Stamani
sono morti due dipendenti dell'Archivio di Stato di Arezzo,
deceduti perché intossicati per una fuga di argon, un gas inodore,
in un ripostiglio dove erano andati a effettuare un controllo, in
seguito all'allarme antincendio.
20/09/2018
di Simone Pitossi
"Ancora
una volta dobbiamo piangere dei morti sul lavoro. Ieri un
autotrasportatore che lavorava intorno a un'autocisterna a Empoli,
stamani due dipendenti dell'Archivio di Stato di Arezzo. Il
primo pensiero va naturalmente ai familiari, ai quali esprimo il mio
cordoglio e la mia vicinanza". Così ha commentato l'accaduto
l'assessore regionale al diritto alla salute Stefania Saccardi. "E'
davvero assurdo morire in questo modo - ha aggiunto ancora
l'assessore Saccardi - So che è stato disposto il sequestro
dell'edificio e che la Procura di Arezzo ha aperto
un'inchiesta.
Il
«rito» della morte sul lavoro
di
Marco Caldiroli (*)
Riportiamo
un trafiletto di cronaca sull’ennesimo omicidio sul lavoro.
Cremona,
tragedia sul lavoro: operaio cade dal tetto di una cascina e muore.
Durante i lavori di ristrutturazione: l’uomo, 48 anni, è
precipitato da un’altezza di 10 metri, inutili i soccorsi. Tragico
incidente sul lavoro a Camisano, nel cremonese. Un operaio di 48 anni
di Mozzanica, nella Bergamasca, è morto dopo essere caduto da un
tetto della cascina Torrianelli, dove stava lavorando. Nello stabile
erano in corso lavori di ristrutturazione. L’operaio è precipitato
da un’altezza di circa dieci metri ed è morto prima che
arrivassero i soccorsi dall’ospedale maggiore di Crema. Sul posto
sono intervenuti i carabinieri per le indagini di rito.
Quello
che colpisce è la chiusura del pezzo, nella sua “neutralità”
(figuriamoci se il cronista si
interroghi sul come mai un lavoratore cade da una copertura nonostante le prescrizioni sulla sicurezza per lavori del genere siano rigorose e chiarissime) …
«sul posto sono
intervenuti i carabinieri per le indagini di rito». Le indagini su
un infortunio sarebbero un “rito” quasi a simboleggiare, nel
lapsus linguistico, la stanchezza e il “fastidio” di dover
svolgere una indagine che va fatta per legge (e ci mancherebbe,
davanti a quello che andrebbe sempre rubricato “di default” come
omicidio sul lavoro) ma che ci si deve sbrigare a chiudere per
passare ad altro. (Dal Devoto Oli, tra i significati di “rito” vi
è quello di «conformità con una consuetudine prescritta o una
prassi abituale generalmente sentita come inderogabile o
inevitabile»). Ma il termine “rito”, in quanto legata anche ai
culti religiosi, richiama anche quello di “sacrificio”: è
facile, per il lettore distratto che non ha più (se mai l’ha
avuta) la forza di indignarsi di fronte a questi eventi, associare
l’evento con qualcosa di ineluttabile e, in qualche modo, richiesto
dal culto (in questo caso del profitto a scapito della sicurezza). Le
parole sono importanti e denotano anche il rispetto che ognuno di noi
(a maggior ragione chi scrive su un giornale come su un “social”)
deve nei confronti degli altri soprattutto quando sono colpiti da
eventi funesti tutt’altro che imprevedibili e più che prevenibili.interroghi sul come mai un lavoratore cade da una copertura nonostante le prescrizioni sulla sicurezza per lavori del genere siano rigorose e chiarissime) …
(*)
ripreso da www.medicinademocratica.org
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