ribellione e che doveva essere stroncata sul nascere.
Quindi, i carcerieri per prima
cosa miravano a colpire l'anarchico ribelle (e poi non solo) per la tenacia con
cui si portavano avanti le iniziative che prendevano corpo in un contesto più
generale, sia fuori con interventi di solidali, sia con le proteste in altre
prigioni e anche perché non ho voluto mai subire, ma ho sempre affrontato a konka
arta la tirannia con cui ti impongono di barattare la dignità con
l'obbedienza all'interno di umilianti e bestiali condizioni galeotte.
Nel concreto, oggi si vuole
processare la determinazione di un detenuto in lotta che non si piega e non si
rassegna alla sbarrocrazia vigente, al meccanismo gerarchizzato di sfruttamento
dietro le sbarre, poiché non sono ricattabile con la vostra "merce",
con le vostre punizioni, i vostri compromessi, le vostre ipocrite illusioni. Ma
nel periodo in questione a Buoncammino si respirava aria di rivolta,
considerando l'inefficacia che hanno avuto gli scioperi pacifici.
Ecco, dunque, che arrivò il 9
luglio 2013, giorno in cui esplose una ribellione collettiva, iniziata con
detenuti barricati dentro le celle, sabotaggio dell'impianto elettrico delle
sezioni, detonazione di decine di bombe di gas artigianali fuori e dentro le
sezioni, nel frattempo le guardie scapparono da queste ultime, vi fu un lancio
di lenzuola e suppellettili che ardevano, celle mezze distrutte e fuoco alle
finestre per richiamare l'attenzione all'esterno anche con degli striscioni
posizionati dove accorrevano nel piazzale antistante il muro di cinta parenti,
solidali in supporto e la presenza dei giornalisti pretesa dai detenuti.
La violenza carceraria non si
fece attendere, con isolamenti, trasferimenti punitivi e il pestaggio di un
barricato che tentò di impiccarsi nel carcere punitivo in cui approdò,
considerata pure la "calorosa" accoglienza riservatagli.è [***] Si è
dunque ancora repressa, punita, la dignità umana che si sollevò con rabbia in
un sussulto di rivolta, purtroppo non manifestata nella più ampia potenza distruttiva!
Io venni deportato nel lager di
Palermo e introdotto nel regime di tortura del 14bis, uno strumento vessatorio,
vendicativo e di annichilamento nei confronti di chi non si mantiene
addomesticato, non si vuole abbandonare alla rassegnazione e non si genuflette
di fronte alla prepotenza aguzzina e alla stessa funzione classista del
carcere, dove lo stato opera nei confronti del detenuto la sua eliminazione
organizzata, con l'estrema violenza dell'isolamento nell'isolamento, tramite
restrizioni maniacali, condizioni brutali di sadismo psicopatico di controllo
dei carcerieri, l'assoluta privazione di qualsiasi rapportazione umana
all'interno di un accanito potere arbitrario abusato da ogni amministrazione
penitenziaria, illimitatamente prorogabile.
Tutto è concepito per
annientare! Perciò la ribellione contro questo funzionamento egemone è
diventata come l'ossigeno che si respira, praticando svariate forme di lotta
permanente, portando al fallimento delle intenzioni dell'oppressione
carceraria. L'istituzione delle sbarre ci vorrebbe ridurre tutti quanti a
burattini consenzienti, tramite le loro miserie e i loro metodi, annullando la
dignità del detenuto e stuprandolo dell'integrità fisica, dell'affettività,
della sessualità, per assuefarlo all'ideologia sbirrocratica in modo da
abituarci a diventare servi e succubi di un genocidio di stato perpetrato
impunemente nelle patrie galere, come parte di un progetto di sterminio del
mattatoio democratico, collegato per un più esteso e sofisticato mantenimento dell'attuale
ordine sociale con cui avanzava e si affina l'evoluzione di insediamento ed
espansione del controllo repressivo. Il carcere col suo impianto differenziante
come laboratorio della carcerizzazione applicata nelle forme e nei metodi per
l'edificazione di una più ampia oppressione della società.
L'esportazione del modello
carcerario per una più alienante prigione a cielo aperto, in cui vengono
radialmente alterate le condizioni della vita umana (del pianeta) al fine di
provocarne un surrogato attraverso un sistema poliziesco - digitale -
tecno/scientifico, realizzato sulla distruzione dei valori di libertà che ci
sta costringendo a mutare in tutti gli aspetti dell'esistenza, come conseguenza
alienante delle genti formalizzate dall'"etica" civilizzatrice e dal
suo sfrenato collaborazionismo all'"integrazione". E si potrà
comprendere come ogni rinuncia all'attacco contro questa avanzata del dominio
si pagherà a caro prezzo! Chiaramente, non sempre avviene come da programma di
chi comanda, come è stato dimostrato da tanti percorsi individuali di detenuti
e non, che non si apprendono mai!
Quando si cercò di sviluppare le
lotte nelle carceri italiane con le ultime mobilitazioni anticarcerarie su
appello del "coordinamento dei detenuti", con l'appoggio di tante
realtà all'esterno, non riuscimmo a strappare nulla al potere degli obiettivi
rivendicati, però acquisimmo la fondamentale consapevolezza che "se basta
volere fermamente una cosa per farla accadere" significa che certi metodi
di lotta non si possono arenare, rimanendo solo quelli, senza attaccare
materialmente la piovra detentiva, e perlomeno da parte mia, non vi fu quella
presunzione di sostenere una sorta di "reclusoretariato" consapevole
del proprio essere sfruttati, umiliati, seviziati e abusati alla mercé del
dispotismo carcerario, considerando che i detenuti in linea di massima sono gli
stessi componenti che fuori, come dentro, sostengono il sistema dei monopoli,
al di là e al di qua delle leggi violate, ma il significato e la valutazione
che ne uscì con veemenza è sempre quell'urgenza di affermare se stessi,
partendo dalla propria rabbia, insofferenza e convinzione da mettere in campo,
per sconfiggere la sottomissione agli interessi del sistema che a volte si
confondono con i nostri, per assumerci il coraggio di riprenderci/ritrovare i
nostri desideri, la nostra dignità e combattività, il rispetto di noi, per
condurci ad atti di autoliberazione dalle gabbie che sappiamo di avere dentro,
con le reali forze esistenti, che sono di certo minoritarie rispetto alle forze
del nemico, perciò la creatività può conferire alla minoranza combattiva un
coefficiente di vigore esplosivo: la dinamite, che ha un valore insostituibile
che non si discute.
La chimica della distruzione si
converte tra le mani in un'alchimia di liberazione, di vendetta contro l'ordine
sociale. O ci faremo sopprimere lentamente insieme a tutto ciò che ci circonda,
o sopprimeremo noi la megamacchina molto rapidamente nelle parti più
vulnerabili, senza aspettare nulla. Non ci sono vie di mezzo! Da parte mia
continuerò a seguire la mia istintività selvaggia, battendomi anche soprattutto
nelle tenebre degli isolamenti, negando e rifiutando la brutalizzazione e il
disciplinarmente che l'autorità carceraria pretende impormi sulla mia mente e
il mio corpo, poiché sono soltanto io a decidere come affrontare la galera e lo
faccio lottando dietro le sbarre, che è l'unica liberà rimasta a noi detenuti.
Nessuna sbarra è solida come sembra. W chi le taglia, W chi le brucia, W chi le
combatte.
Solidarietà refrattaria agli
anarchici imprigionati nelle sezioni blindate della AS e di altri regimi dello
stato italiano e agli anarchici in galera negli altri stati. Saluti gioiosi a
quegli anarchici anonimi che fuori anche in diversi stati attaccano
direttamente i settori della civilizzazione più infame, in solidarietà ai
prigionieri anarchici, riempiendo di forza
l'immaginazione guerrigliera.
Sempri innantis per la libertà
di ogni giorno!
Deportatu Anarkiku Sardu
Impresonau
Davide Dalogu
[***]
Davide fa riferimento a un
ragazzo trasferito al carcere S.Daniele a Lanusei, che ha tentato di impiccarsi
nella sua cella. Il trasferimento è avvenuto in maniera coatta dopo la rivolta
al carcere del Buoncammino, alla quale questo ragazzo aveva preso parte,
urlando dalla finestra della sua cella tutte le ingiustizie che gli erano
capitate in quel carcere.
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