venerdì 14 settembre 2018

pc 14 settembre - FORMAZIONE RIVOLUZIONARIA DELLE DONNE: "Le donne vedevano in un sistema di organizzazione comunista, la possibilità di liberarsi"

Stralci a cura di Mfpr

A.Kollontaj: Il ruolo della donna nel sistema economico della schiavitù

Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

1921 - Da Conferenze all'università Sverdlov sulla liberazione della donna (*)
L'oppressione della donna si ricollega alla divisione del lavoro che si basa sulla differenza dei sessi e dove l'uomo si è accaparrato tutto il lavoro produttivo mentre la donna si incaricava dei compiti secondari.
Mentre questa divisione del lavoro si perfezionò, la dipendenza della donna si rafforzò fino a a gettarla definitivamente nella schiavitù.
Una conseguenza importante dell'introduzione della proprietà privata fu che l'economia domestica si staccò presto dall'economia omogenea e comunitaria che era stata fino ad allora quella della tribù. L'esistenza di queste organizzazioni economiche autonome comportò un tipo di famiglia sempre più chiusa e ripiegata su sè stessa. All'interno di quest'economia familiare isolata ed individuale, si assistette inoltre al rafforzamento della divisione del lavoro. I lavori produttivi all'esterno furono riservati ai membri maschili della famiglia, mentre la donna fu relegata ai suoi fornelli.

Da un punto di vista economico, il lavoro della donna perse della sua importanza ed ella non tardò a essere considerata come una creatura sprovvista di valore e completamente superflua rispetto al rappresentante dei valori nuovi, cioè l'uomo.
La pala e la macina, che erano stati precedentemente scoperte della donna, le furono sottratte a profitto dell'uomo. I campi stessi cessarono di essere dominio della donna. La sua esistenza libera e senza ostacoli ebbe fine. Fu confinata per secoli tra le quattro pareti della sua casa e fu esclusa da ogni lavoro produttivo. D'ora in poi, non avrebbe più vegliato il fuoco come figura materna collettiva e nell'interesse di tutto il clan, ma soltanto come sposa e serva di suo marito. Doveva filare e tessere, preparare abiti e preparare il cibo della famiglia...
Passiamo ora all'analisi della situazione della donna nella fase seguente dello sviluppo economico e ci troviamo dunque a 2500 anni fa, cioè nell'antichità pre-cristiana. Non abbiamo più il problema dei clan selvaggi e poco civilizzati, ma Stati altamente evoluti che dispongono di eserciti potenti e dove esistevano la proprietà privata, grandi differenze di classi, un artigianato ed un commercio fiorenti. Il loro sistema economico era fondato sul lavoro servile, una forma transitoria dell'economia naturale ed un commercio di scambio più sviluppato. Vediamo apparire per la prima volta un accumulo del capitale sotto la sua forma più elementare.

Quale era il ruolo della donna in questa fase dell'evoluzione? Quali diritti aveva nelle repubbliche pagane della Grecia, di Roma e nella città libera di Cartagine?

E' quasi impossibile ora parlare del ruolo della donna nella produzione senza determinare prima la sua appartenenza di classe. Quando il sistema sociale di quest'epoca culminò sul piano economico, si suddivise in due classi chiaramente distinte: i cittadini liberi e gli schiavi. Solo il lavoro dei cittadini liberi era riconosciuto, anche se gli schiavi erano responsabili della fabbricazione del pane e di tutti gli altri prodotti di prima necessità. La stima di cui godeva un cittadino dipendeva dai servizi che rendeva allo Stato organizzato. Gli uomini di Stato, capaci di disciplinare la collettività e far rispettare l'ordine e la legge nella vita sociale, usufruivano del più alto prestigio. I guerrieri venivano immediatamente dopo. In compenso, i commercianti e gli artigiani avevano solo diritti limitati e gli schiavi, veri produttori della prosperità di tutti, non ne avevano assolutamente nessuno. Come era possibile? Perché i membri più utili alla comunità, che avrebbero occupato indubbiamente il primo posto nel periodo del comunismo primitivo, erano i più disprezzati?

Il principio fondamentale dell'inviolabilità della proprietà privata e del commercio fu responsabile principale di questo stato di cose. Quando un proprietario terriero poteva organizzare effettivamente i suoi schiavi, imporre loro una disciplina e costringerli a fabbricare i prodotti necessari alla popolazione, godeva della stima e della considerazione dei suoi contemporanei. Si riconosceva dunque soltanto il guadagno dello schiavista. Negli Stati molto sviluppati culturalmente, come lo stato greco e romano, la donna era completamente sprovvista di diritti, quasi schiava. Ma, anche in Grecia, la situazione della donna non era sempre stata così. Era differente quando la popolazione viveva ancora raccolta in piccole tribù e non conosceva né proprietà privata, né potere statale. All'origine, i greci erano un popolo di agricoltori e di pastori. Ma per ragioni allo stesso tempo climatiche e geografiche, furono obbligati molto presto ad evolvere verso una forma di economia più complessa. Le donne non lavoravano soltanto la terra, furono adoperate anche nella sorveglianza e cura delle immensi greggi, nella filatura e tessitura.

All'epoca di Omero - i suoi racconti poetici spiegano la vita dei greci antichi - le donne furono a fianco degli uomini, parte attiva nella produzione. Non erano completamente uguali nei diritti, ma tuttavia relativamente libere. Sembra difficile stabilire con certezza l'esistenza del matriarcato in Grecia. In ogni caso, poiché la popolazione greca conobbe precocemente una forma economica mitigata, possiamo supporre che il matriarcato non fosse così diffuso in Grecia tanto quanto in Egitto o in altri popoli più specificamente agricoli. Se si tengono conto delle loro religioni, la donna svolse tuttavia un ruolo importante presso gli antichi Greci.

Onoravano Demetra, dea della fecondità e non soltanto per la terra, come fu il caso in periodi più arretrati della storia dell'umanità. Attraverso la dea Atena, i greci veneravano la saggezza femminile. Gli uomini devono ad Atena - ma in realtà alle donne dei loro antenati - le arti della filatura e della tessitura, come l'invenzione dei pesi e delle misure e la coltura dell'ulivo.

Dai greci, la giustizia non era rappresentata con la figura di un uomo, ma con quella di una donna, la dea Temis, che tiene i due piatti della bilancia. Ciò prova a sufficienza che, nel periodo pre-classico della Grecia, la donna aveva occupato una posizione dominante e che era essa stessa a regolare i conflitti interni alla famiglia.

La scoperta del fuoco è attribuita alla dea Estia (Vesta). Delle giovani vergini (le vestali) erano le custodi del fuoco sacro. La mitologia greca ci offre una grossa quantità di esempi che riferiscono della lotta tra il diritto materno e paterno. Questo tende a dimostrare che ci doveva essere stato un periodo durante il quale la donna come madre, dirigeva il sistema economico della tribù.

All'epoca di Omero, la donna presenziava ai banchetti ed era amata e rispettata come moglie. Gli uomini erano deferenti e attenti al suo riguardo. Ma non si trattava affatto di un sistema matriarcale. Omero ci racconta come Penelope, modello di sposa perfetta seppe attendere il ritorno del suo marito scomparso. Penelope, nel corso di una festa, ritenne che sua suocera non dovesse avere il suo posto fra gli invitati, che avrebbe fatto meglio a tornare nei suoi appartamenti e ad occuparsi dei lavori domestici.

Fu precisamente all'epoca di Omero che si imposero il matrimonio, la proprietà privata e l'economia familiare individuale. Non bisogna dunque stupirsi se in questo periodo economico, i greci iniziarono a predicare alle donne "le virtù familiari", incitandole a mostrarsi indulgenti verso le scappatelle extraconiugali dei mariti. Ciò permetteva non soltanto di ridurre il numero dei membri della famiglia, ma anche di evitare al padrone di casa di dovere nutrire bocche inutili. 

Occorre ora esaminare la situazione della donna all'epoca in cui lo Stato greco si basava sulla proprietà ed il lavoro degli schiavi. Fu mentre sbocciava la cultura greca, costruita in tempi splendidi, che gli scultori crearono le immortali statue di Apollo e di Venere e che le città greche diventarono le metropoli del commercio internazionale, dove l'artigianato era fiorente e dove si aprirono scuole filosofiche rinomate, culle della scienza moderna, nello stesso periodo dunque in cui la donna dovette rinunciare alla totalità dei suoi vecchi diritti e privilegi e divenne la schiava domestica del suo signore e padrone, in breve, di suo marito.

L'uguaglianza dei sessi non esisteva all'epoca che tra gli schiavi. Ma di quale uguaglianza si trattava? Erano anche loro senza diritti, private di qualsiasi libertà ed oppresse, effettuavano gli stessi lavori spossanti e soffrivano al pari per la fame e di ogni specie di male. Le condizioni di vita degli schiavi sono spiegabili per la loro posizione senza diritti in stretto collegamento con il loro status sociale. Ma il fatto che le greche, libere cittadine di una repubblica culturale estremamente sviluppata, erano anche private dei loro diritti ed oppresse esige un'altra spiegazione.

Naturalmente, comparate agli schiavi, le donne di Atene e di Sparta erano cittadine aventi diritti e al tempo stesso anche privilegi. Ma questi li dovevano alla posizione del proprio marito e non ai loro meriti. Per loro stesse, non avevano alcun valore - come esseri umani e come cittadine - e non venivano considerate se non come complementi dei propri mariti. La loro vita intera era posta sotto tutela, inizialmente sotto quella del padre, poi sotto quella del marito. Non avevano il diritto di assistere alle feste che segnavano la vita pubblica in Grecia. Le cittadine della Grecia libera, di Cartagine e di Roma non conoscevano altro che l'universo stretto del focolare. Erano interamente occupate a filare, tessere, cucinare e sorvegliare i servi e gli schiavi della casa. Le donne più ricche erano anche dispensate da questi compiti. La loro esistenza si svolgeva negli appartamenti che erano riservati loro. Emarginate ed isolate da qualsiasi forma d'attività, conducevano in un'atmosfera soffocante una vita da eremita, molto poco distante da quella alla quale saranno condannate le donne e le ragazze dell'aristocrazia russa, di numerosi secoli più tardi. Il satirico autore Aristofane ha descritto con ironia la vita delle donne ricche:

"Porta abiti zafferano, si copre di trucchi, calza sandali alla moda, vive del lavoro del proprio marito e dei suoi schiavi e rimane di fatto un parassita". Non ci si deve stupire dunque se, dal punto di vista dell'uomo, il compito della donna finisce per ridursi al parto. Era innalzata in funzione "del focolare". Anelava ad essere "virtuosa", cioè disinteressata e stupida. Le donne più apprezzate erano quelle che non trovavano nulla da ridire né nel bene, né nel male. Da un lato, l'uomo poteva vendere la donna adultera come schiava; dall'altro, poteva procurarsi una prostituta quando la moglie virtuosa iniziava ad annoiarlo. Fuori dal matrimonio monogamico legale, la poligamia, illegale era però generalmente accettata e molto diffusa in Grecia: "Come procreatrice e casalinga, la sposa ufficiale, una schiava per l'asservimento delle necessità della carne e un'etera per la soddisfazione della vita intellettuale ed affettiva".

Accanto alle donne schiave, alle virtuose spose, esisteva anche in Grecia un gruppo autonomo di donne indipendenti, le etere. Erano le amanti dei grandi uomini della Grecia. Le etere erano sia delle cittadine libere, sia delle schiave affrancate, che trasgredivano coraggiosamente le leggi morali del matrimonio. Numerose etere sono entrate nella storia, come Aspasia, l'amica del famoso uomo di stato Pericle, come Lais, Frine o Lamia. Queste donne erano molto colte e si interessavano alla scienza e alla filosofia. Erano politicamente attive ed influenzavano gli affari di Stato.

Succedeva così, che i filosofi ed i pensatori dell'epoca erano ispirati dalle idee e dai pensieri nuovi di queste etere colte. Contemporanei hanno testimoniato l'amicizia tra il celebre filosofo Socrate ed Aspasia, come pure i brillanti discorsi politici di quest'ultima. Frine (Mnesarete, ndt) ispirò il famoso scultore Prassitele e Lamia, che visse nel V secolo prima della nostra era, svolgendo un ruolo determinante in una cospirazione contro due tiranni che si erano accaparrati tutto il potere nella repubblica. Fu, così come i suoi compagni, che avevano lottato per la libertà, gettata in prigione e crudelmente torturata. Per non denunciare, si tagliò la lingua di colpo tra i denti e la sputò sul viso del giudice.

L'esistenza delle etere è la prova che la donna cercava al tempo di liberarsi della soffocante prigione che gli era stata attribuita e che rappresentava la sua dipendenza. Mancava tuttavia alle etere una condizione essenziale e capitale al successo: non effettuavano alcun lavoro produttivo. Per l'economia nazionale non avevano più valore delle mogli ignoranti e limitate degli uomini greci e romani. Le libertà ed i privilegi che avevano conquistato erano costruiti sulla sabbia; da un punto di vista materiale, dipendevano dagli uomini, ora come prima.

In Grecia, c'erano anche delle donne isolate che portarono un contributo importante alla scienza, all'arte ed alla filosofia. Queste belle e potenti figure di donne dimostrano ciò di cui la donna fosse capace quando la sua ragione, il suo cuore e il suo spirito non erano distrutti da un'esistenza degradata tra le quattro pareti del suo focolare. Purtroppo, queste donne rare e coraggiose non avevano alcun potere reale sull'atmosfera generale dell'epoca, segnata dal parassitismo e dall'ozio delle donne. Erano eccezioni e per questa ragione incapaci di cambiare nulla nelle condizioni di vita femminile e che occupavano nell'economia un ruolo poco importante.
Le donne sentivano istintivamente che l'economia domestica, la proprietà privata ed il matrimonio legale erano i principali ostacoli alla propria liberazione. Nella "Assemblea delle donne", commedia del celebre autore greco Aristofane, sono ridicolizzate perché vogliono introdurre un ordine nuovo e prendere esse stesse in mano il destino dello Stato. È soprattutto interessante notare che l'eroina di questa commedia, Prassagora, raccomanda la proprietà comune. "Chiedo, dice Prassagora, che tutto diventi comune, che tutto appartenga a tutti, che non ci siano più né ricchi, né poveri. Ciò non può durare più a lungo, che alcune persone regnino su campi immensi, mentre il piccolo lotto di terra che possiedono gli altri basta appena per collocare la propria tomba. La donna deve essere proprietà di tutti. Ciascuno deve avere diritto di fare bambini con chi vuole". Così le donne protestavano contro la proprietà privata, il matrimonio forzato e la dipendenza, nel 400 a.C., cioè circa duemilatrecento anni fa. Il sogno di un'organizzazione comunista, che avrebbe potuto restituire la donna alla sua tutela, doveva essere così generalmente diffuso che il celebre Aristofane poté trasporlo nelle sue commedie molto conosciute ed accessibili a tutti. Le donne vedevano in un sistema di organizzazione comunista, la possibilità di liberarsi dalla loro situazione, probabilmente anche perché la lingua popolare ricordava il loro passato felice all'epoca del comunismo primitivo.

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