ArcelorMittal conquista Taranto nel risiko della guerra commerciale mondiale della siderurgia, dentro la crisi di sovrapproduzione e l'ondata protezionistica scatenata da Trump.
Il governo precedente e forze ambientaliste a Taranto hanno da tempo affermato una favola: che Mittal era pronto ad andarsene, l'altra che Mittal prende l'Ilva solo per chiuderla tra poco dopo aver acquisito le quote di mercato.
Le cose non stanno affatto così. Taranto è centrale per i piani dei primi produttori mondiali dell'acciaio.
ArcelorMittal con una capacità produttiva installata di 100 milioni di tonnellate ha una leadership assoluta nella classifica mondiale dei produttori dell'acciaio. Mittal è leader mondiale dei prodotti piani che sono attualmente il core business di Taranto. E' in questo quadro che l'acquisizione dell'Ilva costituisce un grande colpo.
ArcelorMittal non aveva una presenza diretta in Italia, che, nessuno lo ignori, è il secondo mercato europeo per consumo di coils. Da tempo, prima come Usinor e poi come Arcelor, hanno cercato di mettere le mani sul mercato italiano, ma non c'erano riusciti, se non con un impianto di laminazione, zincatura in provincia di Livorno, l'ex Magona di Piombino.
Pur di mettere le mani sull'Ilva ArcelorMittal ha accettato il piano di dismissioni previsto nell'ambito
dell'antitrust europeo, che prevede la chiusura di impianti in Romania, Macedonia, Repubblica Ceca, Lussemburgo e Belgio. Ricordiamo qui che l'ArcelorMittal è presente con una grande quantità di siti produttivi, sedi commerciali, centri di ricerca e sviluppo in 30 paesi d'Europa. E nella sfera di questa azione va considerata la presenza in Russia e in Marocco e Algeria.
Mittal aveva già fatto un investimento commerciale in Italia qualche anno fa attraverso la joint venture Cln, leader in Italia del commercio e lavorazione dei coils, e primo fornitore di acciaio del gruppo Fca/Fiat. Però, chiaramente, questa presenza era assolutamente insufficiente per conquistare il mercato italiano.
Per questo Taranto è un avamposto strategico per il Mediterraneo, per i mercati africani. E nella contesa mondiale, la conquista dell'Africa è, come si sa, una della chiavi.
Va considerato che poco tempo fa ArcelorMittal è stata costretta a chiudere l'avamposto industriale di Annaba in Algeria per effetto delle decisioni del governo algerino di restrizioni delle iniziative industriale e dell'import. Quindi, l'unico avamposto rimasto ad ArcelorMittal è l'antico sito in Francia di Fos Sur Mer. Questo sito, però, è stato ridimensionato rispetto ai siti esistenti nel nord Europa.
Per questo Taranto è divenuta ancora più centrale.
Nel sistema mondiale, basato sul capitalismo monopolistico, i padroni delle multinazionali acquisiscono siti che devono rispondere a due esigenze: evitare che i siti importanti cadano nelle mani della concorrenza; prenderli per fare un alto in avanti in quello che chiamiamo "risiko mondiale" nella guerra dell'acciaio.
Come lo Slai cobas per il sindacato di classe, nell'importante volantino documento distribuito in questi giorni all'Ilva, segnala, l'ingresso dell'Ilva nel pianeta ArcelorMittal va considerata una grande opportunità della lotta di classe degli operai nel nostro paese. Se Mittal ha preso nelle sue mani l'Ilva di Taranto, gli operai dell'Ilva hanno nelle loro mani le sorti dei profitti dell'ArcelorMittal. Quindi hanno nei fatti un grande potere contrattuale per poter imporre con la lotta lavoro, salari, diritti, condizioni di lavoro e, quello che è decisivo per l'intera città di Taranto, attacco alle fonti maggiormente inquinanti di questa fabbrica, con tutte le soluzioni tecnologiche, impiantistiche ampiamente esistenti, che possano permettere risultati concreti.
Ma di questo gli operaiì devono avere consapevolezza e coscienza di classe.
Questo richiede autonomia operaia e organizzazione di classe, costruendo un'alternativa reale al sindacalismo confederale complice. Questo in fabbrica ancora non c'è ma ci sono le condizioni perchè si costruisca.
L'Usb che aveva raccolto in parte il dissenso operaio verso le scelte filopadronali di Fim, Fiom e Uilm ha dimostrato nei fatti che dietro la bandierina della "nazionalizzazione" c'era il nulla e l'allineamento e complicità con il sindacalismo confederale, ha dimostrato ampiamente di essere uno strumento inservibile.
L'ideologia e la pratica degli operai "liberi e pensanti" e di quella piccola parte di essi che ha aderito all'Flmu/Cub è servita solo a demolire ulteriormente la coscienza di classe degli operai e a trasformarli in una "sezione staccata" dell'ambientalismo.
Ora c'è una nuova condizione, a partire dalla contestazione dell'accordo, per ricostruire la forza di classe in fabbrica e il punto di riferimento operaio della lotta delle masse popolari. Taranto può e deve diventare un punto di forza, anche se c'è molto lavoro da fare.
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