domenica 7 luglio 2019

pc 7 luglio - Proletari comunisti ragiona sul proprio lavoro

Il nostro lavoro politico a Ravenna

Vogliamo costruire il Partito nell'attacco generale alla forma partito, la politica comunista in tempi di anticomunismo imperante, quando va per la maggiore, anche nel movimento, l'antipolitica.
Le lotte autoreferenziali, la loro estensione, creano solo l'illusione di un cambiamento del potere borghese. Il populismo di sinistra, l'elettoralismo, la lotta all'interno della legalità democratico borghese seminano confusione e, in particolare in questa fase storica di affermazione del moderno fascismo, sono non soltanto arnesi inutili per la lotta ma lo aiutano nella conquista del potere.

Nelle lotte politiche, sindacali, sociali, organizzate o spontanee, tutte le classi partecipano in qualche modo, ma noi comunisti non possiamo portare avanti la nostra militanza accontentandoci del fatto di lottare al fianco di compagni di diverse provenienze politiche, eclettici in termini ideologici, senza porre la questione della direzione, senza lottare per la trasformazione dei compagni perchè si
comprenda la necessità di costruire il Partito per la rivoluzione proletaria.
Diversamente si è nel campo del movimentismo ed è proprio da questo pantano che bisogna uscire.
Questa concezione è propria della piccola borghesia di sinistra e quindi l'affermazione di una politica comunista passa attraverso la lotta contro le sue idee e la sua azione.
Per questo pensiamo che la costruzione di un circolo comunista sia il passo necessario.

Nella realtà di Ravenna abbiamo sempre avuto il problema di trasformare l'antagonismo in un percorso rivoluzionario. Certo che anche noi non siamo stati immuni da difetti, il principale è stato
il rivoluzionarismo piccolo-borghese nelle sue varianti estremiste ed opportuniste, riflesso delle concezioni all'esterno di noi.
Le potenzialità dentro e fuori di noi ci sono. Ma per fare questo dobbiamo portare avanti la critica a posizioni e concezioni di singoli compagni e delle forze presenti in questa realtà.
La Rete Antifascista
La propaganda delle formazioni neofasciste, le ronde e l'attacco ai simboli della resistenza, le violenze squadristiche hanno avuto corso in particolare prima che i fasci si trasformassero in galoppini elettorali di Salvini e comunque vengono tollerati dalle istituzioni locali come su scala nazionale. E nessuna forza politica anche di sinistra aveva messo in campo azioni di contrasto, nemmeno coloro che oggi sono attivi militanti nella Rete.
Quindi l'organizzazione della Rete antifascista si era resa necessaria e noi di proletari comunisti siamo stati i promotori, raccogliendo l'adesione di giovani studenti in una prima fase dietro la nostra direzione e di militanti usciti da rifondazione comunista assieme a individualità anarchiche.
Le lotte portate avanti da noi hanno avuto uno stop per qualche anno (trasferimento in altra città di un compagno, opportunismo e incapacità di portare avanti il lavoro politico da parte dei compagni rimasti). Ora stiamo riprendendo le fila interrotte, non certo però con i compagni che ci hanno lasciato, alcuni cedendo al privatismo, alle lusinghe del sistema di vita costruito dal riformismo al potere, “garantito” da uno stato sociale efficiente , dalla “sicurezza” di uno stile di vita piccolo borghese vissuto all'ombra della borghesia “rossa”.
Quest'assenza politica e materiale, il mancato lavoro dei compagni rimasti, ha fatto sì che oggi la linea maggioritaria sia quella dei compagni ex rc e anarchici.
La loro attività in definitiva sembra appagata all'interno della Rete più come spazio di socialità, autoreferenziale: mai un comunicato, mai un volantino, mai un lavoro costante nei quartieri, nelle scuole/università, perfino l'uso una chat sta sostituendo il dibattito di un'assemblea.
La nostra forza è ancora debole, dobbiamo affermare che l'attività antifascista non è certo iniziata oggi, che dall'esperienza precedente (piaccia o meno eravamo noi a dirigerla) i risultati migliori in termini di adesioni e di qualità politica li abbiamo conseguiti non solo nell'antifascismo militante, ma anche nella lotta alla repressione, nelle iniziative volte al coinvolgimento delle masse.
Oggi prevale il distacco dalle masse propria di questa linea di tipo democratico-radicale, dove permane forte il disinteresse per il dibattito teorico-politico, la lotta parte dalla volontà di sé stessi, l'analisi del fascismo e dei fascisti è completamente assente e la confusione regna sovrana. E' necessario invertire decisamente la rotta. E' un lavoro difficile ma l'unico che possa ritessere il filo rosso della resistenza antifascista che in questa regione ha segnato un punto molto alto in termini ideologici e organizzativi, con lo sviluppo della lotta militante, un patrimonio teorico-pratico di compagni che prima di noi hanno fatto una scelta che ha trasformato radicalmente le loro vite, scelta che vogliamo consegnare a chi oggi si pone il problema della lotta al fascismo. Ora anche per la borghesia “rossa” il vento sta cambiando. Borghesia “rossa” vuole dire corporativismo, sindacati collaborazionisti, aristocrazia operaia. Il fascismo dal volto umano. Le roccaforti amministrative a guida PD cominciano ad essere terreno di conquista elettorale delle forze reazionarie, in particolare la Lega che stringe sempre di più legami con le organizzazioni neofasciste come FN e casa pound. In alcune città è arrivata persino al ballottaggio col PD, come Ferrara.
Ma senza l'analisi di classe come si può andare avanti?
La nostra azione va inquadrata in quello che una volta veniva sostenuto come modello alternativo di gestione amministrativa, il riformismo al potere nella “rossa” emilia romagna, dove queste etichette ideologiche sono servite al partito revisionista e ai suoi eredi politici a coprire il potere reale di una borghesia alleata al ceto medio, che ha gestito il potere dal dopoguerra ad oggi con un apparato burocratico, composto da funzionari di partito e del sindacato, da dirigenti espressione della ramificazione delle reti cooperative. Un sistema di potere già pronto per cui, nella fase odierna di fascismo montante, la borghesia potrebbe compiere altre scelte politiche e convertirsi in “nera”, proprio per la caratteristica di questo potere, e cioè per il corporativismo economico-sociale ormai collaudato nel tempo dalle giunte di centrosinistra. E' proprio vero che “il riformismo serve la reazione”. Ordine pubblico, pacificazione, conciliazione degli interessi di classe sono ancora oggi alla base di questo sistema di potere della borghesia “rossa” a livello regionale. Le ordinanze per “il decoro”, la cosiddetta “sicurezza partecipata” che fa leva sulla piccola borghesia impaurita (nonostante il calo documentato dei reati) per il controllo del territorio, una sorta di ronda permanente a difesa della proprietà, unite al clima generale di attacco alla resistenza, a cui ha contribuito anche il revisionismo storico, hanno spostato sempre più a destra il quadro politico.
E poi c'è il problema dello Stato e dello Stato di polizia. Lo avevamo visto a Genova al G8 e sempre a Genova ha avuto il suo culmine nella violenza dei fascisti in divisa in questi giorni di campagna elettorale quando il movimento antifa è sceso in campo nella contestazione ai neofascisti. Il decreto sicurezza 1 e 2 del governo deve saltare e la Rete antifascista a Ravenna può e deve svolgere questo compito e noi ci battiamo perchè pratichi un'altra linea e che esca dai confini localistici.
La storia ha dimostrato che il moderno fascismo si può battere solo se gli operai prendano nelle loro mani la lotta, ed anche per questo motivo che un circolo comunista è necessario, che possa attrarre a questo lavoro le migliori energie tra le fila dell'antifascismo.
Il sindacato di base
La classe operaia e i proletari delle campagne, protagonisti del potente scontro di classe che ha avuto il suo culmine nella resistenza antifascista, in questa città sono isolati, i sindacati oggi servono al massimo “per fare il 730” e la spinta rivoluzionaria, le istanze classiste, il sindacato di classe, sono stati schiacciati dalla classe politica dei funzionari di partito, espressione degli interessi del grande padronato (Marcegaglia in testa, assieme alle grandi industrie di stato come l'Eni), della finanza, così come degli artigiani e dei commercianti, delle piccole e medie imprese, degli albergatori, delle cooperative di produzione, di distribuzione e dei servizi dello stato sociale, tutti ormai sviluppati sul terreno capitalista. L'aristocrazia operaia proveniente dall'Enichem e dalla compagnia portuale (i mazzieri contro il movimento) hanno incanalato fino a fare sparire il conflitto di classe dai luoghi di lavoro, mentre tra gli gli operai dilagava la precarietà, lo sfruttamento e le fabbriche e il Porto diventavano sempre più una minaccia per la salute e sicurezza per i lavoratori.
Siamo stati l'unica forza sindacale che ha lavorato per la costruzione di un sindacato di classe basato sui Cobas, abbiamo lottato per unire energie diverse a difesa della vita e della salute degli operai con la Rete per la sicurezza.
Oggi hanno fatto breccia in fabbrica le istanze classiste, alla Marcegaglia in particolare, dove un settore di operai delle ditte si è organizzato nel SGB. E questa è certamente un buon segnale.
Ma la linea e le caratteristiche dei compagni dirigenti di questo sindacato lo fanno apparire come la nuova cgil piuttosto che lo sviluppo di un sindacato di base e di classe.
Questo si esprime nelle posizione classicamente economiciste da parte di chi dirige e nei militanti del sindacato SGB, per cui la “politica” non deve entrare nel sindacato, figuriamoci se lo deve dirigere, gli operai non vengono aiutati da questi compagni a prendere posizione sulle lotte antifasciste, sull’internazionalismo proletario, tutte questioni sollevate da noi di proletari comunisti per dibatterle assieme. E' una concezione di un'altra politica, contraria al leninismo, una politica borghese, quella che concepisce il sindacato utile, che deve rimanere solo sul terreno delle vertenze per strappare qualche miglioramento al padrone, ma che non aiuta a crescere gli operai, a farli comprendere che sono centrali nello scontro di classe contro i padroni e il loro sistema politico (contro Stato, governo, magistratura, polizia) che deve essere rovesciato e che l'obiettivo è la conquista del potere, la lotta per il potere operaio, per cui è necessaria la scienza della politica, il lavoro dei comunisti che portano dall’”esterno” della lotta economica la coscienza comunista agli operai. L'interesse per i bisogni immediati dei lavoratori è il punto di partenza di qualunque azione politica tra le file degli operai, questi compagni (e non ancora noi, dobbiamo dirlo con chiarezza) lo stanno facendo e questo è un bene ma solo i comunisti possono collegare le lotte economiche alla politica, quindi è da combattere decisamente l'economicismo che guida l'azione di questi compagni nel sindacato di base.

La costruzione di un circolo comunista, di un circolo operaio, serve a rafforzare questo lavoro così come a sviluppare la lotta tra le 2 linee, sia sul terreno sindacale che su quello politico della Rete antifascista.

Nessun commento:

Posta un commento