I padroni
dell'acciaio si mettono la crisi alle spalle, e l'acquisizione dell'Ilva
da parte di ArcelorMittal è il passaggio che fa "quadrare il cerchio"
della ripresa dei profitti, con la ripresa della produzione e dei vecchi
e nuovi mercati:
"I
numeri sono eloquenti. Tra il 2016 e il 2018 la produzione italiana di
acciaio è cresciuta di circa il 10% e a fine anno si avvierà verso i 25
milioni di tonnellate, non lontano dai circa 28 milioni del 2008 l'anno
della grande crisi globale" - scrive il Sole 24 Ore del 16 sett. (vedi in calce scansione dell'articolo).
La
crisi, quindi, è stata superata dai padroni, grandi e piccoli. Dagli
operai NO, decisamente NO. La leva del superamento per i capitalisti non
è stata tanto la ristrutturazione/ammodernamento/adeguamento della
produzione alle esigenze del mercato - questo è inevitabile per un
capitale che vuole restare in pista - quanto essenzialmente l'aver da un
lato scaricato la crisi sui lavoratori, con licenziamenti,
cassintegrazione, chiusura e svendita di stabilimenti; dall'altro
facendo tabula rasa dei diritti dei lavoratori, aumentando lo
sfruttamento e tagliando i costi per la sicurezza, il salario - su
questo con l'aiuto importante dei governi/comitati d'affari della
borghesia.
Con la crescita - dicono i padroni dell'acciaio -, insieme alle acciaierie di grandi dimensioni, delle acciaierie più piccole "capaci
di reagire alle richiesta di mercato con maggior prontezza, ora la
penisola è una meta siderurgica industrialmente interessante: è il
secondo produttore europeo e il
decimo mondiale... in posizione
strategica, nel cuore del Mediterraneo e nell'Occidente che può
dialogare con il protezionista Trump meglio della Cina".(idem)
E ArcelorMittal con l'Ilva? "...un
gruppo fortemente voluto, per assicurarsi nel lungo periodo circa dieci
milioni di capacità produttiva aggiuntiva in Europa, l'accesso al porto
industriale più vicino a Suez e Gibilterra e lo sbocco verso i mercati
dell'Africa del Nord" (idem).
E
l'Ilva di Taranto gli permette questa postazione strategica. Chi
minacciava durante la trattativa che ArcelorMittal potesse abbandonare
l'"affare", mentiva apertamente!
Certo
- dice lo stesso giornale della Confindustria - probabilmente i soldi
che la Mittal dovrà mettere (2,3 miliardi per ambiente e bonifiche) e
per l'innovazione dei processi produttivi (1,2 mld) "probabilmente non
saranno sufficienti... visto che dovrà recuperare i mancati investimenti
in tecnologia innovativa e manutenzione dei 5 anni senza Riva che per
questo impegnava "350 milioni di euro l'anno" (cifre loro...), ma i
profitti saranno la giusta ricompensa per Mittal.
Da
questo, però, ne vengono almeno due conseguenze per gli operai e la
popolazione "inquinata" di Taranto. Primo, che anche la borghesia dice
che i soldi che Mittal metterà sono insufficienti; secondo, che al
massimo Mittal deve aggiungervi i soldi non investiti da Riva; terzo che
per recuperare i soldi spesi (e quelli per ambientalizzazione e
bonifiche per il capitale sono un costo inutile e insopportabile) avrà
un solo modo: estrarre maggiore pluslavoro (sfruttamento) dagli operai
per avere maggiore plusvalore e quindi profitti. (Dedicato agli operai
che hanno votato Sì...).
Nessun commento:
Posta un commento