I giudici assolvono gli antifascisti che il 22 febbraio 2018 si scontrarono con la polizia: impossibile identificarli, anche perché indossavano abiti "normali e diffusi"
TORINO - Il Tribunale parte da una premessa che definisce
«necessaria». «Le ragioni poste alla base della manifestazione erano del
tutto legittime: l’opposizione al fascismo — sottolineano i giudici
Pier Giorgio Balestretti, Andrea Natale e Giulia Locati — è infatti un
elemento connaturale del nostro ordinamento». La manifestazione cui fa
riferimento la terza sezione penale è quella che i «gruppi della
sinistra antifascista torinese» organizzarono il 22 febbraio 2018 per
protestare contro il convegno nazionale del «movimento politico di
estrema destra CasaPound», previsto all’Nh Hotel di corso Vittorio
Emanuele II. «Il fatto che CasaPound sia una formazione di ispirazione
neofascista — aggiunge il Tribunale — è comprovato dal suo programma
politico». Detto questo, i giudici ricordano che «le manifestazioni e le
riunioni in luogo pubblico sono fenomeni sociali articolati» e che la
«mera presenza» in piazza non può essere sinonimo di «contributo causale
alla commissione del reato»: fosse così, «si costruirebbe uno
schematismo per cui “tutti concorrono in tutto”». Pertanto, il fatto che
il corteo avesse come scopo quello di «ribadire le ragioni
dell’antifascismo non può di per sé determinare che tutti debbano
rispondere per quanto commesso da alcuni».
Qui finisce il 'positivo' della sentenza
Cinque compagni assolti, un sesto condannato a
un anno di reclusione per aver lanciato alcune bottiglie contro le
forze dell’ordine durante il corteo che attraversò le strade della
città....la terza
sezione penale — dopo la «necessaria» premessa sul fascismo e
sull’opposizione al fascismo — entra nel merito della vicenda e illustra
i motivi che hanno portato ad assolvere quasi tutti gli imputati: «non
vi è prova — sottolineano i giudici — di chi abbia materialmente fatto
scoppiare gli ordigni esplodenti che hanno ferito gli agenti». I filmati
effettuati dalla Digos non hanno infatti consentito di identificare con
certezza i «soggetti con il volto completamente travisato» che
lanciavano bottiglie di vetro e altri oggetti in direzione dei
poliziotti. Uno degli imputati, in particolare, avrebbe indossato un
«giubbotto nero con i laccetti rossi». «La difesa — ricorda a tal
proposito il Tribunale — ha dato conto di come il predetto giubbotto sia
di marca Decathlon e di come sia uno dei capi più venduti in quanto il
più economico nel genere». Quella sera il manifestante ripreso dalle
videocamere indossava anche un paio di jeans e aveva con sé uno zainetto
nero. «Gli indumenti che avrebbero portato alla identificazione»
dell’attivista, si legge nel documento, «non sono particolari o
eccentrici ma assolutamente normali e diffusi». Motivo per cui «non vi
sono elementi sufficienti per ritenere che colui che ha effettuato il
lancio di bottiglie sia certamente l’imputato». Quel che è sicuro,
insomma, è che «la Digos non è riuscita a identificare gli autori
materiali del lancio» di oggetti. E che nessun imputato — a parte quello
condannato — «è stato visto nell’atto di lanciare qualcosa». È passata,
pertanto, la linea degli avvocati difensori: Claudio Novaro e Roberto
Lamacchia.
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