Comincia la vera partita per l’Ilva. Quella che coinvolge i livelli occupazionali e che da qui in poi comincerà ad essere terreno di battaglia fra l’attuale vertice straordinario dell’azienda e i sindacati, per certi versi propedeutico verso l’acquisizione da parte di una delle due cordate in campo disposte per rilevare, appunto, l’Ilva (ricordiamo Arcelor Mittal-Marcegaglia e AcciaItalia). Nella concretezza, la cessione di Ilva passa attraverso un ridimensionamento dei livelli occupazionali: quindi, comincia la stagione dei tavoli di confronto sugli eventuali esuberi.
Infatti, come riporta una nota dell’Ansa di ieri, fonti sindacali fanno sapere che martedì mattina la dirigenza incontra il consiglio di fabbrica. Ilva è intenzionata a non seguire più il percorso dei contratti di solidarietà, che attualmente coinvolge circa 3mila lavoratori, ma preferirebbe scegliere la strada della cassa integrazione straordinaria, una soluzione che permetterebbe all’azienda di affrontare più ‘facilmente’ i processi di ristrutturazione e quindi poter mettere mani ai livelli occupazionali. Una strada, insomma, che agevolerebbe l’ingresso dei nuovi proprietari i quali hanno già fissato gli obiettivi produttivi – seppur diversi – vicini agli attuali e perciò necessariamente, secondo le loro ipotesi strategiche, con passaggi su esuberi strutturali.
I sindacati, a quanto si apprende, non vogliono affatto accompagnare queste scelte, com’è ovvio che sia, per evitare quanto più possibile di ridurre notevolmente i livelli occupazionali, e perciò tenteranno di ottenere, al Ministero del Lavoro, la proroga dei contratti di solidarietà.
Giusto per dovere di cronaca, e semmai ce ne fosse bisogno, è bene ricordare qual è la differenza tra contratto di solidarietà e cassa integrazione straordinaria.
I contratti di solidarietà sono accordi, stipulati tra l’azienda e le rappresentanze sindacali, che hanno quale oggetto la diminuzione dell’orario di lavoro al fine di mantenere l’occupazione in caso di crisi aziendale e quindi evitare la riduzione del personale, favorire nuove assunzioni attraverso una contestuale e programmata riduzione dell’orario di lavoro e della retribuzione.
Il trattamento di integrazione salariale straordinario (CIGS) è una prestazione economica erogata dall’Inps per integrare o sostituire la retribuzione dei lavoratori al fine di fronteggiare le crisi dell’azienda o per consentire alla stessa di affrontare processi di ristrutturazione /riorganizzazione/ riconversione.
Insomma, differenze sostanziali tra i due percorsi. Del resto, è facile intuire come le due cordate in corsa per l’acquisizione di Ilva difficilmente rinunceranno agli esuberi. E’ stato lo stesso presidente della Commissione Industria del Senato, Massimo Mucchetti, a dichiararlo al termine della visita istituzionale a Taranto: “Ci induce a guardare il futuro con un pò più di ottimismo rispetto al passato è la procedura di gara che ormai andrà ad aprirsi a partire da febbraio per concludersi, riteniamo, entro marzo fra due cordate. Ci sono la cordata Arcelor Mittal-Marcegaglia, che più di una cordata è Arcelor Mittal più un pochetto di investitore italiano, e la cordata più composita promossa dalla Cassa depositi e prestiti con l’apporto finanziario di Leonardo Del Vecchio tramite la sua finanziaria e con l’intervento di due importanti operatori industriali, l’indiano Jindal e il cremonese Arvedi“.
“Al momento possiamo dire che nelle audizioni in Senato il gruppo Arcelor Mittal aveva assunto una triplice posizione: la richiesta di una riforma dell’Aia, perché così com’era non andava bene secondo loro; l’idea di produrre non più di 6 milioni di tonnellate d’acciaio perché, a loro dire, questo era in grado di assorbire il mercato, ma noi aggiungiamo che si riducono anche le emissioni inquinanti; e che non sarebbe di loro competenza il colossale taglio occupazionale che sarebbe necessario per tenere in equilibrio lo stabilimento con questi livelli produttivi“, ha detto ancora Mucchetti. “Il gruppo Acciai Italia – ha aggiunto – pur partendo anch’esso dai livelli produttivi attuali, che sono determinati dal fatto che l’altoforno principale è fermo e poi bisognerà vedere come sviluppare la produzione, ha sempre indicato come obiettivo quello di arrivare almeno a 8 milioni di tonnellate di produzione e quindi una gestione dei livelli occupazionali certamente meno pesante di quella dell’altra proposta. Un giudizio definitivo lo si potrà dare solo quando tutte le carte saranno sul tavolo“. Dunque, prepariamoci a mesi difficili per l’occupazione nell’area industriale tarantina (a parte quella assai più complicata dell’inquinamento…).

Ilva, cassa integrazione a marzo per 4-5mila addetti - sindacati confederali già pronti a dare il loro consenso - vogliono usare i benefici pensionistici per dare il consenso a esuberi






Ilva, cassa integrazionea marzo per 4-5mila addetti
DOMENICO PALMIOTTI
TARANTO - La nuova proprietà dell’Ilva, dopo i Riva, non c’è ancora, nulla si sa di quanto intenderà produrre e con quanto personale, eppure quanto sta per accadere nel siderurgico viene interpretato come una specie di prova generale. L’anticipazione di quell’Ilva più «magra», in termini di occupazione, che in molti ritengono si avrà con la nuova gestione. Sul tavolo c’è infatti la cassa integrazione per Taranto. Ilva e sindacati cominceranno a discuterne dopodomani mattina.
Con la scadenza dei contratti di solidarietà, da marzo si profila infatti un ricorso alla cassa per 4-5mila dipendenti. La stima è dei sindacati. Il fatto che l’Ilva sia orientata ad usare la cassa integrazione anzichè i contratti di solidarietà utilizzati negli anni scorsi, era già noto. Fonti vicine all’azienda l’avevano già anticipato e il cambio di ammortizzatore sociale sarebbe determinato dal fatto che non sarebbe più possibile usare la solidarietà. «Ma al di là dello strumento - dichiara Antonio Talò, segretario Uilm Taranto - va osservato che adesso, sul piano economico, non è che ci sia grande differenza tra la cassa integrazione e i contratti di solidarietà perchè entrambi sono attestati sugli stessi massimali. Il punto vero, invece - prosegue Talò -, è che i lavoratori perdono, in media, dai 130 ai 150 euro al mese e quindi bisogna trovare modi e mezzi per compensare questo taglio del reddito. Noi l’abbiamo già detto già al vice ministro del Mise, Teresa Bellanova, e pure la Regione Puglia deve darsi da fare. Certo, un altro anno di solidarietà sarebbe possibile, ma servirebbe una deroga».
«Sappiamo che con la cassa integrazione ci troveremo dinnanzi a numeri più alti rispetto alla solidarietà - annuncia Valerio D’Alò, segretario Fim Cisl Taranto - ma l’azienda non ci ha ancora fornito il quadro. C’è anche una ragione tecnica che spiega i numeri più alti: con la cassa integrazione, i reparti si fermano da una data ad un’altra. Con la solidarietà, invece, c’è più elasticità di gestione. Noi domani - aggiunge D’Alò - avvieremo solo il confronto e poi, area per area, faremo gli approfondimenti necessari». «Attestarsi tra i 4mila e i 5mila cassintegrati è possibile - commenta Talò -. Oggi la solidarietà coinvolge 3mila addetti ma l’ultima cassa all’Ilva, l’abbiamo fatta nel 1999 per poco più di 6mila unità».
Nuove fermate di impianti per lavori di ammodernamento e mancanza di ordini: queste, per i sindacati, le ragioni che spingono l’azienda a chiedere ulteriori ammortizzatori sociali. «Non c’è molto lavoro - dice D’Alò -. L’intera area dei tubifici resta ferma e in questa situazione di transizione, tra gestione commissariale e nuova proprietà in arrivo, è anche difficile che i grandi committenti si rivolgano all’Ilva. Prima vogliono vedere come va a finire».
I sindacati evidenziano che tutto il discorso sulla proroga degli ammortizzatori non è legato ai piani industriali di chi, dopo la cessione, prenderà l’Ilva (le offerte vincolanti dovrebbero essere presentate, salvo proroga, l'8 febbraio) . «Quello è un altro discorso - commenta Talò -. Di Arcelor Mittal con Marcegaglia non sappiamo, mentre di Arvedi, che è in cordata con altri partner tra cui Cdp, fu detto che nel 2018, a risanamento concluso, si sarebbe attestato su 8mila addetti».
Intanto l’Ilva è scesa sotto gli 11mila dipendenti: «Al 31 dicembre - aggiunge il segretario Uilm - erano 10.974. Chi ha potuto, è andato via con la mobilità incentivata. Molti l’hanno legata pure alla pensione». Erano 11.450 quelli in servizio l’anno scorso secondo il numero indicato nel documento consegnato giorni fa alla commissione Industria del Senato che ha effettuato a Taranto delle audizioni. E i sindacati rilanciano anche il tema dell’amianto: va proseguita la bonifica, certo, ma si vuol vedere se attraverso il riconoscimento all’esposizione, che determina criteri pensionistici agevolati, si può ridurre altra manodopera come già avvenuto in passato. «Forse sei-settecento unità - spiega Talò - potrebbero essere assorbite. E’ evidente che abbiamo bisogno di una serie di strumenti per gestire in modo meno traumatico possibile l’impatto che la ristrutturazione dell’Ilva avrà sulla forza lavoro