Pubblichiamo un articolo dal sito Siderweb e l'articolo integrale di Sole 24 Ore.
Immunità e Ambiente, un accordo blinda ArcelorMittal
Il 14 settembre un addendum all'accordo del giugno 2017 tra Governo e
azienda, scovato dal Sole24Ore, blinderebbe la multinazionale
Dopo aver letto le importanti dichiarazioni rilasciate al sito Siderweb da Geert Van Poelvoorde Ceo di ArcelorMittal Flat Products Europe, a margine dell’European Steel Day, siamo andati a rileggerci nuovamente il “Contratto di affitto con obbligo di acquisto dei rami d’azienda” dell’ex gruppo Ilva, firmato dal governo italiano sotto la guida dell’ex premier Gentiloni e dell’ex ministro allo Sviluppo economico Carlo Calenda e da ArcelorMittal il 28 giugno del 2017, presso lo studio notarile Marchetti di Milano.
Un paio di settimane fa, il Ceo Poelvoorde dichiarò al giornalista Lorenzini del sito specializzato Siderweb quanto segue: “Quello
che il contratto dice è che lo scudo legale andrà man mano ad esaurirsi
ad ogni avanzamento degli step di investimento, senza che vi sia la
necessità di fare ulteriori interventi legali perché è un meccanismo
automatico. Questa è anche la ragione per cui alla firma del contratto non abbiamo potuto diventare proprietari dell’impianto. Per questo la soluzione concordata al momento della trattativa è stata quella di affittare l’impianto,
risolverne le
criticità e solo al momento in cui gli investimenti ambientali saranno completati diventarne proprietari a tutti gli effetti. Questo anche perché è impossibile vendere un impianto su cui siano pendenti dei provvedimenti di sequestro. Vi posso assicurare che l’argomento è inserito nel contratto se necessario posso farvi avere il testo dell’articolo in cui si affronta la questione. ArcelorMittal è conscia che sulla questione sia pendente una richiesta di giudizio alla Corte Costituzionale. Se la corte dovesse sancire l’illegalità di questa norma allora il tema sarà effettivamente sul piatto e dovrà essere trovata una soluzione. Il problema non si porrebbe solo per ArcelorMittal ma per chiunque dovesse gestire l’impianto“.
La questione della decadenza graduale dell’immunità penale è oramai chiara.
Quello che ha destato la nostra attenzione è stata la sicurezza con cui il Ceo di ArcelorMittal affermava la presenza nel contratto della questione. In effetti sia nell’articolo 19 del contratto (“Attività e misure di tutela ambientale e sanitaria”), che negli articoli 26 e 27 (“Obbligo di acquisto dei rami d’azienda” e “Recessione dei rami d’azienda”), ci sono dei riferimenti al decreto legge del 5 gennaio 2015, n. 1 “Disposizioni urgenti per l’esercizio di imprese di interesse strategico nazionale in crisi e per lo sviluppo della citta’ e dell’area di Taranto”. E soprattutto chiarivano le diverse opzioni attraverso le quali la multinazionale poteva recedere dall’accordo sottoscritto.
Ma i riferimenti non erano così chiari come indicati dal Ceo di ArcelorMittal. Per questo abbiamo iniziato una ricerca congiunta con Siderweb e le nostre fonti. Ma l’azienda aveva preferito non rispondere alla domanda diretta di indicarci l’articolo preciso dove veniva chiarita l’intera questione. Il perché le nostre ricerche non sono andate a buon fine ce lo ha chiarito quest’oggi l’articolo del collega Paolo Bricco uscito sull’edizione odierna del Sole24Ore.
Il giornale di Confindustria ha infatti preso visione di un accordo di modifica del Contratto del 2017, firmato da ArcelorMittal e dal governo lo scorso 14 settembre 2018. La modifica riguarda proprio l’articolo 27 sulla “Recessione dei rami d’azienda”.
Quattro pagine e sei paragrafi che definiscono ogni ipotesi. “Nel caso in cui – si legge nel documento pubblicato dal Sole24Ore – con sentenza definitiva o con sentenza esecutiva (sebbene non definitiva) non sospesa negli effetti ovvero con decreto del Presidente della Repubblica anch‘esso non sospeso negli effetti ovvero con o per effetto di un provvedimento legislativo o amministrativo non derivante da obblighi Comunitari, sia disposto l’annullamento integrale del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 settembre 2017 adottato ai sensi dell’art. 1, comma 8.1, del DL. 191/2015, ovvero nel caso in cui ne sia disposto l‘annullamento in parte qua tale da rendere impossibile l‘esercizio dello stabilimento di Taranto (anche in conseguenza dell’impossibilità, a quel momento di adempiere ad una o più prescrizioni da attuare, ovvero della impossibilità di adempiervi nei nuovi termini come risultanti dall’annullamento in parte qua), l’Affittuario ha diritto di recedere dal contratto“.
In soldoni questo significa che qualora cambi il quadro giuridico e legislativo generale su cui si è svolta l’asta di aggiudicazione della cessione deli asset industriali del gruppo Ilva, ArcelorMittal può riconsegnare allo Stato la gestione del sito.
Ma non c’è solo questo. Anzi. Sempre nell’addendum al contratto siglato il 14 settembre 2018 si legge come riporta sempre il Sole24Ore: “L’affittuario potrà altresì recedere dal contratto qualora un provvedimento legislativo o amministrativo, non derivante da obblighi comunitari, comporti modifiche al Piano Ambientale come approvato con il ‘decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 settembre 2017 che rendano non più realizzabile, sotto il profilo tecnico e/o economico, il Piano Industriale“.
Anche questo passaggio sembra fin troppo chiaro: qualora cambiasse il Piano Ambientale, con la conseguente ricalibratura degli investimenti economici previsti per ottemperare a tutte le prescrizioni e quindi con la revisione del punto di pareggio operativo nell’acciaieria previsto dall’azienda, ArcelorMittal avrebbe le carte in regola per lasciare il sito di Taranto.
E come sappiamo il ministro dell’Ambiene Sergio Costa, lo scorso 29 maggio ha firmato il decreto di revisione dell’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale), dopo l’istanza del sindaco Rinaldo Melucci del 21 maggio con la quale il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci ha chiesto di avviare la procedura di riesame dell’Aia in base agli esiti del rapporto di valutazione del danno sanitario elaborati da Arpa Puglia e Asl Taranto, che hanno evidenziato un rischio residuo non accettabile per la popolazione anche a valle del completamento degli interventi previsti dal decreto di riesame dell’AIA del 2012 dell’allora ILVA di Taranto.
Si procederà dunque ad analizzare i due attuali scenari emissivi di riferimento (differenti da quelli già oggetto di valutazione), ossia quello riferito alla produzione di 6 milioni tonnellate/anno di acciaio attualmente autorizzata e quello previsto al completamento degli interventi elencati nel DPCM del 29 settembre 2017. Anche in questo caso, qualora dovessero intervenire prescrizioni più restrittive rispetto a quelle presenti nel Piano Ambientale, ArcelorMittal potrebbe ritirarsi.
Ovviamente, come specificato anche dal Sole24Ore, tutto questo ragionamento verrebbe a decadere qualora nel corso di questi mesi ArcelorMittal e governo avessero firmato altri accordi al momento sconosciuti. Certamente, se così non fosse, la multinazionale dell’acciaio è già adesso in una botte di ferro da un punto di vista legislativo e legale. Perché una cosa è certa: qualora non vengano appianati i dissapori con il Governo, una causa per danni e una richiesta di risarcimento danni miliardaria nei confronti dello Stato italiano, non ce la toglierà nessuno. Qualcuno al governo dovrebbe dare qualche spiegazione.
L'ARTICOLO COMPLETO DI SOLE 24 ORE:
Ilva, ecco il contratto che smentisce Di Maio e dà ragione ad ArcelorMittal
Una specificazione molto precisa. Dettagliata. Arcelor Mittal può recedere dal contratto di affitto - preliminare alla vendita - in tutta una serie di ipotesi. Già il contratto d'affitto con obbligo di acquisto di rami d'azienda, siglato il 28 giugno 2017, era abbastanza nitido. Ma l'accordo di modifica del contratto, che risale al 14 settembre 2018, è ancora più chiaro.
Il Sole 24 Ore ha avuto modo di leggere entrambi i documenti. E, a meno che non siano intervenute successive modifiche, dalla loro consultazione evapora ogni ambiguità. L'accordo che modifica il contratto dedica a ogni plausibile declinazione l'articolo 27. Il titolo è esaustivo: “Retrocessione dei rami d'azienda”. Quattro pagine fitte di fattispecie, sei paragrafi che definiscono ogni ipotesi.
«Nel caso in cui - si legge nel documento - con sentenza definitiva o con sentenza esecutiva (sebbene non definitiva) non sospesa negli effetti ovvero con decreto del Presidente della Repubblica anch'esso non sospeso negli effetti ovvero con o per effetto di un provvedimento legislativo o amministrativo non derivante da obblighi comunitari, sia disposto l'annullamento integrale del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 settembre 2017 adottato ai sensi dell'art. 1, comma 8.1, del D.L. 191/2015, ovvero nel caso in cui ne sia disposto l'annullamento in parte qua tale da rendere impossibile l'esercizio dello stabilimento di Taranto (anche in conseguenza dell'impossibilità, a quel momento di adempiere ad una o più prescrizioni da attuare, ovvero della impossibilità di adempiervi nei nuovi termini come risultanti dall'annullamento in parte qua), l'Affittuario ha diritto di recedere dal contratto».
Il linguaggio contrattuale dà forma verbale alla sostanza della questione: cambia il quadro giuridico generale, che rappresenta lo sfondo regolamentare su cui si è svolta l'asta internazionale che ha visto ArcelorMittal prevalere su Jindal, Arvedi, Leonardo Del Vecchio e Cassa Depositi e Prestiti? Viene cancellata la non punibilità per reati compiuti da altri, prima dell'arrivo del nuovo proprietario a Taranto? Arcelor Mittal restituisce le chiavi dello stabilimento. E, questo, con qualunque tipo di misura, di qualunque fonte normativa.
Ma c'è dell'altro. Sempre nell'addendum al contratto siglato il 14 settembre 2018 si legge: «L'affittuario potrà altresì recedere dal contratto qualora un provvedimento legislativo o amministrativo, non derivante da obblighi comunitari, comporti modifiche al Piano Ambientale come approvato con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 settembre 2017 che rendano non più realizzabile, sotto il profilo tecnico e/o economico, il Piano Industriale».
Anche questo passaggio sgombra dal campo ogni equivoco: qualora cambiasse il piano ambientale, con la conseguente ricalibratura dell'attività economica e dunque con la revisione del punto di pareggio operativo nell'acciaieria, di nuovo ArcelorMittal potrebbe restituire le chiavi. Il contratto è stato firmato quando a Palazzo Chigi c'era Paolo Gentiloni e al ministero dello Sviluppo economico c'era Carlo Calenda. L'accordo di modifica è del 14 settembre 2018, quando a Palazzo Chigi c'era Giuseppe Conte e al ministero dello Sviluppo economico c'era Luigi Di Maio, entrambi ancora in carica. E, peraltro, è l'accordo di metà settembre 2018 a specificare in maniera certosina punto per punto. È con quel documento che Arcelor Mittal blinda la sua posizione.
Il problema è quello che è successo dopo il settembre del 2018. L'attuale Governo ha cancellato – lacerato dallo scontro fra i Cinque Stelle, da sempre favorevoli alla chiusura dell'impianto, e la Lega, contraria alla chiusura – la non punibilità. Adesso, dopo averlo fatto, sta discutendo con ArcelorMittal su come fare a rendere comunque praticabili i lavori ambientali, senza che la loro realizzazione provochi l'imputazione all'impresa e al suo management di problemi causati da altri, in passato. Il Governo, prima di cancellare lo scudo giuridico, ha più volte detto che la non punibilità non c'è. A meno che, dopo il 14 settembre 2018, non vi siano stati ulteriori aggiornamenti rispetto ai documenti consultati dal Sole 24 Ore, l'accordo di modifica del contratto dice un'altra cosa. Peraltro, su tutta la vicenda pende un giudizio di costituzionalità o meno da parte della Consulta, che dovrebbe arrivare ad ottobre. Inoltre, il ministro dell'Ambiente Sergio Costa sta lavorando alla restrizione dell'Aia. Più prescrizioni significano più investimenti. Più prescrizioni potrebbero significare un livello produttivo più basso rispetto a quello preventivato. Con il rischio di non trovare mai la sostenibilità economica dell'acciaieria.
Se questa modifica del contratto fosse l'ultima, si spiegherebbe la “tranquillità” manifestata in questi giorni dal gruppo siderurgico: se le cose stessero così, non solo il prossimo 6 settembre – giorno in cui decade lo “scudo giuridico” – ma anche il giorno in cui dovesse passare una versione più hard del piano ambientale, ArcelorMittal se ne potrebbe andare da Taranto e avrebbe probabilmente le carte in mano per attivare una non piccola causa per danni verso lo Stato italiano.
criticità e solo al momento in cui gli investimenti ambientali saranno completati diventarne proprietari a tutti gli effetti. Questo anche perché è impossibile vendere un impianto su cui siano pendenti dei provvedimenti di sequestro. Vi posso assicurare che l’argomento è inserito nel contratto se necessario posso farvi avere il testo dell’articolo in cui si affronta la questione. ArcelorMittal è conscia che sulla questione sia pendente una richiesta di giudizio alla Corte Costituzionale. Se la corte dovesse sancire l’illegalità di questa norma allora il tema sarà effettivamente sul piatto e dovrà essere trovata una soluzione. Il problema non si porrebbe solo per ArcelorMittal ma per chiunque dovesse gestire l’impianto“.
La questione della decadenza graduale dell’immunità penale è oramai chiara.
Quello che ha destato la nostra attenzione è stata la sicurezza con cui il Ceo di ArcelorMittal affermava la presenza nel contratto della questione. In effetti sia nell’articolo 19 del contratto (“Attività e misure di tutela ambientale e sanitaria”), che negli articoli 26 e 27 (“Obbligo di acquisto dei rami d’azienda” e “Recessione dei rami d’azienda”), ci sono dei riferimenti al decreto legge del 5 gennaio 2015, n. 1 “Disposizioni urgenti per l’esercizio di imprese di interesse strategico nazionale in crisi e per lo sviluppo della citta’ e dell’area di Taranto”. E soprattutto chiarivano le diverse opzioni attraverso le quali la multinazionale poteva recedere dall’accordo sottoscritto.
Ma i riferimenti non erano così chiari come indicati dal Ceo di ArcelorMittal. Per questo abbiamo iniziato una ricerca congiunta con Siderweb e le nostre fonti. Ma l’azienda aveva preferito non rispondere alla domanda diretta di indicarci l’articolo preciso dove veniva chiarita l’intera questione. Il perché le nostre ricerche non sono andate a buon fine ce lo ha chiarito quest’oggi l’articolo del collega Paolo Bricco uscito sull’edizione odierna del Sole24Ore.
Il giornale di Confindustria ha infatti preso visione di un accordo di modifica del Contratto del 2017, firmato da ArcelorMittal e dal governo lo scorso 14 settembre 2018. La modifica riguarda proprio l’articolo 27 sulla “Recessione dei rami d’azienda”.
Quattro pagine e sei paragrafi che definiscono ogni ipotesi. “Nel caso in cui – si legge nel documento pubblicato dal Sole24Ore – con sentenza definitiva o con sentenza esecutiva (sebbene non definitiva) non sospesa negli effetti ovvero con decreto del Presidente della Repubblica anch‘esso non sospeso negli effetti ovvero con o per effetto di un provvedimento legislativo o amministrativo non derivante da obblighi Comunitari, sia disposto l’annullamento integrale del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 settembre 2017 adottato ai sensi dell’art. 1, comma 8.1, del DL. 191/2015, ovvero nel caso in cui ne sia disposto l‘annullamento in parte qua tale da rendere impossibile l‘esercizio dello stabilimento di Taranto (anche in conseguenza dell’impossibilità, a quel momento di adempiere ad una o più prescrizioni da attuare, ovvero della impossibilità di adempiervi nei nuovi termini come risultanti dall’annullamento in parte qua), l’Affittuario ha diritto di recedere dal contratto“.
In soldoni questo significa che qualora cambi il quadro giuridico e legislativo generale su cui si è svolta l’asta di aggiudicazione della cessione deli asset industriali del gruppo Ilva, ArcelorMittal può riconsegnare allo Stato la gestione del sito.
Ma non c’è solo questo. Anzi. Sempre nell’addendum al contratto siglato il 14 settembre 2018 si legge come riporta sempre il Sole24Ore: “L’affittuario potrà altresì recedere dal contratto qualora un provvedimento legislativo o amministrativo, non derivante da obblighi comunitari, comporti modifiche al Piano Ambientale come approvato con il ‘decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 settembre 2017 che rendano non più realizzabile, sotto il profilo tecnico e/o economico, il Piano Industriale“.
Anche questo passaggio sembra fin troppo chiaro: qualora cambiasse il Piano Ambientale, con la conseguente ricalibratura degli investimenti economici previsti per ottemperare a tutte le prescrizioni e quindi con la revisione del punto di pareggio operativo nell’acciaieria previsto dall’azienda, ArcelorMittal avrebbe le carte in regola per lasciare il sito di Taranto.
E come sappiamo il ministro dell’Ambiene Sergio Costa, lo scorso 29 maggio ha firmato il decreto di revisione dell’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale), dopo l’istanza del sindaco Rinaldo Melucci del 21 maggio con la quale il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci ha chiesto di avviare la procedura di riesame dell’Aia in base agli esiti del rapporto di valutazione del danno sanitario elaborati da Arpa Puglia e Asl Taranto, che hanno evidenziato un rischio residuo non accettabile per la popolazione anche a valle del completamento degli interventi previsti dal decreto di riesame dell’AIA del 2012 dell’allora ILVA di Taranto.
Si procederà dunque ad analizzare i due attuali scenari emissivi di riferimento (differenti da quelli già oggetto di valutazione), ossia quello riferito alla produzione di 6 milioni tonnellate/anno di acciaio attualmente autorizzata e quello previsto al completamento degli interventi elencati nel DPCM del 29 settembre 2017. Anche in questo caso, qualora dovessero intervenire prescrizioni più restrittive rispetto a quelle presenti nel Piano Ambientale, ArcelorMittal potrebbe ritirarsi.
Ovviamente, come specificato anche dal Sole24Ore, tutto questo ragionamento verrebbe a decadere qualora nel corso di questi mesi ArcelorMittal e governo avessero firmato altri accordi al momento sconosciuti. Certamente, se così non fosse, la multinazionale dell’acciaio è già adesso in una botte di ferro da un punto di vista legislativo e legale. Perché una cosa è certa: qualora non vengano appianati i dissapori con il Governo, una causa per danni e una richiesta di risarcimento danni miliardaria nei confronti dello Stato italiano, non ce la toglierà nessuno. Qualcuno al governo dovrebbe dare qualche spiegazione.
L'ARTICOLO COMPLETO DI SOLE 24 ORE:
Ilva, ecco il contratto che smentisce Di Maio e dà ragione ad ArcelorMittal
Una specificazione molto precisa. Dettagliata. Arcelor Mittal può recedere dal contratto di affitto - preliminare alla vendita - in tutta una serie di ipotesi. Già il contratto d'affitto con obbligo di acquisto di rami d'azienda, siglato il 28 giugno 2017, era abbastanza nitido. Ma l'accordo di modifica del contratto, che risale al 14 settembre 2018, è ancora più chiaro.
Il Sole 24 Ore ha avuto modo di leggere entrambi i documenti. E, a meno che non siano intervenute successive modifiche, dalla loro consultazione evapora ogni ambiguità. L'accordo che modifica il contratto dedica a ogni plausibile declinazione l'articolo 27. Il titolo è esaustivo: “Retrocessione dei rami d'azienda”. Quattro pagine fitte di fattispecie, sei paragrafi che definiscono ogni ipotesi.
«Nel caso in cui - si legge nel documento - con sentenza definitiva o con sentenza esecutiva (sebbene non definitiva) non sospesa negli effetti ovvero con decreto del Presidente della Repubblica anch'esso non sospeso negli effetti ovvero con o per effetto di un provvedimento legislativo o amministrativo non derivante da obblighi comunitari, sia disposto l'annullamento integrale del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 settembre 2017 adottato ai sensi dell'art. 1, comma 8.1, del D.L. 191/2015, ovvero nel caso in cui ne sia disposto l'annullamento in parte qua tale da rendere impossibile l'esercizio dello stabilimento di Taranto (anche in conseguenza dell'impossibilità, a quel momento di adempiere ad una o più prescrizioni da attuare, ovvero della impossibilità di adempiervi nei nuovi termini come risultanti dall'annullamento in parte qua), l'Affittuario ha diritto di recedere dal contratto».
Il linguaggio contrattuale dà forma verbale alla sostanza della questione: cambia il quadro giuridico generale, che rappresenta lo sfondo regolamentare su cui si è svolta l'asta internazionale che ha visto ArcelorMittal prevalere su Jindal, Arvedi, Leonardo Del Vecchio e Cassa Depositi e Prestiti? Viene cancellata la non punibilità per reati compiuti da altri, prima dell'arrivo del nuovo proprietario a Taranto? Arcelor Mittal restituisce le chiavi dello stabilimento. E, questo, con qualunque tipo di misura, di qualunque fonte normativa.
Ma c'è dell'altro. Sempre nell'addendum al contratto siglato il 14 settembre 2018 si legge: «L'affittuario potrà altresì recedere dal contratto qualora un provvedimento legislativo o amministrativo, non derivante da obblighi comunitari, comporti modifiche al Piano Ambientale come approvato con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 settembre 2017 che rendano non più realizzabile, sotto il profilo tecnico e/o economico, il Piano Industriale».
Anche questo passaggio sgombra dal campo ogni equivoco: qualora cambiasse il piano ambientale, con la conseguente ricalibratura dell'attività economica e dunque con la revisione del punto di pareggio operativo nell'acciaieria, di nuovo ArcelorMittal potrebbe restituire le chiavi. Il contratto è stato firmato quando a Palazzo Chigi c'era Paolo Gentiloni e al ministero dello Sviluppo economico c'era Carlo Calenda. L'accordo di modifica è del 14 settembre 2018, quando a Palazzo Chigi c'era Giuseppe Conte e al ministero dello Sviluppo economico c'era Luigi Di Maio, entrambi ancora in carica. E, peraltro, è l'accordo di metà settembre 2018 a specificare in maniera certosina punto per punto. È con quel documento che Arcelor Mittal blinda la sua posizione.
Il problema è quello che è successo dopo il settembre del 2018. L'attuale Governo ha cancellato – lacerato dallo scontro fra i Cinque Stelle, da sempre favorevoli alla chiusura dell'impianto, e la Lega, contraria alla chiusura – la non punibilità. Adesso, dopo averlo fatto, sta discutendo con ArcelorMittal su come fare a rendere comunque praticabili i lavori ambientali, senza che la loro realizzazione provochi l'imputazione all'impresa e al suo management di problemi causati da altri, in passato. Il Governo, prima di cancellare lo scudo giuridico, ha più volte detto che la non punibilità non c'è. A meno che, dopo il 14 settembre 2018, non vi siano stati ulteriori aggiornamenti rispetto ai documenti consultati dal Sole 24 Ore, l'accordo di modifica del contratto dice un'altra cosa. Peraltro, su tutta la vicenda pende un giudizio di costituzionalità o meno da parte della Consulta, che dovrebbe arrivare ad ottobre. Inoltre, il ministro dell'Ambiente Sergio Costa sta lavorando alla restrizione dell'Aia. Più prescrizioni significano più investimenti. Più prescrizioni potrebbero significare un livello produttivo più basso rispetto a quello preventivato. Con il rischio di non trovare mai la sostenibilità economica dell'acciaieria.
Se questa modifica del contratto fosse l'ultima, si spiegherebbe la “tranquillità” manifestata in questi giorni dal gruppo siderurgico: se le cose stessero così, non solo il prossimo 6 settembre – giorno in cui decade lo “scudo giuridico” – ma anche il giorno in cui dovesse passare una versione più hard del piano ambientale, ArcelorMittal se ne potrebbe andare da Taranto e avrebbe probabilmente le carte in mano per attivare una non piccola causa per danni verso lo Stato italiano.
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