La professione della difesa dei diritti. La lotta di Slai Cobas e i 500 di Montello
La più grande ditta di smaltimento rifiuti situata nel cuore del Bergamasco, la Montello SPA (la fabbrica dello sporco, come la chiamano gli abitanti della zona, non riferendosi alla sua materia prima), ha iniziato a far parlare di sé lo scorso autunno a causa del licenziamento ingiustificato di 17 lavoratrici straniere. Tutte e 17 le operaie sono rientrate al lavoro, ma al prezzo di una lotta durissima
accompagnata dalla diffidenza delle altre operaie, spaventate dalle minacce di licenziamento (come racconta Bashide, 27 anni).
accompagnata dalla diffidenza delle altre operaie, spaventate dalle minacce di licenziamento (come racconta Bashide, 27 anni).
Pochi mesi dopo un’altra lettera di licenziamento, questa volta nei confronti di un uomo, Manpreet. Giovane operaio ventottenne impegnato alla Montello da molti anni ha ricevuto una contestazione pretestuosamente disciplinare. Possiamo parlare di pretestuosità perché, con l’aiuto di SLAI Cobas, Manpreet ha presentato ricorso contro il licenziamento per cui il tribunale si è pronunciato in tal senso: «Accoglie il ricorso e, per l’effetto, annulla il licenziamento disciplinare inflitto dalla società».
Nonostante l’annullamento del provvedimento in data 18 gennaio 2019, però, al giovane Manpreet non è stato ancora concesso di rientrare a lavorare. Continua, dunque, la protesta per il rientro del lavoratore, sostenuta dal sindacato, che pur non essendo di grandi dimensioni, ha dimostrato di conoscere i diritti e la volontà di proteggerli.
Come funziona un provvedimento disciplinare? Facciamo, però un passo indietro, e chiediamoci come sia possibile che un licenziamento per giusta causa possa basarsi su di un fatto non accaduto. Ce lo spiega Sergio Caprini: «L’azienda che viene a conoscenza di una possibile infrazione del lavoratore (o del regolamento in caso di cooperative) scrive una lettera di contestazione seguendo la prassi, e la comunica per iscritto al lavoratore a cui viene richiesto di giustificare il dato fatto. L’azienda, quindi, formula l’accusa, il lavoratore si giustifica, l’azienda ascolta le giustificazioni e poi emette la sentenza. Quindi abbiamo in un’entità accusatore avvocato e giudice! Questo è uno strumento di repressione notevole che viene utilizzato quando un lavoratore decide di non subire più. L’azienda con questo metodo ha la possibilità di licenziare senza dare giustificazione a tutti».
Il ruolo di Slai COBAS. Slai COBAS ha iniziato la sua difesa dei 500 operai di Montello da poco più di un anno, aprendo gli occhi ai lavoratori, e fornendo loro lo strumento per reclamare i propri diritti. A questo punto la domanda sorge spontanea, perché il sindacato presente in azienda prima dell’arrivo di SLAI Cobas non agiva per proteggere i lavoratori? La risposta di Caprini è che quella di chi si trovava già a Montello prima do loro: «È una linea sindacale neocorporativa in accordo con i padroni che ha portato al progressivo abbandono dei lavoratori e dei loro diritti, lasciando la massima autonomia ed economia alle aziende. Nello specifico a Montello abbiamo una realtà che si comporta in linea con l’organizzazione nazionale, non esiste una sezione autonoma, applicano solo gli accordi nazionali e hanno una cooperazione con le aziende».
Rispetto alla rivendicazione di un risarcimento dovuto agli operai per il mancato pagamento delle pause Caprini dichiara: «Per le mezz’ore di soldi sottratte è stata preparata la vertenza da SLAI Cobas, per poter riprendere in toto le somme cui gli operai avevano diritto, circa 5000 euro ciascuno. Al contrario, il sindacato dell’azienda ha proposto una conciliazione per un forfettario che andava dai 150 ai 250 euro rispetto all’anzianità. Questo accordo andava a sanare anche altre eventuali voci pregresse, impedendo ai lavoratori di fare ricorso rispetto a qualsiasi altro fatto accaduto prima di questa liberatoria. Più di 300 hanno firmato».
Il cancro delle cooperative. Slai COBAS lavora tra Milano e Brescia e lotta per porre al centro della discussione pubblica le cooperative come problema strutturale e generale. Sergio Caprini ci spiega infatti come: «Le cooperative sfruttano il bisogno degli immigrati di lavorare, sono la chiave per poter gestire un numero così grande di lavoratori senza diritti».
Ma parliamoci chiaro, Montello è una fabbrica, ha degli impianti e delle linee di produzione che lavorano stabilmente da almeno 15 anni con 500 operai. Non segue alcun tipo di flessibilità che possa richiedere un cambiamento di necessità di numero, è un’attività industriale stabile, non ha bisogno di cooperative. Da cosa è giustificata l’intermediazione di manodopera?
Ecco la risposta: nessun rapporto con la committente, un rapporto con la cooperativa, un contratto formalmente legato al contratto nazionale ma subordinato ai regolamenti interni della cooperativa. Tra l’altro, nel caso della Montello le operaie hanno un contratto merci logistiche (sfavorevole rispetto a ciò che spetterebbe) e l’assunzione da parte della cooperativa le rende licenziabili semplicemente da un cambio appalto. Gli appalti alle cooperative sono caporalato legalizzato.
«Le cooperative sono un cancro tollerato», conclude. Noi non possiamo fare altro che cercare di illuminare queste condizioni di sfavore che vivono per metà nel buio e ringraziare chi, come questo piccolo sindacato, continua a credere nella rivendicazione dei diritti di tutti.
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