Spedizioni punitive contro gay e migranti: «Processate i naziskin»
La Spezia - Alla Procura sono bastati tre mesi di accertamenti per tirare le fila dell’inchiesta sulla cellula neonazista che organizzava spedizioni punitive per colpire gay e migranti. Un gruppo del quale, fino al 2016, faceva parte anche Sebastiano Maggiani, 21 anni, oggi, a seguito di una rapida metamorfosi, passato nei ranghi di un gruppo anarchico: un mese fa è stato arrestato con l’accusadi aver preso parte al pestaggio, avvenuto il 22 aprile scorso in una paninoteca in via Gioberti, ai danni di alcuni esponenti di CasaPound.
Nell’avviso della conclusione delle indagini preliminari, notificato ieri agli indagati, è spiegato come Maggiani sia stato per un certo periodo la figura principale della cellula “Autonomi naziskin La Spezia”. Al suo fianco c’erano anche Francesco Martini e Luca Tivegna, tutti ventenni e residenti in provincia, nei confronti dei quali, ad aprile, era stato emesso un provvedimento che prevedeva l’obbligo di non uscire nelle ore notturne e di non abbandonare i comuni di residenza. L’indagine, condotta dal procuratore capo Antonio Patrono, era scattata più di un anno fa quando i carabinieri del reparto operativo cominciarono a indagare su un raid vandalico nella sede del Partito democratico a Follo.
L’episodio si verificò il 13 maggio 2016: sui muri vennero trovate svastiche e altre scritte filo naziste. E già da allora emersero indizi che collegavano lo stesso gruppo ad alcuni incendi nella zona di Ceparana, dove vennero presi di mira i cassonetti utilizzati dalla Caritas per raccogliere indumenti usati. Gli investigatori, poi, sospettano che la stessa cellula abbia dato fuoco a una ruspa in una cava a Riccò del Golfo. Nelle carte dell’inchiesta sono riportate alcune conversazioni che il gruppo scambiava su una chat privata di WhatsApp. Maggiani: «Niente gerarchie, obblighi e doveri, solo odio e discriminazioni razziali».
Martini: «Si va a caccia di negri e antifasci». Il loro covo era una vecchia roulotte, abbandonata vicino al fiume, un luogo sicuro dove custodire il materiale per la propaganda e un piccolo quaderno con frasi «inneggianti alla lotta armata e le istruzioni per fabbricare ordigni esplosivi». I tre avrebbero fatto parte di «un gruppo di persone che aveva tra i suoi scopi l’incitamento alla discriminazione e alla violenza per motivi razziali, etnici e nazionali».
Tra gli episodi più gravi, annotati nelle carte dell’inchiesta, l’aggressione ad alcuni nomadi che stavano rovistando nella spazzatura. Il retroscena emerge sempre dalle conversazioni intercettate dagli investigatori sulla chat di WhatsApp. Era stato Martini a pubblicare un video sull’accaduto. Nel filmato si vedono due nomadi che aprono un cassonetto e qualcuno che impugna una mazza e li insegue. «È arrivato uno con il furgone, ed è uscito da dietro e mi ha preso alle spalle... ne ho steso uno però…con la mazza pesante…ora mando il video che ho fatto», scrisse Martini. Il collegio difensivo è composto dagli avvocati Fabio Sommovigo, Silvio Petta e Cesare Bruzzi Alieti.
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