Il
#Metoo contro McDonald’s
di
redazione
20
settembre 2018
Due
giorni fa in dieci città degli Stati Uniti con la sigla #Metoo
McDonald’s le lavoratrici hanno scioperato e sono scese in piazza
contro il colosso degli hamburger per denunciare le molestie sessuali
ai danni di venticinque dipendenti. Il 18 settembre le lavoratrici
della più grande catena multinazionale di fast
food
hanno indetto un giorno di sciopero contro le molestie sessuali sul
luogo di lavoro. Lo sciopero ha attraversato ben dieci città
(Chicago, Kansas City, St. Louis, Los Angeles, Miami, Milwaukee, New
Orleans, Orlando, San Francisco e Durham) ed è stato sostenuto da
Fight
for $15
(e quindi da diverse sigle sindacali), dalla Women’s
March
e da Time’s
Up
tra gli altri. Lo sciopero arriva dopo ben 25 denunce arrivate alla
Commissione per le pari opportunità (EEOC) degli Stati Uniti che
sono state completamente ignorate dai vertici di
McDonald’s. “Non sono nel menù” è lo slogan che è stato utilizzato durante la protesta per segnalare che le lavoratrici e i lavoratori non sono merce in vendita, ricattabile, sfruttabile e “molestabile”. Nella lettera d’indizione della manifestazione, le lavoratrici scrivono:
McDonald’s. “Non sono nel menù” è lo slogan che è stato utilizzato durante la protesta per segnalare che le lavoratrici e i lavoratori non sono merce in vendita, ricattabile, sfruttabile e “molestabile”. Nella lettera d’indizione della manifestazione, le lavoratrici scrivono:
«Caro
McDonald’s:
McDonald’s
vorrebbe essere una «azienda di hamburger progressista» – ma ha
FALLITO nell’affrontare l’accusa di molestie sessuali nei suoi
punti vendita da parte delle lavoratrici.
Palpeggiamenti. Commenti volgari. Proposte di sesso. E quando le lavoratrici hanno denunciato I comportamenti inappropriati, la direzione non ha detto nulla – o, ancora peggio, le ha licenziate e si è vendicato. Siamo solidali con le lavoratrici che stanno lottando a livello nazionale il 18 settembre e affermiamo:
È tempo di applicare le regole dell’azienda che proibiscono le molestie sessuali.
È tempo di portare avanti corsi di formazione obbligatori per i dirigenti e i dipendenti sulle molestie sessuali.
È tempo di ascoltare i lavoratori e difendere i gruppi per assicurarsi che NESSUN* lavoratore/lavoratrice di McDonald’s subisca molestie sessuali sul posto di lavoro».
Palpeggiamenti. Commenti volgari. Proposte di sesso. E quando le lavoratrici hanno denunciato I comportamenti inappropriati, la direzione non ha detto nulla – o, ancora peggio, le ha licenziate e si è vendicato. Siamo solidali con le lavoratrici che stanno lottando a livello nazionale il 18 settembre e affermiamo:
È tempo di applicare le regole dell’azienda che proibiscono le molestie sessuali.
È tempo di portare avanti corsi di formazione obbligatori per i dirigenti e i dipendenti sulle molestie sessuali.
È tempo di ascoltare i lavoratori e difendere i gruppi per assicurarsi che NESSUN* lavoratore/lavoratrice di McDonald’s subisca molestie sessuali sul posto di lavoro».
Le
richieste che questa rete di organizzazioni e sigle ha espresso sono
tre: che le linee guida di gestione di McDonald’s contro le
molestie che sono enunciate solo formalmente vengano rese effettive e
siano rinforzate; che si realizzi un sistema non solo di “educazione”
e “formazione” contro le molestie, ma anche uno spazio in cui le
denunce vengano realmente ascoltate; e, infine, che si creino delle
commissioni miste tra lavoratori, responsabili del singolo negozio,
responsabili corporate
e associazioni in difesa dei diritti delle donne (come Time’s
Up
e il National
Women’s Law Center and Equal Rights Advocates)
per fare in modo che nessuna lavoratrice sia lasciata sola a
confrontarsi con l’amministrazione nel caso ci fossero molestie. La
protesta mostra come il #Metoo
sia chiaramente esteso molto oltre i luoghi dell’industria
cinematografica e dello spettacolo mainstream
e come le lotte femministe di questi anni stiano continuando a
propagare la loro ondata di forza. Ma indica anche come la lotta
sulle molestie, non sia separabile da una richiesta di salario minimo
(o di reddito), e questa a sua volta dall’organizzazione di
condizioni lavorative che siano non solo retribuite, ma
sostanzialmente diverse dai modelli di organizzazione produttiva
attuali.
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