Ecco il
costo per l'acquisto e la messa in funzione delle 'voting machine'. Prima volta
in Italia senza le schede cartacee
di ANDREA
MONTANARI
|
26 luglio
2017
Roberto
Maroni acquista 24mila tablet che saranno utilizzati per
votare al referendum sull'autonomia indetto il prossimo 22 ottobre. Il governatore della Lombardia ha
firmato il decreto. Il referendum infatti si svolgerà completamente con il voto
elettronico nei circa ottomila seggi sparsi su tutto il territorio regionale e
sarà la prima volta che in Italia si vota non con le schede cartacee.
Il costo dei tablet si aggiungerà al milione e 200mila euro (1,6 milioni calcolando anche l'Iva) speso finora dalla Regione per la promozione della campagna elettorale a suon di spot sui mezzi pubblici,
cartelloni pubblicitari lungo strade e autostrade, promozioni sulla carta stampata e spot su radio e tv. Il budget già stanziato per la propaganda sul referendum potrà arrivare, alla fine, a 3,4 milioni.
La spesa complessiva prevista per l'acquisto e la messa in funzione delle 'voting machine' supera i 23 milioni (21 milioni più Iva). "Abbiamo già firmato l'accordo anche con il ministero - conferma visibilmente soddisfatto Maroni - le prefetture metteranno a disposizione i seggi. Mentre a noi della Regione competeranno altre cose, come la tessera elettorale. E' un accordo che mi soddisfa e apre la strada a questa forte innovazione. I tablet saranno poi lasciati in comodato d'uso alle scuole sedi dei seggi".
Il costo dei tablet si aggiungerà al milione e 200mila euro (1,6 milioni calcolando anche l'Iva) speso finora dalla Regione per la promozione della campagna elettorale a suon di spot sui mezzi pubblici,
cartelloni pubblicitari lungo strade e autostrade, promozioni sulla carta stampata e spot su radio e tv. Il budget già stanziato per la propaganda sul referendum potrà arrivare, alla fine, a 3,4 milioni.
La spesa complessiva prevista per l'acquisto e la messa in funzione delle 'voting machine' supera i 23 milioni (21 milioni più Iva). "Abbiamo già firmato l'accordo anche con il ministero - conferma visibilmente soddisfatto Maroni - le prefetture metteranno a disposizione i seggi. Mentre a noi della Regione competeranno altre cose, come la tessera elettorale. E' un accordo che mi soddisfa e apre la strada a questa forte innovazione. I tablet saranno poi lasciati in comodato d'uso alle scuole sedi dei seggi".
Lombardia,
concorso annullato da 8 anni ma i dirigenti restano tutti al loro posto: in
dieci anni ci sono costati 30 milioni
Alcuni hanno fatto anche carriera, come il nipote di
Formigoni e il biografo di Don Giussani. In 31 furono assunti a tempo indeterminato
grazie a un concorso del 2006 annullato definitivamente tre anni dopo. Sono lì
ancora oggi, nonostante l'ex governatore e la sua giunta siano stati
condannati. La beffa del candidato che si oppose alla morsa dei ciellini:
"La Procura non archivi, c'è in ballo un danno permanente che non si
prescrive"
Sono lì ancora oggi e alcuni hanno fatto pure
carriera, dal nipote di Formigoni al biografo di Don
Giussani. Sono i 31 protagonisti di un vero e proprio “assalto alla
dirigenza” assunti con incarico da dirigente a tempo indeterminato nel 2007
grazie a un concorso mai pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e per questo
annullato tre anni dopo in via definitiva. E tuttavia conservano ancora oggi
grandi scrivanie e lauti compensi cui non avevano diritto. La loro permanenza
in servizio ad oggi è costata 30 milioni di euro ed uno
dei pochi frutti tangibili dell’impalpabile interessenza tra potere ciellino e
politica in Lombardia, dove la stessa Regione è stata trasformata per anni in
ufficio privato di collocamento a beneficio di professionisti in quota parenti
o in orbita a Comunione e Liberazione, l’anomalia di sistema a
cavallo tra lobby e fede che nel formigonismo ha dispiegato
tutto il suo potere, sbaragliando le residue resistenze e permeando ogni ambito
pubblico, fin dentro la “macchina” della Regione. Il conto è aperto dal 2006,
l’anno del famoso concorso per 31 dirigenti bandito da Regione Lombardia e
annullato da Tar (2008) e Consiglio di Stato (2009) perché mai pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale ma solo su bollettino regionale. Un’anomalia ricordata solo
poche settimane fa nella sentenza della Corte dei Conti che ha
condannato Formigoni e la sua giunta per un incarico d’avvocato conferito
illegittimamente, avendone 17 a disposizione.
La sentenza menziona quei
dirigenti ancora tutti lì perché nei loro confronti l’ente non ha mai
esercitato la clausola di interruzione consensuale del rapporto che pure
avevano firmato insieme al contratto in attesa degli esiti dei ricorsi. Del
resto la resistenza dell’ente nei vari gradi di giudizio fa il paio col peccato
originale che li motivò: l’omessa pubblicazione sulla Gazzetta,
raccontano le cronache del tempo, era funzionale ad assicurare alcuni posti-chiave del
sistema di Regione Lombardia a candidati in quota CL, così da rafforzare la
presa sull’apparato burocratico e sulla “macchina” che muove ogni anno qualcosa
come 25 miliardi di euro (17-18 in sanità) che veicola
direttamente o tramite società in house (Finlombarda, Infrastrutture lombare,
Arca, Asam etc). Dunque, che fine hanno fatto? Regione Lombardia che
ancora oggi li stipendia non ha particolari remore a trasmettere l’elenco dei
31 vincitori, con l’indicazione dell’incarico ricoperto e del compenso che
gli viene versato (scarica il file). Del resto la giunta Maroni non
c’entra con quella frittata che è stata – anche in termini di immagine – un
parziale danno. “I contratti non sono stati interrotti”, conferma al fattoquotidiano.it una
nota “anche perché la sentenza della Corte non interviene su questo
aspetto e la valenza giuridica dei contratti di lavoro “operativi” ormai
da tempo era molto radicata. In caso di rescissione dei contratti (ammesso di
superare ricorsi al giudice del lavoro) la Giunta si sarebbe trovata senza il
25% dei dirigenti necessari a ricoprire gli incarichi”. Anche perché,
aggiungiamo noi, chi invece la frittata la fece riuscì poi a rigirarla con
una leggina regionale ad hoc che modificava gli obblighi di
pubblicazione in modo retroattivo. L’espediente è servito solo in parte a
sollevare la giunta Formigoni dagli addebiti (per fatti ormai largamente
prescritti) ma ha assicurato il posto in Paradiso a parenti e amici di
CL che sono anche cresciuti in termini di carriera. Così è successo a uno dei
pezzi grossi. Michele Camisasca, nipote dell’attuale vescovo di
Reggio Emilia e Guastalla, Massimo Camisasca, biografo del fondatore di Cl, don
Giussani ha vinto il concorso ed è stato messo alla direzione del
personale con 185mila euro di stipendio trovandosi poi in un
peculiare conflitto di interessi nei panni dell’assunto con quel
concorso – subito ipotecato dai ricorsi – e di direttore del
personale che avrebbe potuto esercitare la clausola di rescissione
dei rapporti in essere fatta sottoscrivere a tutti i dirigenti (lui compreso)
in caso di annullamento, ma tant’è: non ha mandato a casa se stesso né gli
altri, e oggi è il direttore generale di Arpa Lombardia, altra società pubblica
finita nel mirino della Corte dei Conti che a febbraio ha chiesto un milione di
euro agli ex vertici per “incarichi da dirigente a chi non aveva i requisiti”. Con un compenso da 172.192
euro. Promozioni anche per Marco Carabelli, già vice del
Segretario generale Nicola Maria Sanese che il 18 giugno 2007
firmò materialmente l’immissione in servizio dei candidati in graduatoria e per
questo condannato, insieme a Formigoni, a rifondere parte dei 46mila euro di
costo del concorso annullato. Carabelli nel frattempo è stato posto in
“assegnazione temporanea” ad Areaexpo, la società a capitale pubblico
partecipata tra gli altri da Mef (39%) e Regione Lombardia (21,05%) per
acquisire le aree Expo e oggi per trasformarle in parco scientifico. Ne è
diventato il direttore generale, con compenso pari a 180mila euro (più
50 di variabile). Nell’elenco c’è poi Giacomo Boscagli, figlio
dell’ex assessore regionale Giulio Boscagli, cognato di Formigoni. Si occupava
di contabilità della giunta. Due anni dopo è già direttore finanze della Fiera
Milano International Spa, dal maggio del 2010 è paracadutato come direttore
all’Istituto dei tumori con compiti di controllo di gestione. Un altro ciellino,
Franco Milani, anche lui entra in Regione nel luglio 2007 e viene
messo alla Direzione generale Sanità dove si occupava di accreditamento e
controlli. Settore quanto mai delicato dal quale esce, quattro anni dopo, per
occuparsi di politiche del personale. Con uno stipendio, dice la tabella della
Regione, di 90.754 euro. Amaro il commento di quel dirigente
“senza sponsor” che a suon di denunce nel maggio 2006 scoperchiò il
pentolone che porterà ad acclarare l’illegittimità del concorso e a condanne
che ”non fanno giustizia”. “Li volete mantenere, manteneteli” dice oggi
al fattoquotidiano.it l’ingegnere Giuseppe Di Domenico,
risultato poi vincitore di un secondo concorso ma per un solo posto da
dirigente di fascia C (la più bassa) e non per la giunta come avrebbe voluto
“perché i 31 posti erano occupati da quei professionisti assunti senza titolo
che però restano ancora lì, a percepire alti compensi cui non hanno diritto”.
Mentre lui che ha lottato e speso un sacco di soldi in questi anni (oltre 40mila
euro, dice) per ripristinare la legalità nelle assunzioni pubbliche è
confinato in un’agenzia regionale senza grandi prospettive di carriera. “Le
loro, illegittime e tuttavia folgoranti, sono avvenute a detrimento di altri e
gli consentono anche di guadagnare mediamente 20mila euro l’anno più di
me”. Non è solo una questione personale. “Ancora spero che la Procura, che dal
2012 ha aperto un fascicolo penale sul quale pende una richiesta di
archiviazione cui mi sono opposto, non si fermi al danno erariale e ai reati
ormai prescritti ma accerti quello permanente e collettivo derivante dal non
aver garantito la selezione delle migliori competenze nei servizi della
pubblica amministrazione. Qui il reato è continuativo, si consuma anche in
questo momento”.
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